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FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 220 - Gennaio / Febbraio 2015
Ha giurato Greg Abbott, nuovo Governatore del Texas
SOMMARIO:
1) Per noi c'è poco da festeggiare
2) Il 13 gennaio la prima esecuzione dell'anno negli Usa
3) La Georgia riesce infine ad uccidere Hill, disabile mentale
4) La Corte Suprema Usa discuterà dell’iniezione letale in Oklahoma
5) La nuova governatrice dell'Oregon mantiene la moratoria
6) Il governatore della Pennsylvania indice una moratoria
7) Salta la moratoria in Pakistan: subito esecuzioni a raffica
8) Nel buio pakistano peggiora la situazione di Aasia Bibi
9) L'Iran uccide il giovanissimo Saman, oppositore politico
10) Orrore in Arabia Saudita
11) Pena agghiacciante cominciata e poi sospesa in Arabia Saudita
12) Orrenda uccisione di un pilota giordano vendicata con 2 esecuzioni
13) Prosegue molto lentamente l’iter giudiziario di Nidal Hasan
14) Intervento della Santa Sede all'ONU sulla pena di morte
15) Sapere chi sono i "terroristi", per poi tentare di capire
16) Diritti Umani: è uscito il Rapporto 2015 di Human Rights Watch
17) Amnesty: uscito il rapporto 2014-2015 sui diritti umani
18) Fernando ci spiega come fa il pittore nel braccio della morte
19) Acquistiamo la canzone di Clinton condannato a morte in Texas!
20) Notiziario: California, Florida, Iran, Iraq, Isole Figi, Maryland, New York, Texas.
1) PER NOI C'È POCO DA FESTEGGIARE
L'ex Attorney General (Ministro della Giustizia) del Texas, Greg Abbott, il 20 gennaio scorso ha prestato giuramento sulla Bibbia, durante la cerimonia di insediamento nella carica di Governatore, e ha descritto il Texas come “un luogo dove l’improbabile diventa possibile” e dove “un giovane spezzato in due” da un incidente può arrivare al vertice del potere (1).
Il 15 gennaio il suo predecessore Rick Perry, completando il periodo di governatorato più lungo nella storia del Texas (14 anni), ha dichiarato: “Non avrei potuto scegliere un successore migliore di Greg Abbott, e lui non potrebbe aver scelto due collaboratori migliori di Dan Patrick (Vice
Governatore) e Joe Straus (Portavoce del Governatore)”.
Fatta da un tipo ultraconservatore e forcaiolo come Perry, che ha 'presieduto' a 279 esecuzioni capitali, questa dichiarazione di continuità non ci rallegra (2).
D'altra parte sappiamo che Abbott, pur proclamandosi di fede cattolica e religiosissimo (3), è un fervido sostenitore della pena di morte. Quindi, cambia il direttore d’orchestra ma la musica rimane sempre la stessa (4).
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(1) Abbott diventò paraplegico trent'anni fa in seguito alla caduta di un albero.
(2) Perry potrebbe candidarsi per la presidenza USA nel 2016...
(3) Spesso vengono esclusi dalla giurie nei casi capitali i potenziali giurati di fede cattolica (perché la Chiesa cattolica non ammette la pena di morte). Però Abbott - che si proclama religiosissimo e cattolico - è uno dei
personaggi più forcaioli.
(4) Su Perry e Abbott v. n. 218.
2) IL 13 GENNAIO LA PRIMA ESECUZIONE DELL'ANNO NEGLI USA
Il primo uomo ‘giustiziato’ nel 2015 in America era un veterano del Vietnam affetto da un grave disturbo mentale.
Andrew Brannan, ucciso con l'iniezione letale il 13 gennaio, era nato 66 anni fa in Georgia.
Arruolatosi volontario nel corpo dei paracadutisti, aveva combattuto in Vietnam dal 1970 al ’71 ed era stato congedato con onore, ricevendo persino due medaglie e una stella di bronzo per il suo comportamento valoroso. Tuttavia portò a casa anche un altro ‘regalo’ della guerra: un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). A causa di tale patologia mentale non riuscì a mantenere nessun lavoro e il suo matrimonio andò in pezzi. Finì col vivere in una casetta nel bosco senza acqua corrente e senza elettricità.
Nel 1998 il vice sceriffo Kyle Dinkheller fermò il furgone di Brannan per eccesso di velocità.
Nel video ripreso dalla telecamera piazzata sull'auto della polizia, si può scorgere chiaramente Brannan che scende dal furgone, dopo aver accostato sul lato della strada. Il vice sceriffo e Brannan iniziano a parlare e a scherzare, poi il poliziotto provoca pesantemente Brannan. Questi dà in
escandescenze, va nel suo furgone, prende un fucile e spara almeno nove volte contro Dinkheller, che muore sul colpo.
Il veterano fu trovato la mattina dopo nascosto nel bosco con una ferita d'arma da fuoco nel ventre
Andrew Brannan dopo aver ricevuto la visita di cinque familiari, di un amico e dell’assistente spirituale, è stato ucciso con un’iniezione letale nel carcere denominato Georgia Diagnostic and Classification Prison. Morendo ha espresso il suo cordoglio ai familiari di Dinkheller e ha chiesto una preghiera. Fuori dal carcere i due gruppi di manifestanti - quello dei familiari e amici della vittima di Brannan e quello di coloro che erano contrari all'esecuzione - apparivano poco astiosi nei confronti uno dell’altro a differenza di quel che avviene di solito in questi casi.
Diversi medici deposero al processo di Brannan. Secondo il suo ultimo avvocato difensore, Joe Loveland, la difesa tuttavia omise di far testimoniare il suo psichiatra: questi avrebbe potuto far presente che prima del crimine Brannan aveva smesso di prendere i farmaci prescrittigli per la sua malattia mentale.
Inoltre, sempre secondo il suo attuale avvocato, all'epoca del processo era poco diffusa la conoscenza delle gravissime turbe psichiche riportate dai soldati in combattimento. Adesso, dice Loveland riferendosi alla guerra in Afghanistan: “nel nostro paese ne sappiamo molto di più del PTSD e degli effetti della guerra, dopo quattordici anni".
Molti veterani del Vietnam avevano scritto alla Commissione per le Grazie chiedendo che la vita di Brannan fosse risparmiata, ma invano.
Brannan non è il primo dei veterani uccisi dallo stato che prima li aveva mandati a combattere: Manuel Babbitt fu 'giustiziato' in California nel 1999 (e il suo caso mobilitò tanti attivisti ), e così pure Leonel Herrera, Wayne Robert Felde, Herbert Lee Richardson, e Larry Joe Johnson... per citare i più noti.
E' assurdo ammazzare un uomo che aveva messo la sua vita al servizio della nazione, e ammazzarlo proprio perché, a causa di quel servizio, ha contratto una malattia mentale ed ha ucciso.
Per altro i bracci della morte pullulano di malati mentali che non sono stati eroi ma la cui malattia è comunque la causa dei loro crimini.
3) LA GEORGIA RIESCE INFINE AD UCCIDERE HILL, DISABILE MENTALE
L'afroamericano Warren Lee Hill Jr. fu condannato a morte in Georgia per aver ucciso un compagno di prigionia nel 1990 mentre scontava l’ergastolo per l’omicidio della sua ex girlfriend 18-enne, compiuto nel 1985. Era un disabile mentale ma la sua condizione psichica non ha impedito allo stato di metterlo a morte a fine gennaio, a 54 anni di età dopo 30 anni di prigionia.
Prima di una famosa sentenza emessa dalla Corte Suprema USA a metà del 2002, non si poteva essere messi a morte negli Stati Uniti se non si era abbastanza sani di mente da comprendere che si veniva ammazzati e per quale motivo.
La perizia ordinata dall'accusa per Warren Hill nel 2000 fu compiuta in modo sbrigativo da uno psichiatra, Thomas H. Sachy, e da due psicologi, James Carter e Donald Harris. Durò complessivamente tre ore al termine delle quali i tre dottori dissero che Hill capiva benissimo che sarebbe stato messo a morte e che fingeva la disabilità mentale (1). Secondo la perizia dell'accusa, in base ai criteri allora vigenti, Hill poteva essere dunque 'giustiziato' (2).
Poi il 20 giugno 2002 è uscita la famosa sentenza Atkins V. Virginia con cui Corte Suprema USA ha esentato dalla pena di morte i ritardati mentali (che ora devono essere chiamati 'disabili mentali').
(3). Tale sentenza è stata però recepita e applicata in modo diverso da stato a stato. La Georgia l'ha adottata in modo estremamente restrittivo: per contare la disabilità mentale deve essere provata "al di là di ogni ragionevole dubbio", anziché "dalla preponderanza delle prove" come avviene altrove.
Stando così le cose, lo stato della Georgia è riuscito a mettere a morte Warren Hill facendo leva sull'unica frettolosa perizia fatta fa Thomas H. Sachy, James Carter e Donald Harris nell'anno 2000.
