FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 281 - Marzo 2021
Ralph Northam, governatore della Virginia, firma la legge abolizionista
SOMMARIO:
1) È ufficiale: la Virginia ha abolito la pena di morte, evviva!
2) Un innocente verrà liberato dal braccio della morte dopo 19 anni?
3) Ingiustamente condannato a morte in Mississippi sarà indennizzato
4) Una frenesia di esecuzioni in Egitto
5) Fucilati in Corea del Nord per aver distribuito video illegali
6) Nigeriano condannato a morte in Vietnam per un reato di droga
7) Cristiano già all’ergastolo per blasfemia condannato a morte
8) Giustiziata in Iran dopo che la figlia opta per ucciderla
9) Impiccata in Inghilterra nel ’36 la falsa infermiera D. Waddingham
10) Notiziario: Algeria, California, Iran
1) È UFFICIALE: LA VIRGINIA HA ABOLITO LA PENA DI MORTE, EVVIVA!
Grazie all’impegno degli attivisti per i diritti umani, tra i quali possiamo annoverare il governatore Northam, l’abolizione della pena di morte in Virginia, su cui si discute da 50 anni, è diventata realtà.
La Virginia è diventato il primo stato del sud degli USA ad abolire la pena di morte: una svolta epocale per uno stato che è al secondo posto per numero di esecuzioni.
La legge abolizionista è entrata in vigore il 24 marzo, con la firma del governatore Ralph Northam, circa un mese dopo che i parlamentari hanno votato la sua approvazione.
“L’Assemblea Generale della Virginia ha finalmente raggiunto i Virginiani”, ha detto il deputato Mike Mullin, autore del disegno di legge abolizionista. Mullin ha ricordato che l’Assemblea Generale cominciò a discutere dell’abolizione della pena di morte all'inizio degli anni ‘70.
Dopo l’entrata in vigore della nuova legge, 15 reati che finora comportavano la pena capitale in Virginia saranno puniti con l’ergastolo senza possibilità di liberazione (1).
I 2 uomini attualmente nel braccio della morte della Virginia che rimarranno in carcere senza possibilità di liberazione sono il 49-enne Anthony Juniper – che fu condannato a morte per aver ucciso 4 persone, tra cui due bambini, nel 2004 – e il 45-enne Thomas Alexander Porter che fu condannato a morte per l’omicidio di un agente di polizia compiuto nel 2005.
Gli oppositori della legge hanno espresso preoccupazione per la mancanza di giustizia nei confronti delle vittime dei crimini e dei loro familiari. Il mese scorso, durante una riunione alla Camera dei Deputati della Virginia, il deputato Robert B. Bell, repubblicano, ha osservato che di certo 2 persone hanno assistito al dibattito sull’abolizione della pena di morte con “rapita attenzione”: Anthony Juniper e Thomas A. Porter, gli ultimi due uomini nel braccio della morte della Virginia. Entrambi sono stati condannati per orribili omicidi. Il tifo dei detenuti “potrebbe essere metaforicamente udito sulle tombe delle loro cinque vittime”, ha detto Bell durante l'udienza. “Abbiamo cinque virginiani morti che non sono felici, perché questo disegno di legge farà in modo che i loro assassini non ricevano giustizia”.
Il deputato Mullin, dal canto suo, dice che ogni vita innocente tolta è una di troppo. “Cosa dici all'ultima persona innocente che è stata giustiziata?”, Ha chiesto Mullin. “Cosa dici alle loro famiglie, se dopo averli messi a morte, scopriamo che erano innocenti? Non sto dicendo che non ci sono persone cattive in prigione, e che non ci sono persone cattive fuori. Ma se noi mettiamo a morte qualcuno e poi scopriamo più tardi che è innocente, non possiamo annullare ciò che abbiamo fatto.” Secondo Mullin, l'analisi statistica mostra che dal 2% al 10% di tutti i verdetti negli Stati Uniti sono sbagliati. Mullin ha ricordato 144 persone che sono state nel braccio della morte a livello nazionale successivamente prosciolte.
Mullin ha ricordato inoltre che la pena di morte è un’istituzione profondamente razzista.
