top of page

FOGLIO DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero  196 -   Marzo 2012

Gerald Marshall # 999489

SOMMARIO:

 

1) Convocazione dell’Assemblea ordinaria dei Soci          

2) Una sconfitta legale e un’udienza importante per Larry

3) Una nuova adozione in vista, quella di Gerald Marshall

4) Anche Keith Thurmond è stato ucciso dalla stato del Texas

5) Nuovo processo per Roger McGowen

6) Dopo due anni riprendono le esecuzioni in Giappone

7) Il declino della pena di morte è proseguito nel 2011

8) Interviste di condannati a morte in un reality show cinese

9) Quando cesserà il prelievo di organi dai condannati a morte cinesi?

10) Firmate subito la petizione per salvare la vita di Beunka

11) Notiziario: Bielorussia, Connecticut, Fortezza Europa, Libia, Usa

 

 

1) CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI

 

L'Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau è convocata per domenica 27 maggio 2012 alle ore 10:00.  L'Assemblea si terrà in Firenze presso l’abitazione di Loredana Giannini, Via Francesco Crispi, 14.  L’assemblea è aperta a simpatizzanti non soci senza diritto di voto, che abbiano preannunciato la loro partecipazione. L'ordine del giorno è il seguente:

1. Relazioni sulle attività svolte dal Comitato Paul Rougeau dopo l’Assemblea del 22 maggio 2011;

2. situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci;

3. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2011;

4. ratifica di eventuali dimissioni dal Consiglio direttivo;elezione di membri del Consiglio direttivo.

Eventuale breve sospensione dei lavori dell’Assemblea per consentire una riunione del nuovo Consiglio direttivo con il rinnovo delle cariche sociali.

5. Prosieguo dell’impegno del Comitato Paul Rougeau a supporto del caso legale di Larry Swearingen condannato a morte in Texas, nonché eventuale impegno nei confronti di Gerald Marshall condannato a morte in Texas;

6. programmazione di un eventuale tour in Italia di Dale e Susan Recinella per una serie di conferenze;

7. redazione del Foglio di collegamento, anche alla luce dei risultati del sondaggio effettuato;

8. gestione e alimentazione del sito del Comitato;

9. discussione delle strategie abolizioniste;

10. discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività in corso; proposte di nuove attività da parte dei soci, programmazione ed approvazione delle stesse;

11. proposte rivolte ai soci che non fanno parte dello staff del Comitato di collaborare attivamente in iniziative consone alle loro rispettive possibilità ed esperienze;

12. raccolta fondi e allargamento della base associativa;

13. ricerca di adesioni ideali di personalità al Comitato Paul Rougeau;

14. varie ed eventuali.

Firmato: Giuseppe Lodoli, Presidente del Comitato Paul Rougeau

 

AVVERTENZE: Nel tardo pomeriggio del giorno 26 si terrà una riunione informale preparatoria dell’assemblea sempre in via Crispi, 14. La fine dei lavori del giorno 27 è prevista per le ore 16 circa. Il luogo dell'Assemblea è raggiungibile dalla Stazione di Santa Maria Novella anche a piedi in 20’. Percorso: Stazione, Via Nazionale, P.zza Indipendenza, Via S. Caterina d’Alessandria. Arrivati all’in­crocio col Viale S. Lavagnini lo si attraversa al semaforo e si prosegue lungo Via A. Poliziano che si percorre interamente, fino a sboccare in Viale Milton, in corrispondenza di un ponte sul Mugnone. Si attraversa il ponte e si giunge in Via XX Settembre;  si gira a sn costeggiando il Mugnone fino ad incro­ciare, sulla ds, Via Crispi. Si gira dunque a ds e si percorre Via Crispi fino al n°14. Per chi preferisce l’autobus, dalla stazione  le linee utili sono: 4  (direzione Poggetto, scendere in Via dello Statuto, parallela alla vicina Via Crispi ); 13 (dir. Piazzale Michelangelo, scendere in Via XX Settembre); 28 (dir. Sesto), scendere in Via dello Statuto. Tutti questi autobus si prendono alla fermata che si trova, uscendo della stazione, dal lato sinistro, lato dove si trova la farmacia della stazione. Pernottamento: Coloro che vogliono pernottare a Firenze ci devono informare quanto prima della propria venuta in maniera da riservare le camere necessarie.

Per una migliore organizzazione, preghiamo i soci di avvertirci in ogni caso della propria partecipazione an­che se non intendono pernottare a Firenze. Per tutte le informazioni organizzative e per prenotare il pernottamento a Firenze contattate subito Loredana Giannini: tel. 055 485059

 

 

2) UNA SCONFITTA LEGALE E UN’UDIENZA IMPORTANTE PER LARRY

 

Tra febbraio e marzo si è svolta un’udienza sulle prove per il nostro amico Larry Swearingen

 

Sapevamo che il 27 febbraio si doveva tenere un’udienza sulle prove di innocenza per il nostro amico Larry Swearingen, condannato a morte in Texas,  davanti alla Nona Corte Distrettuale statale della Contea di Montgomery. Si trattava di un’udienza che poteva prolungarsi per diversi giorni, attesa dall’estate scorsa (1), estremamente importante, delicata e complessa.

Il 27 febbraio ci è giunta invece la notizia di una sconfitta legale per Larry: il diniego della Corte Suprema degli Stati Uniti di prendere in considerazione il suo ricorso basato sull’actual innocence (effettiva innocenza).

Superato un iniziale sconcerto, abbiamo concluso che si trattava di una mera coincidenza: proprio nel giorno in cui ci doveva essere l’udienza a livello statale si era concluso l’iter a livello federale. Si trattava in effetti di un iter legale separato, intrapreso dagli avvocati di Larry con l’appoggio dell’Innocence Network (una rete di avvocati che opera volontariamente a livello nazionale in favore dei detenuti con prove di innocenza). Costoro avevano tentato di ottenere un pronunciamento della Corte Suprema in merito alla liceità costituzionale di mettere a morte detenuti effettivamente innocenti (anche se sottoposti a regolare processo). Tale tentativo era stato incoraggiato dall’opinione scritta nel 2009 dal giudice Jacques L. Wiener della Corte federale d’Appello del Quinto Circuito: il caso di Larry Swearingen poteva essere appropriato per spingere la Corte Suprema ad affrontare e a risolvere la storica questione dell’actual innocence (2).