Hill ha ricevuto l'iniezione letale la sera del 27 gennaio u. s. dopo che, negli ultimi giorni e nelle ultime ore, erano via via sfumate tutte le speranze nell'intervento delle corti inferiori o della Corte Suprema Usa. Alla fine anche la Commissione per le Grazie della Georgia ha mostrato all'unanimità
pollice verso.
L'esecuzione di Warren Hill è avvenuta, al termine di una serie allucinante di colpi e contraccolpi, dopo che era stata fissata almeno 5 volte. Il 19 febbraio 2013 gli avvocati di Hill erano riusciti ad ottenere la sospensione del rituale di morte mezz’ora prima che gli venisse somministrata
l’iniezione letale, proprio perché i tre periti che in precedenza lo avevano definito ‘normale’ avevano cambiato parere. Le decisioni favorevoli a Hill sono state immancabilmente annullate da decisioni opposte, magari prese di strettissima misura.
Una quantità di proteste si sono levate nei riguardi della Georgia contro l'uccisione di Warren Hill. Molte organizzazioni e personalità - tra cui il Papa, l'Unione Europea, Desmond Tutu, l'Associazione degli Avvocati Americani (American Bar Association), l'ex presidente Jimmy Carter e sua moglie Rosalynn - avevano alzato le loro voci chiedendo che il disabile mentale non venisse ucciso.
"Warren Hill era un uomo con una disabilità mentale documentata durante tutto l'arco della sua vita - un fatto che è stato confermato da tutti e sette i dottori che lo hanno esaminato, inclusi i tre che in precedenza avevano testimoniato nel suo caso per conto dello stato," ha commentato tristemente l'avvocato difensore Brian Kammer. "Il fatto che per Hill sia stato impossibile far valere la sua disabilità intellettuale, e la ineleggibilità per la pena di morte, è dovuto agli scadenti e antiscientifici criteri adottati dallo stato della Georgia."
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(1) Sul caso di Warren Hill vedi nn. 204, Notiziario; 205, Notiziario; 207.
(2) I 4 esperti incaricati dalla difesa furono di parere opposto.
(3) V. ampio articolo nel n. 98
4) LA CORTE SUPREMA USA DISCUTERÀ DELL’INIEZIONE LETALE IN
OKLAHOMA
I giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti hanno lasciato uccidere il 15 gennaio Charles Warner che ha subìto l'iniezione letale in Oklahoma - procedura sospetta di essere una punizione crudele ed inusuale - ma potrebbero salvare altri 3 condannati che si trovano nell'identica situazione di Warner.
"Summum ius summa iniuria", diceva Cicerone, ed è proprio vero che l'applicazione esasperata delle norme possa portare a situazioni paradossali. Ciò è avvenuto più volte nella storia della Corte Suprema degli Stati Uniti. L'ultimo di tali casi si è verificato a partire dal 15 gennaio scorso quando la massima Corte statunitense composta da nove giudici (1) non ha dato seguito alla richiesta di sospensione dell'esecuzione avanzata dagli avvocati di tale Charles Warner (v. foto) e pertanto Warner è stato ucciso in Oklahoma.
Però altri tre condannati, Richard Glossip, John Grant e Benjamin Cole - che
si trovavano nella stessa identica situazione di Warner, avendo presentato
insieme a lui un ricorso contro la procedura dell'iniezione letale in essere in
quello stato - non verranno messi a morte prima che la Corte discuta e decida in merito. Altrimenti Glossip sarebbe stato ucciso il 29 gennaio, Grant il 19 febbraio e Cole il 5 marzo.
Il 23 gennaio Glossip, Grant e Cole hanno appreso che la Corte Suprema discuterà la questione da loro prospettata: l'iniezione letale in Oklahoma costituisce una punizione crudele e inusuale e perciò proibita dalla Costituzione Usa. Cinque giorni dopo è arrivata l'ovvia notizia che le loro esecuzioni erano sospese.
Ciò è avvenuto perché la Corte ha sì respinto la richiesta di sospensione di Warner ma lo ha fatto di stretta misura, con 5 voti contro 4. In una tale evenienza la minoranza ha la facoltà di chiedere alla Corte di entrare esaurientemente in merito alla questione sollevata. Cosa che ha fatto. Si
prevede pertanto che il ricorso Glossip v. Gross verrà discusso a fine aprile e che una decisione verrà presa verso la fine di giugno (2).
La giudice Sonia Sotomayor e gli altri tre giudici di minoranza avevano affermato che la questione avanzata dai 4 condannanti riguardo alla procedura dell'iniezione letale in Oklahoma è seria.
In una dichiarazione di dissenso di 8 pagine la Sotomayor aveva scritto per la minoranza: "La questione che ci è stata presentata è attualmente di speciale importanza, dato il crescente affidarsi degli stati a nuovi metodi di esecuzione non scientificamente testati. I ricorrenti hanno commesso
orrendi crimini e devono essere puniti. Però l'Ottavo Emendamento della Costituzione garantisce che nessuno sia sottoposto ad un'esecuzione che causi brucianti e non necessarie sofferenze prima della morte. Spero che la mancanza di intervenire oggi non significhi una mancanza di volontà da
parte nostra di prendere in esame tale questione."
Tutto ciò avviene in seguito alla terribile esecuzione, lenta e atroce, di Clayton Lockett nell’aprile 2014 (3). In seguito l’Oklahoma ha deciso di quintuplicare il dosaggio del midazolam, il primo dei tre farmaci usati per uccidere i condannati. I detenuti ricorrenti sostengono però che questo sedativo non permette comunque di raggiungere il livello di incoscienza previsto per un intervento chirurgico ed è pertanto inadatto per le esecuzioni (4).
La corte deciderà dunque se la sua sentenza emessa nel 2008 nel caso Baze v. Rees, con cui i giudici approvarono il protocollo dell’iniezione letale con tre farmaci codificata in Kentucky, si può applicare anche alla procedura dell'Oklahoma.
La notizia che la Corte Suprema discuterà dell'iniezione letale ha destato grande scalpore negli Stati Uniti ma la situazione è critica. Infatti, pur se costretta dai dissenzienti a discutere la questione, la massima corte ci penserà bene prima di mettere in crisi la procedura dell’iniezione letale in
Oklahoma (e di aprire la porta ad ulteriori contestazioni dell'iniezione letale nel paese).
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(1) V. http://www.supremecourt.gov/about/biographies.aspx
(2) La Corte è in recesso tra luglio e il primo lunedì di ottobre di ogni anno. Il periodo di lavoro tra ottobre e giugno è detto term (termine). Durante l'estate l'attività dei 9 giudici è meno ufficiale, questi lavorano sulle
carte, si occupano di studiare i casi ecc. - v.http://www.supremecourt.gov/about/procedures.aspx - e si
concedono anche qualche vacanza.
(3) Il 29 aprile 2014 Lockett si dibatté per tre quarti d'ora sul lettino dell’esecuzione dopo l'inizio dell'iniezione letale e morì per un attacco cardiaco, v. n. 214. Quel giorno, dopo Lockett, doveva morire anche Warner.
(4) Il 15 gennaio Charles Warner ci ha messo 18 minuti per morire. Attraverso il vetro, dopo che il microfono era stato spento, i testimoni l'hanno udito lamentarsi: "Il mio corpo va a fuoco".
5) LA NUOVA GOVERNATRICE DELL'OREGON MANTIENE LA MORATORIA
Nel traumatico cambio di governatore in Oregon, sopravvive la moratoria delle esecuzioni capitali imposta nel 2011 dal governatore uscente John Kitzhaber.
Nel 2011 John Kitzhaber, allora Governatore dell’Oregon, si trovò di fronte alla difficile scelta tra permettere l’esecuzione di Gary Haugen, un condannato a morte malato di mente che aveva rinunciato ai suoi appelli e chiesto di essere giustiziato subito, o intervenire esercitando al massimo
livello i suoi poteri. Scelse la seconda opzione.
Con una lunga e bella dichiarazione rilasciata alla stampa il 22 novembre 2011 (1) Kitzhaber spiegò la propria scelta di introdurre una moratoria delle esecuzioni capitali durante tutto il suo mandato: “E’ giunto il momento per l’Oregon di considerare un diverso approccio al problema. Mi rifiuto, da adesso in poi, di far parte di questo sistema sbagliato e ingiusto, e non permetterò più che si portino a termine delle esecuzioni fino a quando sarò Governatore.”
In seguito il Governatore Kitzhaber, soprattutto per colpa della sua convivente, è stato coinvolto in alcuni scandali ed ha ritenuto opportuno rinunciare al proprio mandato. Il 18 febbraio John Kitzhaber si è dimesso deludendo gli abolizionisti che avevano sperato in una commutazione in
extremis da parte sua di tutte le 34 condanne a morte in essere nello stato dell'Oregon.