“Abbiamo giustiziato quasi 1.400 persone e la prima volta che un uomo bianco è stato giustiziato per aver ucciso un uomo di colore è stato nel 1997”, ha detto Mullin. “Su 1.400 persone è successo solo quattro volte. E il motivo è perché, statisticamente, l'indicatore più probabile che sarai condannato a morte è se sei un imputato nero e la vittima è bianca. Questo è razzismo. Dobbiamo porre fine a tutto ciò”.
Il governatore Ralph Northam, un democratico, ha firmato la legge abolizionista durante una cerimonia tenuta sotto una tenda, dopo aver visitato la camera delle esecuzioni al Greensville Correctional Center, dove 102 persone sono state messe a morte da quando le esecuzioni sono state trasferite lì dal Virginia State Penitentiary all'inizio degli anni '90.
Appena uscito dalla stanza delle esecuzioni, il Governatore ha dichiarato: “Nei 400 anni della nostra storia, la Virginia ha messo a morte oltre 1.300 persone. Oggi ci uniamo agli altri 22 stati nel dire che il governo non toglierà più alcuna vita, che il governo non giustizierà più nessuno”. “Non c’è posto oggi per la pena di morte in questo stato, nel sud o in questa nazione", ha aggiunto Northam poco prima di firmare la legge.
“Non possiamo dare la punizione finale senza essere sicuri al 100% che abbiamo ragione, e non possiamo condannare le persone a quella punizione finale sapendo che il sistema non funziona allo stesso modo per tutti”, ha ancora detto Northam, “La fine della pena di morte si riduce a una domanda fondamentale: è giusta? Affinché lo stato applichi questa punizione finale, la risposta deve essere sì. Giusta significa che viene applicata allo stesso modo a chiunque, non importa chi sia. Ed equa significa che siamo certi che la persona punita per il crimine lo ha realmente commesso.”
“Ma - ha aggiunto il governatore - sappiamo tutti che la pena di morte non soddisfa questi criteri”.
Kristina Roth, portavoce del Programma per la Giustizia Criminale di Amnesty International USA, ha rilasciato una dichiarazione che qui riportiamo in parte: “Accogliamo con favore questa notizia. La pena di morte è irreversibile, inefficace e non scoraggia il crimine. Il modo in cui viene eseguita è doloroso, violento e disumano, ed è mirato in questo paese in modo sproporzionato contro le comunità di colore. L’uso della pena capitale è ormai fuori tempo, intrinsecamente rotto e deve finire una volta per tutte. Con la firma del governatore Northam oggi, la Virginia si è unita ad altri 22 stati, tra cui Washington DC, che hanno abbandonato la pena di morte. La Virginia, una volta roccaforte della confederazione, ora diventa il primo stato del sud a porre fine alla negazione definitiva dei diritti umani costituita dalla pena di morte […] Speriamo di vedere più stati lavorare per abolire questa punizione estrema che deve essere un relitto del passato, non una parte del nostro futuro”.
Riportiamo anche parte della dichiarazione rilasciata da Robert Dunham, Direttore Esecutivo del Death Penalty Information Center: “L'abolizione della pena capitale in Virginia è estremamente significativa, sia in termini di continuo declino della pena di morte a livello nazionale, sia come indicatore storico delle relazioni razziali negli Stati Uniti. […] Prima della guerra civile, la Virginia prevedeva esplicitamente pene diverse per i bianchi e per i neri ridotti in schiavitù. Sebbene il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione proibisse agli stati di "privare qualsiasi persona della vita […] senza un giusto processo legale" e garantisse a tutte le persone "l’eguale protezione delle leggi", le esecuzioni in Virginia hanno mostrato che in pratica venivano applicate regole diverse ai bianchi e ai neri. Dal 1900 fino al 1977, anno in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti vietò la pena di morte per i reati diversi dall’omicidio, la Virginia ha giustiziato 73 uomini neri - ma nessun bianco - con l'accusa di stupro, tentato stupro o rapina. In Virginia fu portata a termine dai coloni europei la prima esecuzione nel territorio che ora costituisce gli Stati Uniti. Nell’era moderna, la Virginia ha messo a morte una percentuale maggiore di coloro che ha condannato rispetto a qualsiasi altro stato. L’abolizione di una politica a lungo intrisa di razzismo, con il sostegno di tutti i funzionari statali, è un passo importante e storico verso la giustizia razziale e un sistema penale più equo”. (Grazia)
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(1) Gli abolizionisti più avanzati sono giustamente contrari anche all’ergastolo senza possibilità di liberazione. Ad esempio papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, dopo aver condannato fermamente la pena di morte, aggiunge di essere contrario anche all’ergastolo, e lo siamo anche noi. Tuttavia, per uno stato come la Viriginia dobbiamo per adesso accontentarci di questo successo e procedere un passo alla volta.
