FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 234 - Gennaio 2017
Fernando Eros Caro, nativo americano Yaqui
3 dicembre 1949 - 28 gennaio 2017
Fernando Eros Caro fu dichiarato colpevole di tre omicidi e di un tentato omicidio e condannato alla pena capitale nel 1981. Nei 35 anni passati nel braccio della morte di San Quentin egli ha saputo riscattarsi fino a diventare un riferimento positivo per tante persone in Italia e nel mondo. La sua morte improvvisa ha lasciato i suoi parenti e i suoi molti amici sbalorditi e addolorati.
SOMMARIO:
1) Arrivederci carissimo Nendy! di Maria Grazia Guaschino
2) Lucia ci scrive
3) Le opere letterarie e pittoriche di Fernando
4) Sentenza capitale nel caso pazzesco di Dylann Roof
5) Quarant’anni di esecuzioni in America
6) Si’, i giudici dell’Alabama hanno la facoltà di condannare a morte
7) In California è bloccata la nuova legge sulla pena capitale
8) Il governatore dello stato di Washington prolunga la moratoria
9) Amnesty denuncia la mancata chiusura del carcere di Guantánamo
10) Il Bahrain esegue tre condanne a morte dopo un ingiusto processo
11) In Iran il 2017 è cominciato con una raffica di esecuzioni
12) Le studentesse nigeriane rapite ancora nelle mani di Boko haram
13) Leggi 'antiterrorismo': negare i diritti col pretesto di difenderli
14) È passato un anno dalla scomparsa al Cairo di Giulio Regeni
15) Votata per la sesta volta all'ONU la risoluzione per la moratoria
16) I costi della morte di Rebecca Edwards
17) L’Europa e l’Italia chiudono la porta ai migranti libici
18) Notiziario: California, Georgia, USA
1) ARRIVEDERCI CARISSIMO NENDY! di Maria Grazia Guaschino
Grazia Guaschino ha tenuto una corrispondenza regolare con Fernando Eros Caro negli ultimi 7 anni, a nome proprio e per conto del Comitato Paul Ruougeau. Grazia è stata dolorosamente colpita dalla morte di Nendy e ha scritto a caldo la seguente lettera di addio... anzi di arrivederci.
Carissimo Fernando, dolce amico,
il 31 gennaio ho appreso con immenso dolore che sei stato dichiarato morto, dalle autorità carcerarie della California, alle 23 e 45' di sabato 28 gennaio.
La tua morte lascia me e di certo tanti altri tuoi amici sbigottiti e affranti: nelle tue lettere (l’ultima datata 19 gennaio mi è arrivata proprio il 31 gennaio) hai sempre detto di stare bene di salute. Chissà se mai si scoprirà la vera causa della tua morte… ultimamente dicevi che faceva così tanto freddo…
Nendy, mi hai colmata di affetto e di tanta sollecita amicizia: hai già da tempo un posto nel mio cuore, e lo avrai finché avrò vita. E dopo, spero tanto di vederti e di abbracciarti in Cielo (perché tu sei certo già lì: l’inferno l’hai subito tutto sulla terra).
In questi anni di amicizia sincera e profonda mi hai arricchito immensamente, e con le tue lettere hai dato tante testimonianze di amore e di bontà schietta. L’ultimo tuo gesto, di utilizzare una parte del nostro regalo a te, per offrire a tutti i condannati del tuo settore un dolce per Natale, in modo che nessuno di loro trascorresse quel giorno senza un po’ di dolcezza, è un'ulteriore prova della tua sensibilità e generosità. Come quando volesti a tutti i costi che i profitti della vendita del tuo libro “Non smettete mai di sognare” andassero al Comitato e nulla venisse mandato a te.
Hai sofferto molto e hai saputo trarre dal tuo dolore tanta saggezza e purezza d'animo: non ti lamentavi quasi mai, ma chi ti voleva bene e sapeva leggere tra le righe dei tuoi scritti quello che non dicevi a parole, capiva che avevi una battaglia durissima da affrontare ogni giorno contro la depressione e la disperazione. Riuscivi sempre a vincere e non volevi mai pesare su nessuno, incoraggiando sempre i tuoi amici a “non smettere mai di sognare e a continuare a sorridere”.
Sapevi anche godere con l’entusiasmo di un bambino delle gioie piccole che la vita ancora ti dava: i biglietti di auguri che ricevevi dagli amici, i pensieri gentili che ti mandavano coloro che ti volevano bene, le feste di Natale. Per queste soprattutto il cuore ti si riempiva di gioia: la possibilità di vedere alla televisione film carini e decenti, qualche cosina un po’ meno cattiva da mangiare, le musiche natalizie, i poveri addobbi con i quali decoravate le vostre celle e il corridoio del braccio… ogni anno, quando in gennaio staccavi i biglietti augurali dal muro, rivelavi la malinconia intensa che provavi, dicevi che era come se gli amici che erano venuti a trovarti tornassero a casa loro dopo la festa, ma, subito, correggevi la tristezza con la speranza: verrà un altro Natale e gli amici torneranno…
Non ci sono parole per descrivere il dolore in cui mi hai lasciata e per dirti quanto mi mancheranno le tue lettere e le tue faccine sorridenti di cui costellavi le pagine.
Hai anche dipinto quadri meravigliosi: due abbelliscono la mia casa, altri rallegrano le case di molti amici italiani e altri ancora sono tuttora in vendita (i profitti andranno tutti per aiutare quelli che come te stanno tribolando nei bracci della morte americani). Nelle tue opere c’è la tua anima, Nendy, ed eri tanto felice quando riuscivi a dipingere, pur nella grande difficoltà della tua cella. Sei riuscito persino a rallegrare un po’ le tetre stanze del braccio della morte: avevi decorato la sala in cui i detenuti ricevono le visite dei familiari e la cappella del carcere.
Un dolore è stato per te il risultato dell’ultimo referendum in California, a cui subito si è aggiunta la brutta notizia della nomina del presidente Trump. Infine avevi anche saputo che gli avvocati dell’accusa nel tuo processo erano in fase di sostituzione e che quindi avresti dovuto aspettare
ancora tanto per una nuova sentenza. Per te questo era un grande dispiacere anche se non sappiamo quale sarebbe stato l’esito di un nuovo processo.
E’ con un nodo alla gola che ti dico arrivederci, caro Nendy, e che ti saluto come spesso facevi tu chiudendo in italiano le tue belle lettere: “ciao, e uno abbraccio grande e forte”!
Grazia
2) LUCIA CI SCRIVE
Ho appena saputo della morte di Nendy! Non ho parole, è una notizia che mi addolora tanto, gli avevo appena spedito una lettera! Abbiamo perso un grande amico, fratello e compagno di vita! Credo che resterà sempre dentro di noi. Aspettavo con trepidazione le sue lettere perché mi hanno sempre aiutata a vivere con più serenità, a vedere le cose da un altro punto di vista, a sorridere anche di fronte alle avversità. Era una persona saggia nonostante la vita gli abbia riservato tanto dolore. Mi piace pensare che ora sia con ‘Orso che corre’ e tutti gli amici che lo hanno preceduto, che non soffra più, che veda le cose in un’altra dimensione. Ci lascia tanto... anche un po’ più di forza per andare avanti, ed il suo sorriso che ci accompagnerà sempre! Vi lascio con una poesia di Pablo Neruda: l’avevo mandata a Nendy perché sentisse l'affetto degli amici. Vi abbraccio.
La magia di un abbraccio di Pablo Neruda
Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos'è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un'altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio,
quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt'uno,
fissa quell'istante magico nell'eterno.
Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,
fa vibrare l'anima e rivela ciò che ancora non si sa
o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
È staccare un pezzettino di sé
per donarlo all'altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo.
3) LE OPERE LETTERARIE E PITTORICHE DI FERNANDO
Per merito di Marco Cinque, grande amico e instancabile sostenitore di Fernando Eros Caro, sono stati pubblicati in Italia diversi scritti di Fernando: i libri Prigioniero dell’uomo bianco - Kaos Edizioni - 1995 e Saai Maso – fratello cervo - Pellicano A. C. – 2016, nonché articoli, lettere e brani vari in: Giustizia da morire - Multimedia Edizioni - 2000, Pena di morte? No grazie - Multimedia Edizioni - 2003, Poeti da morire - Giulio Perrone Editore – 2007. L’ultimo libro di Fernando, uscito a settembre del 2015 nelle edizioni Pellicano, si intitola Non smettete mai di
sognare e contiene la corrispondenza da lui tenuta con il Comitato Paul Rougeau a partire dal 30 settembre del 2008 fino a tutto il 2014.