La nuova Governatrice dell’Oregon Kate Brown, ex segretaria di stato succeduta a Kitzhaber ope legis, ha scelto prudentemente di lasciare le cose come stanno dichiarando che “occorre una più ampia discussione per mettere a punto il sistema. Fino a quel giorno, manterrò la moratoria imposta da Kitzhaber”.
È abbastanza probabile che si vada verso l'abolizione di un sistema che negli ultimi 50 anni ha prodotto solo due esecuzioni: nel 1990 furono 'giustiziati' due 'volontari'.
C'è ci dice che la governatrice non ha intenzione di impegnarsi in un difficile dibattito su una questione controversa come la pena di morte, che le creerebbe comunque inimicizie da una parte o dall’altra dei suoi elettori. Preferirebbe lasciare 'appesa' la questione durante tutto il suo mandato e
occuparsi di problematiche più vantaggiose per la sua immagine.
In effetti la nuova governatrice viene descritta dai media - oltre che bisessuale, sportiva come il marito - opportunista, ambiziosa, con molte idee ma senza principi granitici (2).
L'abolizione della pena di morte potrebbe però avvenire - almeno in teoria - per iniziativa parlamentare. Nel 2012 il governatore Kitzhaber aveva infatti chiesto al Parlamento dell’Oregon di lavorare in tal senso. L’invito fu accolto dal deputato Mitch Greenlick, noto oppositore della pena di morte, il quale propose un emendamento alla Costituzione che rimpiazzi la pena capitale con l’ergastolo senza possibilità di liberazione sulla parola (3). Tale emendamento è stato riproposto per la corrente sessione legislativa 2015. Comunque sia, la vita dei 34 condannati a morte dell’Oregon (33 uomini e una donna) è per il momento salva.
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(1) V. due articoli nel n. 194 e n. 201, Notiziario.
(2) Vedi:
http://www.nytimes.com/2015/02/19/us/kate-brown-replacing-john-kitzhaber-as-oregon-
governor.html?ref=topics&_r=0
http://sentencing.typepad.com/sentencing_law_and_policy/2015/02/new-oregon-gov-pledges-to-continue-curious-
capital-moratorium-created-by-her-corrupt-predecessor.html
http://www.oregonlive.com/politics/index.ssf/2015/02/kate_brown_next_oregon_governo.html#incart_related_stories
(3) V. n. 201, Notiziario
6) IL GOVERNATORE DELLA PENNSYLVANIA INDICE UNA MORATORIA
Il 13 febbraio Tom Wolf, nuovo Governatore democratico della Pennsylvania, ha indetto una moratoria della pena di morte, cominciando col sospendere un'esecuzione, quella di Terrance Williams, prevista - almeno sulla carta - per il 4 marzo.
Le esecuzioni rimarranno sospese fino a che la Commissione Consultiva sulla pena di Morte creata dal Senato nel 2011 (1) non avrà completato il suo lavoro e non ci sarà l'opportunità di dare soddisfacenti risposte a tutti gli interrogativi riguardanti la pena di morte in Pennsylvania.
"La mia azione di oggi, arriva dopo un'approfondita riflessione," ha dichiarato il Governatore Wolf. "Questa moratoria non è affatto un'espressione di simpatia per i colpevoli nel braccio della morte, che sono stati tutti condannati per aver commesso odiosi crimini. Questa decisione origina da un sistema imperfetto che è diventato un circolo vizioso di procedimenti giudiziari, ed è anche inefficace, ingiusto e costoso. Dopo il ripristino della pena di morte, 150 persone sono state liberate dai bracci della morte nel paese, inclusi 6 della Pennsylvania. Riconoscendo la gravità di queste preoccupazioni, il Senato ha creato una Commissione Consultiva bipartisan (1) per condurre uno studio sull'efficacia della pena di morte in Pennsylvania. La moratoria di oggi rimarrà in effetto fino a che tale Commissione non avrà prodotto le sue raccomandazioni e tutti gli interrogativi non avranno avuto soddisfacente risposta. "
L'Associazione dei Pubblici Accusatori della Pennsylvania ha affermato che la decisione di Wolf esorbita dai suoi poteri e ha accusato il Governatore di voler imporre le sue personali vedute.
La Pennsylvania ha attualmente 183 uomini e 3 donne nel braccio della morte. Ha compiuto solo tre esecuzioni dopo la reintroduzione della pena di morte nel 1976, tutte di prigionieri che avevano rinunciato agli appelli, l'ultima delle quali nel 1999.
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(1) Pennsylvania Task Force and Advisory Commission on Capital Punishment
7) SALTA LA MORATORIA IN PAKISTAN: SUBITO ESECUZIONI A RAFFICA
L'ex presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, è riuscito a mantenere una moratoria delle esecuzioni durante tutto il suo mandato, non così il suo successore dopo la strage talebana di Peshawar.
Il Pakistan è un paese tormentato da conflitti tribali, religiosi e politici in cui si registrano di continuo omicidi ed atti di terrorismo. In cui però, soprattutto per merito dell'ex presidente Asif Ali Zardari, una moratoria delle esecuzioni è durata oltre 6 anni, a partire dal settembre 2008 (1).
Subito dopo la sospensione della moratoria - decisa il 17 dicembre scorso dal Primo Ministro Nawaz Sharif in occasione della strage di allievi ed insegnanti compiuta dai Talebani nella scuola pubblica militare di Peshawar (2) - sono state impiccate in Pakistan 19 persone. Da allora lo
stillicidio di impiccagioni continua, anche con l'uccisione di individui difficilmente classificabili come terroristi, o di dubbia colpevolezza.
Il Ministro dell'Interno Chaudhry Nisar Ali Khan ha preannunciato le esecuzioni di 500 condannati a morte incriminati di atti terroristici.
Amnesty International ha chiesto al governo pakistano di interrompere immediatamente l'ondata di esecuzioni. Il vice-direttore della sezione Asia e Pacifico di Amnesty, David Griffiths, ha dichiarato: “… Per mostruoso che sia stato l’attacco di Peshawar, dimostrare che si è duri con la criminalità effettuando ulteriori uccisioni non è la risposta giusta”.
Oltre ad opporsi in ogni caso alla pena di morte, in Pakistan Amnesty si preoccupa per la palese ingiustizia dei processi capitali. “Frequente uso della tortura per strappare ‘confessioni’, mancanza di accesso alla difesa, lunghi periodi di detenzione senza alcuna accusa, sono alcune delle nostre
preoccupazioni. C’è il serio rischio che persone condannate in modo ingiusto vengano uccise, se ciò non è già successo”, ha aggiunto Griffith.
Tra fine dicembre e metà gennaio il Pakistan ha modificato la sua costituzione per accelerare i processi nei casi di terrorismo e passarli dai tribunali civili a quelli militari. “Le corti militari non dovrebbero mai essere utilizzate per processare i civili, in nessun caso. Non ci sono giustificazioni
per sacrificare il diritto a un processo equo in nome della sicurezza nazionale”, afferma Griffith.
Come se non bastasse, i reati classificati come terrorismo in Pakistan rientrano in una categoria vastissima e vaga, e spesso i condannati a morte con tale accusa hanno in realtà commesso reati che non hanno a che fare con il terrorismo. (Grazia)
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(1) V. n. 210, "Pakistan: nel paese più complesso si prolunga la moratoria", e anche n. 207, "Dopo Zardari, a rischio la moratoria", nonché nn. ivi citati.
(2) V. n. 2019 Notiziario. Gli attentatori di Peshawar sono tutti morti sul posto, pertanto la ripresa delle esecuzioni non può essere considerata una rivalsa nei riguardi degli attentatori.
8) NEL BUIO PAKISTANO PEGGIORA LA SITUAZIONE DI AASIA BIBI
A rischio come non mai - per l'acuirsi dei conflitti politico religiosi in Pakistan - la vita Aasia Bibi, condanna a morte per blasfemia nel 2010, che aspetta l'esito dell'ultimo appello alla Corte Suprema.
Ricordiamo che la cristiana Aasia Bibi fu accusata di blasfemia nel 2009 da alcune colleghe lavandaie in un paesino a 70 chilometri da Lahore nella provincia Pakistana del Punjab. Fu incarcerata. Per evitare il suo linciaggio, si disse. Però fu processata e condannata a morte nel 2010.
Il Governatore del Punjab, Salman Taseer, che aveva preso le difese di Aasia, fu assassinato nel 2011 per tale ragione. Poco dopo fu ucciso a causa di Aasia anche cattolico Shahbaz Bhatti, Ministro per le minoranze, che pure si era espresso contro la condanna per blasfemia.
Aasia Bibi, sia pure detenuta in dure condizioni e sempre a rischio di attentati da parte di fanatici (un chierico ha promesso un premio equivalente a circa 6000 dollari per chi l'assassinerà), è riuscita a sopravvivere anche per la speciale protezione dell'ex Presidente Asif Ali Zardari, che aveva imposto una moratoria di tutte le esecuzioni. Anzi Zardari annunciò anni fa un provvedimento di grazia nei suoi riguardi ma poi, per prudenza, decise di rimandarlo (1).