Julius Jones
2) UN INNOCENTE VERRÀ LIBERATO DAL BRACCIO DELLA MORTE DOPO 19 ANNI?
Julius Jones è stato condannato a morte in Oklahoma nel 2002 per un delitto commesso nel 1999. La sua condanna a morte è conseguita soprattutto dalla testimonianza di un coimputato fornita in cambio di una forte riduzione di pena. L’ 8 marzo u. s. i legali di Julius Jones hanno presentato una domanda di grazia per lui, domanda sostenuta da oltre 6 milioni di firme.
Julius Jones, Afro Americano, è nel braccio della morte in Oklahoma dal 2002 condannato per un omicidio che, secondo nuove e convincenti prove, non ha mai commesso.
Jones, che si è sempre dichiarato innocente, è stato accusato di aver ucciso nel 1999 Paul Howell, un uomo d'affari di Edmond.
Lo stato ha ricevuto critiche dopo la condanna di Jones, per aver fatto affidamento sulla testimonianza di Christopher Jordan, coimputato di Jones. Jordan aveva affermato di aver visto Jones sparare e uccidere Howell. In cambio della sua testimonianza, Jordan ricevette una condanna a soli 15 anni di carcere.
Secondo quanto affermato dai suoi familiari, Julius Jones stava cenando a casa sua mentre avveniva l’omicidio.
Varie persone hanno fatto dichiarazioni giurate in favore di Julius Jones.
Roderick Wesley, ora detenuto in Arkansas, ha firmato una dichiarazione giurata all’inizio di marzo affermando che Christopher Jordan gli ha confessato l’omicidio di Howell e che ha incastrato Jones con false dichiarazioni.
“Un giorno stavo raccontando a Jordan dei crimini per cui ero stato condannato quando Jordan ha vuotato il sacco e mi ha parlato del suo crimine”, ha scritto Wesley nella dichiarazione giurata. “Jordan mi ha detto: ‘il mio coimputato è nel braccio della morte per un omicidio che ho commesso io’. Mentre Jordan mi diceva questo, si comportava come se fosse dispiaciuto per quello che aveva fatto, ma mi disse anche che non aveva intenzione di saltare fuori e darsi in pasto ai lupi”. Wesley ha dichiarato di aver ricevuto la confessione quando erano in prigione insieme ma di non sapere chi era Jones finché non ha visto un documentario sul suo caso.
Wesley ha parlato con i legali di Jones in una serie di chiamate in videoconferenza per fornire maggiori dettagli sulla confessione di Jordan. "Se quest'uomo viene ucciso ingiustamente, continuando a nascondere queste informazioni mi sentirei come se avessi contribuito a metterlo a morte, e non posso vivere con questo sulla coscienza", ha dichiarato Wesley.
Ciò detto, Wesley è la terza persona a sostenere che Jordan ha confessato in prigione di aver ucciso Howell.
Manuel Littlejohn, un ex compagno di cella di Jordan, ha scritto in una dichiarazione giurata nel 2004: “Jordan dichiarò che si sentiva colpevole perché stava per implicare il suo coimputato, Julius Jones, in un caso di omicidio per evitare di essere condannato a morte”, si legge nell'affidavit. “Jordan ha detto di aver avvolto la pistola usata per commettere l'omicidio in una bandana e di averla nascosta in casa di Julius Jones [...]”.
