FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 256 - Febbraio 2019
Domineque Hakim Marcelle Ray
SOMMARIO:
1) In Alabama negata la presenza di un imam durante l'esecuzione di Ray
2) Violenta bagarre durante l’esecuzione di Bill Coble in Texas
3) La pena di morte è cosa buona in quanto scelta da Gesù per salvarci?
4) I test del DNA non apportano novità nel caso di Larry Swearingen
5) Al minimo il favore per la pena di morte in North Carolina
6) Numero record di condanne a morte in India nel 2018
7) Sirisena deciso a interrompere la moratoria di 43 anni in Sri Lanka
8) Due pedofili giustiziati in pubblico nello Yeman
9) Dichiarazione finale del 7° Congresso Mondiale Contro la Pena di Morte
10) Notiziario: Florida, Russia, South Carolina, USA
1) IN ALABAMA NEGATA LA PRESENZA DI UN IMAM DURANTE L'ESECUZIONE DI RAY
La battaglia legale di un condannato a morte musulmano che voleva avere accanto a sé un imam durante l’esecuzione è stata interrotta dall’urgenza di eseguire la sentenza di morte nel giorno stabilito.
Il 42-enne Domineque Hakim Marcelle Ray - condannato a morte nel 1999 per aver stuprato e ucciso una quindicenne nel 1995 (1) - ha subìto l'iniezione letale in Alabama il 7 febbraio scorso.
Inutilmente i legali di Ray avevano fatto presenti le terribili condizioni in cui crebbe il condannato che passò da un ambiente degradato all’altro a partire dai 3 anni di età: da Selma in Alabama, a Chicago, a New York, a Philadelphia, in Virginia e in South Carolina. Lasciato in uno stabile abbandonato di Chicago fu assistito per un carto tempo dallo stato, poi fu di nuovo abbandonato a sé stesso. Fu abusato sessualmente dai familiari della sua matrigna. Sua madre lo indusse a fare sesso con i propri amici. Non riuscì ad ottenere un minimo titolo di studio. Gli furono diagnosticate gravi patologie mentali: personalità schizoide, asocialità, paranoia
Le ultime schermaglie legali non hanno riguardato la storia del condannato ma le circostanze in cui doveva essere messo a morte. In genere gli stati USA prevedono la presenza del cappellano del carcere (di fede cristiana, di solito protestante) all’interno della stanza in cui il condannato viene ucciso. Ray, musulmano a partire dal 2006, aveva chiesto invano - nelle settimane precedenti - di avere accanto un imam durante la sua esecuzione.
Oltre al cappellano, assistenti spirituali privati possono far compagnia al condannato fino a poche ore prima della sua morte e poi presenziare all’esecuzione stando nella stanza dei testimoni, separata da un vetro dalla stanza in cui si trova il morituro. Sappiamo che questo accade ad esempio in Florida, dove il nostro amico Dale Recinella - cappellano laico cattolico - ha assistito molte volte all’iniezione letale dei condannati da lui seguiti, restando seduto in prima fila nella stanza dei testimoni, per avere un contatto visivo con l’uomo legato al lettino, permettendogli così di vedere un volto amico mentre sta morendo.
Ray ha rifiutato il cappellano cristiano nella stanza dell’esecuzione, e in gennaio ha chiesto di avere un imam presente, sostenendo che la sua assenza nella camera della morte avrebbe violato i suoi diritti religiosi. Poiché tale richiesta era pervenuta in ritardo, per acconsentire in qualche modo alla domanda del condannato sarebbe stato necessario rinviare l’esecuzione. Un giudice federale il 1° febbraio ha negato il rinvio, dichiarando: “Lo stato non ha mai concesso ad un assistente spirituale privato di stare all’interno della camera della morte durante l’esecuzione, indipendentemente dal credo religioso”. Ray chiese allora che almeno non fosse presente nella stanza un cappellano cristiano. Il dipartimento penale dell’Alabama avrebbe acconsentito alla seconda richiesta, ma questo sollevò un’ulteriore questione, perché il cappellano del carcere è anche un membro ufficiale della squadra di esecuzione, addestrato a intervenire se qualcosa non va come previsto.
A quel punto il condannato chiese o di commutare la sua condanna in ergastolo o di essere ucciso con l’inalazione di gas anziché con l’iniezione letale.
Anche questa richiesta di Ray è stata però respinta, in quanto egli avrebbe dovuto presentarla entro il primo luglio dello scorso anno. Secondo la corte, lui e i suoi legali hanno aspettato troppo per avanzare la domanda che a quel punto appariva essere solo un tentativo di rinviare l’esecuzione.
Il 6 febbraio, alla vigilia dell’esecuzione, una speranza fu data a Domineque Ray da un ordine di sospensione, emesso dalla Corte federale d’Appello dell’Undicesimo Circuito.
La speranza è stata di breve durata, però, perché la mattina dopo la Corte Suprema degli Stati Uniti, in una decisione presa a stretta maggioranza (5 a 4), ha annullato l’ordine di sospensione, senza citare la questione religiosa. La giudice Elena Kagan, una dei 4 giudici dissenzienti, ha scritto che la decisione di permettere l’esecuzione è stata “profondamente ingiusta”.