Il 2 marzo l’avvocato difensore James Rytting ci ha confermato che l’udienza per Larry a livello statale era effettivamente cominciata il 27 febbraio, e si stava prolungando su un arco di due settimane, ed ha aggiunto che la sconfitta a livello federale non ci doveva preoccupare più di tanto (in effetti a priori erano assai scarse le probabilità che la Corte Suprema si decidesse ad affrontare proprio ora la questione dell’actual innocence in sospeso da decenni).

Abbiamo trovato poco sulla stampa e poco ci ha detto l’avvocato Rytting sull’andamento dell’udienza tenutasi davanti al giudice Fred Edwards, lo stesso che pronunciò la condanna a morte di Swearingen nel 2000.

Sappiamo che sono state rese diverse testimonianze, sia per la difesa che per l’accusa, in merito al momento della morte di Melissa Trotter,  presunta vittima di Larry Swearingen (numerosi esperti sostengono che la Trotter fu uccisa mentre questi era già in carcere) e che inoltre la difesa ha contestato degli errori procedurali commessi nel processo originario.

L’avvocato Rytting,  prudentemente e saggiamente, non ha voluto fare commenti sull’andamento dell’udienza e sul suo possibile esito. Ci ha soltanto detto che il giudice Edwards scriverà i suoi “findings of fact and conclusions of law”, cioè il suo parere sull’andamento dei fatti e le sue conclusioni legali, dopo aver consultato le trascrizioni dell’udienza che saranno pronte solo tra diverse settimane. Dopo di che tutto l’incartamento dell’udienza verrà trasmesso alla Corte Criminale d’Appello del Texas (TCCA) che deciderà sul caso di Larry non prima di diversi mesi (ma potrebbero passare uno o due anni, aggiungiamo noi).

Nel frattempo le solide prove di innocenza e la vita di Larry rimangono dunque nelle mani del giudice Edwards che pronunciò la sentenza di morte nel 2000 (e che in passato ha già respinto due volte i ricorsi di Larry) e della Corte Criminale d’Appello del Texas, presieduta dalla giudice Sharon Keller, poco incline a favorire i condannati a morte. (3)

________________________

(1) V. nn. 190, 191. In un primo tempo l’udienza era stata programmata per il 9 gennaio.

(2) V. n. 166.

(3) La giudice Keller fu soprannominata “killer Keller, v. n. 153, “La corte chiude alle 17 in punto...”. Sia Fred Edwars che Sharon Keller cercheranno di essere rieletti nelle votazioni che si terranno a fine anno presentandosi come ‘duri contro il crimine’.

 

 

3) UNA NUOVA ADOZIONE IN VISTA, QUELLA DI GERALD MARSHALL

 

Geral Marshall fu condannato a morte 7 anni fa senza prove degne di tale nome; il Comitato Paul Rougeau segue il suo caso dal 2007 e potrebbe ‘adottarlo’ sostenendolo nella sua difesa legale.

 

Alle 4 di notte dell’11 maggio 2003 in un ristorante Whataburger di Houston  fu ucciso con un colpo di pistola nell’occhio sinistro l’impiegato Christopher Martin Dean. Nel 2004 fu condannato a morte per l’uccisione di Dean il giovane nero Gerald Marshall, che abbiamo poi conosciuto, nel 2007.

Dal braccio della morte del Texas, il nostro amico Gerald Marshall ha ripreso a scriverci  a partire dal novembre scorso (1) chiedendo nuovamente aiuto per la propria difesa legale. Gerald ha esposto con una certa chiarezza la sua attuale situazione giudiziaria dimostrando di aver preso in mano il proprio caso. Lui sostiene di aver usufruito di una pessima difesa legale da parte dell’attuale avvocato Jerome Godinich, e in precedenza dall’avvocato Richard Wheelan, nel frattempo deceduto.

Marshall – il cui caso si trova insolitamente ancora a livello statale dopo 7 anni - ha cominciato ad inoltrare dei ricorsi “pro se” in modo del tutto indipendente dal difensore Godinich (che in effetti gode di una pessima reputazione in Texas, v. articolo su Keith Thurmond). Ora vorrebbe assumere un investigatore privato, tale J. J. Gradoni, il cui onorario è di 5.000 dollari (solo per cominciare a lavorare).

A meno di una specifica raccolta fondi, non abbiamo i soldi richiesti per pagare Gradoni e, inoltre, non ci fidiamo troppo della bontà dell’iniziativa presa autonomamente da Gerald. La cosa migliore sarebbe sostituire l’avvocato Godinich o, quanto meno, affiancargli un buon avvocato.

In risposta alle sue ultime lettere, abbiamo detto pertanto a Gerald di pazientare: avremmo chiesto consigli ad avvocati texani che conosciamo (sperando in cuor nostro di ottenere un aiuto semi gratuito).

Purtroppo l’avvocato con cui abbiamo attualmente una certa confidenza ci ha risposto di essere sovraccarico e di non potersi occupare di Gerald Marshall. Il medesimo avvocato ci ha dato tuttavia delle informazioni utili. Ci ha detto che, se teoricamente qualsiasi imputato può licenziare l’avvocato che gli è stato assegnato d’ufficio, è sconsigliabile farlo se non si hanno i soldi per pagare un avvocato di fiducia: si rischierebbe di rimanere senza difensore. Un cambiamento di avvocato è praticabile solo una volta esauritosi l’iter degli appelli a livello statale (anche se, aggiungiamo noi, si rischia di arrivare al livello federale con un nuovo avvocato ma anche con la propria situazione giudiziaria completamente compromessa).

