FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 213 – Marzo 2014
Glen Ford esce dal penitenziario di Angola
IMPORTANTE: L'Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau si terrà il 1° giugno p. v. a Firenze, preceduta da una riunione informale la sera prima. Chi intende pernottare a Firenze lo dica subito!
Seguirà, entro il 10 maggio p. v. , la convocazione formale dell'Assemblea con l'ordine del giorno.
SOMMARIO:
1) Sfatati 5 miti riguardanti la pena di morte
2) Amnesty sulla pena di morte nel mondo nel 2013
3) Impressionanti dati sulle esecuzioni capitali in Iran
4) Pareri inconciliabili riguardo ai diritti umani in Iran
5) Corte Suprema: favorevole esito dell'udienza sul caso Hall
6) Egitto: condannate a morte 529 persone in un processo lampo
7) Ohio: negata a Ronald Phillips la possibilità di salvare una vita
8) Dopo 30 anni esce dal braccio della morte, un po' risentito
9) L’isolamento in carcere produce gli stessi danni della tortura
10) Presidia il tuo suolo, e spara con le armi liberamente detenute
11) Notiziario: Arabia Saudita, California, Florida, Georgia, Iran
1) SFATATI 5 MITI RIGUARDANTI LA PENA DI MORTE di Amnesty International (*)
Alcune persone, influenzate da cinque “miti” molto diffusi, credono erroneamente che la pena di morte renda la società più sicura.
MITO: La pena di morte scoraggia il crimine violento e rende il mondo più sicuro.
In REALTÀ: Non c’è alcuna prova convincente che la pena di morte abbia uno speciale effetto deterrente. A più di 3 decenni dall’abolizione della pena di morte, il tasso di omicidi in Canada rimane inferiore di oltre un terzo rispetto a com’era nel 1976. Uno studio condotto per 35 anni ha confrontato i tassi di omicidio di Hong Kong, dove non c’è la pena di morte, con quelli di Singapore, che ha un numero di abitanti analogo e compie esecuzioni con regolarità. La pena di morte ha avuto scarso impatto sul tasso di crimini commessi.
MITO: La minaccia dell’esecuzione è una strategia efficace per prevenire attacchi terroristici.
In REALTÀ: E’ improbabile che la prospettiva di essere giustiziati funga da deterrente per persone preparate ad uccidere e a ferire in conseguenza di un’ideologia politica o di altro genere. Anzi, alcuni funzionari dell’antiterrorismo hanno più volte sottolineato che le persone che vengono giustiziate possono essere viste come martiri, la cui memoria diventa un catalizzatore per la loro ideologia o per le loro organizzazioni. Gruppi armati dell’opposizione hanno considerato l’uso della pena di morte una giustificazione per compiere rappresaglie, alimentando in tal modo il ciclo di violenza.
MITO: La pena di morte va bene fino a quando la maggioranza delle persone è ad essa favorevole.
In REALTÀ: La storia è macchiata da violazioni dei diritti umani, all’epoca approvate dalla maggioranza delle persone, ma che, a posteriori, vengono guardate con orrore. La schiavitù, la segregazione razziale e il linciaggio ebbero il sostegno della società in cui si verificarono, eppure costituiscono grossolane violazioni dei diritti umani. In definitiva, il dovere dei governanti è di proteggere i diritti di tutti gli individui, anche se ciò a volte significa agire contro l’opinione della maggioranza. Inoltre l’opinione pubblica spesso cambia a seconda della leadership politica e quando vengono fornite al pubblico informazioni oggettive sulla pena di morte.
MITO: Tutte le persone giustiziate sono colpevoli di gravissimi crimini.
In REALTÀ: Nel mondo centinaia di prigionieri vengono giustiziati dopo processi grossolanamente ingiusti. Può trattarsi di “confessioni” estorte con la tortura, di negazione dell’accesso agli avvocati e di difesa legale inadeguata. I paesi col maggior numero di esecuzioni sono anche quelli verso i quali si nutre la maggiore preoccupazione riguardo all’equità del sistema giudiziario, come la Cina, l’Iran e l’Iraq. I 144 annullamenti di condanne a morte registrati negli USA dal 1973 dimostrano che, per quante salvaguardie legali vengano attuate, non esistono sistemi giudiziari esenti dalla possibilità di commettere errori. Fino a quando la giustizia umana sarà fallibile, non sarà possibile eliminare il rischio di giustiziare degli innocenti.
MITO: I familiari delle vittime dei crimini vogliono la pena di morte.
In REALTÀ: Il movimento abolizionista mondiale comprende molte persone che hanno perso dei familiari, o che sono state vittime, in conseguenza di crimini violenti. Queste persone però, per ragioni etiche o religiose, non vogliono che la pena di morte venga inflitta “in loro nome”. Negli USA organizzazioni come “Murder Victims' Families for Human Rights” (“Familiari delle Vittime di Crimine, per i Diritti Umani”) sono alla testa del movimento abolizionista, come avviene ora nel New Hampshire.
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(*) Nostra traduzione da: http://www.amnesty.org/en/news/five-death-penalty-myths-debunked-2014-03-26
2) AMNESTY SULLA PENA DI MORTE NEL MONDO NEL 2013
Il 27 marzo è uscito il Rapporto di Amnesty International (A. I.) sulla pena di morte nel 2013 (1). Si tratta di 66 pagine, frutto di un grosso lavoro, di cui devono tener conto tutti coloro che si occupano della pena capitale (2).
“La pena di morte,” denuncia Amnesty, “continua a essere comminata per reati connessi alla droga in diversi paesi tra cui Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iran, Laos, Malesia, Pakistan, Qatar, Singapore, Thailandia, Vietnam e Yemen. Altri reati capitali considerati come i 'reati più gravi' e che sono stati puniti con condanne a morte nel 2013 sono stati: adulterio (Arabia Saudita) e 'blasfemia‛ (Pakistan), reati finanziari (Cina, Corea del Nord, Vietnam), stupro (Emirati Arabi Uniti, Iran, Kuwait, Somalia) e rapina aggravata (Arabia Saudita, Kenya, Nigeria, Sudan). Infine, diverse forme di 'tradimento'‚ atti contro la sicurezza nazionale e altri 'crimini contro lo stato' (come il moharebeh , inimicizia verso Dio, in Iran)”.