E così Domineque Hakim Marcelle Ray è stato ucciso con un’iniezione letale, la sera del 7 febbraio, mentre il suo assistente spirituale islamico presenziava all’esecuzione, ma dalla stanza dei testimoni. Nelle ore precedenti, Ray aveva letto con lui il Corano e recitato le preghiere previste dal suo credo.
Questo episodio ha comunque sollevato una questione molto delicata e scottante, specie in un momento in cui il presidente Trump sta dimostrando una forte intolleranza nei confronti dei musulmani, emanando disposizioni apertamente anti-islamiche. Il noto avvocato Amir Ali, docente di giurisprudenza a Harvard, ha detto che in pratica l’attuale decisione ha violato proprio ciò che la Corte Suprema ha affermato in passato riguardo alla parità di diritti religiosi: una religione non può essere ufficialmente preferita ad un’altra. Quando un governo favorisce una fede rispetto alle altre, si intromette in questioni di coscienza e autonomia religiosa, alimenta la divisione e l’animosità, e calpesta l’impegno riguardo all’eguaglianza tra i credi. Amir Ali ha dichiarato: “Pensate alla situazione opposta: un uomo di fede cristiana a cui venga detto che, nei suoi ultimi attimi di vita, potrà essere assistito solo da un imam.” (Grazia)
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(1) È pressoché certo che Ray commise anche due omicidi l’anno prima, quando uccise i fratelli Ernest Mabins di 18 anni e Reinhard Mabins di 13.
2) VIOLENTA BAGARRE DURANTE L’ESECUZIONE DI BILL COBLE IN TEXAS
Il 28 febbraio durante l’esecuzione di Billie Wayne Coble – una vecchia conoscenza del Comitato Paul Rougeau - il figlio Gordon e il nipote Dalton hanno dato in escandescenze e sono stati arrestati.
Inutili i tentativi del suo valoroso avvocato californiano A. Richard Ellis di ottenere clemenza in ragione dell'ineccepibile comportamento tenuto in carcere: alle 18:20' del 28 febbraio è stata somministrata in Texas l'iniezione letale a Billie Wayne Coble, un condannato seguito da anni da Stefania Silva, socia del Comitato Paul Rougeau (1)
Coble aveva appena fatto la sua brevissima dichiarazione finale: "Sarò ricordato come '5 dollari' [un suo soprannome?]. Vi voglio bene. Vi voglio bene e vi voglio bene."
Fino a quel punto tutto è andato come programmato sin dal 17 ottobre scorso.
Dopo di ciò si è scatenata una violenta bagarre nella stanza dei testimoni. Il figlio del morituro, Gordon Coble, ha cominciato a picchiare furiosamente contro la vetrata che lo divideva dal padre, urlando "Nooo".
A Gordon si è unito suo figlio Dalton. Al ché i due uomini e un altro parente sono stati arrestati seduta stante e portati fuori a forza dalle guardie.
È così finita una drammatica storia cominciata 30 anni fa, nell'estate del 1989, quando Bill andò fuori di testa uccidendo i suoceri e il cognato.
Le cronache precisano che Bill Coble aveva compiuto 70 anni ed è stato il più anziano condannato ad essere messo a morte in Texas dopo la ripresa delle esecuzioni avvenuta nel 1982. Ricordano anche che andò volontario a combattere in Vietnam a 16 anni di età (falsificando i documenti per poter partire), e che rimase traumatizzato dall’esperienza fatta sul campo di battaglia.
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(1) Vedi nel n. 253 l'ultimo articolo di Stefania Silva su Bill Coble; tale numero si può trovare nel nostro sito: https://www.comitatopaulrougeau.org/10-2018 Altri articoli su di lui o scritti da lui si possono leggere nei nn. 141, 149, 150, 152, 163.
Lynn Hutchings, senatrice del Wyoming che ha votato per la pena di morte
3) LA PENA DI MORTE È COSA BUONA IN QUANTO SCELTA DA GESÙ PER SALVARCI?
Il 14 febbraio nel Wyoming è fallita per poco l’iniziativa per l’abolizione della pena di morte. Stupefacente la dichiarazione di una senatrice che ha votato per il mantenimento della pena capitale.
Il Wyoming è uno dei 31 stati USA in cui la pena di morte è ancora prevista dalla legge ma in esso non si sono più verificate esecuzioni dopo il 1992 e il suo braccio della morte è vuoto dal 2014, anno in cui fu annullata la condanna capitale inflitta a Dale Wayne Eaton. Nonostante ciò, il 14 febbraio la proposta di legge che avrebbe mandato in pensione il boia nello stato è stata respinta dal Senato con 18 voti contro 12, pur essendo passata agevolmente alla Camera il 1° febbraio (36 voti favorevoli e 21 contrari) ed essendo stata approvata il 13 febbraio dal Comitato ristretto del Senato con 4 voti favorevoli su 4.
Il Repubblicano Tyler Lindholm ha ben sintetizzato le argomentazioni dei parlamentari abolizionisti dichiarando: “Ogni dollaro che spendiamo per mantenere la pena di morte in un sistema guasto, viene sottratto ai programmi che davvero preverrebbero il crimine, ci renderebbero più sicuri e darebbero sollievo ai familiari delle vittime”. In effetti, pur non avendo né condannati a morte né esecuzioni in vista, lo stato del Wyoming accantona ogni anno quasi un milione di dollari dei fondi pubblici per finanziare gli avvocati difensori di eventuali imputati di reato capitale.