Ricordiamo che ci siamo impegnati particolarmente in favore di Gerald Marshall in quanto, tra i casi che abbiamo seguito recentemente, il suo ci è apparso il più ‘forte’: Marshall è stato condannato a morte in base alle testimonianze di due criminali, che in cambio delle loro deposizioni hanno avuto enormi sconti di pena, corroborate dalla deposizione di Wilbert Marsh che, probabilmente in buona fede, è stato manipolato dalla polizia e dall’accusa. I suoi contraddittori ‘riconoscimenti’ non possono che confermare la regola generale secondo cui le testimonianze oculari sono del tutto inattendibili a meno che il testimone non conosca l’imputato in precedenza (v. n. 146).

Tenteremo con altri avvocati. Ma intanto è assolutamente certo che qualunque aiuto efficace a Gerald presupporrà la disponibilità di un minimo di fondi. Pertanto abbiamo deciso di mettere nuovamente all’ordine del giorno della nostra Assemblea dei Soci l’eventuale adozione di Gerald Marshall da parte del Comitato Paul Rougeau (2).

___________________

(1) Le lettere sono state indirizzate al Comitato e alla socia Marinella Correggia.

(2) V. la convocazione dell’Assemblea in apertura di questo numero.

 

 

4) ANCHE KEITH THURMOND È STATO UCCISO DALLA STATO DEL TEXAS

 

Un altro condannato a conosciuto dal Comitato Paul Rougeau ha subito l’iniezione letale in Texas.

 

Il 7 marzo è stata somministrata l’iniezione letale a Keith Thurmond, condannato a morte in Texas.   

La notizia ci ha particolarmente rattristato perché conoscevamo Keith che era stato seguito ed aiutato tra il 2006 e il  2009 dal gruppo delle ‘siste’ (sorelle), formato da sei giovani signore che assistevano i condannati a morte in sintonia con il Comitato Paul Rougeau. 

Thurmond è stato ucciso un’ora dopo il definitivo fallimento del suo ultimo ricorso teso ad ottenere un nuovo processo in ragione della pessima difesa legale di cui aveva usufruito nel processo del 2002 e nei successivi appelli sia livello statale che federale. Notiamo che il secondo difensore di Thurmond  fu Jerome Godinich, un avvocato che gode di una pessima fama in Texas. Godinich, tra l’altro, omise di presentare nei termini l’appello di habeas federale per Thurmond.

Anche se le prove e le testimonianze sulla sua colpevolezza erano sovrabbondanti, poco prima di morire Keith Thurmond ha rivendicato la propria innocenza accusando un altro uomo di aver ucciso la moglie separata e il suo nuovo convivente, subito dopo l’affidamento di suo figlio alla moglie.

“Voglio dire che sono innocente, non ho ucciso mia moglie,” ha dichiarato Keith legato al lettino dell’esecuzione, “Jack Leary ha sparato a mia moglie e poi al suo spacciatore di droga Guy Fernandez. Non farmene carico Bill. Giuro su Dio che non l’ho uccisa.”

Poi ha detto ai suoi boia: “Andiamo avanti e finiamola qui.” Ed ha avuto il tempo di aggiungere: “Sento il sapore [dei farmaci letali]”. 11 minuti dopo è stato dichiarato morto.

 

 

5) NUOVO PROCESSO PER ROGER MCGOWEN

 

Roger McGowen subirà un nuovo processo. Potrebbe essere bene per lui accettare, in un patteggiamento, l’ergastolo senza possibilità di liberazione per non rischiare una nuova sentenza capitale.

 

Conosciamo il caso Roger Wayne McGowen, condannato a morte in Texas, dal 1997, anno in cui una sua amica italiana, Grazia De Iorio, ci girò una sua lettera sconvolgente da pubblicare sul n. 50 di questo Foglio di Collegamento. Roger si trovava già da 10 anni nel braccio della morte. La sua storia e la sua richiesta di corrispondenza e di aiuto furono inserite anche nel nostro opuscolo giallo a partire dal 2001.

Negli anni Roger si è dimostrato un ottimo agente di se stesso riuscendo a trovare diversi sostenitori in Europa (1). Ha usufruito di una buona difesa legale che ha saputo far valere un difetto costituzionale dei processi capitali tenutisi in Texas tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, ed è uscito da braccio della morte. Infatti due anni fa la Corte federale d’Appello del Quinto Circuito ha annullato la seconda fase del suo processo originale - quella di inflizione della pena - perché la giuria non era stata adeguatamente informata sull’ergastolo quale alternativa alla pena di morte in un processo capitale.

A fine marzo è stato disposto il nuovo processo per Roger McGowen. Si ritiene che tale processo si chiuderà subito con un patteggiamento, anche perché sono passati 26 anni dai fatti, con la conseguente difficoltà per l’accusa di reperire prove e documenti relativi al suo caso. Se si dichiarerà colpevole dell’uccisione di una donna nel corso di una rapina avvenuta in un bar nel 1986 e rinuncerà alla facoltà di chiedere la liberazione sulla parola, Roger riceverà l’ergastolo (2).

In tal modo il suo caso si chiuderebbe come quelli di Raymond Deleon Martinez, Carl Wayne Buntion e Brian Edward Davis, conclusisi recentemente nella contea di Harris in Texas (3). Costoro, accettando l’ergastolo irrevocabile, hanno evitato il pericolo di ricevere una seconda sentenza di morte dopo che la prima era stata annullata per le inadeguate istruzioni date alla giuria.

________________________

(1) v. http://www.rogermcgowen.org/ , http://www.rogermcgowen.fr/

(2) I commentatori sottolineano la somiglianza del patteggiamento ipotizzato per McGowen con quello organizzato dagli avvocati difensori per John Paul Penry nel 2008, in modo da evitargli una quarta sentenza di morte (v. n. 157).

(3) Sono oltre una dozzina le condanne capitali già annullate nella contea di Harris in Texas per le inadeguate istruzioni che furono date alle giurie fino al 1991. Oltre ai tre casi citati finiti con il patteggiamento e l’ergastolo, altri tre casi si sono conclusi con nuovi processi che hanno dato luogo a nuove condanne a morte.