Tra i segni di una tendenza globale verso l'abolizione citati da Amnesty per il 2013, vi sono i seguenti:
* Nel continente americano, solo gli USA hanno compiuto esecuzioni;
* Siccome la Bielorussia non ha compiuto esecuzioni, l'Europa non ha registrato esecuzioni; non vi sono state esecuzioni in Asia Centrale.
* Gli USA sono stati il solo paese tra i 56 paesi dell'OCSE a compiere esecuzioni.
* Solo 5 su 56 paesi membri dell'Unione Africana hanno compiuto esecuzioni; 36 paesi di tale Unione sono abolizionisti per legge o di fatto.
Leggendo l'interessante e istruttivo Rapporto, non possiamo esimerci dal rilevare che - come accaduto negli anni scorsi - esso presenta alcune singolarità. Per esempio A. I. si rifiuta di parlare del numero di esecuzioni portate a termine in Cina (per protestare contro il 'segreto' imposto dalle autorità sulla questione) anche se ci sarebbero i modi per arrivare ad una valutazione di tale dato importantissimo. Facendo così Amnesty non può neanche sottolineare la conquista da parte dell'Iran del primo posto in classifica per quanto riguarda il numero di esecuzioni pro capite (3).
Il numero di esecuzioni riportate per l’Iran (almeno 369) è assolutamente troppo compresso (si rifà a quanto riferito dalle autorità iraniane). Mentre serie organizzazioni indicano con sicurezza oltre 600 esecuzioni, (3) Amnesty si limita a dire che 'secondo fonti attendibili' le esecuzioni 'sarebbero quasi il doppio del numero riportato'.
Il numero totale di esecuzioni nel mondo fornito per il 2013 (Cina esclusa) è di 'almeno 778 rispetto alle 682 del 2012' (4).
Anche ammettendo l’utilità dei criteri adottati per calcolare le esecuzioni, non si possono condividere le osservazioni formulate da Amnesty, di anno in anno, sulla diminuzione - ovvero l'aumento - del numero di esecuzioni rispetto all’anno precedente, ad esempio: “Nel 2013, le esecuzioni sono aumentate del 15% rispetto al 2012”.
Per quanto riguarda il numero di condanne a morte emesse nel 2013, Amnesty parla di almeno 1.925 condanne in 58 paesi (e dice che nel 2012 ve ne erano state in quantità minore: almeno 1.722 in 57 paesi). Tra i paesi in cui si è avuto un preoccupante aumento delle condanne capitali [oltre l'Iran e l’Iraq] abbiamo: Afghanistan, Bangladesh, Nigeria e Somalia.
Alla fine del 2013 arriverebbe ad 'almeno 23.392' il numero totale dei condannati rinchiusi nei bracci della morte nel mondo.
Amnesty rileva che “con l’eccezione della Cina, quasi l’80% di tutte le esecuzioni è stato registrato in tre paesi: Iran, Iraq e Arabia Saudita. Nella classifica dei principali paesi responsabili del maggior numero di esecuzioni al mondo, figurano anche gli Usa e la Somalia” (5). Vengono riportate almeno 169 esecuzioni in Iraq e almeno 79 (tra cui quelle di tre minorenni al momento del reato) in Arabia Saudita.
Il numero dei paesi in cui si sono verificate esecuzioni è basso e stabile (22 contro i 21 sia nel 2011 che nel 2012) rispetto al numero dei paesi che conservano la pena di morte.
Questo dato significativo è in netta diminuzione sia nell’ultimo ventennio (nel 1994 erano 37 i paesi con esecuzioni), sia nell’ultimo decennio (25 paesi con esecuzioni nel 2004).
In ogni caso, confrontando i dati degli ultimi anni è decenni, non si può non essere d'accordo con Amnesty International la quale afferma che “il trend si mantiene sempre nettamente verso l’abolizione (the trend is still firmly towards abolition)”.
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(1) Vedi:
http://www.amnesty.it/flex/FixedPages/landing/2014/06-pdm/Rapporto_pena_di_morte_2014.pdf
(2) Un nostro commento dopo l’uscita del Rapporto relativo al 2012 si trova nel n. 205.
(3) V. articolo seguente sull’Iran (“Impressionati dati...”).
(4) Numero di esecuzioni nel 2013, secondo A. I. : Afghanistan (2), Autorità Palestinese 5 (3+, da Hamas, amministrazione de facto a Gaza), Arabia Saudita (79+), Bangladesh (2), Botswana (1), Cina (+), Corea del Nord (+), Giappone (8 ), India (1), Indonesia (5), Iran (369+), Iraq (169+), Kuwait (5), Malesia (2+), Nigeria (4), Somalia (34+; 15+ dal Governo federale di transizione e 19+ nel Puntland), Stati Uniti d’America (39), Sudan (21+), Sud Sudan (4+), Taiwan (6), Vietnam (7+), Yemen (13+).
(5) Negli Stati Uniti d'America continua la diminuzione sia delle esecuzioni (nel 2013 solo 39) che delle condanne a morte (80 nel 2013), v. n. 211.