Decine e decine di quadri affascinanti di Fernando Eros Caro – dipinti in uno stile unico e irripetibile – sono ora in possesso dei sui sostenitori e dei suoi ammiratori. I quadri riprodotti in bianco e nero nel volume Non smettete mai di sognare sono in vendita. È possibile vedere questi quadri anche nel sito www.comitatopaulrougeau.org
Cari lettori, comprate il libro Non smettete mai di sognare (ne abbiamo parecchie copie) e i quadri di Fernando Eros Caro riprodotti nel nostro sito: finanzierete così le attività contro la pena capitale e il sostegno dei detenuti nel braccio della morte.
4) SENTENZA CAPITALE NEL CASO PAZZESCO DI DYLANN ROOF
Il giovanissimo 'suprematista bianco' Dylann Roof è riuscito a farsi condannare a morte da una giuria federale per la strage di persone di colore da lui compiuta in Suoth Carolina nel 2015. La sua intenzione era quella di scatenare un conflitto razziale contro i Neri. L'accusa ha avuto buon gioco nel perseguire la pena capitale per Roof che per buona parte del processo si è voluto difendere da solo. Subirà tra alcuni mesi un secondo processo capitale chiesto dallo stato della Suoth Carolina.
Il 22 enne Dylann Roof è arrivato alla fine della strada da lui scientemente imboccata il 17 giugno del 2015 quando aprì il fuoco, uccidendo 9 persone, nella famosa chiesa metodista Emanuel African Methodist Episcopal Church di Charleston in South Carolina frequentata solo da Neri (1).
Ricordiamo che Roof, 'suprematista bianco', aveva l'intenzione di scatenare un conflitto razziale a danno dei Neri.
Il 10 gennaio la stessa giuria che il 15 dicembre lo ha riconosciuto colpevole di reato capitale, ha scelto per Dylann Roof la pena di morte in luogo dell'ergastolo senza possibilità di liberazione. La giuria ha impiegato solo tre ore per raggiungere il proprio unanime parere.
L'intelligente ma folle Roof ha ottenuto di difendersi da sé nella seconda fase processuale, quella in cui è stata scelta la pena (2). La sua prestazione è stata comunque minimale. Basti dire che la sue dichiarazioni conclusive a difesa sono durate 7 minuti (da confrontare con le 2 ore impiegate dall'accusatore Jay Richardson per l'arringa conclusiva). Oltretutto il giovane imputato è apparso confuso e incorente nelle sue argomentazioni. Ha sostenuto che una forza invincibile lo ha spinto a compiere il crimine, anziché insistere sul motivo razziale fino ad allora avanzato.
L'accusatore Richardson ha potuto fare il suo show mostrando alla giuria composta da 10 donne e 2 uomini le foto delle 9 vittime, di età compresa tra i 26 e gli 87 anni, sorridenti nella vita e riverse nel sangue sulla scena del delitto. Richardson ha inoltre sottolineato che Roof considerava Adolf Hitler un'icona, una persona da imitare. Ha detto che costui aveva caricato il proprio fucile con 88 colpi in quanto il numero 88 (due volte l'ottava lettera dell'alfabeto) rappresenta il famoso saluto “Heil Hitler.”
Al processo federale intentato dagli Stati Uniti contro Dylann Roof appena terminato, seguirà nel giro di alcuni mesi il processo preannunciato dallo stato della South Carolina.
In tutti i casi - e anche se Roof verrà condannato a morte dalla South Carolina - il lunghissimo iter degli appelli rimanderà di anni una sua eventuale esecuzione, esecuzione che speriamo non avvenga mai.
Ci uniamo al vescovo di Charleston, Robert E. Guglielmone, il quale ha ricordato che la chiesa cattolica si oppone alla pena di morte e che ogni vita è sacra. "Mettere a morte Dylann Roof è contrario all'insegnamento della chiesa che ogni vita è sacra, anche quella di coloro che hanno commesso i più gravi crimini. Invece di cercare la morte, dobbiamo estendere la compassione e il perdono a Roof così come hanno fatto alcuni parenti delle sue vittime".
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(1) V. n. 232
(2) Roof aveva scelto la difesa in proprio anche nella prima fase del processo ma poi - dopo i procedimenti preliminari - aveva accettato l'intervento del proprio difensore, l'avvocato David I. Bruck. Costui, puntando sull'insanità mentale, fece arrabbiare Roof.
Protesta degli abolizionisti davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti
Un manipolo di abolizionisti ha manifestato a Washington, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. I manifestanti per lo più giovani recavano sotto la pioggia cartelloni con i nomi di tutti i 1442 condannati messi a morte a partire dal 1977. Un gruppo di 18 persone ha compiuto un atto di disobbedienza civile di ‘trespassing’ facendosi arrestare.
Ricorreva un importante anniversario: il 17 gennaio 1977 la fucilazione di Gary Gilmore nell’Utah inaugurò l’attuale era della pena di morte negli Stati Uniti.
Nei 10 anni precedenti la pena di morte era rimasta inutilizzata. A giugno del 1972 era stata dichiarata “crudele ed inusuale” dalla Corte Suprema federale - contraria all’Ottavo e al Quattordicesimo Emendamento della Costituzione - con la sentenza Furman v. Georgia (1). Così tutti i 629 condannati a morte in 40 stati avevano usufruito della commutazione della pena in ergastolo con possibilità di uscita sulla parola.
Nel 1976 però, con la sentenza Gregg v. Georgia, la medesima Corte Suprema aveva precisato che no, la pena di morte non doveva essere considerata contraria alla Costituzione in sé ma solo per come era stata amministrata fino ad allora.
Le condizioni da rispettare dovevano essere le seguenti:
1. Dovevano essere posti criteri sicuri per delimitare i casi passibili di pena capitale.
2. Doveva essere consentito a chi emettete le sentenze capitali (giudice o giuria) di prendere in considerazioni le attenuanti connesse al carattere e ai precedenti penali degli accusati.
Gli stati riformarono i propri statuti e… fu proprio il 36-enne Gary Gilmore – un delinquente abituale che aveva passato la metà della vita in galera - ad insistere per essere fucilato al più presto aprendo l’attuale fase della pena di morte statunitense.
Impaziente per il ritardo dell’esecuzione, Gilmore chiese di interrompere gli appelli e tentò anche il suicidio.
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(1) Questa importantissima decisione fu presa dalla Corte Suprema con la maggioranza minima di 5 a 4.
6) SI’, I GIUDICI DELL’ALABAMA HANNO LA FACOLTÀ DI CONDANNARE A MORTE
E' difficile comprendere perché la Corte Suprema degli Stati Uniti abbia consentito che in Alabama - e solo in Alabama - le sentenze capitali vengano decise da un giudice invece che dalla giuria.
Il 23 novembre la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di esaminare i ricorsi di tre condannati a morte dell’Alabama: Tommy Arthur, Jerry Bohannon ed Aubrey Shaw.
I tre avevano contestato il sistema della pena di morte dell’Alabama che consente ai giudici di emettere sentenze capitali anche nei casi in cui le giurie optano per l’ergastolo. I loro ricorsi derivavano dalla famosa sentenza Hurst v. Florida con la quale la massima corte era invece andata a favore dei condannati sentenziati da giudici. Tale sentenza ha portato a riformare profondamente il sistema della pena capitale della Florida e del Delaware. In quest’ultimo stato ha dato probabilmente una forte spinta verso l’abolizione. (1)
Ora lo stato dell’Alabama rimane l’unico negli USA in cui i giudici hanno la possibilità di condannare a morte in disaccordo con le giurie.
Per il Ministro della Giustizia dell’Alabama, Luther Strange, la decisione della Corte Suprema “costituisce un’altra vittoria della legalità”.
“Il diniego della Corte Suprema degli Stati Uniti delle petizioni di Thomas Arthur, Jerry Bohannon e Aubrey Shaw, che contestavano il sistema della pena di morte dell’Alabama in base al caso Hurst v. Florida, è una ulteriore affermazione che la legge dell’Alabama riguardo alle sentenze capitali è costituzionale”, ha affermato Strange.