 

 

6) DOPO DUE ANNI RIPRENDONO LE ESECUZIONI IN GIAPPONE

 

Soltanto gli Usa e il Giappone, tra le grandi democrazie,  perseverano nell’uso della pena di morte.

 

Tra le grandi democrazie, soltanto gli Stati Uniti e il Giappone mantengono la pena capitale.

Il Giappone compie un numero limitato di esecuzioni e gli sforzi degli abolizionisti tesi ad ottenere ed a consolidare una moratoria potrebbero avere successo. Si fa leva sul fatto che le esecuzioni in Giappone devono essere ordinate dal Ministro della Giustizia e che nessuno può obbligare quest’ultimo a firmare gli ordini di esecuzione.

L’ultima moratoria è durata quasi due anni, interrotta dal nuovo Ministro della Giustizia, Toshio Ogawa, che ha ordinato l’impiccagione di tre pluriomicidi condannati a morte. Le esecuzioni sono avvenute contemporaneamente in tre diverse città - Tokyo, Hiroshima e Fukuoka - il 29 marzo. Dopo le esecuzioni di Yasuaki Uwabe, Tomoyuki Furusawa e Yasutoshi Matsuda rimangono 132 prigionieri nel braccio della morte del paese del Sol Levante.

Le due precedenti esecuzioni erano state autorizzate a fine luglio 2010 dalla ministra Keiko Chiba che aveva sorpreso e amareggiato gli abolizionisti giapponesi in quanto lei in precedenza lei era stata una di loro (v. n. 182). La Chiba tuttavia non aveva deciso a cuor leggero: si era sentita in dovere di assistere alle esecuzioni da lei ordinate e aveva istituito una commissione di studio sulla pena capitale. Le erano succeduti i ministri Satsuki Eda e Hiraoka Hideo i quali, prudentemente, non avevano consentito esecuzioni capitali durante il loro mandato. Di conseguenza, per la prima volta dopo 19 anni, non vi era stata nessuna esecuzione nell’arco di un anno: l’anno 2011.

Ogawa, entrato in carica il 13 gennaio in seguito all’ennesima crisi di governo giapponese, ha subito annunciato la sua disponibilità alla ripresa delle esecuzioni ed ha ignorato sia le petizioni provenienti da cittadini da tutto il mondo sia le pressioni di organismi internazionali, a cominciare dalle istituzioni europee. Egli ha insistito sul fatto che è suo dovere adeguarsi al volere del popolo giapponese: “Non lo vorrei fare, ma si tratta di uno dei doveri del Ministro della Giustizia. Con 130 detenuti nel braccio della morte e l’opinione pubblica all’85% in favore della pena capitale, non è scusabile esimersi dal firmare ordini di esecuzione.”

Dopo aver studiato accuratamente i casi, Toshio Ogawa ha scelto pertanto i primi tre detenuti da uccidere.   

Il 29 marzo Catherine Ashton, responsabile della politica estera dell’Unione Europea ha dichiarato: “L’UE è profondamente delusa per le esecuzioni […] dopo venti mesi in cui non avevano avuto luogo”, ricordando che l’Unione Europea aveva chiesto alle autorità giapponesi la “moratoria delle esecuzioni in attesa dell’abolizione della pena di morte […] in linea con la tendenza mondiale […].”

Le esecuzioni sono avvenute, senza che alcuna protesta si levasse dal nostro paese, proprio mentre il premier Mario Monti era in visita in Giappone. Al che Claudio Giusti – il maggiore esperto di pena capitale in Italia - ha commentato:

“Non mi stupisce che il Presidente Monti non abbia fatto una piega: è nel suo stile; ma mi lascia di sasso che nessuno (ministri, parlamentari, partiti, giornalisti) abbia emesso un sia pur flebile gemito.

“Eppure le tre impiccagioni giapponesi sono avvenute durante la visita ufficiale di Monti.

“Eppure l’Italia, con l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa, ha ripetutamente chiesto al Giappone di fermare la pena di morte.

“Eppure il Consiglio d’Europa è arrivato a minacciare Giappone e Stati Uniti di privarli dello status di osservatori.

“Di fronte a un simile schiaffo in faccia ci si aspettava una qualche reazione, non fosse altro che per il rispetto dovuto al Movimento Abolizionista Giapponese.”

7) IL DECLINO DELLA PENA DI MORTE È PROSEGUITO NEL 2011

 

Si conferma, con qualche fluttuazione, il declino della pena di morte nel mondo in atto da anni.

 

Un rapporto di 66 pagine reso noto da Amnesty International il 27 marzo (1) conferma che il lento declino della pena di morte in atto da anni è proseguito nel corso del 2011 (2).   

Nel 2011 si sono compiute esecuzioni soltanto in 20 dei 198 paesi del mondo (3), pari ad un terzo dei paesi che conservano e usano la pena capitale (58).

I quattro paesi mediorientali che applicano largamente la pena di morte hanno aumentato il ritmo delle esecuzioni e sono accreditati da Amnesty della grande maggioranza degli omicidi di stato nel 2011. Sono l’Arabia Saudita (con almeno 82 esecuzioni), l’Iran (almeno 360), l’Iraq (almeno 68) e lo Yemen (almeno 41).

Secondo Amnesty a causa di tale recrudescenza lo scorso anno le esecuzioni sono state ‘almeno 676’ (4) senza contare le migliaia probabilmente avvenute in Cina, paese di cui dal 2009 non fornisce dati per denunciare la segretezza imposta dalle autorità sulla pena capitale.

Oltre ai paesi del Medio Oriente citati, solo la Corea del Nord e gli Stati Uniti hanno compiuto decine di esecuzioni. Le 43 esecuzioni degli USA, rappresentano comunque un dato molto contenuto in confronto con quelli degli anni precedenti (5).

Un gran numero di condanne ed esecuzioni consegue al traffico di droga, ma anche, nella Repubblica del Congo, al traffico di resti umani. Si viene ancora condannati a morte per adulterio, sodomia, stregoneria, apostasia e blasfemia.