Le motivazioni addotte dalla maggioranza che ha respinto la proposta sono state più o meno le solite, come ad esempio il fatto che la pena di morte può dare una “chiusura” al dolore dei familiari delle vittime del crimine.
Tutte le motivazioni sono state le solite, tranne una.
La senatrice nera Lynn Hutchings, ha detto che senza la pena di morte, Gesù Cristo non avrebbe potuto morire per assolvere i peccati dell’umanità, e che pertanto la pena di morte deve essere tenuta in vigore. Questa signora ha dichiarato: “L’uomo più grande che l’umanità abbia mai avuto è morto grazie alla pena di morte per voi e per me. Gli sono grata per averci dato speranza con ciò. I governi sono stati istituiti per amministrare la giustizia. Se Gesù non fosse morto con la pena di morte, saremmo senza speranza.” Davvero incredibile! Forse non sarebbe neppure il caso di commentare una simile affermazione, che anche dal punto di vista di un fondamentalista cristiano trasuda illogicità. Nel Vangelo, le persone che vollero la morte di Gesù furono spinte dalla gelosia per il potere, non certo dalla giustizia. Sapevano che Gesù non aveva commesso alcun crimine, ma volevano vederlo morto per mantenere il loro potere. Paragonare la morte di Gesù all’applicazione attuale della pena di morte non ha davvero alcun senso. Dovremmo allora auspicare di condannare a morte altri innocenti che riscattino i nostri peccati? Se c’era invece un uomo che si oppose fermamente alla pena di morte fu proprio Gesù, che invitò tutti al perdono. (Grazia)
4) I TEST DEL DNA NON APPORTANO NOVITÀ NEL CASO DI LARRY SWEARINGEN
Il 5 febbraio sono stati resi noti i risultati dei test del DNA sui reperti riguardanti il crimine per il quale Larry Swearingen fu condannato a morte in Texas nel 1999. I test furono autorizzati oltre un anno fa.
Larry Swearingen, amico e corrispondente del Comitato, ora 47-enne, nel 1999 fu accusato di aver ucciso Melissa Trotter, una studentessa universitaria di 19 anni (1). Ricordiamo brevemente gli eventi: l’8 dicembre 1998 la Trotter fu vista viva, per l’ultima volta, insieme a Larry Swearingen nella biblioteca del college da lei frequentato. Poco dopo un insegnante la vide andare via con un uomo (non meglio identificato). Nell’auto di Larry furono trovati suoi capelli e fibre di tessuto, che dimostrano che la ragazza viaggiò in quell'auto prima di sparire. 25 giorni dopo questi fatti il corpo di Melissa, in fase di parziale decomposizione, fu trovato in un bosco da alcuni cacciatori. La ragazza era stata strangolata con una metà del suo collant.
La polizia scientifica raccolse molto materiale. Nessun reperto collegò Larry alla scena del crimine, però egli fu condannato a morte sulla base di quella che l’accusa definì “una montagna” di indizi. La difesa sostenne l’innocenza di Larry, soprattutto basandosi su prove scientifiche che dimostravano come la morte di Melissa fosse avvenuta molto dopo la sua sparizione, quando Larry, arrestato per un reato stradale, si trovava già in carcere. Dall’epoca della sua condanna a morte Larry ha avuto almeno 5 date di esecuzione fissate e poi annullate per svariate ragioni.
Nel 2017 l’accusa e la difesa si accordarono finalmente per l'effettuazione di test del DNA su vari reperti relativi al crimine: il pezzo di collant trovato intorno al collo della vittima, alcuni capelli biondi impigliati nel collant stesso, che non appartenevano a Melissa, alcuni mozziconi di sigaretta rivenuti nei dintorni del luogo di ritrovamento della vittima e un altro pezzo di collant trovato vicino alla roulotte in cui viveva Larry.
I test sono stati eseguiti e il 5 febbraio ne sono stati resi noti i risultati: sul collant utilizzato per strangolare Melissa non c’è traccia di DNA maschile, i capelli biondi non sono di Melissa ma non presentano tracce di DNA sufficienti ad un’analisi, i mozziconi di sigaretta sono tutti dei cacciatori che scoprirono il cadavere, e sul pezzo di collant rinvenuto vicino alla roulotte di Larry ci sono tracce di DNA di Larry ma nessuna traccia di DNA di Melissa.
Bryce Benjet, uno degli avvocati difensori dell’Innocence Project, ha dichiarato: “Purtroppo il test non ha spostato la palla in alcuna direzione, ma almeno è stato utile a dimostrare che abbiamo davvero controllato tutto e che nessuna prova indica che Larry Swearingen sia colpevole”.
Larry ha esaurito i suoi appelli ma i suoi indomiti avvocati già pensano ad ulteriori azioni per salvarlo dal boia texano. (Grazia)
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(1) V. nn.: 165; 166; 168; 169; 174; 177; 183; 190; 191; 195, Notiziario; 196; 199; 202; 203; 204, Notiziario; 209, Notiziario; 212; 214; 215; 224; 225; 231, Notiziario; 232; 235; 240; 242.