L’Alabama sostiene che il proprio sistema della pena capitale è più garantista di quello messo in crisi in Florida perché le giurie devono raggiungere l’unanimità almeno su un’aggravante capitale per proporre le pena di morte. (2)
Notiamo che il problema delle sentenze di morte inflitte dai giudici invece che dalle giurie è assai più grave in Alabama che in Florida o in Delaware. Uno studio dell’associazione abolizionista dell’Alabama Equal Justice Initiative rileva che i giudici hanno capovolto i verdetti delle giurie 107 volte dopo il ripristino della pena di morte negli USA nel 1977. In quasi tutti questi casi, i giudici hanno imposto sentenze di morte. Il 29% dei 199 ospiti del braccio della morte dell’Alabama sono stati condannati in tal modo.
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(1) V. vari articoli nel n. 233 e nn. ivi citati
(2) Noi non capiamo che cosa c’entri la questione dell’unanimità con il fatto che sia il giudice a condannare a morte invece della giuria. Ma non ci preoccupiamo più di tanto anche perché siamo in buona compagnia: come noi non capiscono l'Alabama anche alcuni giudici della Corte Suprema USA.
7) IN CALIFORNIA È BLOCCATA LA NUOVA LEGGE SULLA PENA CAPITALE
La 'Proposta 66' approvata con il referendum dell'8 novembre scorso dovrebbe rimettere in moto la macchina della pena di morte della California ferma dal 2006, ma fortunatamente incontra serie difficoltà ad essere implementata. L'approvazione della Proposta 66 deluse profondamente Nendy.
Lo scorso 8 novembre si sono tenuti in California due referendum di segno opposto sulla pena di morte, uno per l’abolizione, l’altro per accelerare le esecuzioni. Ha prevalso di poco la ‘Proposta 66’ (Proposition 66) che vuole accelerare le esecuzioni, deludendo profondamente, tra gli altri, il nostro amico Fernando Eros Caro (1).
L’entrata in vigore della legge forcaiola contenuta nella Proposta 66 è stata però bloccata dalla Corte Suprema della California con una votazione 5 a 0.
Gli oppositori alla pena di morte sostengono che la ‘Proposta 66’ viola la separazione dei tre poteri statali (esecutivo, legislativo e giudiziario) perché entra in merito al lavoro dei magistrati.
Un altro problema origina dal fatto che la ‘Proposta 66’ chiede che gli appelli vengano decisi entro cinque anni dalla condanna (fino ad ora possono passare anche dieci anni prima che il primo appello, detto ‘appello automatico’, venga presentato alla Corte Suprema della California). Inoltre la Proposta passa la competenza per esaminare determinati appelli dalla Corte Suprema alle Corti di Contea.
Gli appelli automatici vertono sulle prove presenti nella documentazione processuale. Si esaminano ad esempio le decisioni dei giudici e come fu selezionata la giuria.
I condannati a morte hanno poi anche diritto ad appelli di habeas corpus, che si basano su prove esterne alla documentazione processuale. Per esempio si discute se l’accusa nascose prove di innocenza, o se l’avvocato difensore fosse incapace di gestire il processo, o se i giurati si fossero comportati male. Per questo tipo di appello scarseggiano i fondi statali e vengono erogati solo 50.000 dollari. Gli avvocati difensori sostengono che è veramente troppo poco per intraprendere le necessarie investigazioni e pertanto molti avvocati rifiutano di occuparsi degli appelli di habeas. Nel 2014, 352 condannati a morte non hanno avuto un avvocato per l’habeas, secondo quanto rilevato dalla docente di Legge dell’Università di Bekerly, Elisabeth Semel.
Per ovviare alla penuria di avvocati, la ‘Proposta 66’ vorrebbe che i difensori d’ufficio assegnati agli imputati indigenti continuassero poi a gestire anche gli appelli automatici, e che i giudici che emettono la sentenza capitale giudicassero anche gli appelli di habeas (ora di competenza della Corte Suprema).
Gerald Uelmen, professore emerito di Legge alla Santa Clara University, ha detto: “Ci sono delle disposizioni in questa Proposta che sollevano gravi problematiche a livello costituzionale.”
Elisabeth Semel ha anche dichiarato che se la ‘Proposta 66’ venisse applicata, la Corte Suprema della California dovrebbe trascorrere praticamente tutto il tempo a decidere sui casi capitali. La Semel dice che “la corte può gestire solo un certo numero di questi casi ogni anno. Non è fattibile. Ci sono troppi casi capitali”. Il carico di questi casi presso la Corte è già assai pesante: a novembre scorso erano in attesa di giudizio 77 appelli automatici e 89 appelli di habeas.
Il professor John Eastman, della facoltà di Legge Chapman, sostiene invece che la Corte Suprema della California dovrebbe muoversi più rapidamente nell’esame di questi casi. Secondo lui “i giudici indugiano in questi casi perché a loro non piace la pena di morte, non perché sono sovraccarichi di lavoro”.
Il fatto che la Corte Suprema voglia analizzare la ‘Proposta 66’ e la tenga pertanto bloccata, dimostra quantomeno che i giudici ritengono necessario esaminarla molto attentamente. Gerald Uelmen, docente emerito di Legge all’Università di Santa Clara e capo esecutivo di una commissione statale che ha valutato il sistema della pena di morte della California, ha dichiarato: “Mi aspetto che la Corte voglia eliminare almeno alcune delle clausole previste dalla ‘Proposta 66’”
Attualmente vi sono 749 condannati alla pena capitale rinchiusi a San Quentin e dal 2006, per le contestazioni riguardanti l’iniezione letale, non vi sono più state esecuzioni. Se la ‘Proposta 66’ venisse sbloccata dalla Corte Suprema, almeno 20 condannati sarebbero a rischio di imminente
esecuzione. Ci si aspetta che la Corte Suprema si esprima entro il prossimo mese di giugno. (Grazia)
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(1) V. n. 232
8) IL GOVERNATORE DELLO STATO DI WASHINGTON PROLUNGA LA MORATORIA
Jay Inslee, Governatore dello stato di Washington, sta più avanti sulla strada della civiltà dei suoi concittadini e usa i suoi poteri per tenere bloccata la macchina delle esecuzioni nel proprio stato.
Il Governatore dello stato di Washington (1) Jay Inslee ha invitato i parlamentari ad abolire la pena di morte, definendola una pena arcaica che non riduce i crimini e costa milioni di dollari ai contribuenti.
Dal 2 gennaio nel braccio della morte dello stato di Washington rimangono solo 8 uomini dopo la morte in ospedale del 46-enne Dwayne A. Woods.
Il decesso di Woods è avvenuto qualche giorno dopo la sospensione dell’esecuzione di tale Clarke Richard Elmore ordinata dal Governatore.
Il 4 gennaio, in un’intervista televisiva a Q3 News, Jay Inslee ha difeso la decisione di sospendere la condanna di Elmore ed ha reiterato l’invito al Parlamento di Washington di abolire la pena di morte.
“Costa milioni e milioni di dollari. E’ applicata in modo arbitrario perché non viene messa in atto nella maggior parte dello stato di Washington... in quanto le contee non hanno i soldi per pagare gli accusatori,” ha detto Inslee riferendosi al costo dei casi comportanti la pena capitale. “È una cosa arcaica che deve essere cambiata e io ho deciso di fare ciò che credo giusto per il nostro sistema giudiziario e per i contribuenti”.
A partire del 2014 Inslee ha imposto una moratoria della pena capitale nel suo stato sospendendo sistematicamente le esecuzioni (2). Tuttavia, essendo la pena di morte ancora prevista nella legislazione di Washington, alcuni accusatori continuano a perseguirla, spendendo milioni di dollari per ottenere sentenze che probabilmente non saranno mai eseguite.
“La moratoria che il governatore Inslee ha imposto alcuni anni fa e la sospensione che ha annunciato la settimana scorsa non cambiano la legge e non modificano la sentenza per i singoli individui coinvolti,” ha detto il 4 gennaio l’accusatore Dan Satterberg a Q3 News.