Il mandato di Zardari si è esaurito l'8 settembre scorso. Il nuovo Primo Ministro Nawaz Sharif ha mantenuto al moratoria solo fino al 16 dicembre u. s., dando via libera ai boia come risposta al gravissimo atto terroristico dei Talebani contro la scuola pubblica militare di Peshawar (v. articolo
precedente).
Anche se l'avvocato di Aasia Bibi, Saif ul-Malook, si dice fiducioso nell'esito dell'appello alla Corte Suprema del Pakistan (il precedente appello all'Alta Corte del Punjab fu respinto il 16 ottobre scorso), il rovinoso susseguirsi degli eventi nel paese fa temere, per questa sventurata madre di 5 figli, una fine prematura...
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(1) Sul caso di Aasia Bibi v. nn. 185, 187, 188, 207, 208, 214, 217.
9) L'IRAN UCCIDE IL GIOVANISSIMO SAMAN, OPPOSITORE POLITICO
L'implacabile regime degli ayatollah, deciso a stroncare col sangue ogni possibile dissidenza, ha messo a morte in giovanissimo Saman Naseem, vanificando gli appelli e le proteste internazionali.
Gli interventi delle autorità e delle organizzazioni per i diritti umani piovuti sull'Iran da tutto il mondo, ai quali ha corrisposto una specie di 'silenzio assenso' dei destinatari, avevano fatto sperare in un ripensamento rigurdo all'impiccagione del curdo Saman Naseem programmata per il 19 febbraio.
Saman era stato condannato a morte ad aprile del 2013 nella città occidentale di Mahabad per "inimicizia nei riguardi di Dio" e "corruzione sulla terra" in quanto militante del partito di opposizione fuori legge Per la Vita Libera in Kurdistan (PJAK). Secondo l'accusa Saman Naseem, allora 17-enne, prese parte ad azioni armate contro le Guardie Rivoluzionarie iraniane.
Purtroppo gli avvenimenti dei giorni precedenti il 19 febbraio, giorno fissato per l'esecuzione, hanno fatto svanire le speranze del prigioniero e di chi lo sosteneva.
Il 15 febbraio Saman è stato pressato e pestato per ore per costrigerlo a fare ulteriori pubbliche "confessioni" videoregistrate da trasmettere in TV (cosa che si è rifiutato di fare).
Il 18 febbraio il condannato è stato trasferito dalla sua cella in un'altra parte della prigione di Oroumieh (1).
Le autorità hanno convocato la famiglia del condannato alla prigione il 21 febbraio per consegnar loro gli effetti personali di Saman Naseem e la salma del condannato. Non è chiaro se questi sia stato ucciso come programmato giovedì 19, o venerdì 20.
Saman Nasem non ha avuto l'assistenza di un legale durante il primo periodo di detenzione, in cui fu torturato, anche con l'asportazione delle unghie. In una lettera inviata dal carcere ha scritto : "Nei primi giorni il livello di tortura fu tanto duro da lasciarmi incapace di camminare. Tutto il mio corpo era blu o nero. Mi hanno appeso per le mani e per i piedi per ore. Ero bendato durante tutto il periodo degli interrogatori e delle torture, non potevo vedere gli agenti che mi interrogavano e mi torturavano."
Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di Iran Human Rights, ha dichiarato: "Ad Ali Khamenei, Supremo leader delle autorità iraniane, deve essere attribuita la responsabilità del trattamento inumano e dell'esecuzione di Saman Naseem. Chiedo alla comunità internazionale di
condannare con forza l'esecuzione. L'esecuzione di Saman Naseem ha avuto luogo nonostante le ripetute richieste di clemenza della comunità internazionale. Le continue violazioni dei diritti umani fondamentale devono comportare delle conseguenze per le autorità iraniane."
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(1) Insieme a lui sono stai trasferiti altri 5 oppositori condannati a morte, Yunes Aghayan, Habibollah Afshari, Ali Afshari, Sirwan Najavi and Ebrahim Shapouri, che si teme abbiano o debbano subire la stessa sorte di Saman.
10) ORRORE IN ARABIA SAUDITA
Una spada si abbatte sul collo di una donna vestita di nero posizionata per la decapitazione, la donna urla. Solo al terzo colpo la testa si stacca completamente, e lei si accascia al suolo… il boia vestito di bianco pulisce la lama con uno straccio, mentre personale sanitario con i guanti di lattice recupera il corpo.
Non è la scena di un film horror ma un video che documenta un'atroce realtà. E’ successo alla Mecca il 12 gennaio scorso. La donna è Lalia Bint Abdul Muttablib Basim, birmana condannata a morte da un tribunale della Sharia per aver brutalizzato e ucciso la figliastra di sette anni. Lalia ha
protestato la sua innocenza fino alla fine, gridando “Non ho ucciso, non ho ucciso!” mentre tre uomini la trascinavano davanti al boia e poi la costringevano a restare ferma mentre lui alzava la spada.
Il video che ha ripreso questa scena ha fatto il giro del mondo, messo in rete da attivisti per i diritti umani.
In sito del Ministro degli Interni saudita afferma che la decapitazione consegue “all’enormità del crimine” ed è stata compiuta per “ripristinare la sicurezza e fare giustizia”.
Questa esecuzione ha ulteriormente attirato l'attenzione mondiale sui metodi di punizione cruenti dell’Arabia Saudita, già sotto i riflettori per la pubblica fustigazione di Raif Badawi, il blogger attivista politico, condannato a dieci anni di carcere e a un totale di 1000 frustate per aver offeso le
autorità religiose (v. articolo seguente).
Filmare le esecuzioni è rigidamente vietato dalle autorità saudite, per cui si è subito avviata la “caccia” all’autore del video e, una settimana dopo la decapitazione di Lalia, i notiziari locali hanno riferito che la guardia che ha filmato l’esecuzione è stata arrestata e dovrà rispondere del suo gesto sia davanti ad un tribunale civile che davanti ad un tribunale militare. Anche se non si conoscono ancora con precisione le accuse che verranno contestate alla guardia, un portavoce del Ministero degli Interni ha dichiarato che il suo reato ricade nella tipologia dei crimini cibernetici.
La decapitazione di Lalia avvenuta il 12 gennaio era già la decima esecuzione effettuata in Arabia Saudita nel 2015: se il ritmo venisse mantenuto, quest’anno il paese arabo supererebbe largamente in suo triste record di 87 esecuzioni in un anno, conseguito nel 2014. (Grazia)
11) PENA AGGHIACCIANTE COMINCIATA E POI SOSPESA IN ARABIA SAUDITA
Al blogger saudita Badawi l'atroce pena di 1000 frustate da somministrarsi in rate settimanali di 50.
L'8 gennaio - così come è successo a tanti altri amici di Amnesty International USA - abbiamo ricevuto un messaggio agghiacciante che dava credito alle voci che circolavano nel web a proposito della durissima repressione nei confronti di un blogger saudita, reo di aver allestito un forum intitolato "Sauditi Liberali" per discutere di varie cose in internet, tra cui la religione, le autorità religiose e la politica.
Raif Badawi era stato arrestato il 17 giugno 2012 e accusato di 'apostasia', reato che comporta la pena capitale. Il reato era stato poi derubricato dalla corte e la pena inflitta fu di 10 anni di reclusione con l'aggiunta di 1.000 frustate da somministrarsi, in pacchetti di 50, una volta alla settimana per 20 settimane, nonché di una multa di un milione di rial sauditi (circa 225.000 euro) (1).
La prima razione di frustate era programmata per il giorno seguente 9 gennaio e Amnesty USA invitava i propri corrispondenti a riversare in extremis sulle autorità saudite una valanga di appelli per evitare lo scempio.
Nonostante ciò, il giorno seguente (venerdì, giorno festivo musulmano) il povero Badawi è stato portato sulla pubblica piazza davanti alla moschea al-Jafali di Gedda e ha ricevuto tutti e 50 i colpi di frusta stabiliti.
Il venerdì successivo però il condannato è stato lasciato in pace: si è ipotizzato che fosse troppo prostrato dalla punizione ricevuta 7 giorni prima e i medici avessero consigliato di soprassedere.
Forse anche a causa delle decine di migliaia tra petizioni, telefonate ecc. ricevute, e dei consigli arrivati dai paesi amici, l'Arabia Saudita ha continuato a risparmiare le frustate per Raif Badawi di settimana in settimana fino al momento di chiudere questo numero (3 marzo).
Però la crudele sentenza rimane in vigore e i soci e i simpatizzanti di Amnesty USA continuano a pressare le autorità saudite, a cominciare dal nuovo Re Salman bin Abdul Aziz Al Saud (2), chiedendo l'annullamento della pena e il rilascio di Raif Badawi considerato un 'prigioniero di coscienza' (3).