3) IMPRESSIONANTI DATI SULLE ESECUZIONI CAPITALI IN IRAN
L'Iran, che ha ormai superato la Cina, ha effettuato quasi 700 impiccagioni nel corso del 2013
I dati delle esecuzioni capitali in Iran nel 2013 certificano un nuovo record per il paese degli Ayatollah. E si tratta di un record mondiale dal momento che, per quanto riguarda le esecuzioni pro capite, l’Iran ha ormai sorpassato ampiamente la Cina. (1)
Riportiamo di dati diffusi da Iran Human Rights il 12 marzo, praticamente coincidenti con quelli forniti dalle altre fonti (e riferiti anche da Amnesty International che pure usa criteri di statistica tutti suoi) (2):
Almeno 687 persone sono state messe a morte nel 2013 in Iran, un numero record che segna un aumento del 16% rispetto all’anno precedente.
Alcuni dettagli:
388 esecuzioni (56%) sono state riportate anche dalle fonti ufficiali iraniane;
458 esecuzioni (68%) sono state effettuate nei mesi successivi all’elezione del nuovo presidente Rouhani (3);
59 esecuzioni sono state compiute in pubblico;
331 persone (quasi la metà del totale) sono state 'giustiziate' per reati connessi alla droga;
148 delle persone giustiziate erano accusate di omicidio;
le accuse in 114 casi sono sconosciute;
almeno 30 donne sono state 'giustiziate' nel 2013;
sono stati messi a morte almeno 3 minorenni all'epoca del reato;
almeno 299 esecuzioni in 21 carceri sono state compiute in segreto o non sono state annunciate ufficialmente;
per mancanza di informazioni, almeno altre 130 esecuzioni non sono comprese nella statistica.
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(1) I primi dati del corrente anno 2014 (176 esecuzioni fino al 15 marzo) non lasciano intravedere nessuncambiamento della situazione.
(2) Vedi il Rapporto annuale di Iran Human Rights: http://iranhr.net/2014/03/report-death-penalty-iran-2013 e, nel sito di World Coalition Against Death Penalty, http://www.worldcoalition.org/iran-human-rights-ecpm-rohani-nuclear-death-penalty-executions.html
(3) “Senza dubbio nel periodo seguente l'elezione del presidente Hassan Rohani non è visto alcun miglioramento dei diritti umani” ha dichiarato Mahmood Amiry-Moghaddam, fondatore di IHR. “Due terzi delle esecuzioni sono avvenute dopo l'elezione, mentre miglioravano i rapporti dell'Iran con l'Occidente. Ora nessun leader occidentale può andare in Iran senza menzionare la pena di morte”.
4) PARERI INCONCILIABILI RIGUARDO AI DIRITTI UMANI IN IRAN
In Iran le autorità si sono stizzite per le critiche ricevute in merito allo straripante uso della forca.
All'inizio di marzo si è discusso pro e contro la pena di morte in Iran quando almeno12 prigionieri sono stati “giustiziati” nel giro di sei giorni. Di questi, alcuni sono stati impiccati in pubblico, altri segretamente. Secondo NCR (1), tra i giustiziati vi è Hassan Zolfaghari, 23-enne, ucciso in segreto nella città di Zahedan. Era minorenne all'epoca dei fatti contestatigli ed era stato arrestato quando aveva 17 anni. Due altri condannati, di 28 e 30 anni, sono stati impiccati per aver commesso atti contrari alla legge religiosa della sharia (tali violazioni possono andare dal consumo di bevande alcoliche all'opposizione politica contro il regime).
Le autorità giudiziarie hanno dichiarato che queste esecuzioni devono “impartire una dura lezione ad alcuni e ammonire altri [potenziali violatori della sharia]”.
NCR ha domandato alla comunità internazionale di condannare con fermezza le esecuzioni arbitrarie e collettive, che sono aumentate sotto la presidenza di Hassan Rouhani, il nuovo presidente laico che pure aveva dato adito a speranze. La stessa coalizione chiede che un dossier sulle violazioni sistematiche dei diritti umani in Iran venga presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Per contro, Mohammad Javad Larijani, capo del “Consiglio dei Diritti Umani”, parte integrante del sistema giudiziario iraniano, ha affermato che il mondo dovrebbe lodare il regime per la crescita delle esecuzioni. Larijani ha dichiarato: “Purtroppo, invece di lodare l’Iran per l’aumento delle esecuzioni e per la sua azione decisiva contro lo spaccio di droga, organizzazioni internazionali hanno usato tale incremento per un’offensiva sui diritti umani contro l’Iran. E’ ovvio che questa offensiva non ha basi nei diritti umani e il suo scopo primario è di colpire la Legge della Retribuzione”. Mohammad Javad Larijani ha qualificato la legge del taglione come una legge che 'porta vita’.
Tutto ciò mentre il regime religioso iraniano ha approvato l'asportazione degli occhi, dell’orecchio destro e del naso ad un giovane che lo scorso ottobre gettò acido sul volto di una ragazza (la quale perse la vista e l’orecchio destro). Approvata anche l'amputazione di una mano e di un piede di un altro prigioniero.
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(1) NCR sta per “Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana”, importante coalizione (all'estero) di organizzazioni, gruppi e personalità iraniani, fondata nel 1981. V. http://www.ncr-iran.org
(2) Fratello di Sadeq Larijani, capo del potere giudiziario, di cui al n. 209.
5) CORTE SUPREMA: FAVOREVOLE ESITO DELL'UDIENZA SUL CASO HALL
E' andata bene l'udienza della Corte Suprema Usa in merito alla pena di morte per i disabili mentali.
A detta degli osservatori, l'esito dell'udienza di un'ora tenuta il 3 marzo dalla Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso di Freddie Lee Hall, condannato a morte in Florida, è stato favorevole al condannato.
Ricordiamo che negli USA la pena di morte è proibita per i ritardati mentali (ora chiamati 'disabili mentali'). Tuttavia la Florida vorrebbe mettere a morte Hall, riconosciuto fin dal 1992 come un disabile mentale, solo perché un ulteriore test di intelligenza da lui sostenuto dette un punteggio del Q. I. appena superiore al valore limite di 70 (V. l'ampio articolo sul suo caso nel n. 212).