“È come dare un calcio ad una lattina e spingerla avanti a sé nella strada rimandando tutto al lavoro del prossimo Governatore o ai prossimi Governatori che potrebbero avere opinioni diverse. In tal modo tutti gli aspetti di cui ci si lamenta – che è troppo lenta, che è troppo costosa – vengono aggravati dalla moratoria. Tutto viene rallentato perché sappiamo che per i prossimi quattro anni non si potrà eseguire alcuna sentenza”.
Nel 2015, Sattemberg, per conto dell’Associazione dei Pubblici Accusatori di Washington aveva invitato il Parlamento a sottoporre la questione della pena di morte agli elettori con un referendum. “Penso che prima di intraprendere questa strada dell’abolizione della pena capitale […] occorra sapere se abbiamo il sostegno dell’opinione pubblica per far ciò” ha dichiarato Sattemberg a Q13 News.
Il Governatore Inslee non è d’accordo. Egli ritiene che i politici possano affrontare autonomamente il problema della pena di morte senza consultare l’opinione pubblica.
Per quanto ci riguarda osserviamo che la pena di morte non è stata mai abolita per voto popolare ma sempre per decisione dei parlamenti (3). Semmai, come è avvento in Nebraska, può succede il contrario, cioè che l’abolizione decretata dal Parlamento venga annullata da un voto popolare (4).
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(1) Lo stato di Washington non ha nulla a che fare con Washinton D. C., il distretto in cui si trova la capitale degli Stati Uniti (e che non ha la pena di morte).
(2) V. ampio art. nel n. 212
(3) V. ad es. nn. 220, 221, 223, 225 Notiziario
(4) V. nn. 224, 232
9) AMNESTY DENUNCIA LA MANCATA CHIUSURA DEL CARCERE DI GUANTÁNAMO
Il 10 gennaio Amnesty International ha denunciato con veemenza la stridente contraddizione tra l'entrata degli USA nel Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e la mancata chiusura dell'infame carcere di Guantánamo Bay a 15 anni dalla sua inaugurazione. (1) Riportiamo il Comunicato che sintetizza il Rapporto di 32 pagine redatto da Amnesty in proposito.
"Il 1° gennaio, a seguito di un precedente voto dell’Assemblea generale, gli Usa sono entrati a far parte per tre anni del Consiglio Onu dei diritti umani. Nella dichiarazione a sostegno della propria candidatura, gli Usa avevano promesso di promuovere i diritti contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, di rispettare gli obblighi previsti dai trattati internazionali e di avere un rapporto costruttivo con gli organi di monitoraggio sull’attuazione dei trattati delle Nazioni Unite.
"Dieci giorni dopo, l’11 gennaio 2017, sarà il 15° anniversario dalle prime detenzioni nella base navale di Guantánamo Bay, in territorio cubano: detenzioni del tutto antitetiche alla Dichiarazione universale dei diritti umani e dunque in contrasto con gli obblighi del diritto internazionale e con le raccomandazioni degli organi di monitoraggio sull’attuazione dei trattati Onu.
"Ma quando si tratta di rispettare gli obblighi in materia di diritti umani, gli Usa assumono troppo spesso un approccio selettivo e, con Guantánamo, hanno scelto di ignorarli sin dall’inizio.
"Per tutti questi 15 anni, gli Usa si sono vantati di essere un protagonista globale nel campo dei diritti umani. Lo hanno fatto persino quando hanno fatto ricorso alla tortura e alle sparizioni forzate, a Guantánamo e altrove. Hanno continuato a farlo anche quando hanno rifiutato di portare di fronte alla giustizia i responsabili di tali crimini di diritto internazionale, impedendo così di risarcire le vittime delle violazioni dei diritti umani e di conoscere in pieno la verità.
"La creazione, il funzionamento e la mancata chiusura di Guantánamo derivano dal fatto che tutte e tre le branche del governo Usa hanno rifiutato di considerare le detenzioni secondo quanto prevede il diritto internazionale. Invece, hanno applicato un pacchetto di “leggi di guerra” derivato da una mal concepita risoluzione approvata dal Congresso dopo gli attacchi dell’11 settembre.
"Nel 15° anniversario della sua apertura, a Guantánamo restano 55 detenuti, 45 dei quali senza accusa né processo. Gli altri 10 hanno subito o stanno subendo processi di fronte a commissioni militari che non rispettano gli standard internazionali sul giusto processo che gli Usa sono tenuti a osservare. Sei di loro rischiano la pena di morte.
"La base navale di Guantánamo sta per avere un nuovo comandante. Prima delle elezioni, il presidente eletto Donald Trump aveva dichiarato che avrebbe tenuto aperto il centro di detenzione e lo avrebbe “riempito di altra gente cattiva”.
"Circa la metà delle persone che si trovano ancora a Guantánamo, prima di esservi trasferite erano state poste in detenzione segreta nell’ambito dei programmi della Cia. La stessa base di Guantánamo è stata usata dalla Cia nel 2003 e nel 2004 come centro segreto di detenzione. Le sparizioni forzate, la tortura e i trattamenti crudeli, inumani e degradanti sono stati parte integrante dei programmi della Cia, sui quali permane ancora impunità.
"Amnesty International continua a chiedere al presidente Obama, anche nel poco tempo rimasto prima che lasci la Casa Bianca, di adempiere alla promessa di porre fine alle detenzioni a Guantánamo e di farlo in linea con gli obblighi internazionali degli Usa sui diritti umani. Sono passati ormai quasi sette anni dal primo impegno in questo senso.
"Sebbene l’amministrazione Obama abbia accusato il Congresso di aver impedito la chiusura di Guantánamo, per il diritto internazionale le leggi o i disaccordi politici interni non possono considerarsi scuse legittime per venir meno al rispetto degli obblighi internazionali. È improbabile che gli Usa accetterebbero scuse del genere se arrivassero da altri governi. Il resto del mondo non dovrebbe accettarle quando arrivano dagli Usa.
"Per ulteriori informazioni si veda il documento “Usa, promesse venute meno: la mancata chiusura di Guantánamo fa parte di un più profondo deficit in materia di diritti umani” [in inglese] al link: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5433/2017/en/ "
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(1) V. n. 233 e nn. ivi citati
10) IL BAHRAIN ESEGUE TRE CONDANNE A MORTE DOPO UN INGIUSTO PROCESSO
Il piccolo stato arabo del Bahrain ha rimesso in moto in modo iniquo la macchina della morte, per nulla ostacolato dai paesi occidentali che lo finanziano. Le tre esecuzioni portate a termine il 15 dicembre hanno suscitato una quantità di proteste da parte delle associazioni per i diritti umani.
Nel piccolo regno del Bahrain, un’isola del Golfo Persico, domenica 15 dicembre sono state eseguite mediante fucilazione le condanne capitali di tre sciiti, Abbas al Samea, Sami Mushaima e Ali al-Singace. I tre erano accusati di aver ucciso due poliziotti del Bahrain e un poliziotto degli Emirati Arabi in un attentato dinamitardo avvenuto nel 2014.
L’esecuzione è stata stigmatizzata dalle associazioni per i diritti umani, a cominciare da Amnesty International, le quali sostengono che i tre hanno confessato sotto tortura in un processo iniquo e che poi hanno ritrattato riprendendo a professarsi innocenti.
Non risulta che vi siano stati da parte dei paesi occidentali tentativi di evitare l'accaduto nonostante il fatto che il Bahrain sia da tempo alleato degli Stati Uniti ed ospiti la V Flotta americana e che il Regno Unito finanzi massicciamente il piccolo regno e addestri pubblici dipendenti.
Da quando fu repressa, con l’aiuto militare dell'Arabia Saudita, una rivolta della maggioranza sciita contro i governanti sunniti scoppiata nel 2011, il Governo di Bahrain ha processato molti leader e attivisti sciiti togliendo loro la cittadinanza.
Nel 2015 oltre alle condanne a morte di Abbas al Samea, Sami Mushaima e Ali al-Singace furono inflitte condanne all'ergastolo ad altri 7 uomini. Ad 8 dei 10 condannati fu tolta la cittadinanza del Bahrain. Amnesty International riporta che alcuni dei prigionieri hanno dichiarato che durante gli interrogatori non potevano incontrarsi con i loro familiari o con i loro avvocati ed erano sottoposti a violenze: elettroshock, pestaggi e bruciature di sigarette.
Le autorità del Bahrain negano di aver maltrattato i prigionieri.