Il dato di almeno 676 esecuzioni nel mondo, è più alto di quello relativo al  2010 (almeno 527), ma più basso di tutti gli altri dati analoghi forniti negli ultimi anni.

Osserviamo che i dati forniti con grande prudenza da Amnesty non consentono di fare confronti sicuri di anno in anno perché risentono molto della difficoltà di reperire informazioni nei paesi che mantengono un sostanziale segreto sulla pena di morte. In ogni caso tutti gli altri dati che compaiono nel rapporto sono positivi.

Nel 2011 le condanne a morte accertate da Amnesty sono state almeno 1.923 in 63 paesi. Nel 2010 furono almeno 2.024.

Almeno 18.750 persone erano sotto sentenza capitale alla fine del 2011, il minimo numero tra quelli esposti da Amnesty di anno in anno.

La pena di morte minorile è stata praticamente relegata in Iran (6), paese in cui secondo notizie ufficiali 3 prigionieri sono stati messi a morte nel 2011 per crimini compiuti prima del 18-esimo anno di età (in tutto potrebbero essere stati 7). Una persona definita ‘giovanile’ è stata messa a morte in Arabia Saudita.

Dunque, al di là delle modeste fluttuazioni che si possono avere di anno in anno, risulta ampiamente confermata la tendenza al declino della pena di morte sotto tutti gli aspetti. In un articolo firmato dal Segretario generale di Amnesty International Salil Shetty, comparso sul quotidiano on-line The Nation (7), possiamo leggere queste importanti considerazioni:

“Quando Amnesty International cominciò la sua campagna mondiale contro la pena di morte 35 anni fa – opponendosi ad essa in tutti i casi, per qualsiasi reato, per qualsiasi criminale e per qualsiasi metodo di esecuzione – i 16 paesi abolizionisti nel mondo erano una minoranza. Oggi le parti si sono invertite e i paesi attaccati alla pena di morte sono l’eccezione.

Nel 2011 le aree esenti da esecuzioni includono tutta l’Europa e l’ex Unione Sovietica, salvo la Bielorussia; tutte le Americhe, salvo gli USA. La regione del Pacifico è esente dalla pena di morte se non fosse per cinque nuove sentenze capitali in Papua Nuova Guinea.

Questo cambiamento radicale va a merito degli attivisti per i diritti umani che hanno il coraggio di opporsi alla repressione; ai politici e ai governanti che hanno il coraggio di andare contro l’umore dei politicanti e del popolino; ai giornalisti e agli accademici che hanno il coraggio di dire la verità. Essi mostrano non solo che la pena di morte è sbagliata – una violazione del diritto alla vita – ma che, se viene esaminata accuratamente, le ragioni pratiche dell’omicidio di stato crollano.

E’ un deterrente per il crimine? Non ci sono prove convincenti che lo dimostrino. I paesi che hanno abolito la pena di morte spesso hanno tassi di omicidi inferiori a quelli dei paesi che non l’hanno abolita. L’omicidio sanzionato dallo stato esalta l’uso della violenza e può scatenare cicli di violenza e vendetta.

Che cosa dire circa il sostengo popolare alle esecuzioni? Tale sostegno di solito è lungo un chilometro ma profondo un centimetro. Una volta che l’opportunismo e il calcolo dei leader e dei commentatori, che vogliono dimostrare di essere “duri” contro il crimine, vengono rimpiazzati da discussioni approfondite, e si suggeriscono opzioni alternative, il sostegno del pubblico per la pena di morte si sgonfia.

Le vittime del crimine non meritano giustizia e pace? Sì, le persone che hanno sofferto in conseguenza di orrendi crimini meritano giustizia, ma la giustizia non deve avere le sue radici nella vendetta. L’omicidio è sbagliato, che venga compiuto da una persona o dallo stato.  […]

Occorre aggiungere che non c’é possibilità di appello dalla tomba. L’Illinois ha abbandonato la pena di morte nel 2011 in seguito a molteplici errori giudiziari.

Non meraviglia che alcuni affermino che il giusto metro per valutare il sostegno alla pena di morte non è la disponibilità ad uccidere ma l’essere disposti a mettere a morte degli innocenti.”

______________________

(1) Il Rapporto intitolato “Sentenze capitali ed esecuzioni nel 2001” si può ottenere in Inglese ciccando su:  http://www.amnesty.org/en/library/asset/ACT50/001/2012/en/241a8301-05b4-41c0-bfd9-2fe72899cda4/act500012012en.pdf  e in Italiano ciccando su: Scarica il rapporto "Condanne a morte ed esecuzioni nel 2011" (386.69 KB)

(2) Vedi nn. 178, 188.

(3) Vicino al numero minimo di paesi con esecuzioni (18) riportato da Amnesty per il 2009.

(4) Il dato di Amnesty, come negli altri anni, ci sembra eccessivamente prudente. Le ultime stime di diverse organizzazioni (con la quali Amnesty sostanzialmente concorda) sono tutte più alte: solo in Iran vi sarebbero state nel 2011 oltre 600 esecuzioni capitali (v. n. 195). 

(5) V. n. 194. Per gli Stati Uniti sono da sottolineare l’abolizione in Illinois e la moratoria in Oregon.

(6) V. anche n.195, “Illusoria..” e nn. ivi citati.

(7) V.  http://www.nationmultimedia.com/opinion/The-death-of-capital-punishment-30178757.html

 

 

8) INTERVISTE DI CONDANNATI A MORTE IN UN REALITY SHOW CINESE

 

Un modo allucinante di intrattenere in prima serata 40 milioni di  telespettatori cinesi.

La BBC trasmetterà prossimamente un documentario che ha come protagonista Ding Yu, presentatrice televisiva cinese. Questa signora da cinque anni conduce un programma, trasmesso in Cina il sabato sera in prima serata, che attira circa 40 milioni di telespettatori: intervista faccia a faccia i condannati a morte poco prima dell’esecuzione.