Dalla discussione si è capito chiaramente che il giudice Anthony Kennedy, il quale di solito fa la differenza nelle votazioni effettuate dai 9 giudici della massima corte - oscillando tra le posizioni conservatrici e quelle moderate - sia orientato a mettersi dalla parte di coloro che voteranno a favore di Hall, sentenziando che la disabilità mentale deve essere decisa guardando al complesso delle caratteristiche cliniche del soggetto e non solo ai risultati dei test del Q. I. (peraltro disconoscendo l'errore statistico inerente).
Anche gli altri giudici più progressisti (si tratta di Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Elena Kagan) si sono dimostrati favorevoli ad Hall, osservando che appare illogico il rifiuto della Florida di guardare al complesso degli aspetti clinici se il detenuto supera il punteggio soglia in un test del Q. I. così come il rifiuto della Florida di consentire l'effettuazione di altri test.
La decisione che la massima corte adotterà in merito al caso Hall, probabilmente a fine giugno, avrà validità generale e influenzerà la procedura giudiziaria che porta alla pena di morte, oltre che in Florida, anche in altri stati, ad. esempio in Virginia, Alabama, Idaho e Kentucky.
Kennedy votò con la maggioranza di 5 giudici contro 4 nel 2002 quando, con la decisione Atkins v. Virginia, fu proibita la pena di morte per i ritardati mentali. Il famoso giudice ultraconservatore Antonin Scalia votò invece contro (cosa che appare orientato a fare ora).
6) EGITTO: CONDANNATE A MORTE 529 PERSONE IN UN PROCESSO LAMPO
In meno di 2 giorni sono stati processati e condannati a morte 529 oppositori del regime egiziano.
Amnesty International in un comunicato del 24 marzo definisce 'grottesca' la condanna a morte in Egitto, in un processo lampo tenutosi nella città di Minya, di 529 oppositori del regime in carica.
Amnesty, per bocca di Hassiba Hadj Sahrraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International, dichiara: “È un'enorme ingiustizia. Le condanne a morte devono essere annullate. Emettere così tante condanne a morte in un singolo processo fa sì che l'Egitto abbia superato la maggior parte dei paesi per numero di condanne inflitte in un anno. Si tratta del più alto numero di condanne a morte emesse simultaneamente negli ultimi anni, non solo in Egitto ma a livello mondiale”.
“I tribunali egiziani sono solleciti nel punire i sostenitori di Morsi ma ignorano le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza. Mentre migliaia di simpatizzanti dell'ex presidente languono in prigione, non vi sono state indagini adeguate sulla morte di centinaia di manifestanti. Un solo agente di polizia rischia il carcere, accusato della morte di 37 detenuti” – ha aggiunto Sahraoui. [...]
A questo punto, per un'analisi più articolata della stupefacente sentenza, riportiamo un ampio stralcio di un editoriale del New York Times del 24 marzo: “L'Egitto sta precipitando in una preoccupante spirale dal momento in cui il Presidente Hosni Mubarak fu estromesso nel 2011. Anche in tale contesto, lunedì 24 marzo la condanna a morte di 529 islamisti per l'uccisione di un poliziotto l'estate scorsa è stato un evento sorprendente partorito da un sistema giudiziario fuori controllo.
La condanna a morte potrà essere cambiata in appello. Ciononostante rappresenta una infame escalation nella repressione della Fratellanza Musulmana e degli Islamisti sostenitori di Mohamed Morsi, da parte del governo sostenuto dai militari. Ciò porterà ad una ulteriore radicalizzazione dei membri di tali gruppi. E porterà quasi sicuramente ad un accentuazione dell'instabilità in uno dei più importanti paesi del mondo arabo.
Non si può non pensare che il procedimento giudiziario sia stato soltanto uno show con un esito politico preordinato. Chiaramente con lo scopo di intimidire chiunque osi sfidare i militari o mostri simpatia per la Fratellanza o per Morsi, che fu eletto Presidente nel 2012 in elezioni democratiche (1) e fu poi deposto dal colpo di stato militare l'estate scorsa.
Secondo gli esperti, la sentenza è stata la più grande sentenza di massa nella storia egiziana moderna. E' conseguita ad un processo durato un po' meno di 2 giorni - non abbastanza per incriminare una singola persona, men che meno 529 persone, accusate di aver ucciso un singolo poliziotto nei disordini che seguirono alla deposizione [e alla carcerazione] di Morsi.
[...] Il caso smaschera un sistema con pregiudizi che è stato veloce nel punire i sostenitori di Morsi mente ignora le massicce violazioni dei diritti umani da parte del governo sostenuto militarmente che lo ha sostituito. Tra queste violazioni vi sono i colpi di arma da fuoco inferti a più di 1.000 Egiziani che protestavano per il colpo di stato e il susseguente arresto di altre miglia di essi. Questi incidenti, a loro volta, hanno scatenato una reazione dei sostenitori di Morsi contro la polizia in tutto il paese. In questa reazione sono comprese le proteste violente a Minya l'estate scorsa con l'uccisione del poliziotto per la quale si è celebrato ora il processo contro 529 persone.”
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(1) Poi, per la verità, Morsi aveva compiuto errori, e monopolizzato sempre più il potere.
7) OHIO: NEGATA A RONALD PHILLIPS LA POSSIBILITÀ DI SALVARE UNA VITA
I boia dell'Ohio non vogliono consentire a Ronald Phillips, condannato a morte, di donare un rene a sua madre: sottoponendosi all'operazione non sarebbe in perfetta forma al momento dell'esecuzione
Ronald Phillips, che doveva ricevere l’iniezione letale in Ohio il 14 novembre scorso, aveva espresso tre giorni prima della data fatidica il desiderio di donare il cuore a sua sorella e un rene a sua madre, in dialisi, per salvarle la vita. Il giorno dopo, del tutto inaspettatamente, il Governatore John Kasich (peraltro un attivo forcaiolo) era intervenuto rinviando l’esecuzione al 2 luglio p. v. per dar modo di studiare la fattibilità dei trapianti (1).