Proteste sono scoppiate sabato 14 dopo che i congiunti sono stati convocati alla prigione di Jaw a sud della capitale Manama per ritirare gli effetti personali dei condannati - segno che le condanne stavano per essere eseguite. Le proteste sono continuate domenica 15 dopo che sono stati portati via i corpi dei tre giovani.
Le tre esecuzioni sono le prime dal 2010 in Bahrain e le prime di cittadini del Bahrain dal 1996.
Ora Amnesty teme per altri due uomini: Mohamed Ramadan e Hussain Ali Moosa. Costoro sono stati condannati a morte il 29 dicembre 2014 in seguito all'uccisione di un poliziotto avvenuta il 14 febbraio 2014. Anche nel loro caso, il procedimento giudiziario non ha rispettato gli standard internazionali del giusto processo, basandosi su 'confessioni' estorte, senza la possibilità di accedere ad una difesa legale. (Pupa)
11) IN IRAN IL 2017 È COMINCIATO CON UNA RAFFICA DI ESECUZIONI
Almeno 57 esecuzioni sono state portate a termine dal regime dei mullah tra il 1° e il 18 gennaio.
La presidente del Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran (1), Maryam Rajavi, si è appellata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ad altre autorità internazionali, perché considerino il dossier relativo ai crimini commessi dal regime iraniano dei mullah, con particolare riferimento alle ‘esecuzioni di massa’ che sono state compiute tra il 1° e il 18 gennaio 2017.
Almeno 57 persone, per la maggior parte giovanissimi, sono state infatti ‘giustiziate’ in Iran nei primi venti giorni del nuovo anno.
Di queste 57 persone, 20 sono state impiccate in un solo giorno, il 14 gennaio, in quattro carceri: la prigione di Gohardash, la prigione centrale di Karaj, la prigione Lakan di Rasht e la prigione Dizelabad di Kermanshah.
Quattro prigionieri sono stati messi a morte nella prigione Vakilabad di Mashhad il 17 gennaio. Un detenuto è stato impiccato in pubblico nella città di Miandoab e almeno 2 prigionieri sono stati uccisi nel carcere di Dastgerd di Isfahan il 16 gennaio.
Il 15 gennaio due ragazzi di 20 e 23 anni sono stati messi a morte nel carcere di Kerman: uno di questi aveva solo 16 anni quando fu arrestato.
Risulta inoltre che altri 3 condannati siano stati messi a morte il 12 gennaio e che un prigioniero 21-enne è stato impiccato l’11 gennaio.
Maryam Rajavi ha dichiarato: “I crimini del regime religioso fascista che governa l’Iran, incluso il massacro di 30.000 prigionieri politici nel 1988 (2), la tortura di prigionieri politici e le esecuzioni di massa portate a termine quotidianamente in Iran, sono esempi di crimini contro l’umanità e i responsabili di questi crimini devono essere portati davanti alla giustizia. Il silenzio e l’inazione della Comunità Internazionale nei confronti di tali crimini contro l’umanità hanno favorito il proseguimento delle esecuzioni e delle uccisioni di prigionieri nell’ultimo ventennio”. (Grazia)
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(1) Il National Council of Resistance of Iran è un attivo gruppo di opposizione con sede a Parigi.
(2) V. n. 231
12) LE STUDENTESSE NIGERIANE RAPITE ANCORA NELLE MANI DI BOKO HARAM
Amnesty International in un comunicato del 7 gennaio u. s. - di cui qui di seguito riportiamo ampi stralci - ricorda che in maggioranza le 276 studentesse di Chibok rapite dal gruppo armato nigeriano Boko haram ad aprile del 2014 (1) non sono state ancora liberate e che al loro rapimento si sono aggiunti almeno altri 41 casi di sequestri di massa compiuti da Boko haram.
"Mille giorni dopo il drammatico rapimento delle 276 studentesse di Chibok, Amnesty International ha sollecitato il governo nigeriano a raddoppiare gli sforzi per ottenere la liberazione di tutte le persone ancora nelle mani dei loro sequestratori.
"L'organizzazione per i diritti umani ha chiesto al gruppo armato Boko haram di porre fine alla sofferenza delle studentesse ancora nelle sue mani e di rilasciarle, insieme a tutti gli altri civili ancora sotto sequestro.
" 'Questa terribile ricorrenza è un raggelante ricordo non solo della tragica sparizione delle studentesse di Chibok, ma anche di tutte le altre persone - molte delle quali a loro volta adolescenti - che si trovano ancora nelle mani di Boko haram in varie zone della Nigeria. Questi sequestri e gli altri attacchi contro i civili, molti dei quali costituiscono crimini di guerra, devono finire', ha dichiarato Makmid Kamara, direttore ad interim di Amnesty International Nigeria.
"Sebbene il governo nigeriano stia compiendo notevoli sforzi per riprendere le 195 studentesse di Chibok ancora sequestrate da Boko haram, temiamo che le vittime di rapimenti di massa meno pubblicizzati non stiano ricevendo la stessa attenzione", ha proseguito Kamara.
"Amnesty International ha documentato almeno altri 41 casi di rapimenti di massa compiuti da Boko haram a partire dal 2014. Molti degli attacchi di cui si è reso responsabile il gruppo armato - tra cui uccisioni intenzionali di civili, stupri, attentati contro luoghi di preghiera, mercati e altre strutture civili e distruzioni di abitazioni - costituiscono crimini di guerra i cui autori dovrebbero essere portati di fronte alla giustizia e processati in modo equo, senza ricorrere alla pena di morte.
[...] Dal 2009 Boko haram porta avanti una violenta campagna contro la popolazione civile del nord-est della Nigeria, compiendo pressoché quotidianamente uccisioni, attentati, sequestri di persona, saccheggi e devastazioni di città e villaggi, attacchi e distruzioni di edifici pubblici quali scuole, moschee e uffici governativi. Boko haram tratta in modo brutale i civili intrappolati nelle aree sotto il suo controllo e ha causato l'interruzione della scuola, della sanità e di altri servizi. [...]
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(1) V. ad es. nn. 214, Notiziario; 217; 228 Notiziario. Delle ragazze di Chibok si è occupata anche Malala Yousafzai, la giovane premio Nobel per la pace pakistana, v. n. 217.
13) LEGGI 'ANTITERRORISMO': NEGARE I DIRITTI COL PRETESTO DI DIFENDERLI
Un rapporto di Amnesty International denuncia in maniera dettagliata le violazioni dei diritti umani compite con la leggi 'antiterrorismo' recentemente approvate e vigenti in 14 paesi europei.
Un Rapporto di 70 pagine pubblicato da Amnesty International il 17 gennaio (1), alla vigilia dell'adozione della direttiva dell'Unione Europea sul contrasto al terrorismo, dimostra in maniera esauriente che l'Europa sta scivolando verso "un profondo e pericoloso stato di permanente emergenza sicuritaria". Il rapporto compie una dettagliata analisi delle violazioni dei diritti umani compiute dalle misure anti-terrorismo adottate da 14 stati dell'Unione europea: Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Slovacchia, Spagna e Ungheria.
Il relativo Comunicato Stampa diffuso lo stesso giorno dice efficacemente che "una serie di leggi ed emendamenti approvati alla velocità della luce sta minacciando le libertà fondamentali e smantellando quella protezione dei diritti umani" che è stata "raggiunta con tanta fatica”.
"All'indomani di una scia di orrendi attacchi, da Parigi a Berlino, i governi hanno frettolosamente adottato leggi sproporzionate e discriminatorie", ha dichiarato John Dalhuisen, direttore per l'Europa di Amnesty International.
"Considerate singolarmente, queste misure anti-terrorismo sono già sufficientemente pericolose. Ma esaminate tutte insieme, compongono un quadro preoccupante in cui poteri incontrastati stanno compromettendo libertà che da lungo tempo erano date per garantite", ha proseguito Dalhuisen.
Nel Comunicato stampa di Amnesty International leggiamo fra l'altro:
"In diversi paesi sono state proposte o adottate misure anti-terrorismo che erodono lo stato di diritto, rafforzano il potere esecutivo, indeboliscono la supervisione giudiziaria, limitano la libertà d'espressione ed espongono potenzialmente chiunque a forme di sorveglianza governativa senza controllo. Il loro impatto sugli stranieri e sulle minoranze etniche e religiose è particolarmente forte.