Sempre nel 2004, Christopher Berry detenuto in Oklahoma firmò una dichiarazione giurata in cui affermava che Jordan si vantava “di essere la persona che aveva sparato alla vittima. Jordan diceva anche che essendo la prima persona a parlare con la polizia, stava cercando un accordo e non avrebbe avuto la pena di morte”. Vale la pena notare che né a Wesley, né a Littlejohn, né a Berry sono stati offerti incentivi in cambio di informazioni su Jordan. Inoltre nessuno di loro si conosceva o aveva incontrato Jones.
Cece Jones-Davis, un'attivista che ha contribuito a lanciare la campagna "Giustizia per Julius" in Oklahoma, è convinta che le nuove prove suggeriscano che lo stato ha detenuto un uomo innocente per oltre due decenni. “Julius Jones non ha ucciso Paul Howell”, ha dichiarato Jones-Davis al giornale Black Star News. “A questo punto, è chiaro chi è stato. È impensabile procedere con questa esecuzione sapendo che il vero assassino è là fuori ed ha confessato, in più occasioni, il suo crimine”.
Il 25 febbraio scorso, i sostenitori di Jones si sono uniti ai membri della sua famiglia e ai leader religiosi di Oklahoma City per una manifestazione e una marcia fino agli uffici dell’Oklahoma Pardon and Parole Board (Commissione per le Grazie dell’Oklahoma), dove hanno consegnato scatole contenenti petizioni firmate da oltre 6 milioni di persone che esortavano la Commissione per le Grazie e il Governatore Kevin Stitt a concedere a Jones clemenza e commutare la sua condanna a morte.
L’Oklahoma Pardon and Parole Board l’8 marzo ha iniziato a considerare la domanda di grazia di Jones. Se tale commissione dovesse respingere la domanda di grazia, sarà fissata una data di esecuzione per il condannato.
Dal canto suo l’accusatore David Prater, ha scritto una lettera all’Oklahoma Pardon and Parole Board opponendosi alla commutazione della pena. “Negli ultimi anni, Julius Jones e i suoi avvocati si sono impegnati in una campagna coordinata e allarmante di disinformazione, stimolata dalla frenesia dei media, che è specificamente mirata a manipolare e ingannare il pubblico attraverso la diffusione di mezze verità e, spesso, di vere e proprie bugie”, ha scritto Prater nella sua lettera, notando che Jones aveva una “vasta storia criminale” che includeva tentativi di taccheggio e furti d’auto.
(Pupa)
Curtis Flowers
3) INGIUSTAMENTE CONDANNATO A MORTE IN MISSISSIPPI SARÀ INDENNIZZATO
Mezzo milione di dollari costituiscono un equo indennizzo per una ingiusta detenzione di 23 anni?
Curtis Flowers, che è stato ingiustamente detenuto per 23 anni, riceverà un risarcimento di 500.000 dollari. Lo ha stabilito il 2 marzo il giudice del 5° Circuito del Mississippi, George Mitchell. Il team legale di Flowers, che include il procuratore per i diritti civili Rob Mc Duff, riceverà 50.000 dollari per aver aiutato Flowers a ottenere il risarcimento.
Ricordiamo che Curtis Flowers, che ora ha 50 anni, ha trascorso quasi metà della sua vita nel braccio della morte nel carcere statale di Parchman, condannato per aver ucciso quattro persone nel 1996 in un negozio di Winona. Negozio in cui Flowers aveva lavorato fino a 2 settimane prima degli omicidi.
Le vittime - la proprietaria del negozio Bertha Tardy di 59 anni, e i dipendenti Robert Golden di 42 anni, Carmen Rigby di 45 anni, e Derrick Stewart di 16 anni - furono colpite alla testa.
Curtis Flowers è stato processato 6 volte (1).
L’accusatore Doug Evans cercò, in tutti e 4 i primi processi contro Flowers, di non far entrare persone di colore nella giuria.
La Corte Suprema annullò i primi tre processi per condotta disdicevole dell’accusa, non solo per aver dimostrato pregiudizi razziali, ma anche per aver cercato di fuorviare la giuria riguardo alle prove.
Nel quarto e quinto processo la giuria fu composta anche da due persone di colore ma non si arrivò ad un verdetto.
Nel sesto processo un giurato di colore fu ammesso e la giuria votò per condannare l’imputato.