Scartata la possibilità di effettuare un espianto cardiaco, in seguito sono state fatte le analisi di compatibilità e Ronald Phillips è stato ritenuto idoneo per la donazione di un rene alla madre.
Nonostante ciò, il 21 marzo il Dipartimento di Correzione e di Riabilitazione dello stato dell’Ohio ha negato a Phillips la possibilità di donare il rene, affermando che si era fuori tempo massimo!
Il legale del Dipartimento ha chiarito che la decisione in merito è stata presa perché il condannato… non avrebbe avuto abbastanza tempo per ristabilirsi dall’operazione prima della sua esecuzione! Lo stato, in sostanza, afferma che uccidere Phillips senza consentirgli 100 giorni di recupero dopo l’operazione costituirebbe una punizione crudele ed inusuale!
Il fatto che uno stato con la pena di morte sia così sensibile alle condizioni di salute dei condannati costituisce un’assoluta novità. Ad esempio nel giugno 2007 in Oklahoma il detenuto Jimmy Bland fu giustiziato, dopo che la Commissione per le Grazie aveva all’unanimità rifiutato di concedergli clemenza, pur essendo il condannato ammalato di tumore ai polmoni in fase avanzata. Altre volte i condannati sono stati uccisi subito dopo cruenti tentativi di suicidio.
Non è del tutto fuori luogo sospettare che il diniego del Dipartimento di Correzione e Riabilitazione sia dovuto al timore che il ripetersi di domande di donazione di organi da parte di condannati a morte possa complicare notevolmente il compito degli addetti alla ‘macchina della morte’ dell’Ohio (2) (Grazia)
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(1) Vedi. n. 210
(2) Commentando il caso di Ronald Phillips, si è osservato amaramente che ogni giorno in America muoiono 18 persone che potrebbero essere salvate con un trapianto se si trovasse per loro il donatore.
8) DOPO 30 ANNI ESCE DAL BRACCIO DELLA MORTE, UN PO' RISENTITO
Il nero Glenn Ford, riconosciuto innocente, è uscito a 64 anni dal penitenziario di Angola, in Louisiana, dopo aver trascorso quasi 30 anni in carcere, 26 dei quali nel braccio della morte.
Il 64-enne Glenn Ford è uscito dal famigerato penitenziario di Angola, in Louisiana, dopo aver trascorso quasi 30 anni in carcere, 26 dei quali nel braccio della morte. Era stato accusato falsamente di aver ucciso, il 5 novembre 1983, la gioielliera 56-enne Isadore Rozeman nel negozio in cui lei riparava orologi. Riteniamo che la permanenza nel braccio della morte di Glen Ford sia la più lunga per un prigioniero che sia stato riconosciuto innocente e liberato negli USA.
Egli, nero, si era sempre dichiarato innocente. Era stato condannato a morte da una giuria tutta composta di bianchi. Gli erano stati assegnati due difensori scelti a caso nella lista degli avvocati locali. Uno di essi si occupava di gas e di derivati del petrolio, un'altra si occupava di assicurazioni. Gli avvocati difensori non assunsero esperti temendo di doverli pagare di tasca propria. L'accusa nascose importanti prove a discolpa e assunse periti forensi squalificati che ingannarono la giuria riguardo all'andamento dei fatti. La principale testimone che connetteva Ford al crimine ritrattò davanti alla giuria la propria deposizione.
Il 10 marzo è stato firmato dalla giudice Ramona Emanuel l'ordine di scarcerazione per Glen Ford e il giorno successivo egli ha riacquistato la libertà.
L'accusatore distrettuale, in una memoria fatta propria dalla giudice, aveva scritto tra l'altro: “Nell'ultima parte del 2013 credibili prove sono venute a conoscenza del sottoscritto a sostegno della tesi che Glen Ford non fu presente né partecipò alla rapina e all'uccisione della Rozeman.”
Intervistato all’uscita dal carcere, Ford ha dichiarato: “E’ una bella sensazione, la mia mente sta vagando in ogni direzione. E’ una bella sensazione!”. Gli è stato chiesto se ha qualche risentimento per ciò che ha subìto e lui ha risposto di sì: “Non potrò tornare indietro e fare ciò che avrei potuto fare a 35, 38, 40 anni di età; cose del genere”.
Gary Clements e Aaron Novod, gli attuali avvocati di Ford, sono felici dell’annullamento della condanna e della liberazione. Hanno detto che il processo di Ford era stato profondamente compromesso da una difesa inesperta e dalla soppressione delle prove a favore, tra cui notizie ricevute da un informatore della polizia.
Una legge della Louisiana dà diritto ad un indennizzo per coloro che sono stati incarcerati e poi riconosciuti innocenti. Si tratta di circa 25.000 dollari per ogni anno di detenzione fino ad un massimo di 250.000 dollari, oltre a 80.000 dollari per la perdita delle “opportunità della vita”.
Considerato che 250.000 dollari corrispondo a 10 anni di detenzione e che invece Ford ne ha trascorsi 30 in carcere, è sicuro che almeno 20 anni di vita gli verranno portati via “gratis”. In ogni caso qualsiasi cifra sarebbe un magro compenso per chi stato privato di una parte così importante della propria vita.
9) L’ISOLAMENTO IN CARCERE PRODUCE GLI STESSI DANNI DELLA TORTURA
Negli Stati Uniti non si frustano più i prigionieri né si torturano in altri modi (almeno nelle carceri “ufficiali” metropolitane, perché, come sappiamo, la tortura è stata ampiamente utilizzata dagli Americani nei riguardi dei 'sospetti terroristi' detenuti all'estero).
Nelle prigioni americane però viene praticata, per un'ampia minoranza di detenuti, la detenzione in isolamento per 23 ore al giorno, spesso per mesi, anni o addirittura decenni.