La nuova normalità: leggi d'emergenza e misure di tipo emergenziale
Le modifiche costituzionali o le nuove leggi adottate renderanno più facile, in alcuni paesi, dichiarare formalmente lo stato d'emergenza o garantire poteri speciali ai servizi di sicurezza e d'intelligence, spesso con scarsa o nulla supervisione giudiziaria. [...]
Alcuni stati hanno applicato abusivamente le leggi anti-terrorismo per prendere di mira difensori dei diritti umani e attivisti politici. L'uso, nel 2015, delle leggi di emergenza da parte della polizia francese per porre agli arresti domiciliari alcuni ambientalisti alla vigilia della Conferenza di Parigi sul clima, ne è un evidente esempio.
Stati di sorveglianza
Molti paesi europei possono essere ormai qualificati come "stati di sorveglianza", a seguito dell'approvazione di leggi che consentono una sorveglianza indiscriminata e di massa da parte dei servizi di sicurezza e d'intelligence.
Poteri del genere, che rendono possibile le intercettazioni di massa e l'accesso ai dati di milioni di persone, sono stati introdotti o ampliati, tra gli altri, in Austria, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito e Ungheria.
Sono state massicciamente ampliate anche le misure incontrollate di sorveglianza mirata. La legge anti-terrorismo adottata dalla Polonia nel 2016 autorizza la sorveglianza segreta e senza supervisione giudiziaria per tre mesi di cittadini stranieri attraverso le intercettazioni telefoniche, il controllo delle comunicazioni elettroniche e delle reti e degli strumenti di telecomunicazione.
David Miranda, un cittadino brasiliano che collaborava all'inchiesta giornalistica sulle rivelazioni di Edward Snowden in materia di sorveglianza di massa, è stato fermato nel 2013 mentre era in transito in territorio britannico sulla base dei poteri anti-terrorismo; è stato tenuto agli arresti, perquisito e interrogato per nove ore per il sospetto di essere coinvolto in atti di "spionaggio" e di "terrorismo" e gli sono stati sequestrati il telefono cellulare, il computer, un hard drive esterno e altro materiale.
Gli "psicoreati"
In un'attualizzazione degli "psicoreati" descritti in "1984" di George Orwell, è possibile incriminare persone per azioni che hanno relazioni estremamente tenui con effettivi comportamenti criminali. Poiché le misure anti-terrorismo insistono sempre di più sul concetto di prevenzione, i governi destinano risorse alle attività "pre-criminali" e si basano sempre di più su ordinanze amministrative di controllo per limitare la libertà di movimento e altri diritti.
In tal modo, molte persone vengono poste sotto coprifuoco, sono colpite da divieti di viaggio o sorvegliate elettronicamente senza mai essere state incriminate o condannate per alcun reato. In molti casi gli indizi nei loro confronti sono tenuti segreti e le persone accusate di condotta "pre-criminale" non sono in grado di difendersi in modo adeguato.
Obiettivo: rifugiati e minoranze
Migranti e rifugiati, difensori dei diritti umani, attivisti e minoranze risultano particolarmente presi di mira dalle nuove leggi. Profilazioni spesso basate su stereotipi producono gravi abusi di legislazioni che già definiscono cosa è terrorismo in modo assai generico. [...]
Un effetto raggelante
La paura di essere considerati una minaccia alla sicurezza nazionale o "estremisti" ha sortito un effetto raggelante, restringendo lo spazio per la libertà d'espressione. In Spagna, due burattinai sono stati arrestati e accusati di "glorificazione del terrorismo" dopo uno spettacolo satirico in cui una marionetta mostrava uno striscione che è stato considerato una forma di sostegno a un gruppo armato.
In Francia, l'analogo reato di "apologia del terrorismo" è stato usato per incriminare centinaia di persone, minorenni compresi, per "reati" tra i quali aver postato commenti su Facebook che non incitavano alla violenza. Nel 2015 i tribunali hanno emesso 385 condanne per "apologia del terrorismo", un terzo delle quali nei confronti di minorenni. La definizione di cosa costituisca "apologia" è estremamente ampia.
In Spagna, un noto musicista è stato arrestato per una serie di tweet tra cui una battuta su un regalo di compleanno all'ex re Juan Carlos sotto forma di torta esplosiva.
Le misure discriminatorie hanno avuto un impatto sproporzionato e profondamente negativo sulle persone di religione islamica, sui cittadini stranieri o su persone percepite come musulmane o straniere. Nel contesto sicuritario nazionale, misure del genere sono sempre di più considerate "accettabili". "La minaccia del terrorismo è estremamente concreta e dev'essere affrontata con risolutezza. Ma il compito dei governi dovrebbe essere quello di far in modo che i cittadini possano esercitare i loro diritti in sicurezza, anziché di restringere i diritti delle persone in nome della sicurezza", ha sottolineato Dalhuisen.
"I governi degli stati membri dell'Unione europea stanno usando le misure anti-terrorismo per consolidare poteri draconiani, prendere di mira determinati gruppi in maniera discriminatoria e togliere diritti col pretesto di difenderli. Rischiamo di creare società in cui la libertà sarà l'eccezione e la paura sarà la regola", ha concluso Dalhuisen.
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(1) Al Rapporto, in inglese, si può accedere da: https://www.amnesty.it/negare-diritti-col-pretesto-difenderli-rapporto-sulle-orwelliane-leggi-anti-terrorismo-14-stati-dellunione-europea
14) È PASSATO UN ANNO DALLA SCOMPARSA AL CAIRO DI GIULIO REGENI
Un comunicato della Sezione Italiana di Amnesty International fa il bilancio della mobilitazione verificatasi in Italia il 25 gennaio, ad un anno dalla scomparsa al Cairo di Giulio Regeni, un giovane in gamba sulla cui vile uccisione il governo egiziano ed anche quello italiano non hanno ancora fatto un minimo di chiarezza. Riportiamo il comunicato di Amnesty che ha il titolo Migliaia di persone in 24 città italiane per ricordare Giulio Regeni nel primo anniversario della sua scomparsa al Cairo e per chiedere piena verità. Guardate qui la bella documentazione fotografica degli eventi fatta da Amnesty International: www.flickr.com/photos/amnestyitalia/sets/72157675898952404
Migliaia di persone, tra la manifestazione nazionale di Roma e le fiaccolate organizzate in 24 città da Amnesty International Italia, hanno voluto ricordare Giulio Regeni il 25 gennaio, primo anniversario della sparizione al Cairo del giovane ricercatore italiano.
Sono trascorsi, come recitava l’hashtag dell’iniziativa, “365 giorni senza Giulio” ma anche - come ha ricordato lo scrittore Erri De Luca intervenendo alla manifestazione nazionale all’Università La Sapienza di Roma - 365 giorni con Giulio.
In questi 12 mesi, l’Italia ha infatti adottato il ricordo del ragazzo onorandone passione civile e rigore morale e stringendosi intorno a Paola e a Claudio, i suoi genitori, intervenuti in collegamento telefonico nel corso della manifestazione nazionale per ringraziare chi per un anno è stato vicino e per invitare a continuare a chiedere la verità.
Numerosissime sono state le adesioni di organizzazioni della società civile, comuni, scuole, movimenti politici e sindacali.
Durante la manifestazione nazionale, i partecipanti - tra cui tanti studenti delle scuole superiori di Roma e del Lazio e diverse persone provenienti da varie parti d'Italia - hanno realizzato un “calendario umano”, alzando cartelli coi numeri da 1 a 365, per ricordare i giorni trascorsi dalla scomparsa di Giulio e dall’assenza di verità.
Alla fiaccolata di Roma delle 19.41 (l’ora esatta in cui, il 25 gennaio 2016, Giulio Regeni scomparve al Cairo) non ha voluto far mancare la sua solidarietà la presidente della Camera Laura Boldrini, presente insieme a molti deputati e senatori.
Prima della fiaccolata, una delegazione di Amnesty International Italia guidata dal presidente Antonio Marchesi e dal direttore generale Gianni Rufini ha incontrato il segretario generale della presidenza del Consiglio, Paolo Aquilanti, per consegnare 60.000 firme a sostegno della richiesta di verità per Giulio Regeni. Alla delegazione è stato assicurato l’impegno del governo italiano a portare avanti gli sforzi per ottenere la verità.