5) AL MINIMO IL FAVORE PER LE PENA DI MORTE IN NORTH CAROLINA
Nello stato della Carolina del Nord l’opinione pubblica è cosciente dell’ingiustizia con cui viene amministrata la pena di morte e la maggioranza degli elettori è favorevole all’abolizione.
Un approfondito sondaggio portato a termine in North Carolina all'inizio di febbraio dall'agenzia Public Policy Polling su 501 soggetti ha rilevato un forte calo del favore per la pena di morte in quello stato.
"Sono rimasto sbalordito quando ho visto i risultati del sondaggio", ha detto David Weiss, avvocato difensore specializzato nei casi capitali del Centre for Death Penalty Litigation di Durham. “Il 70% delle persone ritiene che una persona innocente sia stata giustiziata nel North Carolina. Quasi il 60% crede che il pregiudizio razziale colpisca chi è condannato a morte nel nostro stato. Stanti queste preoccupazioni, è inconcepibile che la Carolina del Nord possa giustiziare qualcuno e continuare a condannare a morte le persone".
Il sondaggio ha rilevato che gli elettori hanno preoccupazioni circa l'equità della pena di morte su diversi fronti: oltre il 70% di essi ha affermato che gli imputati dovrebbero avere il diritto di presentare prove sulla discriminazione razziale nei processi capitali e nella selezione delle giurie.
Il 70% crede probabile che una persona innocente sia stata giustiziata nella Carolina del Nord.
Il 68% ritiene necessaria l'approvazione di una nuova legge che impedisca di infliggere la pena di morte alle persone con gravi malattie mentali.
Il 61% afferma di ritenere che i tribunali dovrebbero riesaminare i casi dei prigionieri che sono stati condannati alla pena capitale anteriormente all'approvazione delle recenti riforme tendenti a garantire processi più equi e a garantire i diritti degli imputati (più di 3/4 dei prigionieri del braccio della morte della North Carolina sono stati condannati prima di tali riforme).
Il 57% afferma che è probabile che i pregiudizi razziali influiscano sulle condanne a morte (1).
Il sondaggio ha anche mostrato che gli elettori sono disposti a considerare alternative alla pena di morte. Quando è stato chiesto di scegliere tra la pena di morte e l'ergastolo senza possibilità di liberazione, oltre il 50% degli elettori ha dichiarato di favorire l'ergastolo, mentre solo il 44% si è espresso per la pena di morte (il 4% non si è espresso in merito).
Quando si è prospettata una gamma più ampia di alternative, compresa quella che i criminali possano lavorare per indennizzare le famiglie delle vittime, solo il 25% degli intervistati ha optato per la pena di morte.
Il 58% ha dichiarato che preferirebbe eliminare la pena di morte se i milioni di dollari spesi ogni anno per mantenerla in vigore fossero utilizzati per le indagini tese a individuare i colpevoli di stupri e omicidi irrisolti.
Il 59% ha affermato che sosterrebbe una decisione del governatore Roy Cooper di indagare sull'ingiustizia nella pena di morte e, se necessario, sostituirla con l'ergastolo.
Il 57% ha affermato che approverebbe una decisione degli accusatori del proprio distretto di non perseguire la pena capitale perché preoccupati dell’ingiustizia delle condanne errate e dai costi dell'attuale sistema giudiziario.
"Il sistema di pena capitale ha così tanti problemi che il pubblico ha perso fiducia in esso", ha detto l'avvocato David Weiss. "E dopo 12 anni senza esecuzioni, i cittadini hanno visto che possiamo mantenere la sicurezza pubblica senza la pena di morte. Quando c'è questo livello di sfiducia nel sistema, non possiamo più avere la pena di morte in North Carolina ". (Pupa)
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(1) Da notare: in North Carolina il 53% dei 144 condannati a morte sono neri anche se i neri rappresentano solo al 22% della popolazione. Il 22% dei neri che hanno ucciso bianchi sono stati condannati a morte, mentre solo il 3% dei bianchi che hanno ucciso neri lo sono stati.
6) NUMERO RECORD DI CONDANNE A MORTE IN INDIA NEL 2018
In India negli ultimi anni il numero delle condanne a morte ha avuto un preoccupante incremento. Nel contempo le corti di giustizia hanno commutato un gran numero di sentenze capitali.
Nel 2018 sono state pronunciate in India 162 condanne a morte, il numero più alto nel nuovo millennio. Le condanne a morte erano diminuite nel 2014 e poi hanno cominciato a crescere fino a raggiungere il massimo nel 2018. (1)
Il 31 dicembre 2018 in India c'erano 426 condannati a morte, il 31 dicembre 2017 ce ne erano 371.
Ciò anche se si è avuto un gran numero di commutazioni di sentenze capitali: la Corte Suprema ha commutato in ergastolo 11 su 12 condanne di cui si è occupata. Inoltre le Alte Corti hanno commutato più della metà delle 114 sentenze capitali che hanno esaminato.
Di positivo c'è stato anche l'invito del giudice dalla Corte Suprema Kurian Joseph a porsi il problema della liceità della pena di morte in sé e per sé.