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(1) L'avvocato di Raif Badawi ha cominciato a scontare una condanna a 15 anni per... aver difeso i diritti umani, mentre la moglie e le figliolette del blogger sono fuggite in Canada.
(2) Il vecchio Re Abdullah è morto il 22 gennaio a 91 anni, il 23 gli è succeduto il fratellastro 79-enne.
(3) V. http://write.amnestyusa.org/case/raif/ che contiene anche un bel filmato (il primo della serie).
12) ORRENDA UCCISIONE DI UN PILOTA GIORDANO VENDICATA CON 2
ESECUZIONI
Vendetta contro l'ISIS che uccide un pilota 26-enne rinchiudendolo un una gabbia messa sul fuoco.
A fine gennaio tutti i media hanno parlato del pilota giordano Muath al-Kasaesbeh catturato il 24 dicembre dall'ISIS dopo la caduta del suo aereo nel corso in missione di attacco in Siria.
In quei giorni si era intavolata una specie di trattativa con l'ISIS per lo scambio del pilota e del giornalista giapponese Kenji Goto con due 'terroristi' condannati a morte in Giordania.
Per qualche giorno in tutto il mondo e in particolare in Giordania si è rimasti col fiato sospeso.
L'ISIS aveva fissato un ultimatum: la Giordania doveva liberare i due prigionieri prima dell'alba del 29 gennaio.
La Giordania ha lasciato scadere l'ultimatum senza liberare i detenuti dicendo che prima doveva avere la prova dell'esistenza in vita del pilota (1).
Poi il 3 febbraio ecco apparire in TV le immagini che documentano la passione e l'uccisione del 26-enne pilota Muath al-Kasaesbeh, vestito con la ormai classica casacca arancione alla Guantanamo e arso vivi in una specie di gabbia/graticola messa sul fuoco. (2)
Le immagini hanno scatenato l'istantanea reazione delle autorità e della popolazione di Amman.
La Giordania ha risposto immediatamente impiccando prima dell'alba del 4 febbraio Sajida al- Rishawi, irachena di al-Qaeda, che aveva fallito un attentato suicida nel 2005 ma era accusata di essere comunque implicata in un triplice attentato dinamitardo che fece 60 morti, e Ziad al-Karbouli
un ex comandante di al-Qaeda in Iraq.
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(1) Il giornalista giapponese Kenji Goto è stato decapitato il 31 gennaio.
(2) L'uccisione del pilota risalirebbe addirittura al 3 gennaio, poco dopo la sua cattura e molto prima che si intavolassero le trattative. D'altra parte il complesso filmato di 22 minuti che documenta la sua fine non può essere stato realizzato in pochi giorni.
13) PROSEGUE MOLTO LENTAMENTE L’ITER GIUDIZIARIO DI NIDAL HASAN
Nidal Hasan, il maggiore musulmano che nel 2009, per obiezione di coscienza (1), uccise tredici persone e ne ferì decine nella grande base militare di Fort Hood in Texas, è apparso in tribunale il 29 gennaio scorso e ha dichiarato di voler conservare per i suoi appelli l’avvocato Kris
Poppe che attualmente guida il team dei difensori (nel processo originario dell'agosto 2013, in cui fu condannato a morte, Hasan si era difeso da solo).
Nella gerarchia militare, il tenente colonnello Poppe è subordinato alla giudice del processo, colonnello Tara Osborn. Ciò ha indotto la Osborn a porre una questione di incompatibilità. Tale questione è stata superata dalla richiesta di Hasan di giovarsi comunque della difesa di Poppe nel quale ha piena fiducia, e dalla dichiarazione di Poppe di ritenersi completamente libero.
Hasan si trova nel carcere militare di Fort Leavenworth in Kansas. Nel processo del 2013 in cui fu condannato a morte, egli si era presentato in aula con una folta barba e aveva lottato per non tagliarla, in quanto simbolo della sua fede musulmana.
Questa volta però Hasan è arrivato in tribunale con il viso sbarbato. Un portavoce di Fort Hood ha dichiarato che Hasan è stato rasato a forza in applicazione delle norme militari.
Se la condanna a morte di Hasan verrà confermata in appello, egli avrà ancora diritto a due revisioni del caso da parte di corti militari e forse dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Probabilmente Hasan potrà anche farsi ricrescere la barba, perché la giudice Osborn lo ha autorizzato in tal senso, nonostante questa sia una violazione delle regole militari.
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(1) Nidal Malik Hasan, di fede islamica, ritiene di essere “passato dall’altra parte” nella guerra tra gli USA e i Talebani, che lui considera ‘fratelli musulmani’. È riuscito a farsi condannare a morte per rinforzare la sua tesi. Sul suo caso v. nn. 174, 199, 202, 206.
14) INTERVENTO DELLA SANTA SEDE ALL'ONU SULLA PENA DI MORTE
Il 4 marzo l’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in occasione della 28ª Sessione del Consiglio dei Diritti Umani (1), ha fatto un chiaro intervento "Sulla questione della pena di morte." Ecco una sintesi di quanto dichiarato da mons. Tomasi.
Signor Presidente, La Delegazione della Santa Sede è lieta di partecipare a questo primo dibattito del panel d’alto livello biennale sulla questione della pena di morte e si unisce al numero crescente di Stati che sostengono la quinta risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che chiede una moratoria globale sull’uso della pena di morte [...]
Le iniziative politiche e legislative che vengono promosse in un numero crescente di Stati per eliminare la pena di morte e per proseguire i progressi concreti compiuti nel conformare il diritto penale sia alla dignità umana dei detenuti sia al mantenimento efficace dell’ordine pubblico stanno andando nella giusta direzione (Papa Benedetto XVI, Udienza generale, 30 novembre 2011).
Papa Francesco ha ulteriormente sottolineato che la pratica legislativa e giudiziaria dell’autorità statale deve essere sempre guidata dal «primato della vita e la dignità della persona umana». Egli ha rilevato anche «la possibilità dell’esistenza dell’errore giudiziale e l’uso che ne fanno i regimi
totalitari e dittatoriali [...] come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali» (2). Pertanto, il rispetto della dignità di ogni persona umana e il bene comune sono i due pilastri sui quali si è sviluppata la posizione della Santa Sede. Tali principi convergono con uno sviluppo analogo nella legge e nella giurisprudenza internazionale sui diritti umani. Occorre inoltre tener conto del fatto che dall’applicazione della pena di morte non risulta alcun effetto positivo chiaro di deterrenza e che l’irreversibilità di questa pena non consente eventuali correzioni in caso di condanne errate.
Signor Presidente, La mia Delegazione sostiene con fermezza che mezzi incruenti per difendere il bene comune e promuovere la giustizia sono possibili, e invita gli Stati ad adattare i loro sistemi penali per dimostrare la loro adesione a una forma di punizione più umana. [...]
Per concludere, Signor Presidente, la Delegazione della Santa Sede appoggia appieno gli sforzi per abolire il ricorso alla pena di morte. Al fine di raggiungere questo obiettivo auspicato, occorre compiere i seguenti passi: 1) sostenere le riforme sociali che permettono alla società di attuare
l’abolizione della pena di morte; 2) migliorare le condizioni carcerarie, al fine di assicurare il rispetto della dignità umana delle persone private della propria libertà.
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(1) Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC, United Nations Human Rights Council) con sede a Ginevra, è un organismo delle Nazioni Unite, sussidiario dell'Assemblea Generale, che lavora a stretto contatto con l'Alto Commissario Onu per i Diritti Umani.
(2) V. n. 217, " Francesco dice senza mezzi termini..."
15) SAPERE CHI SONO I "TERRORISTI", PER POI TENTARE DI CAPIRE
Tra il 7 il 9 gennaio si sono verificati attentati terroristici di Parigi - in riposta alla satira irrispettosa e dissacrante della rivista Charlie Hebdo nei riguardi del Profeta Maometto - e le uccisioni degli attentatori. (1)
La reazione a livello emotivo e operativo in Francia e nei paesi occidentali è stata fortissima e per lo più irrazionale e controproducente, con l'insistenza stucchevole sulla 'brillante' satira di Charlie Hebdo.
Vi sono stati perfino raduni a Parigi e altrove all'insegna del motto Je suis Charlie (Sono Charlie).
Il bilancio degli avvenimenti è tragico, si sono avute 12 persone morte nella sede di Charlie Hebdo il giorno 7, la successiva uccisione di due fratelli attentatori, Said e Chérif Kouachi, più la scia di morti - una giovane vigile urbana e quattro ostaggi - lasciata dal fuggitivo Amedy Coulibaly fino alla sua uccisione in un supermercato. In tutto 20 morti (compresi i tre assassini).
La 26-enne Hayat Boumeddiene, moglie di Coulibaly dal 2009 - secondo la polizia coinvolta nell'impresa terroristica - si è dileguata ed è ricercata.