L'ultima condanna di Flowers è stata annullata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti il 21 giugno 2019 proprio perché nell’ultimo processo l’accusatore Doug Evans compì una discriminazione razziale durante la selezione della giuria.
La legge del Mississippi consente a una persona ingiustamente condannata di ricevere un risarcimento di 50.000 dollari per ogni anno di reclusione, con un limite di 500.000 dollari. Tali fondi saranno erogati a Curtis Flores, in misura di 50.000 dollari all'anno, nei prossimi 10 anni.
Notiamo che dal novembre 2019 l’accusatore Doug Evans è sotto processo in un tribunale federale per aver impedito ai neri di essere scelti come giurati nel processo contro Flowers. (Anna Maria)
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(1) Sulla vicenda di Curtis Flowers vedi nn. 260, 267.
4) UNA FRENESIA DI ESECUZIONI IN EGITTO
Nel paese governato in maniera dittatoriale dal presidente Abdel Fattah Al-Sisi la pena di morte viene usata sempre di più, tanto che per Amnesty International è difficile, se non impossibile, tener conto delle esecuzioni che vengono portate a termine con un ritmo crescente.
La mattina del 2 marzo, le autorità egiziane hanno messo a morte 11 persone condannate per reati commessi negli ultimi anni. “11 persone sono state giustiziate nella prigione di Burj Al Arab. tutte condannate per omicidio”, ha dichiarato un funzionario della prigione che ha precisato: “I crimini sono stati commessi negli ultimi anni nei governatorati di Alessandria e Beheira”.
5 persone, tra cui 3 donne, erano state messe a morte due giorni prima, il 28 febbraio.
A dicembre Amnesty International aveva stigmatizzato “l’ondata febbrile” di esecuzioni in Egitto, confermando che decine di condanne a morte sono state portate a termine in questo paese durante i mesi di ottobre e novembre 2020.
Amnesty ha precisato che nei mesi di ottobre e novembre 2020 le autorità egiziane hanno messo a morte almeno 57 persone, un numero di esecuzioni pressoché doppio di quelle portate a termine nell’intero 2019.
“Le autorità egiziane si sono imbarcate in un’ondata di esecuzioni frenetiche negli ultimi mesi... e in alcuni casi dopo processi di massa che sono in gran parte ingiusti”, ha dichiarato Philip Luther, responsabile per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International.
Amnesty ritiene che il numero di condanne a morte portate a termine sia in realtà maggiore, “perché le autorità egiziane non pubblicano statistiche sulle esecuzioni o sul numero di condanne a morte, né informano le famiglie o gli avvocati prima dell’esecuzione delle sentenze capitali”.
L’organizzazione per i diritti umani non è stata in grado di verificare in modo indipendente i rapporti dei media filogovernativi su altre 30 esecuzioni portate a termine nello stesso periodo.
Amnesty International osserva che “l’ondata di esecuzioni” ha fatto seguito ad un incidente verificatosi a settembre nella famosa prigione di Tora, a sud del Cairo, in cui 4 poliziotti e 4 detenuti del braccio della morte sono rimasti uccisi durante un tentativo di evasione fallito.
L’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch ha ricordato che le autorità egiziane nel mese di ottobre hanno portato a termine 49 condanne a morte nell’arco di 10 giorni (1).
Amnesty International e Human Rights Watch hanno esortato le autorità egiziane, a cominciare dal presidente dittatore Abdel Fattah Al-Sisi, a “fermare immediatamente” le esecuzioni. (Pupa)
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(1) Vedi n. 276
5) FUCILATI IN COREA DEL NORD PER AVER DISTRIBUITO VIDEO ILLEGALI
Nella Corea del Nord, governata in modo dittatoriale dal presidente Kim Jong Un, si può essere messi a morte in pubblico subito dopo essere stati condannati alla pena capitale per i ‘reati’ più strani.
Il 2 marzo scorso tre uomini e una donna sono stati fucilati in pubblico a Pyongyang dopo essere stati condannati a morte per aver distribuito filmati illegali. Una fonte anonima ha rivelato all’agenzia coreana di opposizione Daily NK che un cinquantenne, sua moglie quarantenne e altri due uomini sono stati accusati di aver venduto in tutto il paese film, musica e programmi di intrattenimento prodotti nella Corea del Sud.