Il maggior numero di sentenze capitali emesse tra il 2015 e il 2018 hanno riguardato casi di violenze sessuali con l'omicidio delle vittime.
Nel 2018 vi è stata un'espansione delle fattispecie di reato punibili con la pena di morte. Tale pena ora può essere inflitta ai rei di violenza sessuale nei riguardi di fanciulle di età inferiore ai 12 anni. Nove persone sono state condannate a morte nel 2018 per effetto della nuova legge. (2)
Il 1° agosto 2018 è stata approvata una legge che consente di infliggere la pena capitale o l'ergastolo ai rei di pirateria marittima.
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(1) Vedi: https://www.project39a.com/annual-statistics
(2) A gennaio del 2019 è stata inoltre approvata una legge che consente di punire con la pena capitale i rei di violenza sessuale penetrativa nei riguardi dei minori di 18 anni.
7) SIRISENA DECISO A INTERROMPERE LA MORATORIA DI 43 ANNI IN SRI LANKA
Si intende por termine alla moratoria delle esecuzioni capitali in essere nello Sri Lanka da 43 anni e di conseguenza diventa affannosa la ricerca di due persone disposta a ricoprire i posti di boia.
Il Presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, che intende essere rieletto nelle elezioni che si terranno quest’anno, il 6 febbraio ha dichiarato dinanzi al Parlamento l’intenzione di dare il via alle esecuzioni capitali nel suo paese nel giro di alcuni mesi. Con ciò interrompendo una moratoria che dura da quasi 43 anni.
Nel frattempo si rivela difficile il lavoro per trovare due boia che eseguano le progettate impiccagioni. Dal 1976, quando è cominciata la moratoria sulle esecuzioni, il governo ha pubblicizzato regolarmente i posti di boia, con annunci sui giornali, per avere candidati addestrati e pronti nel caso in cui le esecuzioni riprendessero. Prima di allora, la carica di boia era ereditaria: passava di padre in figlio.
Dopo l’inizio della moratoria, solo 3 uomini hanno ricoperto il posto di boia, e tutti hanno abbandonato il posto prima di portare a termine una sola esecuzione. L'ultimo dei 3, il 45-enne P.S.U. Premasinghe, ottenne il posto 5 anni fa, ma si dimise pochi giorni dopo aver iniziato l’addestramento, scioccato dalla vista del patibolo nella prigione principale della capitale Colombo. La posizione di boia è rimasta vacante da allora.
Dopo l'annuncio di Sirisena che le impiccagioni sarebbero riprese, i funzionari della prigione hanno iniziato a compilare elenchi di criminali condannati a morte per reati di droga.
Nonostante la moratoria i giudici hanno continuato a infliggere condanne a morte e circa 1300 persone sono ora nel braccio della morte, 48 delle quali sono state condannate per reati di droga.
Ora sono stati selezionati tra i condannati per droga 18 individui con cui cominciare. Ed è iniziata in Pakistan, Bangladesh, India, e Singapore la ricerca di una nuova forca dato che quella esistente in Sri Lanka è ritenuta decrepita ed inaffidabile.
Secondo la legge dello Sri Lanka, l'omicidio e il traffico di droga sono passibili di pena di morte. Il possesso di più di 2 grammi di eroina pura (diacetilmorfina), è punibile con la morte.
Gli oppositori della pena capitale hanno visto negli annunci recenti per la ricerca di un boia uno sviluppo angosciante.
“Questa è un’offerta di lavoro che non avrebbe dovuto mai essere pubblicata,” ha scritto in un post su Twitter, Biraj Patnaik, direttore regionale di Amnesty International per l'Asia meridionale, che vive a Colombo: "Non c'è posto per la pena di morte in una società civile".
C.T. Jansz, Commissario generale delle prigioni negli anni cinquanta, che ha supervisionato alcune esecuzioni durante il suo mandato, ha detto che persino i funzionari della prigione le trovavano cruente e devastanti. Quando avvenivano, l'ambiente all'interno della prigione diventava oppressivo: "Tutta la prigione era in lutto", ha dichiarato. (Pupa)
8) DUE PEDOFILI GIUSTIZIATI IN PUBBLICO NELLO YEMAN
Raccapricciante spettacolo nello Yemen: due uomini sono stati mitragliati sulla pubblica piazza alla presenza di bambini.
Ad Aden nello Yemen il 7 febbraio due condannati a morte sono stati giustiziati in pubblico con fucili mitragliatori AK-47 davanti ad una folla assetata di sangue comprendente bambini.
Wadah Refat, di 28 anni, e Mohamed Khaled, di 31, furono condannati alla pena capitale per lo stupro e l'uccisione di un ragazzino di 12 anni. I due trascinarono il dodicenne nella loro casa e lo violentarono.
Il Daily Star ha riportato che il giudice scrisse nella sentenza: “Dopo la violenza, essi non riuscivano a far tacere le grida del bambino che chiedeva aiuto, allora uno di loro prese un coltello e gli tagliò il collo.”
Nello Yemen tutte le sentenze capitali devono essere ratificate dal Presidente Abdrabbuh Mansur Hadi, e di solito vengono eseguite da un plotone di esecuzione.