Sì il bilancio è tragico, anche se occorre tener presente che la strage compita nel cuore dell'Europa è di alcuni ordini di grandezza inferiore a quelle compiute alla 'periferia dell'impero' - in Siria, Iraq, Nigeria... - da al-Qaeda, dall'ISIS, da Boko Haram... e dagli Occidentali che li combattono a
distanza, con i soldi e con i droni.
I fratelli Kouachi non erano immigrati - come hanno detto erroneamente alcuni politici di destra contrari all'immigrazione - ma cittadini francesi di discendenza algerina. Si erano recati nello Yemen anni fa frequentando il ramo yemenita di al-Qaeda. Amedy Coulibaly, francese di discendenza senegalese, squilibrato e con una pregressa condanna per rapina, aveva conosciuto Chérif Kouachi in carcere nel 2005.
Durante l'attacco al giornale Charlie Hebdo gli attentatori urlavano di appartenere ad "al-Qaeda dello Yemen" e "Allah akbar" (Dio è grande). Anche se non vi sono state rivendicazioni ufficiali, un esponente di "al-Qaeda dello Yemen" ha fatto sapere tramite il New York Times che “l'obiettivo è stato proprio la Francia per il ruolo che svolge nella guerra contro l'Islam e le nazioni oppresse."
Prima di chiudere, vogliamo sottolineare la chiara posizione di papa Francesco nei riguardi degli avvenimenti attuali. Francesco ha affermato che la libertà di espressione è un diritto umano fondamentale ma che mettere in ridicolo un'altra religione è mancanza di rispetto.
Ad un giornalista francese che l'8 gennaio, durante il viaggio nelle Filippine, gli aveva domandato "fino a che punto si può arrivare con la libertà di espressione," il papa ha replicato che la libertà religiosa e la libertà di espressione costituiscono entrambe diritti umani fondamentali.
"Ognuno ha il diritto di praticare la sua religione, la sua propria religione, senza offendere", ha detto Francesco, ed ha aggiunto che "nessuno può offendere, far guerra, uccidere in nome della propria religione, cioè in nome di Dio."
Per illustrare le conseguenze dell'insulto alla religione, il pontefice si è girato verso Alberto Gasbarri, l'organizzatore del viaggio papale, che gli stava accanto, dicendo "Se Gasparri, un buon amico, dice una brutta parola nei riguardi di mia madre, deve aspettarsi un pugno", e ha mimato un
cazzotto contro la faccia di Gasbarri. "È normale, è normale. Non si può provocare. Non si può insultare la fede di un altro popolo. Non ci si può prendere gioco della fede."
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(1) Come avevamo anticipato nel messaggio di accompagnamento del precedente n. 219.
16) DIRITTI UMANI: È USCITO IL RAPPORTO 2015 DI 'HUMAN RIGHTS WATCH'
“I governi commettono un grosso errore quando ignorano i diritti umani per contrastare sfide importanti alla sicurezza”. Questo il commento con cui Human Rights Watch (HRW) accompagna la pubblicazione del proprio Rapporto annuale uscito il 30 gennaio (1).
Il direttore esecutivo di HRW, Kenneth Roth, ha sottolineato che la violazione dei diritti umani ha giocato un ruolo importante nel fomentare o aggravare molte delle crisi in atto. L’espansione dell’ISIS è tra le sfide globali che hanno indotto gli stati minacciati a subordinare alla propria sicurezza i diritti umani (2).
Ma l’ISIS non è sorto dal nulla. Il grande vuoto di sicurezza lasciato dall’invasione americana dell’Iraq, le politiche ingiuste dei governi iracheno e siriano e l’indifferenza internazionale hanno contribuito ad alimentare l’ISIS.
In Iraq le milizie sciite uccidono e abusano impunemente dei civili sunniti. Questo problema deve essere risolto ed è tanto importante quanto fermare le atrocità dell’ISIS. Urgono riforme, che finora il governo rifiuta di decidere e mettere in atto.
In Siria le forze presidenziali di Bashar al-Assad hanno attaccato ripetutamente e con estrema ferocia i civili residenti nelle aree occupate dall’opposizione.
Eppure il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non è intervenuto, perché la Russia e la Cina hanno usato il loro potere di veto per fermare gli sforzi tendenti a porre fine a queste carneficine.
L’America ha colpito l’ISIS, subordinando a questo i tentativi di indurre Damasco a porre fine agli abusi. Ciò ha permesso all’ISIS di reclutare persone identificandosi come unica forza che vuole contrastare le atrocità compiute dal presidente Assad.
Ma gli abusi non sono limitati ad Iraq e Siria. Molti altri paesi compaiono tristemente nel rapporto di HRW.
In Nigeria continuano i conflitti centrati sulle violazioni dei diritti umani. Il gruppo islamico Boko Haram attacca i civili e rapisce centinaia di ragazzine e giovani donne (3). L’esercito nigeriano spesso risponde a queste azioni in modo brutale, accerchiando centinaia di ragazzi e uomini sospettati di appartenere a Boko Haram, detenendoli, sottoponendoli ad abusi ed anche uccidendoli.
Negli Stati Uniti le cose non vanno molto meglio. Un Comitato del Senato l’anno scorso ha rilasciato un dettagliato rapporto sulle torture compiute dalla CIA nella 'lotta la terrorismo' (4), ma il presidente Obama si è rifiutato di investigare e tantomeno di perseguire legalmente chi ordinò le torture denunciate nel rapporto.
In troppi paesi - tra cui spiccano Kenya, Egitto e Cina - i governi e le forze di sicurezza rispondono al terrorismo reale o presunto con politiche violente che in ultima analisi alimentano le crisi.
HRW afferma che far fronte alle sfide sulla sicurezza richiede sì il contenimento di alcuni individui pericolosi, ma soprattutto la ricostruzione di un tessuto morale che riaffermi l’ordine sociale e politico.
Roth ha dichiarato: “Alcuni governi commettono l’errore di considerare i diritti umani come un lusso di cui beneficiare solo nei periodi meno critici, anziché considerarli un mezzo essenziale per l’azione politica. … I politici nel mondo dovrebbero considerarli come le guide morali che aprono la strada che conduce fuori dalla crisi e dal caos.” (Grazia)
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(1) Il Rapporto integrale, di 644 pagine, si trova qui:
http://www.hrw.org/world-report/2015
(2) La sigla ISIS sta per "Stato Islamico dell'Iraq e della Siria", v. n. 217; all'incirca lo stesso significato hanno gli acronimi IS e ISIL (Stato Islamico dell'Iraq e del Levante). L'ISIS, nonostante la sua denominazione regionale, tende a metastatizzare e rivendica attentati ovunque.
(3) V. n. 217, "Per le ragazze...", n. 214, Notiziario.
(4) V. n. 219, "Reso noto il Rapporto del Senato Usa..."
17) AMNESTY: USCITO IL RAPPORTO 2014-2015 SUI DIRITTI UMANI
Il 25 febbraio è uscito il rapporto annuale di Amnesty International intitolato "La situazione dei Diritti Umani nel mondo". Il rapporto, molto esteso, riguarda 160 paesi di tutte le aree geografiche, tra cui l'Italia. Riportiamo un ampio stralcio dell'Introduzione del Rapporto firmata da Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International. Secondo Shetty - addirittura - "dobbiamo solo sperare che, quando negli anni a venire guarderemo indietro al 2014, ciò che abbiamo vissuto in quest’anno ci sembrerà il fondo, il punto più basso da cui siamo risaliti."
Aprendo il seguente link si possono trovare notizie su ciò che è accaduto nelle varie aree geografiche a anche le indicazioni per l'acquisto - on-line o in libreria - dell'intero rapporto, pubblicato in Italiano da Castelvecchi Editore http://rapportoannuale.amnesty.it/2014-2015
[...] Il 2014 è stato un anno devastante per coloro che cercavano di difendere i diritti umani e per quanti si sono trovati intrappolati nella sofferenza delle zone di guerra.
I governi a parole sostengono l’importanza di proteggere i civili ma i politici di tutto il mondo hanno miseramente fallito nel compito di tutelare coloro che avevano più bisogno d’aiuto. Amnesty International ritiene che tutto ciò può e deve finalmente cambiare.
Il diritto internazionale umanitario, ovvero la legislazione che regolamenta la condotta nelle operazioni belliche, non potrebbe essere più chiaro. Gli attacchi non devono mai essere diretti contro i civili. Il principio di distinzione tra civili e combattenti è una salvaguardia fondamentale
per le persone travolte dagli orrori della guerra.
E tuttavia, più e più volte, nei conflitti sono stati proprio i civili a essere maggiormente colpiti.