Il cinquantenne e sua moglie da tempo si occupavano del confezionamento di sigarette di contrabbando. Acquistavano componenti di sigarette da una fabbrica locale e importavano dalla Cina la carta per le sigarette. Le sigarette di contrabbando sono simili a quelle genuine per quanto riguarda l’aspetto e l’imballaggio ma costano la metà, quindi sono molto richieste.
Nell’agosto dell’anno scorso i coniugi attirarono l’attenzione del vicinato quando elevarono di un piano la loro casa e pagarono i proprietari dell’abitazione accanto alla loro perché se ne andassero, in modo da poter occupare anche la loro casa. La coppia aprì anche una piccola fabbrica con 30-40 operai.
Due persone, che guidavano un furgone e distribuivano le sigarette contraffatte in tutto il paese, si insospettirono quando i due titolari dell’attività aggiunsero uno scatolone extra alle spedizioni da effettuare.
A gennaio gli autisti aprirono lo scatolone aggiunto: sotto uno strato di pacchetti di sigarette contraffatte il contenitore era pieno di schede di memoria. Dopo aver accertato che queste schede contenevano video della Corea del Sud, i due denunciarono la coppia al Ministero della Sicurezza Nazionale. Il caso fu poi passato al centro di comando di Pyongyang e successivamente furono arrestati anche altri due lavoratori di circa 30 anni, che erano stati pagati dalla coppia per duplicare i filmati contenuti nelle schedine di memoria.
Nella casa della coppia furono trovate grandi quantità di schede di memoria fatte in Cina. I coniugi dichiararono che dall’agosto dello scorso anno avevano ricevuto le scatole con molte schedine di memoria in due occasioni quando importavano la carta per le sigarette, e affermarono di non aver avuto alcuna idea di chi le avesse introdotte negli scatoloni. Ammisero che contenevano dei video che non avevano mai visto, e di aver pensato che copiare e vendere i video li avrebbe arricchiti.
Il caso fu riferito al presidente Kim Jong Un (nella foto) e questi ordinò l’immediata esecuzione in pubblico dei quattro imputati, per dare un esempio, con l’accusa di tradimento della nazione, senza neppure rispettare le norme giuridiche che prevedono delle investigazioni preliminari di 6 mesi. La legge afferma che chiunque nella Corea del Nord sia colto a importare o distribuire film, musica o opere pubblicate dalla Corea del Sud può essere condannato all’ergastolo, ai lavori forzati o a morte.
I figli adolescenti della coppia messa a morte sono stati inviati al campo di concentramento Bukchang 18, gestito dal Ministero per la Sicurezza Nazionale. I familiari più prossimi degli altri due uomini messi a morte sono stati allontanati da Pyongyang ed esiliati in varie parti del paese. (Grazia)
6) NIGERIANO CONDANNATO A MORTE IN VIETNAM PER UN REATO DI DROGA
I reati di droga sono molto redditizi ma vengono puniti in certi paesi con la morte. In Vietnam è stato condannato a morte il nigeriano Ekwegbalu James Nzube un corriere della droga che aveva fatto entrare in Vietnam dalla Cambogia 4 chilogrammi di metanfetamina.
Il 2 marzo u. s. il Tribunale del Popolo della provincia vietnamita di Tay Ninh ha condannato a morte un nigeriano per il trasporto illegale di quasi 4 kg di metanfetamina, secondo quanto previsto dal Codice Penale del 2015. Lo apprendiamo da un’agenzia ufficiale vietnamita.
Ekwegbalu James Nzube durante il processo
Prima dell'arresto, il 45-enne Ekwegbalu James Nzube soggiornava in albergo nella Città di Ho Chi Minh (città che una volta si chiamava Saigon).
Secondo l'accusa, l'uomo è entrato illegalmente in Vietnam dalla Cambogia il 30 luglio 2020.