I reati capitali sono per lo più atti violenti come l’omicidio, la violenza sessuale e il terrorismo, ma la pena di morte può essere inflitta anche per atti contrari alla legge della Sharia, come l’adulterio e la blasfemia.
Altri tre uomini erano stati precedentemente fucilati e poi appesi a delle gru per un crimine simile che riguardava un ragazzino.
Anche un altro pedofilo che violentò una bambina di 4 anni è stato ucciso e poi impiccato ad una gru davanti al pubblico.
Sarah Leah Whitson, direttrice di Human Rights Watch, ha condannato la pena capitale nello Yemen: "L’esecuzione pubblica è una grottesca violazione dei diritti umani e particolarmente in un paese dove la possibilità degli accusati di ottenere un’adeguata difesa legale e la copertura mediatica del processo è assai limitata.” (Anna Maria)
Riportiamo qui, in una nostra traduzione dell’originale inglese, la
9) DICHIARAZIONE FINALE DEL 7° CONGRESSO MONDIALE
CONTRO LA PENA DI MORTE
Noi, partecipanti al 7° Congresso Mondiale Contro la Pena di Morte, organizzato a Bruxelles dal 26 febbraio al primo marzo 2019 dall’organizzazione Ensemble Contre la Peine de Mort (ECPM) con la sponsorizzazione del Belgio, dell’Unione Europea, del Parlamento Europeo, della Confederazione Elvetica e della Norvegia, in associazione con la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte,
con la presente:
ADOTTIAMO questa dichiarazione, conseguente a quattro giorni di intenso dibattito, scambio di esperienze, testimonianze, eventi culturali;
ACCOGLIAMO CON FAVORE:
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la crescita del movimento abolizionista in un mondo dove due terzi dei Paesi hanno abolito la pena di morte per legge o di fatto e dove 121 Paesi, il massimo numero mai raggiunto finora, hanno votato, nel dicembre 2018, a favore della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la moratoria nell’uso della pena capitale;
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l’abolizione della pena di morte in tre Paesi, avvenuta dopo il Congresso Mondiale di Oslo del 2016: l’abolizione per i crimini ordinari in Burkina Faso e in Guatemala e l’abolizione per tutti i crimini in Guinea, come pure la decisione della Corte Suprema dello stato di Washington (USA), che ha dichiarato incostituzionale la pena di morte;
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la revisione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che afferma “l’inammissibilità” della pena di morte;
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gli impegni presi, durante la cerimonia di apertura del 7° Congresso: dal Gambia di abolire la pena di morte nella sua costituzione; dalla Repubblica del Congo e dalla Guinea di ratificare il Secondo Protocollo Opzionale all’ICCPR [Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici] e di sostenere la bozza del Protocollo Addizionale all’Atto Costitutivo Africano dei Diritti Umani tendenti all’abolizione; dea Burkina Faso di estendere l’abolizione dai crimini ordinari a tutti i crimini; dal Marocco di riformare il codice penale per ridurre il numero di crimini punibili con la morte;
SIAMO ALTRESÌ PREOCCUPATI:
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che il mantenimento della pena di morte venga utilizzato come pretesto da parte di alcuni governi, come l’Egitto, che il 20 febbraio ha messo a morte 9 persone, per combattere il terrorismo e per tacitare le voci dei dissenzienti;
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che 56 Paesi e territori mantengano la pena di morte, come Cina, Iran, Iraq, Pakistan, Arabia Saudita e USA e che in molti casi la pena di morte sia applicata in modo arbitrario;
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che i Paesi manutentori della pena di morte continuino a condannare e a mettere a morte minorenni, come l’Iran, e individui con disabilità intellettuali e psicosociali, come il Giappone e Taiwan;
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che la pena di morte sia applicata sproporzionatamente nei riguardi degli appartenenti a minoranze etniche, razziali o religiose e degli appartenenti ad ambienti socialmente e economicamente svantaggiati, o in base a discriminazioni riguardo al genere (maschile o femminile) o alle tendenze sessuali;
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che le condizioni di vita nei bracci della morte violino la dignità umana e costituiscano trattamenti crudeli, inumai e degradanti.