Ufficialmente lo scopo di questo “spettacolo” è educativo: dovrebbe spaventare i Cinesi e dissuaderli dal commettere crimini. In realtà si tratta di un ottimo business, dello sfruttamento dei condannati a morte: non bastavano gli espianti di organi!

Durante tali interviste la presentatrice si siede davanti al prigioniero incatenato e comincia col porgli domande neutre, per esempio sulle sue preferenze in fatto di musica o di cinema, ma subito dopo lo incalza con domande sui dettagli macabri del suo delitto. Infine gli strappa una richiesta di perdono. Promette, in cambio, di riferire messaggi ai suoi familiari, ai quali normalmente è proibito di far visita al condannato prima dell’esecuzione. Al termine dell’intervista a volte le telecamere continuano a girare mentre il detenuto viene condotto via per essere ucciso di lì a pochi minuti, fucilato o avvelenato con l’iniezione letale.

In una delle riprese si vede un ventenne cadere in ginocchio davanti ai genitori, a cui è stato concesso in via eccezionale di fargli visita (probabilmente proprio per sfruttare in TV la scena dell’incontro).

I detenuti da intervistare dovrebbero essere scelti dalla Ding sulla base dell’impatto educativo che possono avere sul pubblico. Di fatto si tratta quasi sempre di persone condannate per crimini particolarmente violenti e macabri e non, per esempio, per reati economici o per spaccio di droga.    Viene così stuzzicata la curiosità morbosa dei telespettatori. Lo dimostra il fatto che la puntata che ottenne il massimo di audience fu quella con l’intervista a Bao Rongting, un omosessuale condannato a morte per aver assassinato sua madre e averne violato il cadavere. Tre trasmissioni successive furono dedicate al suo caso.

La Ding nega che le interviste rappresentino uno sfruttamento dei condannati, sostiene invece che la maggioranza di loro è contenta di essere intervistata. La presentatrice dice che a volte si è dispiaciuta per loro, ma di non provare compassione: “Devono pagare per le loro malefatte. Se lo meritano.”

Che sia una donna a effettuare queste interviste apporta una nota di bellezza e di dolcezza al tema, ha dichiarato il direttore della trasmissione, il signor Lu Peijin: “Noi diciamo che si tratta della ‘bella e le bestie’ ”. Lu racconta di aver faticato a lungo per far autorizzare il programma intitolato “Interviste prima dell’esecuzione” (2).

Quando le autorità cinesi si sono rese conto della quantità di materiale fornito alla BBC sull’argomento, hanno avuto un soprassalto, si sono infuriate ed hanno vietato ogni futuro contatto tra la presentatrice e i giornalisti inglesi. Certamente preoccupa che i media stranieri sottolineino gli orrori e la violazione dei diritti umani che avvengono in Cina. E non hanno torto, in effetti. (Grazia)

________________________

(1) V. http://www.dailymail.co.uk/news/article-2109756/The-Execution-Factor-Interviews-death-row-Chinas-new-TV-hit.html

(2) V. anche n. 194.

 

 

9) QUANDO CESSERÀ IL PRELIEVO DI ORGANI DAI CONDANNATI A MORTE CINESI?

 

Un proposito non del tutto credibile delle autorità cinesi: smettere entro cinque anni il prelievo di organi dai condannati a morte che attualmente costituisce la maggiore risorsa per i trapianti.

 

E’ diffusa e consolidata l’opinione che in Cina la maggioranza degli organi per i trapianti venga prelevata dai condannati a morte.  Secondo una stima di Amnesty International risalente al 2009, il 65% degli organi trapiantati in Cina proverrebbe da condannati a morte.

Il prof. Gabriel Danovitch, direttore del Centro Trapianti di Pancreas e di Reni presso l’Università del Sud della California ha scritto a febbraio del 2011 (1): “Siamo sconvolti ed indignati del fatto che, nonostante la condanna internazionale, quelli che vengono eufemisticamente chiamati ‘donatori’ di organi affetti da una grave ferita alla testa, e riportati con diligenza nell’apposito registro nazionale, sono prigionieri la cui ‘grave ferita alla testa’ è evidentemente il risultato dell’esecuzione con un colpo di arma da fuoco al capo.”

Il 22 marzo il Vice ministro per la Salute cinese, Huang Jiefu, che si occupa da parecchi anni del problema (2), ha dichiarato all’agenzia ufficiale Xinhua che entro 5 anni in Cina si smetterà di prelevare organi dai condannati a morte. Contemporaneamente dovrebbe andare a regime un sistema nazionale di donazione di organi, negli anni diverse volte impostato ma mai decollato (3).

Tali dichiarazioni rispondono in parte alle preoccupazioni e alle gravi accuse delle organizzazioni per i diritti umani che hanno di volta in volta denunciato l’espianto di organi a cuore battente, la programmazione delle esecuzioni in base alle richieste di organi da trapiantare, la corruzione dei militari e dei poliziotti che si incaricano degli espianti e dello smistamento degli organi sia all’interno del paese che all’estero (4).

Con estrema diffidenza è stata accolta l’assicurazione di Huang che le ‘donazioni’ di organi da parte dei condannati a morte in Cina sono attualmente tutte volontarie e conseguenti ad una dichiarazione scritta.

Di certo l’asserita, e credibile, tendenza a ridurre il numero di esecuzioni capitali in Cina si scontra con la crescente richiesta di organi e quindi postula l’avvento di un sistema nazionale di donazioni indipendente dai condannati a morte.

Secondo le statistiche ufficiali, in Cina ogni anno 10 mila persone ricevono un organo. Tale dato è estremamente basso, ad esempio, in confronto con quello statunitense relativo al 2009: 14,632 organi donati tra i 104,898 pazienti in lista di attesa.

________________________

(1) In un articolo firmato anche dai colleghi M. E. Shapiro and J. Lavee pubblicato nella Rivista Americana dei Trapianti

(2) V. ad es. nn. 87, Notiziario,132, 134, 144, Notiziario.