Una verità, ha ripetuto ieri Amnesty International Italia in tutte le piazze, che non sia parziale e di comodo e che accerti non solo ciò che finalmente è diventato innegabile, ossia il coinvolgimento di singoli funzionari dei servizi di sicurezza egiziani, ma anche la catena di comando di ordini e coperture che hanno provocato la terribile morte di Giulio, con i successivi depistaggi.
Una verità che Amnesty International Italia continuerà a cercare colorando di giallo, il “giallo Giulio”, le piazze italiane fino a quando sarà necessario.
Insieme a Erri De Luca, Amnesty International Italia ringrazia Arianna Mattioli, Maria Scorza, Lorenzo Lavia e Andrea Paolotti che, nel corso delle iniziative di Roma, hanno letto una serie di scritti di Giulio. Roma, 26 gennaio 2017
15) VOTATA PER LA SESTA VOLTA ALL'ONU LA RISOLUZIONE PER LA MORATORIA
Si è ripetuta, senza progressi rispetto alle volte precedenti, la votazione che invita tutti i paesi del mondo ad indire una moratoria delle esecuzioni in vista dell'abolizione della pena di morte.
Il 19 dicembre scorso l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione - passata nella sua Terza Commissione il 17 novembre - che invita tutti i paesi del mondo ad indire una moratoria (cioè una sospensione) dell'uso pena di morte come primo passo verso l'abolizione universale.
Si tratta della sesta volta che l'Assemblea Generale approva una risoluzione del genere. Ormai lo fa ogni due anni. La risoluzione non è sempre identica ma dovrebbe diventare sempre più precisa e stringente, pur senza perdere il consenso della grande maggioranza degli stati.
Quest'anno la risoluzione - proposta da 89 stati - è stata approvata con 117 stati a favore, 40 contro; 31 astenuti. I rappresentanti di 5 stati erano assenti.
Possiamo dire che il risultato numerico di quest'anno è grosso modo uguale a quello avutosi nelle votazioni precedenti. (1)
La Guinea e il Nauru hanno votato a favore della moratoria dopo aver abolito la pena capitale, e allo stesso modo si sono espressi la Mongolia, la Repubblica delle Figi e lo Swaziland. Mentre Zimbabwe e Sri Lanka sono rispettivamente passati dal voto contrario e dall’astensione all’essere favorevoli alla proposta. Ma non sono mancati cambi di posizione negativi: le Filippine, il Niger, le Seychelles e la Guinea Equatoriale si sono astenuti. Burundi e Sudan del Sud hanno espresso invece voto contrario. Tutti questi stati nelle precedenti votazioni erano favorevoli.
E' un dato complessivo negativo il fatto che nel biennio 2014-2016 il numero di stati contrari alla moratoria sia passato da 37 a 40.
Un fatto particolarmente negativo è il passaggio di un emendamento della risoluzione, presentato da Singapore nella Terza Commissione, in cui “si riafferma il diritto sovrano di tutti gli stati a sviluppare i propri sistemi legali, compresa la determinazione di appropriate sanzioni penali, nel rispetto dei loro obblighi derivanti dal diritto internazionale”. Come dire 'il problema della pena di morte non attiene i diritti umani di tutti gli esseri umani ma l'abolizione deriva, al massimo, da particolari accordi stabiliti liberamente tra gli stati'.
C'è chi dubita dell'utilità per la causa abolizionista del ripetersi della votazione per moratoria, un'operazione che ha assunto ormai un carattere rituale.
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(1) V. nn. 219, 2012.
16) I COSTI DELLA MORTE di Rebecca Edwards (*)
La pena di morte ha alti costi, oltre che a livello morale, anche da un punto di vista finanziario.
La pena capitale è giunta in America insieme ai primi colonizzatori europei del Nuovo Mondo.
La prima esecuzione che si ricordi è stata quella del capitano George Kendall nella colonia di Jamestown in Virginia nel 1608.
La pena capitale ha subìto molti cambiamenti nel tempo: l’impiccagione e il rogo sono stati abbandonati e sostituiti da modi più umani di uccidere, come l’iniezione letale. [...]
La pena capitale è di solito prevista nei seguenti casi: omicidio di primo grado, tradimento e omicidio aggravato. Negli Stati Uniti 31 stati hanno la pena di morte e il 1° gennaio del 2016 vi erano 2.943 prigionieri nei bracci della morte.
Si dice spesso che la pena di morte sia un deterrente contro il crimine e che fa giustizia per le vittime. Si suppone che i criminali prima di commettere un crimine ci pensino due volte se tra le punizioni è inclusa la pena di morte. Per molti familiari delle vittime del crimine l’esecuzione può determinare la chiusura del dolore, ma molte altre famiglie restano sconvolte quando sono testimoni dell’uccisione del reo, provano un senso di vuoto e non una sensazione di giustizia che pensavano di ricevere.
La pena di morte è ritenuta da molti più economica e più umana rispetto a un ergastolo, ma lo è veramente? Un condannato trascorre in media 178 mesi nel braccio della morte dopo la sentenza, mentre si susseguono i numerosi appelli prima dell'esecuzione. Un quarto delle morti dei condannati è dovuta a cause naturali. I processi che non prevedono la pena capitale costano circa 740.000 dollari, mentre quelli in cui è prevista la pena di morte costano da 1 milione a 1,6 milioni, a seconda degli stati. Ogni detenuto nel braccio della morte costa al contribuente 90.000 dollari in più all’anno rispetto a un normale carcerato.
Vi sono alternative alla pena capitale che non solo costano meno ma che impediscono ai criminali di circolare liberamente lungo l’intero arco della loro vita. In media i contribuenti pagano costi di esecuzione che sono doppi rispetto ai costi del carcere a vita. Il professor Gross, che insegna economia all’Università Creighton di Omaha in Nebraska, ha valutato che la pena capitale costa agli stati che la prevedono circa 23.2 milioni in più delle pene alternative. L’ergastolo garantisce che il detenuto non torni libero con la possibilità di commettere nuovi crimini. Non comportando numerosi appelli risulta meno costoso della pena capitale.
Il sostegno alla pena capitale sta vacillando. Nel 1936, il 61% degli Americani era favorevole alla pena di morte, trenta anni più tardi il sostegno era sceso al 42%. Tra gli anni ‘70 e ‘80 la percentuale degli Americani favorevoli alla pena di morte è aumentata costantemente, culminando nel 1994 con un 80% di favorevoli. Nel 2015 il 61% degli Americani continua a sostenere la pena capitale sebbene sia stata eliminata in 19 stati. Credo che il sostegno vada diminuendo perché i casi capitali vanno spesso sui giornali e ne deriva una pressione a chiudere velocemente i casi, mentre i processi che prevedono la pena capitale non si sono mai chiusi velocemente. Molti Americani non ritengono che siamo una nazione che sostiene un approccio del tipo “occhio per occhio” e quando altri paesi usano questo criterio li consideriamo come barbari. Un esempio potrebbe essere quello del taglio della mano per furto: noi non facciamo ciò in America, ma quando vediamo che altri paesi lo fanno, ne siamo terrorizzati.
Anche se la pena di morte può sembrare giusta in un primo momento, se cominciamo a scavare un po' ci accorgiamo che è orribile. Non solo costa al contribuente migliaia di dollari in più ogni anno, ma non è neanche un deterrente per il crimine né dà alle famiglie delle vittime la sensazione che giustizia sia stata fatta. È dunque la morte la soluzione migliore?