NEL SOTTOLINEARE LA NECESSITA’ DI INTRAPRENDERE ULTERIORI SIGNIFICATIVI PASSI VERSO L’ABOLIZIONE COMPLETA E UNIVERSALE DELLA PENA DI MORTE,
CI APPELLIAMO:
-
agli esponenti del settore privato perché si uniscano in blocco alla richiesta partita dalla società civile di tutto il mondo per abolire la pena di morte;
-
ai Paesi africani perché trasformino l’Africa in un continente abolizionista;
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ai Paesi che mantengono la pena capitale perché si impegnino in riforme concrete al fine di ridurre l’ambito di applicazione della pena di morte in vista della sua abolizione;
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ai Paesi abolizionisti perché sostengano per principio i loro cittadini che rischiano la pena di morte ovunque nel mondo, senza tener conto del crimine per il quale vengono giudicati;
INCORAGGIAMO:
le organizzazioni intergovernative internazionali e regionali:
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a continuare e a intensificare la loro collaborazione con gli stati e con la società civile per promuovere l’abolizione universale della pena di morte;
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a continuare e a intensificare la loro attività abolizionista attraverso le organizzazioni delle Nazioni Unite, inclusi l’UNODC [Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine] e tutte le persone interessate;
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a continuare a sollevare sistematicamente il problema della pena di morte nel lavoro svolto dagli osservatori speciali delle Nazioni Unite, in particolare su terrorismo, esecuzioni, tortura, migranti, e povertà estrema;
i paesi che mantengono la pena capitale a impegnarsi:
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ad abolire la pena di morte obbligatoria dove esiste e promuovere le condanne alternative che riconoscano la possibilità di correggersi che ha ogni persona;
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a mettere in atto la Convenzione sui Diritti del Fanciullo, in occasione del suo 30° anniversario nel 2019, abolendo la pena di morte per le persone di età inferiore ai 18 anni all’epoca del crimine per il quale sono stati condannati, e concedendo sistematicamente il beneficio del dubbio in caso di mancanza di documenti ufficiali che certifichino l’età e la data di nascita;
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a raccogliere e pubblicare con regolarità informazioni affidabili e indipendenti sulle modalità con cui utilizzano la pena di morte, separandole per sesso, età, nazionalità e razza, e sulla posizione dell’opinione pubblica riguardo alla pena di morte;
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a intraprendere il cammino verso l’abolizione della pena capitale implementando una moratoria sulle condanne a morte e sulle esecuzioni, conformemente alla risoluzione sull’uso della pena di morte votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2007, e di unirsi agli 86 Paesi che hanno già ratificato il Secondo Protocollo Opzionale alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici;
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a garantire valida assistenza legale e un sistema investigativo valido e affidabile per tutti coloro che rischiano la pena di morte;
i paesi abolizionisti:
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a condannare con veemenza l’uso della pena di morte e a sollevare sistematicamente la questione nell’ambito dei loro rapporti diplomatici ed economici con i paesi che mantengono la pena di morte;
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a subordinare l’aiuto finanziario per la “guerra alla droga” internazionale alla condizione che vengano fornite garanzie sufficienti che i fondi elargiti non siano utilizzati in alcun modo per rafforzare l’uso della pena di morte;
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a opporsi attivamente all’uso della pena di morte nella lotta al terrorismo e a promuovere il rispetto dei diritti umani;
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a sostenere gli esponenti della società civile che si battono per l’abolizione;
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a collaborare nella sponsorizzazione e a votare a favore della risoluzione dell’UNGA [Assemblea Generale delle Nazioni Unite] che chiederà una moratoria universale sulla pena di morte nel 2020;
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a ratificare il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici;
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a impegnarsi a non ripristinare la pena di morte e a non riprendere le esecuzioni;
i parlamentari e le Istituzioni Nazionali per i Diritti Umani (NHRI):
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di tutto il mondo a riunirsi in reti regionali, nazionali e internazionali per portare il dibattito abolizionista nel cuore delle loro istituzioni;
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degli stati abolizionisti a sostenere i loro colleghi dei paesi che mantengono la pena di morte, aiutandoli a promuovere leggi abolizioniste;
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ad includere sistematicamente nelle loro agende discussioni sulla pena di morte;
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ad incoraggiare i loro stati ad abolire la pena di morte.
i professionisti legali:
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gli avvocati difensori, a prepararsi e a collaborare per difendere meglio i clienti che rischiano la pena di morte;
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gli avvocati dell’accusa, a non chiedere la condanna a morte, in nome della giustizia;
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i giudici, a esercitare il loro potere discrezionale per non imporre condanne a morte e per incoraggiare le giurie popolari a fare lo stesso;
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gli Ordini degli avvocati, a unirsi alla richiesta dell’Ordine degli Avvocati di Parigi e all’Associazione Internazionale degli Avvocati (UIA) firmando la Risoluzione sulla Pena di Morte e le Condizioni di Detenzione e il Trattamento dei Condannati a Morte;
il settore privato e gli esponenti della cultura:
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a riconoscere che la pena capitale è una punizione arcaica e degradante, dannosa allo sviluppo armonico di economia, turismo e scambi culturali;
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ad esprimere la preferenza ad investire nei Paesi che non applicano la pena di morte;
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a incorporare nelle regole commerciali e di diritti umani già in essere, la richiesta di abolizione;
il mondo accademico:
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ad eseguire più ricerche sulla pena di morte, dando più visibilità alle donne condannate a morte e demistificando gli argomenti utilizzati per mantenere la pena di morte, inclusi l’opinione pubblica, la deterrenza, il terrorismo;
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a unirsi alla Rete Internazionale di Università contro la Pena di Morte e alla REPECAP [Rete Accademica Internazionale per l’Abolizione della Pena di Morte];
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a unire le forze con la società civile e a fondare congiuntamente uffici di consulenza legale gratuita;
gli esponenti abolizionisti della società civile:
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a portare avanti campagne conoscitive ed educative sull’abolizione aperte al pubblico, ai politici e agli studenti, unendosi alla rete educativa internazionale;
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a partecipare all’annuale Giornata Mondiale contro la Pena di Morte il 10 ottobre e a “Città per la Vita” il 30 novembre;
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ad unire le forze con altri movimenti per i diritti, inclusi quelli per i diritti della donna e per i diritti del fanciullo;
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ad agire insieme, unendosi alla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, per rafforzare la collaborazione abolizionista.