(3) Un programma per la donazione volontaria messo in atto in Cina dal Ministero della Salute e dalla Croce Rossa nel 2010 ha messo a disposizione, a partire dal marzo di quell’anno, un totale di 546 organi.

(4) Secondo il quotidiano China Daily reni acquistati dai trafficanti di organi costano 29 mila dollari.

 

 

10) FIRMATE SUBITO LA PETIZIONE PER SALVARE LA VITA DI BEUNKA

 

Lo Stato del Texas si prepara a ‘giustiziare’ Beunka Adams il prossimo 26 aprile. Beunka ha adesso 29 anni (ne aveva 19 al momento dei fatti) ha tre figli ed ha subito un processo ingiusto.

Dopo una rapina, Beunka e il complice Richard Copp presero tre ostaggi per guadagnare tempo nella fuga. Uno degli ostaggi fu ucciso, uno ferito.

I due rapinatori furono arrestati. Beunka confessò la rapina, mentre Richard si prese la responsabilità dell’omicidio e del tentato omicidio.

Ci furono due distinti processi. Al processo contro Beunka il procuratore tenne nascosta la confessione di Richard.

Beunka Adams fu condannato a morte nel 2004.

Da allora ogni appello è stato respinto, malgrado fosse evidente che se la giuria avesse saputo della confessione di Richard Copp, Beunka Adams avrebbe potuto evitare la sentenza di morte.

Ora mancano pochi giorni alla somministrazione dell’iniezione letale, ma possiamo ancora partecipare alla petizione per chiedere al governatore Perry di sospendere l’esecuzione di Beunka.

La petizione può essere firmata molto facilmente on line al seguente link; basta inserire, nell’ordine, Nome, Cognome e gli altri dati richiesti (per Country, scegliete Italy):

http://www.change.org/petitions/governor-rick-perry-stop-beunka-adams-execution

Se trovate difficoltà, potete inviare la vostra adesione a Stefania:  sist.e@libero.it

Per vostra comodità riportiamo una nostra traduzione in italiano della petizione:

“Al Governatore Rick Perry e al Procuratore del Distretto di Cherekee,  Elmer C.  Beckworth Jr

Signori, Vi scrivo per chiedervi di fare tutto quello che è in vostro potere per fermare l’esecuzione di Beunka Adams e garantirgli un giusto processo. L’ultimo appello di Beunka Adamas è stato rigettato dalla Corte Suprema all’inizio del 2011, nonostante ci siano forti evidenze della scarsa efficacia dell’avvocato che si è occupato del suo caso e del processo ingiusto subito dal signor Adams; ci sono inoltre forti dubbi sullo svolgimento dei fatti durante la tragica rapina avvenuta a Rusk, Texas nel 2002. Nel processo del signor Adams, ci sono molte errori e incongruenze, tra cui:

- Il complice del signor Adams, Richard Copp, ha confessato di aver sparato, ma Adams e Copp sono stati giudicati in due processi separati, e durante il processo di Adams, sono state presentate prove di colpevolezza dello stesso, ma non la confessione di Copp.

- L’avvocato assegnato dallo stato ad Adams, non ha offerto una difesa appropriata durante il processo e l’avvocato che si è occupato degli appelli non gli scrive da oltre tre anni.

- Le poche nozioni legali del signor Adams non possono avergli assicurato un giusto processo.

- Adams è stato condannato per aver accidentalmente mancato la donna stesa a terra a cui avrebbe sparato, anche se la testimonianza di un perito balistico assevera che è impossibile mancare accidentalmente qualcuno da una distanza così ravvicinata procurandogli solo una ferita al labbro.

- Leggendo le trascrizioni dei due processi i dubbi sulle circostanze e sulle testimonianze dei fatti si infittiscono; ci sono infatti incongruenze e le testimonianze rese nei due processi sono diverse.

- Il signor Adams non nega di aver partecipato alla rapina, ma nega con fermezza di aver sparato e, anzi, ha cercato di fermare il suo complice che voleva uccidere l’altro ostaggio. Durante questi anni ha espresso il suo rimorso per questi tragici fatti.

So bene come la perdita di una persona cara sia un evento difficile da sopportare e per questo il mio pensiero è rivolto alle vittime, alle loro famiglie e ai loro amici e  mi auguro che possano avere tutto l’appoggio che lo stato del Texas saprà loro dare. Penso anche ai tre figli del signor Adams, che potrebbero presto perdere il loro amato padre e che dovrebbero essere ugualmente tutelati. Per tutti questi motivi e per motivi umanitari, vi chiedo di sospendere l’esecuzione del signor Beunka Adams e di concedergli un giusto processo. Grazie per l’attenzione. Sinceramente.”  (Stefania)

 

 

11) NOTIZIARIO

 

Bielorussia. Due esecuzioni capitali. Il 19 marzo le autorità della Bielorussia hanno confermato l’avvenuta fucilazione di Dzmitry Kanavalau e Uladzislau Kavalyou condannati a morte per  l’attentato dinamitardo alla metropolitana di Minsk dell’11 aprile 2011 che provocò 15 morti. Il presidente Viktor Lukashenko aveva appena rifiutato la grazia per i due nonostante il profluvio di richieste di clemenza provenienti da singoli cittadini di tutto il mondo, dalle organizzazioni per i diritti umani e dagli organismi europei. La Bielorussia è l’unico paese in Europa e nell’area ex sovietica a mantenere l’uso della pena di morte. Le autorità bielorusse sono anche state accusate di aver consentito l’esecuzione dei due condannati senza che vi fossero prove sufficienti della loro colpevolezza e dopo averli sottoposti a torture.