Nell’anno della ricorrenza del 20° anniversario del genocidio ruandese, i politici hanno ripetutamente calpestato le regole che proteggono i civili o hanno abbassato lo sguardo di fronte alle fatali violazioni di queste regole da parte di altri.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è intervenuto ad affrontare la crisi siriana negli anni precedenti, quando ancora sarebbe stato possibile salvare innumerevoli vite umane. Tale fallimento è proseguito anche nel 2014. Negli ultimi quattro anni, sono morte 200.000 persone, la
stragrande maggioranza civili, principalmente in attacchi compiuti dalle forze governative. Circa quattro milioni di persone in fuga dalla Siria hanno trovato rifugio in altri paesi. Più di 7,6 milioni sono sfollate in territorio siriano.
La crisi in Siria è intrecciata con quella del vicino Iraq. Il gruppo armato che si autodefinisce Stato islamico (Islamic State – Is, noto in precedenza come Isis), che in Siria si è reso responsabile di crimini di guerra, nel nord dell’Iraq ha compiuto rapimenti, uccisioni sommarie assimilabili a
esecuzione e una pulizia etnica di proporzioni enormi. Parallelamente, le milizie sciite irachene hanno rapito e ucciso decine di civili sunniti, con il tacito sostegno del governo iracheno.
L’assalto condotto a luglio su Gaza dalle forze israeliane è costato la vita a 2000 palestinesi. E ancora una volta, la stragrande maggioranza di questi, almeno 1500, erano civili. Come ha dimostrato Amnesty International in una dettagliata analisi, la linea adottata da Israele si è distinta per la sua spietata indifferenza e ha implicato crimini di guerra. Anche Hamas ha compiuto crimini di guerra, sparando indiscriminatamente razzi verso Israele e causando sei morti.
In Nigeria, il conflitto in corso nel nord del paese tra le forze governative e il gruppo armato Boko haram è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo a causa del rapimento, da parte di Boko haram, di 276 studentesse nella città di Chibok, uno degli innumerevoli crimini commessi dal gruppo. Quasi inosservati sono passati gli orrendi crimini commessi dalle forze di sicurezza nigeriane, e da altri che hanno agito per conto loro, contro persone ritenute appartenere o sostenere Boko haram; alcuni di questi crimini, rivelati da Amnesty International ad agosto, erano stati ripresi in un video che mostrava le vittime assassinate e gettate in una fossa comune.
Nella Repubblica Centrafricana, oltre 5000 persone sono morte a causa della violenza settaria, nonostante la presenza sul campo dei contingenti internazionali. Tortura, stupri e uccisioni di massa hanno a stento raggiunto le prime pagine dei giornali a livello mondiale. Ancora una volta, la maggior parte delle vittime erano civili.
E in Sud Sudan, lo stato più recente del mondo, decine di migliaia di civili sono stati uccisi e due milioni sono fuggiti dalle loro case, nel contesto del conflitto armato tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Questo breve elenco, come mostra chiaramente quest’ultimo rapporto di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in 160 paesi, non rappresenta che una parte del problema. [...]
I fallimenti [...] non hanno riguardato soltanto l’incapacità d’impedire le atrocità di massa. È stata anche negata l’assistenza diretta ai milioni di persone in fuga dalla violenza che inghiottiva villaggi e città. [...]
Un numero enorme di rifugiati e migranti continua a perdere la vita nel Mar Mediterraneo, nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. La mancanza di supporto da parte di alcuni stati membri dell’Eu nelle operazioni di ricerca e soccorso ha contribuito allo sconvolgente tributo in
termini di vite umane.
Una misura che potrebbe essere adottata per proteggere i civili nei conflitti è limitare ulteriormente l’impiego di armi esplosive nelle aree popolate. Ciò avrebbe permesso di salvare molte vite in Ucraina [...]
L’esistenza di regole sulla protezione dei civili è importante in quanto implica un concreto accertamento delle responsabilità e l’ottenimento della giustizia, dove tali regole siano violate. [...]
Le organizzazioni per i diritti umani sono talvolta accusate di essere troppo ambiziose nei loro sogni di dar vita a un cambiamento. Dobbiamo comunque ricordare che i traguardi straordinari sono raggiungibili. Il 24 dicembre, è entrato in vigore il Trattato internazionale sul commercio di armi, dopo che tre mesi prima era stata superata la soglia delle 50 ratifiche.
Amnesty International, tra gli altri, si è impegnata a favore del trattato per 20 anni. [...]
Nel 2014 ricorrevano anche i 30 anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, un’altra convenzione per la quale Amnesty International si è battuta per molti anni e una delle motivazioni per le quali le fu conferito il premio Nobel per la pace nel 1977.
Questo anniversario è, sotto un certo punto di vista, un momento da celebrare ma è anche l’occasione per sottolineare come la tortura sia ancora dilagante in molte parti del mondo [...]
La pubblicazione a dicembre di un rapporto del senato statunitense [...] ha dimostrato la facilità con cui era stato tollerato l’uso della tortura negli anni successivi agli attacchi agli Usa dell’11 settembre 2001. È sconcertante come alcuni dei responsabili per quegli atti criminali di tortura sembrassero ancora convinti di non avere alcun motivo di cui vergognarsi.
Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza. In realtà, è semmai vero il contrario. Questo tipo di violazioni sono uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non può esserci sicurezza senza rispetto dei diritti umani. Abbiamo ripetutamente visto che, anche nei momenti più bui per i diritti umani, e forse in special modo in tempi come questi, è possibile dar vita a un cambiamento straordinario.
Dobbiamo solo sperare che, quando negli anni a venire guarderemo indietro al 2014, ciò che abbiamo vissuto in quest’anno ci sembrerà il fondo, l’ultimo punto più basso da cui siamo risaliti e abbiamo creato un futuro migliore.
18) FERNANDO CI SPIEGA COME FA IL PITTORE NEL BRACCIO DELLA MORTE
San Quentin, 18 febbraio 2015
Ciao Grazia,
ho appena terminato un quadro per un mio amico di New York. A lui piacciono i ritratti di cantanti e i clown. La pittura è uno dei miei passatempi preferiti.
Dipingere all’interno di una cella in carcere è un esempio di quanto gli esseri umani siano in grado di adattarsi. La mia cella è piccola e non ha finestre. Tutti i miei quadri sono stati realizzati con la luce artificiale, quella fornita dalla lampada si trova sul muro in cima al mio letto.
Io arrotolo il materassino verso il fondo del letto, poi sistemo, in corrispondenza della lampada, uno scatolone di cartone sulla bassa mensola di cemento che costituisce la “rete” del letto: ho ottenuto un tavolo. Un grosso secchio di plastica capovolto diventa il mio sgabello. Uso una coperta piegata come cuscino.
Metto i colori e i pennelli sul pavimento alla mia sinistra. Dal momento che utilizzo colori acrilici, mi occorre solo l’acqua per pulire i pennelli quando cambio colore. Alla mia destra c’è il gabinetto… ah, ah, … per cui, quando mi occorre acqua pulita, tiro l’acqua dello sciacquone.
Sì, il mio gabinetto è sempre pulitissimo!
Dubito fortemente che un pittore professionista lavorerebbe in simili condizioni! Eppure, questo è l’unico “studio” di cui posso disporre, e per me funziona! Ovviamente sarebbe preferibile lavorare con la luce naturale, ma una volta capito il meccanismo di come riprodurre le luci e le ombre, la
luce artificiale non è più un problema.
Di solito dipingo al mattino, subito dopo colazione, e solo a giorni alterni. Il tempo che lascio trascorrere tra una seduta di pittura e l’altra contribuisce a mantenere la mia mente attenta e riposata. Ogni volta dipingo solo per un paio d’ore. Se supero questo lasso di tempo, il desiderio di proseguire diminuisce. Per evitare di commettere errori, smetto di lavorare e ripongo ogni cosa.
A volte piazzo la tela in un angolo e la osservo da una certa distanza. Guardandola per un po’, riesco a notare i punti da correggere durante la successiva sessione di pittura.
Credo che tutti gli artisti ambiscano a raggiungere la perfezione nei loro lavori. Per me, la pittura serve a raggiungere la pace mentale e a fuggire dalla realtà. Ridurre lo stress per un paio d’ore mi aiuta immensamente. E’ come schiacciare un sonnellino all’ombra di un albero in una giornata di
sole! Vi voglio bene
Fernando
19) ACQUISTIAMO LA CANZONE DI CLINTON CONDANNATO A MORTE IN TEXAS!
Catia Ferrucci, alias Catia Gioli, ci chiede di pubblicare un appello per raccogliere fondi in favore di Clinton Young, condannato a morte in Texas. Si possono trovare notizie sul caso di Clinton (che si dichiara innocente) nel sito: http://www.saveaninnocentlife.com/empty-homepage-page/
Apparentemente la sua storia drammatica non è molto diversa da tante altre storie simili: Clinton Young era il più giovane (all’epoca era diciottenne) di un gruppo di quattro amici che in una notte di 14 anni fa uccisero due persone. Fu l’unico ad essere condannato a morte, mentre i complici
patteggiarono, si dichiararono colpevoli di reati minori e furono condannati a pene detentive.