Approvato per acclamazione a Bruxelles il 1° marzo 2019
Tra i presenti al 7° Congresso Mondiale Contro la Pena di Morte:
l’accusatrice della Florida Aramis Ayala, Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio (al centro) e Bill Pelke di Journey of Hope (sulla destra della foto)
10) NOTIZIARIO
Florida. Critiche all’accusatrice Ayala contraria alla pena i morte, lei risponde per le rime. Due anni fa l’avvocato Ryan Williams lavorava nell’ufficio dell’accusatrice floridiana Aramis Ayala ma fu spostato in un altro ufficio dopo che la Ayala affermò di essere contraria alla pena di morte. “La signora Ayala parla di correttezza, ma le sue azioni raccontano una storia ben diversa” ha dichiarato Williams.
“Il suo comportamento come accusatrice è il massimo e il migliore esempio di che cosa accade quando un accusatore, investito di un’enorme responsabilità, vede le vittime del crimine e la legge come questioni secondarie alle proprie scelte personali.” Anche l’avvocato Brad King – capo dell’ufficio in cui lavora ora Ryan Williams – ce l’ha con Aramis Ayala e ha fatto notare che i casi capitali hanno ripreso a marciare solo dopo che sono passati al proprio ufficio. Al chè Aramis Ayala ha dichiarato: “È importante evitare distrazioni e rispondere alle domande che hanno senso e meritano una risposta. Continuerò a condurre questa comunità nel cercare giustizia. Continuerò a lottare per il cambiamento e il progresso. La cosa più importante per me è di attenermi al compito che mi è stato affidato, non al compito che qulcun’altro vorrebbe che svolgessi”. Le attuali polemiche sono certamente causate dall’avvicinarsi delle elezioni del 2020 in cui si eleggeranno anche gli accusatori. Su Aramis Ayala vedi nn.: 237; 238; 239; 239, Notiziario; 240; 241, Notiziario; 242; 244; 244, Notiziario; 253, Notiziario; 255.
Russia. Un ergastolano parla delle ultime esecuzioni avvenute nel paese. Il pluriomicida Sergey Khvastunov che nel 1993 fu condannato all’ergastolo nella Repubblica di Mordovia, (una repubblica facente parte della Federazione Russa), ha parlato nel corso di un’intervista delle ultime esecuzioni capitali avvenute nel paese. Khvastunov incontrò l’ultima persona messa a morte prima dell’abolizione della pena capitale, tale Sergei Golovkin che bruciò almeno 11 bambini tra il 1986 e il 1992 e fu messo a morte il 2 agosto del 1996. “Le esecuzioni venivano effettuate dopo le 20 e mentre si avvicinava il momento fatidico nella prigione il silenzio diventava surreale. Si sarebbe sentita volare una mosca”, ha detto Sergey Khvastunov precisando che le esecuzioni avvenivano nel piano interrato dietro una massiccia porta d’acciaio vicino al locale docce. I detenuti non udivano le fucilate che uccidevano il condannato e ricevevano la conferma dell’avvenuta esecuzione il mattino seguente. L’identità del boia era tenuta rigorosamente segreta.
South Carolina. Si vuole ripristinare l'uso della sedia elettrica. Il 30 gennaio u. s. Gerald Malloy, senatore della South Carolina, ha ottenuto l'appravazione di una proposta di legge tesa a reintrodurre l'uso della sedia elettrica nel proprio stato (nonchè dell'impiccagione e della fucilazione). La proposta di legge è stata approvata dal Senato con un ampio margine (26 voti a favore, 13 contrari). Ma non è detto che passi anche alla Camera dei Rappresentanti: l'anno scorso una legge del genere è passata al Senato ma è stata bloccata dalla Camera. Il cambiamento del metodo di esecuzione viene motivato con la difficoltà di reperire i farmaci per l'iniezione letale. In South Carolina sono stati messi a morte 43 condannati dopo il ripristino della pena capitale nel 1985. L'ultima esecuzione in tale stato è avvenuta nel 2011 mediante iniezione letale. Il più giovane condannato a essere messo a morte in South Carolina fu il 14-enne nero George Stinney, probabilmente innocente, che salì sulla sedia elettrica il 16 giugno del 1944 (v. nn. 211, 219).
USA. Trump elogia la Cina per l'uso della pena di morte nei riguardi degli spacciatori di droga. Il 15 febbraio parlando ai giornalisti alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha elogiato la Cina per l'uso della pena capitale nei riguardi degli spacciatori di droga, sostenendo che gli Stati Uniti affronterebbero meglio il problema dello spaccio se utilizzassero contro di esso la pena capitale. Trump ha detto: “In Cina, gli spacciatori ottengono una cosa chiamata pena di morte. Il nostro trafficante di droga riceve una cosa chiamata ‘che ne dici di una multa’?". "Quindi se vogliamo diventare intelligenti, possiamo diventare intelligenti. Possiamo risolvere il problema della droga. Possiamo risolverlo molto più velocemente di quanto pensiamo." Non è la prima volta che Trump parla di pena capitale per reati di droga (v. ad es. n. 246) pur sapendo che ormai la Corte Suprema USA ammette la pena di morte solo per i rei di omicidio.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 1° marzo 2019