Matthew Lieberman dell’Università della California ha confrontato le registrazioni dell'attività cerebrale di persone sofferenti nel fisico con quelle di persone sofferenti nella psiche: “Affiancando i risultati... non si riesce a distinguere alcuna differenza”, ha scritto. I processi cerebrali risentono dei due tipi di sofferenza in modo similare. Addirittura, a un livello di esperienza umana, la sofferenza psichica dei detenuti in isolamento è persino più traumatica, più destabilizzante e infligge effetti più duraturi della sofferenza fisica.
Eppure, in America circa 80.000 carcerati sono tenuti in isolamento negli istituti di 'super massima sicurezza'. Spesso chiusi in stanzette di 2 metri per 3 dove restano ininterrottamente per 2 giorni la settimana, mentre nei restanti 5 giorni viene loro concessa un’ora di esercizio fisico, che compiono da soli in un piccolo cortile. Per anni e anni un detenuto può non toccare altri esseri umani in modo normale. L’unico contatto fisico può avvenire, occasionalmente, con la guardia che gli fa indossare le catene all'uscita dalla cella.
I mammiferi non vivono bene in isolamento. Le scimmie isolate possono impazzire o lasciarsi morire. Anche altri animali soffrono gravemente se vivono senza contatto con altri membri della loro specie.
Studi sui prigionieri di guerra nell’ex Jugoslavia nel 1992 dimostrarono che chi era stato isolato dagli altri aveva riportato gravi danni nel funzionamento del cervello, così come coloro che avevano subito traumi cranici.
Qualche prigioniero non risente dell’isolamento, ma la maggioranza riporta vari tipi di sofferenza, come mal di testa, ipersensibilità alle stimolazioni, problemi digestivi, perdita di appetito, auto-mutilazioni, confusione cronica, perdita della capacità di concentrazione, idee paranoiche o allucinazioni.
Lo psichiatra Stuart Grassian studiò oltre 200 prigionieri in isolamento e concluse che circa un terzo di essi aveva sviluppato psicosi acute con allucinazioni.
Almeno la metà dei suicidi in prigione è commessa da detenuti in isolamento, anche se questi rappresentano solo il 5% della popolazione carceraria degli USA.
I direttori delle carceri dichiarano che l’isolamento è necessario per mantenere l’ordine. Il loro parere è da rispettare dal momento che vivono in situazioni difficili. Però ci sono molte prove che la violenza in carcere è alimentata dalle condizioni di detenzione e dalla cultura carceraria. Se c’è sovraffollamento, tensione e potere arbitrario o anarchia, c’è grande probabilità di violenza anche se parecchi individui vengono tolti di mezzo e posti in isolamento.
Per fortuna l’opinione pubblica sta mutando. Il direttore esecutivo delle carceri del Colorado ha provato a restare in isolamento volontario per un breve periodo e ha deciso che non metterà più in isolamento i malati di mente. Le autorità di New York hanno concordato nuove linee guida che limitano il tempo per cui un detenuto può essere posto in isolamento.
“Il punto fondamentale è che dobbiamo cancellare l’idea che la sofferenza psichica da deprivazione sociale sia accettabile perché non è vera sofferenza”, scrive sul New York Times del 6 marzo il columnist David Brooks. (Grazia)
10) PRESIDIA IL TUO SUOLO, E SPARA CON LE ARMI LIBERAMENTE DETENUTE
E' stata approvata in Georgia una legge che consente di portare armi in ogni dove, perfino in chiesa
La strage compiuta con pistole e mitra da un ventenne nella scuola Sandy Hook Elementary School di Newtown nel Connecticut il 14 dicembre 2012 costò la vita ad una trentina di persone.
Subito dopo il fatto il presidente Obama dichiarò: “... Il nostro paese è passato attraverso eventi del genere troppe volte. Accada nella scuola elementare di Newtown, in un grande magazzino in Oregon, in una chiesa in Wisconsin, in una sala cinematografica di Aurora, o ad un angolo di strada a Chicago, si tratta sempre dei nostri vicini di casa. I nostri vicini e questi bambini sono i nostri bambini. Ora dobbiamo stringerci insieme e intraprendere azioni significative per prevenire altre tragedie come questa. Indipendentemente dagli interessi politici. ...”
E il sindaco di New York Michael Bloomberg da parte sua manifestò una netta opposizione alla vendita delle armi da fuoco, dichiarando: “Dicevano che era troppo presto per mettere mano alle leggi sulle armi dopo Columbine, Virginia Tech, Tucson e Aurora. Ora ci sentiamo dire di nuovo la stessa cosa. Ogni giorno 34 persone vengono uccise con armi da fuoco. Oggi molte fra le persone uccise erano bambini di cinque anni” (1).
Obama e Bloomberg non hanno avuto molto successo (2), comunque in alcuni stati USA sono state approvate norme che diminuiscono il pericolo proveniente dalle armi personali: nonostante la forte resistenza della lobby delle armi, ben rappresentata dalla National Rifle Association (3), è arrivata qualche restrizione per la loro detenzione (detenzione orgogliosamente prevista dall'ormai decrepito Secondo Emendamento della Costituzione USA).
Tuttavia, specie negli stati controllati dai Repubblicani, continuano a passare leggi “Presidia il tuo suolo” (Stand Your Ground),che permettono di ammazzare impunemente intrusi o presunti tali, insieme a leggi che consentono alle armi di permeare la società (4). Tra queste, la nuova legge approvata in marzo dal Parlamento della Georgia (che per entrare in vigore ha bisogno soltanto della firma pressoché certa del governatore Nathan Deal). Tale legge consente di introdurre liberamente armi nei bar, nelle scuole, nei tribunali, nei ristoranti, nelle chiese e negli aeroporti.
Alla nuova legge si oppongono non solo le associazioni che combattono il dilagare delle armi ma anche i capi della polizia, l'associazione dei ristoratori, le chiese Cattolica ed Episcopale e l'agenzia federale per la sicurezza nei trasporti.