Clinton ha scritto una canzone intitolata “Deathrow”. Alex Buitenwerf (un suo pen pal olandese) si è occupato della produzione del relativo pezzo musicale e della sua distribuzione attraverso Internet. Il gruppo degli artisti coinvolti si è dato il nome "The Clinton project". La canzone e altre
informazioni in merito si trovano nel sito http://www.theclintonproject.com/ creato appositamente per divulgarla.
Il genere musicale è il rap, così caro alle nuove generazioni, ma - come si rileva dal brano disponibile nel sito - si tratta di un rap gradevole anche per le orecchie meno giovani.
Catia ha a sua volta creato una pagina nel suo blog, dove è possibile trovare il link per acquistare la canzone (il prezzo è dell'ordine del dollaro). Il ricavato delle vendite andrà al fondo per la difesa di Clinton, v. http://clintonyoungitalia.blogspot.it/p/blog-page.html
Invitiamo i nostri amici a contribuire, in primo luogo per aiutare Clinton, ma anche per procurarsi una canzone gradevole e per premiare e incoraggiare i suoi amici così entusiasti e impegnati nel volontariato in suo favore.
20 ) NOTIZIARIO
California. Può vincere un referendum abolizionista nel 2016. Il referendum sull'abolizione della pena di morte in California del 2012 fallì di stretta misura (v. 201). Si prevede che gli abolizionisti ci riproveranno nel 2016 con buone probabilità di riuscita anche perché l'estate scorsa il Giudice federale Distrettuale Cormac J. Carney ha sentenziato che il sistema della pena capitale in California è diventato così lento da essere incostituzionale (v. n. 215).
Florida. La Corte Suprema dello stato impone una moratoria, seguendo l'Oklahoma. All'inizio di febbraio il Dipartimento di Correzione della Florida ha dichiarato di non aver alcuna intenzione di sospendere le esecuzioni dopo che l'Oklahoma, che usava gli stessi farmaci della Florida, è stata
costretta a farlo dalla Corte Suprema federale (v. articolo qui sopra). Però il 17 febbraio la Corte Suprema dello Stato lo ha fatto, sospendendo l'esecuzione di Jerry William Correll, prevista per il 26 febbraio, fino a che la Corte Suprema federale non avrà deciso per l'Oklahoma. L'Ohio e l'Arizona che si trovano nello stessa situazione della Florida e dell'Oklahoma non intendono effettuare esecuzioni in questo periodo.
Iran. Dati agghiaccianti sulle esecuzioni nel 2014. In un'anteprima del suo Rapporto annuale che uscirà prossimamente, Iran Human Rights inserisce alcuni dati agghiaccianti: Nel 2014 sono state messe a morte 753 persone, battendo il record assoluto dell'anno precedente. Il 49% di esecuzioni
sono conseguite a reati di droga. Il 32% di esecuzioni ha punito omicidi. 53 esecuzioni sono avvenute in pubblico. Sono stati 'giustiziati' almeno 14 minorenni all'epoca del crimine. Almeno 4 persone sono 'resuscitate' dopo essere state impiccate lentamente (v. nn. 209, "Alireza..."; 211, Notiziario). Sulle impiccagioni vedi anche: http://www.ncr-iran.org/en/news/human-rights/18035-iran-graphic-photos-man-hanged-in-public-in-darab
Iraq. L'ISIS punisce un omosessuale precipitandolo dal tetto. Alcune foto munite di didascalie diffuse in Internet il 15 gennaio documentano la punizione inferta degli integralisti dell'ISIS ad un uomo accusato di sodomia in Iraq. Una foto mostra un folto gruppo di spettatori. Un'altra foto il giudice, con la faccia coperta da un balaclava nero, che pronuncia la sentenza. Un'altra il condannato insieme al suo boia sul tetto di un alto edificio (probabilmente nella città di Mosul).
Un'altra l'uomo scaraventato giù dal tetto. L'ultima il corpo dell'uomo a terra.
Isole Figi. Abolizione totale della pena di morte, come nella maggioranza dei paesi. Nelle Isole Figi la pena di morte rimaneva soltanto nel codice militare. Il parlamento di questo stato, nonostante alcune resistenze, il 10 febbraio ha approvato una legge che rende le Isole Figi il 100° stato
abolizionista totale. Nel 2014 per la prima volta le Isole Figi avevano votato a favore della Moratoria alle Nazioni Unite. Ora, finalmente, la maggioranza assoluta dei paesi è abolizionista: abbiamo 100 paesi totalmente abolizionisti, 6 paesi abolizionisti per i crimini ordinari (prima, con le Figi, erano 7), 34 abolizionisti in pratica, e 58 ritenzionisti.
Maryland. Commutate le ultime condanne a morte. Il 20 gennaio u. s. - ultimo giorno in cui è stato in carica - Martin O'Malley, Governatore uscente del Maryland, ha commutato in ergastolo le quattro sentenze capitali ancora pendenti nel suo stato. Tale provvedimento era stato solennemente
annunciato in dicembre (v. articolo nel n. 219). L'abolizione della pena di morte in Maryland avvenuta due anni fa non riguardava i cinque che erano già stati condannati alla pena capitale (uno di loro nel frattempo è deceduto per cause naturali).
New York. Delinquenti tra le guardie carcerarie. In un articolo del 15 gennaio il New York Times scrive che "decine di aspiranti con un oscuro passato sono stati assunti come guardie carcerarie, inclusi affiliati delle gang, pregiudicati, portatori di turbe psichiche." Controllando le domande di 153 aspiranti recentemente assunti, il Dipartimento di Investigazione della City ha rilevato per più di un terzo di essi problemi che avrebbero dovuto indurre a respingere le domande o per lo meno a sottoporre ad accertamenti gli aspiranti.
Texas. Ucciso con un'iniezione di 27 minuti Robert Ladd, disabile mentale. L'ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili) in un comunicato del 29 gennaio denuncia con veemenza l'esecuzione di Robert Ladd appena compiutasi in Texas. L'avvocato Brian Stull, un membro dell'ACLU che ha patrocinato Ladd, ha così commentato: "Il Texas ha aggressivamente perseguito l'esecuzione del sig Ladd, nonostante il fatto che la nostra Costituzione proibisca categoricamente l'uso della pena capitale nei riguardi delle persone con disabilità intellettiva [secondo la sentenza
Atkins del 2002]. Ladd, che aveva un quoziente di intelligenza di 67 [già da bambino], è stato giustiziato perché il Texas si rifà a standard tutti suoi, basati su stereotipi invece che sulla scienza, per determinare la disabilità intellettuale. La sua morte è un altro esempio di come la pena capitale
sfidi continuamente le leggi e l'umana decenza." La situazione del Texas riguardo alla pena di morte per i disabili mentali è infatti analoga a quella paradossale della Georgia, stato in cui, due giorni prima di Ladd, era stato messo a morte Warren Hill (v. articolo qui sopra). Nel 2003 Robert Ladd
arrivò a poche ore dall'esecuzione, quando una corte federale accettò di esaminare la questione della sua disabilità intellettuale, documentata già all'età di 13 anni. Ma poi la sua situazione giudiziaria era di nuovo precipitata. Gli ultimi ricorsi del condannato riguardavano anche la crudeltà del metodo dell'iniezione letale utilizzato in Texas. E in effetti egli ha dovuto aspettare ben 27 minuti dopo l'inizio della procedura, per morire.
Usa. Chiuso anche il caso federale sull'uccisione del nero Trayvon Martin. Il 24 febbraio il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha chiuso con un non luogo a procedere l'inchiesta federale sull'eventuale violazione dei diritti civili ai danni del minorenne nero Trayvon Martin, che fu ucciso 3 anni fa in Florida mentre gironzolava disarmato in un'ara privata, portando un maglione col cappuccio. Ricordiamo che a uccidere Trayvon fu il bianco George Zimmerman il quale faceva il guardiano volontario in quell'area e che uscì assolto dal conseguente processo (avviato a fatica dopo le pesanti critiche piovute sulle autorità della Florida anche da parte del Presidente Obama).
La difesa di Zimmerman si giovò della legge che consente di far fuoco, vigente in Florida ma anche in altri stati, contro chi si aggira con fare sospetto in una proprietà privata costituendo un pericolo per le persone (v. n. 207). Ora gli investigatori federali hanno interrogato 75 testimoni e
rivisto accuratamente la documentazione conservata dalla Florida, nonché il comportamento tutt'altro che irreprensibile di Zimmerman dopo il processo, ed hanno concluso che non si può provare che l'uccisione di Trayvon Martin costituisca un 'hate crime' ciò un crimine causato dall'odio razziale.
Usa. Armare le studentesse per scoraggiare avances indesiderate degli studenti? Nel New York Times del 19 febbraio leggiamo che "mentre i legislatori in 10 stati stanno facendo leggi che permettano di portare armi nei campus, sta prendendo piede un argomento: armare le studentesse
per ridurre le aggressioni sessuali.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 4 marzo 2015
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