 

Connecticut. Probabile a breve l’abolizione della pena di morte. Un proposta di legge che abolisce la pena di morte sostituendola con l’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola è stata approvata dalla Commissione Giustizia della Camera del Connecticut il 21 marzo con 24 voti a favore e 19 contro. Nel mese di aprile è prevista la probabile approvazione della legge da parte del Senato e, quindi, della Camera al completo. In quel momento si potrà festeggiare l’abolizione in Connecticut, infatti il governatore Martin O’Malley ha anticipato che firmerà la legge rendendola operativa. Ciò anche se un sondaggio appena condotto dall’Università di Quinnipiac mostra che il 62% dei cittadini dello stato non è favorevole all’abolizione. L’anno scorso l’abolizione fallì per il grottesco comportamento della senatrice Edith G. Prague, abolizionista ma desiderosa di rimandare l’abolizione perché si era verificato un grave delitto (v. n.  190). L’abolizione della pena di morte in Connecticut, uno stato che praticamente non la usa (ha compiuto una sola esecuzione nell’arco di 51 anni) è dibattuta da tempo. Nel 2009 la legge abolizionista approvata in parlamento fu bloccata dal veto della governatrice di allora, M. Jodi Rell (v. n. 170).

 

Fortezza Europa. La Nato lasciò morire in mare 63 migranti durante la guerra libica. Dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani per uno dei tanti ‘respingimenti’ effettuati nel 2009, un altro tra gli innumerevoli delitti compiuti in questi anni nei confronti dei migranti ai margini della ‘fortezza Europa” ci viene contestato dal Consiglio d’Europa che, il 30 marzo, ha accusato l’Italia di essere tra i principali responsabili della morte per fame e sete di 63 migranti al largo della Libia in un barcone alla deriva. “Per quella tragedia - avvenuta a fine marzo 2011, in pieno conflitto libico - siamo di fronte ad un catalogo di fallimenti e responsabilità collettive”, ha denunciato la relatrice, l’olandese Tineke Strink, ricostruendo l’agonia del ‘vascello lasciato morire’ da navi ed elicotteri sotto comando Nato e di singoli paesi, tra cui Francia, Italia, Spagna e Cipro. Nel marzo 2011, a Tripoli, 72 migranti sub-sahariani (tra cui 20 donne e due bebé) furono costretti ad imbarcarsi dalle milizie di Gheddafi con dei contrabbandieri che si appropriarono del cibo e dell’acqua. Dopo 18 ore di navigazione, il barcone andò alla deriva e chiese soccorso con un telefono satellitare. “L’ipotesi più probabile è che tutti sapessero e che tutti abbiano voltato gli occhi da un’altra parte per non doversi accollare la responsabilità di dare un rifugio ai migranti”. Di certo - è la tesi del Consiglio d'Europa – lo sapeva la Nato, così come la nave militare italiana Borsini che si trovava a 37 miglia dal barcone e la nave spagnola Mendez Nunez che distava 11 miglia. Entrambe provviste di elicottero. E lo sapeva l’elicottero dell’esercito francese che si avvicinò ai disperati donando loro biscotti e acqua, insieme alla promessa non mantenuta che sarebbe ritornato. “Mi auguro che nessuna responsabilità sia riconducibile al nostro Paese, nel caso si dovesse fare una commissione d'inchiesta,” ha commentato il presidente del Senato Renato Schifani, aggiungendo: “non bisogna dimenticare che il nostro paese si è sempre distinto per spirito di solidarietà e di accoglienza”. Forse Schifani non si ricorda delle migliaia e migliaia di migranti che sono morti in questi anni in mare e di quelli che abbiamo respinto o riportato in Africa, incuranti del destino crudele a cui andavano incontro (v. ad es. n. 195, “Affari, guerra e tortura”; n. 191, Notiziario; n. 181, n. 171). (Grazia)

 

Libia. Netta chiusura nei riguardi della Corte Penale Internazionale. Il 21 marzo la Libia ha ribadito la sua opposizione al trasferimento di Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto dittatore libico, presso la Corte Penale Internazionale dell’Aia (v. n. 195). La Libia contende inoltre alla corte internazionale il cognato di Gheddafi, Abdullah Senussi, che è stato appena catturato in Mauritania con l’aiuto della Francia. “Senussi sarà presto in prigione in Libia” ha dichiarato il vice primo ministro libico Mustafa Abu Shagour. Ma è più probabile che Senussi – ex capo dei servizi segreti libici, sospettato anche dell’attentato ad un aereo che nel 1989 causò in Niger la morte di 170 persone tra cui 54 cittadini francesi – venga estradato in Francia. Le autorità libiche osservano che un processo dei due davanti alla Corte Penale Internazionale potrebbe far emergere verità nascoste riguardo al regime di Gheddafi (scomode per diversi paesi).

 

Usa. Holder sostiene la liceità degli omicidi mirati di Americani. Il 5 marzo, parlando a 800 tra studenti e professori di legge dell’università Northwestern University in Illinois, l’Attorney General (Ministro della Giustizia) degli Stati Uniti Eric H. Holder Jr. ha ribadito la legittimità degli omicidi mirati di cittadini americani decisi (in segreto e con la più ampia discrezionalità) dall’Esecutivo.  Notiamo che per l’uccisione dei non Americani non si è mai posto il problema. “Data la natura degli atti dei terroristi e i luoghi in cui essi tendono a nascondersi, non può essere sempre praticabile la cattura di un cittadino degli Stati Uniti terrorista che costituisca un’imminente minaccia di attacco violento,” ha affermato Holder. “In tal caso il nostro governo ha chiaramente l’autorità di difendere gli Stati Uniti con la forza letale.” La conferenza era stata programmata dallo scorso autunno in seguito alle polemiche originate dall’esecuzione mirata del cittadino americano Anwar al-Awlaki ucciso da aerei senza pilota il 30 settembre nello Yemen (v. n. 193). A febbraio il consigliere generale del Pentagono Jeh Johnson aveva tenuto un discorso dello stesso tenore di quello di Holder presso la facoltà di legge dell’Università di Yale. In un editoriale del 10 marzo il New York Times osserva: “Il presidente Obama, che entrò in carica promettendo trasparenza e aderenza alla stato di diritto, è il primo presidente a rivendicare l’autorità di uccidere un Americano senza l’intervento del potere giudiziario, senza una reale supervisione e senza la necessità di renderne conto al pubblico”.

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 marzo 2012

bottom of page