L'associazione “Americani per Soluzioni Responsabili” è presieduta da Gabrielle Giffords, una donna politica dell'Arizona che fu ferita, rimanendo tra la vita e la morte, in una sparatoria di massa nel 2011. Questa associazione ha definito la nuova norma della Georgia “la legge più estrema tra quelle che riguardano le armi in America” nonché la “legge delle armi ovunque”.
Dal canto suo la National Rifle Association,che ha svolto azione di lobbying perché si arrivasse all'approvazione della legge il 20 marzo, ha salutato la votazione finale come “una vittoria storica per il Secondo Emendamento”.
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(1) Ora Michael Blumberg, una delle persone più ricche del mondo, non più sindaco, impegna ingenti capitali nella campagna per il controllo delle armi.
(2) V. ad es. n. 205, “Il valore delle armi...”. V. anche art. sulla Georgia nel Notiziario qui sotto.
(3) V. http://www.nraila.org ... e anche: http://www.nrai.it
(4) V. ad es. nn. 207, “Presidia il tuo suolo...”; 210, “Renisha...”
11) NOTIZIARIO a cura di Grazia Guaschino
Arabia Saudita. Domestiche indonesiane sfruttate, abusate e spesso condannate a morte. Una quarantina di donne indonesiane che lavoravano come collaboratrici domestiche presso famiglie in Arabia Saudita, rischiano di essere messe a morte, con l’accusa di stregoneria o di aver ucciso il loro datore di lavoro. 5 di loro hanno già esaurito tutti gli appelli. Migrant Care, un’organizzazione indonesiana che segue il loro caso, dice che la maggior parte delle imputate ha agito per legittima difesa contro abusi sessuali o fisici. In Arabia Saudita molti datori di lavoro picchiano, minacciano di uccidere e trattano come animali le loro collaboratrici domestiche. Ci sono casi di stupro, tortura, minacce, maltrattamenti; alcune vittime hanno segni di ustioni e si sa addirittura che le unghie di una donna sono state conficcate nelle sue mani. Monitorare la situazione presso le residenze dei privati è molto difficile. Queste donne spesso lavorano fino a 100 ore la settimana, dall’alba a tarda notte, molte volte sono denutrite e devono dormire in cucina. Nel 2011 l’ambasciata dell'Indonesia in Arabia Saudita non fu neppure informata della decapitazione di una giovane indonesiana che era stata accusata di aver ucciso il suo datore di lavoro e per la quale si era mobilitato il governo indonesiano. Alla fine di febbraio, dopo un alt imposto dall'Indonesia all'emigrazione di lavoratori in Arabia Saudita, è stato firmato un accordo in base al quale verranno riconosciuti i diritti fondamentali ai lavoratori indonesiani in Arabia Saudita. Non saranno più privati dei loro passaporti, potranno comunicare con le loro famiglie, riceveranno una paga mensile e avranno un po’ di tempo libero. Finora, le donne che denunciavano maltrattamenti e abusi da parte dei loro datori di lavoro, rischiavano di essere accusate da questi di stregoneria o di adulterio. Anche nella loro nazione le donne indonesiane sono a rischio di maltrattamenti presso i loro datori di lavoro e Amnesty International lamenta che contro questi abusi il governo indonesiano tarda ad approvare un'apposita legge.
California. Per la Corte l'uso della cintura elettrificata non influì sull'esito del processo. Con 6 voti contro 1, la Corte Suprema della California ha confermato la condanna a morte di Jonathan Keith Jackson un omicida che era stato costretto ad indossare durante il suo processo una stun belt, cioè una cintura elettrificata comandata a distanza. Questo tipo di cintura, che viene messa ad una persona per costringerla a rimanere tranquilla, può essere azionata a distanza con un telecomando e infliggere una scossa di 50.000 volt per 8 secondi. Le conseguenze della scarica elettrica sono molteplici: la persona crolla a terra, si contorce e trema violentemente, può defecare e urinare senza controllo e può riportare serie ustioni. La difesa di Jackson si era appellata contro la condanna a morte dicendo che la consapevolezza di indossare un simile mezzo di coercizione aveva impedito a Jackson di comportarsi normalmente e di interagire con i suoi avvocati durante il processo: una persona con addosso un simile strumento (che pare possa entrare in funzione anche accidentalmente) non osa muoversi e rimane rigida e immobile. Gli avvocati difensori avevano argomentato che l’atteggiamento rigido di Jackson potrebbe aver contribuito a dare alla giuria (che non era informata dell'esistenza della cintura sotto i vestiti), l’impressione di avere a che fare con un freddo assassino, spietato e privo di rimorsi. Il giudice Marvin Baxter ha scritto, per la maggioranza, che fu un errore costringere l'imputato ad indossare la stun belt ma che non vi sono prove che ciò abbia influito negativamente sull'esito del processo. Anzi per Baxter l'atteggiamento pacifico dell'imputato potrebbe aver giocato a suo favore. Invece per Goodwin Liu, il giudice di minoranza, la freddezza dimostrata nella seconda fase del processo avrebbe potuto influire negativamente nella scelta della punizione da infliggere, tra ergastolo e pena di morte.