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(*) Nostra libera traduzione dall'inglese dell'articolo scritto da Rebecca Edwards studentessa dall'University of Central Arkansas e rivisto dal professore di macroeconomia Joe McGarrity. L'articolo è stato pubblicato il 4 gennaio u. s. dal Log Cabin Democrat
17) L’EUROPA E L’ITALIA CHIUDONO LA PORTA AI MIGRANTI LIBICI
La grave presa di posizione dell'Europa nei riguardi dei migranti disperati che tentano di raggiungere le nostre coste è stata auspicata e realizzata con la partecipazione del governo Gentiloni
Il 2 febbraio Amnesty International – alla vigilia di un vertice europeo che si sarebbe tenuto nell’isola di Malta - ha emesso un comunicato in cui si paventava la chiusura della via di fuga attraverso in Mediterraneo dei migranti in partenza dalla Libia, in cui si legge fra l’altro:
“La chiusura delle frontiere marittime meridionali dell'Unione europea metterebbe migliaia di rifugiati e migranti che salpano dalla Libia a rischio di detenzione e di spaventose violazioni dei diritti umani, ha ammonito Amnesty International alla vigilia del vertice europeo in programma a Malta venerdì 3 febbraio per discutere un piano Ue-Libia sulla migrazione. Il piano era stato inizialmente proposto alla fine di gennaio dalla Commissione europea per “gestire la migrazione” sulla rotta del Mediterraneo centrale. […]
"La proposta di ritirare le operazioni navali europee dalle attività di ricerca e soccorso per incoraggiare - e, indirettamente, finanziare - la guardia costiera libica a occuparsene per tappare il divario, è un piano sottilmente velato per impedire a rifugiati e migranti di raggiungere l'Europa. Intrappolerà decine di migliaia di persone in un paese devastato dal conflitto e li esporrà al rischio di tortura e sfruttamento. Questo piano è solo l'ultimo indicatore […] della volontà dei leader europei di voltare le spalle ai rifugiati" ha dichiarato Iverna McGowan, direttrice dell'ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee. […]
"È francamente sconcertante, data la gravità della situazione in Libia e la profondità della sofferenza umana sopportata lì da rifugiati e migranti, che una tale proposta sia ancora in discussione. La mancanza di dettagli concreti sul reinsediamento o sulle garanzie per i migranti e i rifugiati intrappolati in un paese sostanzialmente senza legge tradisce le intenzioni meschine alla base di questa proposta cinica'' ha aggiunto Iverna McGowan.
Il giorno seguente, soprattutto per iniziativa del Governo italiano, avviene a Malta quanto temuto da Amnesty International: l’Italia ottiene il sostegno dell’Europa all’accordo con la Libia per fermare il flusso dei migranti.”
Congratulandosi per l’intesa sottoscritta a Palazzo Chigi da Gentiloni e dal collega libico Fayez al Sarraj, l’Europa ha dato luce verde alle proposte di azione preparate da Federica Mogherini e dalla UE per ridurre gli arrivi dal Paese africano. “C’è una via europea alla gestione dei flussi migratori: attraverso la cooperazione con i paesi di transito e di origine dei flussi, il rispetto dei diritti umani, il sostegno al Commissariato Onu per i rifugiati e all’Organizzazione internazionale per la migrazione, la lotta alle organizzazioni criminali che si arricchiscono sulla pelle dei nuovi schiavi”, ha detto la Mogherini.
I ‘brillanti’ accordi ai danni dei più deboli sono stati stigmatizzati, oltre che da Amnesty, anche da Human Rights Watch (“la ‘linea di protezione’ europea potrebbe trasformarsi in una linea di crudeltà”), da Medecins Sans Frontieres (“approccio inumano”, la “linea di protezione è solo un muro con un altro nome”) e della Caritas Italiana, che considera quello tra Italia e Libia un accordo fatto “contro i più deboli” ed “un’operazione a perdere per tutti”.
18) NOTIZIARIO
California. Prima di Fernando muore un altro detenuto nel braccio della morte. James David Majors, di 69 anni, era detenuto nel penitenziario di San Quentin dal 1991, condannato a morte per aver ucciso tre persone nel 1989 durante una rapina compiuta dopo essere arrivato in California dall’Arizona per acquistare metanfetamina. Il 26 gennaio il Dipartimento carcerario della California ha reso noto che Majors era stato ricoverato in un vicino ospedale morendo poco dopo. Il luttuoso avvenimento ha preceduto di 2 giorni il decesso di Fernando Eros Caro nel medesimo carcere di San Quentin.
Georgia. Vescovi contro l’inflizione della pena capitale all’assassino di un sacerdote. Tre vescovi si sono incontrati il 31 dicembre a Augusta in Georgia con Hank Sims, facente funzione di Procuratore Distrettuale. I vescovi hanno esortato l’accusa a recedere dal proposito di perseguire la pena di morte per Steven James Murray che uccise il reverendo Rene Robert il 14 aprile 2016. Durante una conferenza stampa prima dell’incontro, i vescovi hanno dichiarato che Robert ha lasciato una “Dichiarazione per la Vita”, firmata e autenticata. In essa Robert ha scritto che se avesse dovuto subire una morte violenta non voleva che la persona responsabile fosse giustiziata. Da notare che il 71-enne Rene Robert frequentava Murray, un delinquente, per cercare di portarlo sulla buona strada. Il gesto del pastore cattolico Rene Robert ci ricorda la vicenda del pastore protestante floridiano Billy Bosler di sua figlia SueZan (v. n. 218).
Usa. Obama grazia Manning. Bradley Manning, il soldato statunitense chiamato Chelsea Manning dopo il suo cambiamento di sesso avvenuto in carcere, condannato a 35 anni di prigione per violazione di segreti militari, sarebbe dovuto uscire di prigione nel 2045. Barack Obama, con uno degli atti finali della sua presidenza, gli ha condonato gran parte della pena: l’ex analista dei servizi di sicurezza militari potrà lasciare il carcere di Fort Leavenworth in Kansas, il prossimo 17 maggio. Amnesty International ha espresso soddisfazione per il gesto compiuto dal presidente degli Stati Uniti tre giorni prima della fine del proprio mandato: “Chelsea Manning ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani e per tutta risposta sono stati i suoi diritti a essere violati per anni da parte del governo degli Usa”, ha dichiarato Margaret Huang, direttrice generale di Amnesty International. “Il presidente Obama ha fatto bene a commutare la condanna, anche se avrebbe dovuto farlo già da tempo. È incomprensibile che Manning sia rimasta anni a languire in prigione mentre i presunti autori delle violazioni dei diritti umani da lei rivelate non sono stati ancora incriminati”, ha sottolineato Huang. “Invece di punire chi diffonde i messaggi, il governo Usa potrebbe inviare un forte segnale al mondo impegnandosi a indagare sul serio sulle violazioni dei diritti umani rese pubbliche e processando i presunti responsabili”, ha aggiunto Huang. Manning è stato tenuto in detenzione preventiva per 11 mesi, detenzione preventiva che il relatore speciale Onu sulla tortura ha equiparato ad un trattamento crudele, inumano e degradante. Mentre stava scontando la pena ha tentato il suicidio e per questo è stato punito con l’isolamento. Infine – sottolinea Amnesty -gli sono state negate cure importanti ed appropriate relative alla transizione di genere che aveva intrapreso all’indomani della condanna.
Usa. Decisione agghiacciante del presidente Donald Trump contro i rifugiati. Una settimana dopo il suo insediamento, il nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha preso una decisione di vasta portata gravemente lesiva dei diritti umani: con un ordine esecutivo della durata di 90 giorni ha vietato l'ingresso negli USA a tutti coloro che provengono da 7 paesi a maggioranza musulmana (per lo più ridotti alla fame e dilaniati da eventi bellici): Siria, Libia, Iraq, Iran, Yemen, Somalia e Sudan. "Una decisione agghiacciante che potrebbe avere conseguenze catastrofiche". Così Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International, ha commentato l'ordine esecutivo del presidente Trump in un comunicato del 28 gennaio. "Gli uomini, le donne e i bambini contro i quali è rivolto questo decreto sono vittime dello stesso terrore che il presidente Trump dichiara di voler combattere. Da non credersi, tanto più se si pensa che gli Usa hanno direttamente contribuito all'instabilità che spinge in molti paesi la gente a fuggire", ha sottolineato. "Alcuni dei peggiori scenari che temevamo rispetto all'amministrazione Trump si sono già realizzati. Con un tratto di penna, il presidente ha trasformato in atti la sua odiosa retorica pre-elettorale, in questo caso selezionando le persone unicamente in base alla loro religione", ha proseguito Shetty. "Negare protezione a chi ne ha bisogno non è la risposta alla peggiore crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale. Invece di chiudere le porte in faccia a coloro che non hanno altra scelta se non fuggire dalle loro case, l'amministrazione Trump dovrebbe ricordarsi che proprio gli Usa sono un paese costruito in larga parte da migranti e rifugiati". L'ordine di Trump è stato fortemente criticato, contestato ed ostacolato dall'interno degli USA. É stato subito tacciato di illegalità dall'Acting Attorney General (Ministra della Giustizia pro tempore) Sally Yates con un atto coraggioso che ha provocato il suo immediato licenziamento da parte di Trump.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 3 febbraio 2017