Florida. Si muove il vecchissimo caso di Tommy Ziegler? L’investigatrice Lynn-Marie Carty sta studiando da tre anni il caso di Tommy Ziegler, a noi ben noto perché ce ne siamo occupati a più riprese nel corso degli ultimi 13 anni (Vedi nn. 83, 88, 98, 105, 109, 111, 124, 149, Notiziario, 176, 185). Tommy Ziegler fu condannato a morte in Florida con l’accusa di aver ucciso la moglie, i suoceri e un dipendente del suo negozio di mobili la notte di Natale del 1975. Nella sparatoria anche Ziegler rimase gravemente ferito e l’accusa affermò che egli si era sparato di proposito al ventre per simulare una rapina. Ziegler è nel braccio della morte da 39 anni, e durante tutto questo periodo vari tentativi di scagionarlo, nonché campagne di stampa e un libro scritto in suo favore, sono sempre falliti. Ora l'investigatrice Carty ha fornito alla difesa di Ziegler una serie di prove a favore del condannato. Queste prove sono nuove e diverse da quelle fino ad ora dibattute (fino ad ora si è discusso essenzialmente di prove del DNA). A metà marzo i suoi avvocati hanno presentato una mozione alla Corte Suprema degli Stati Uniti, dichiarando di aver scoperto prove evidenti del fatto che gli investigatori dello sceriffo della contea di Orange e gli avvocati dell’accusa non solo occultarono prove a discolpa di Ziegler ma anche mentirono riguardo ad alcune questioni chiave. Ci auguriamo davvero che la verità venga a galla e che Tommy Ziegler, un anziano che appare più vecchio del suoi 68 anni, possa finalmente essere scagionato e liberato.
Georgia. Ucciso un anziano. Era un demente, non un malintenzionato. Il 27 novembre scorso, Ronald Westbrook, 72-enne malato di Alzheimer, ha errato nella notte dopo essere uscito dalla sua abitazione di Chickamauga in Georgia. Verso le 4 del mattino ha provato ad entrare nella casa del 35-enne Joe Hendrix, a circa 5 chilometri di distanza. Hendrix è uscito impugnando una pistola, mentre la sua compagna chiamava la polizia. Dopo un po' Hendrix ha sparato quattro volte contro Westbrook, uccidendolo. Il 28 febbraio scorso il procuratore distrettuale Herbert E. Franklin ha chiuso il caso dichiarando che, esaminato l'accaduto e tenuto conto delle vigenti leggi, il suo ufficio non perseguirà Hendrix: “Dopo aver studiato i fatti e la legislazione ad essi pertinente, l'ufficio del procuratore distrettuale non formula accuse contro Joe Hendrix per la tragica sparatoria che ha ucciso Ronald Westbrook.” Secondo la versione di Hendrix, Westbrook cercò di entrare nell'abitazione dalla porta principale, poi, non riuscendovi, girò intorno alla casa, mentre Hendrix ne usciva con l’arma in pugno. Hendrix vide Westbrook nell’oscurità e gli gridò di fermarsi. Questi non rispose, e, sempre secondo Hendrix, si girò e gli si avvicinò con fare minaccioso. L'avvocato di Hendrix ha dichiarato che il suo assistito ha agito in stato di ansia giustificata, che è felice di non essere accusato anche se è addolorato per quanto accaduto. La vedova di Westbrook ha invece manifestato il suo disappunto, dicendo che l’omicida dovrebbe essere punito... A noi viene spontaneo fare alcune considerazioni. Innanzitutto riflettiamo ancora una volta sul fatto che le tragedie di questo genere accadono lì dove abbondano le armi personali e tutti possono usarle. Un secondo pensiero va al numero di colpi sparati da Hendrix contro Westwood: passi il primo colpo, sparato sotto l’effetto della paura, ma gli altri tre con il povero a= nziano già a terra dopo il primo colpo? La terza considerazione è che comunque Hendrix avrebbe potuto mirare alle gambe e non al petto del presunto aggressore.
Iran. Percuotono un giovane prima di impiccarlo in pubblico: voleva salutare sua madre. Il 26 febbraio scorso un giovane prigioniero cui si conosce solo il nome, Habib, è stato impiccato in pubblico nella città di Karaj, a nord-ovest di Tehran, dopo essere stato picchiato violentemente dai boia. Il motivo delle percosse è la ribellione del ragazzo, che aveva chiesto invano, ripetutamente, di rivedere sua madre prima dell’impiccagione. Il giovane si dibatteva per non essere impiccato prima di vedere la mamma, urtava i boia, rovesciava lo sgabello su cui doveva salire... e così i suoi aguzzini l’hanno colpito più volte. La scena del pestaggio e dell’impiccagione è stata ripresa da un telefonino e immediatamente messa in rete. Ha fatto il giro del mondo e ha suscitato proteste contro le autorità iraniane e contro la pena di morte. Scandalizzata l’agenzia di stampa statale Mehr ha scritto che, addirittura, “il filmato finito in rete ha creato un'atmosfera favorevole ai condannati a morte”, aggiungendo che “dopo l’impiccagione, le espressioni di rabbia da parte degli utenti di Internet hanno indotto qualcuno ad affermare che alcuni dei giustiziati sono innocenti e persino che i prigionieri sono a loro volta delle vittime”.
Iran. Impiccata una donna di 26 anni, secondo la legge del taglione. Farzaneh Moradi, una donna di 26 anni, è stata impiccata in segreto il 4 marzo scorso. La sua esecuzione era stata rinviata un mese fa. Il suo avvocato non è stato informato anche se, secondo la legge iraniana, l’avvocato del condannato dovrebbe essere informato e presente nel momento dell'esecuzione. Farzaneh Moradi era stata costretta a sposare un parente del padre a 15 anni ed era diventata madre a 16. La sua vita matrimoniale non era stata felice. Dal momento del suo arresto, 10 anni fa, non ha più potuto vedere la sua figlioletta. Era stata condannata per l’omicidio del marito, di cui in un primo tempo si era dichiarata colpevole, salvo poi ritrattare e dire che era stato un altro uomo a commettere il crimine. L'uomo da lei accusato le avrebbe promesso di vivere con lei e, dopo l'uccisione del marito, l'avrebbe convinta a 'confessare' dicendo che con una figlia piccola non sarebbe stata condannata a morte o sarebbe stata comunque perdonata. Il rinvio di un mese dell'esecuzione era stato concesso anche perché, secondo la legge del taglione, i familiari del marito avevano diritto alla morte di Farzaneh ma avrebbero potuto salvarla perdonandola in extremis.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 marzo 2014