Nel bagaglio di James Nzube sono stati trovati quattro pacchi contenenti circa 4 kg di cristalli bianchi, poi risultati essere di metanfetamina. James Nzube ha confessato di essere stato assunto da un altro nigeriano, di nome Johe, che lo ha compensato con 2.000 dollari, per il trasporto della droga dalla Cambogia al Vietnam. (Anna Maria)
7) CRISTIANO GIÀ ALL’ERGASTOLO PER BLASFEMIA CONDANNATO A MORTE
Un cristiano pakistano che sconta l’ergastolo per blasfemia viene condannato a morte. Il procuratore capo elogia la sentenza capitale e dice che l'ergastolo era “ripugnante” per le prescrizioni dell’Islam.
Il 10 marzo un tribunale pakistano ha condannato a morte Sajjad Masih Gill, un membro della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, precedentemente condannato all’ergastolo per aver inviato sms che diffamavano il Profeta Maometto.
Gill, originario della città di Gojra nella provincia del Punjab, era stato condannato all’ergastolo a luglio del 2013 per aver inviato un sms blasfemo a un musulmano nel dicembre 2011. La condanna includeva una multa di 314.500 rupie (circa 2.000 euro).
Gill era stato arrestato dalla polizia che era risalita al numero del suo cellulare attraverso un ripetitore.
Nel 2015 un fratello e un nipote di Gill hanno riferito di essere stati aggrediti e minacciati da persone sconosciute mentre tornavano a casa dopo aver visitato Sajjad Masih Gill nel Carcere centrale di Sahiwal, la più grande prigione dell’Asia che occupa 283.000 metri quadrati.
Nel 2016, 2 avvocati difensori del condannato avevano ricevuto minacce simili da parte di uomini armati sulla strada che collega Kasur a Lahore. Entrambi avevano difeso Gill presso l’Alta Corte di Lahore.
La notizia della condanna a morte di Gill è stata salutata con soddisfazione dall’avvocato musulmano Zeeshan Ahmed Awan, in un post su Facebook.
Costui ha scritto che la corte ha accettato la tesi dell'accusa che la pena capitale era l’unica possibile per la blasfemia e che l’ergastolo era “ripugnante” per le prescrizioni dell’Islam.
Le leggi sulla blasfemia del Pakistan prevedono la morte come massima punizione per chi insulta il Profeta Maometto. Gli attivisti per i diritti umani dicono che le leggi sono state usate per perseguitare i seguaci di altre religioni ed anche le minoranze musulmane come quella degli sciiti.
Da notare che il mese scorso l’Alta Corte di Lahore ha rinviato la discussione del tanto atteso appello di Shagufta Kausar e del marito Shafqat Emmanuel, una coppia cristiana che rischia la pena di morte da 7 anni dopo essere stata condannata per blasfemia. (Pupa)
8) GIUSTIZIATA IN IRAN DOPO CHE LA FIGLIA OPTA PER UCCIDERLA
L’uxoricida Maryam Karimi è stata messa a morte in Iran perché sua figlia ha rifiutato di perdonarla o di accettare un risarcimento in denaro (risarcimento chiamato diya cioè ‘denaro del sangue’).
Maryam (Massoumeh) Karimi, che era stata condannata a morte in Iran per l'omicidio di suo marito, è stata giustiziata nella prigione centrale di Rasht dopo che il “parente più prossimo” della vittima ha rifiutato di perdonarla o di accettare un risarcimento in denaro (detto diya cioè ‘denaro del sangue’) invece della punizione. Quale parente più prossimo la figlia ha scelto l’esecuzione per sua madre.
Iran Human Rights (IHR) condanna l’esecuzione e chiede che le pene crudeli e inumane siano abrogate. Il direttore dell'IHR Mahmood Amiry-Moghaddam ha detto: “Le leggi della Repubblica Islamica fanno di una ragazza, il cui padre è stato assassinato quando era bambina, il boia della sua stessa madre. La Repubblica Islamica è il principale promotore della violenza nella società iraniana di oggi”.
Secondo Iran Human Rights, una donna condannata alla qisas (punizione in natura) per omicidio, è stata giustiziata nella prigione centrale di Rasht nelle prime ore di questa mattina, 15 marzo. La sua identità è stata stabilita come Maryam (Massoumeh) Karimi.
Maryam Karimi era accusata di aver ucciso il marito in complicità con il proprio padre, Ebrahimi Karimi. Il 22 febbraio, IHR ha riferito che padre e figlia erano stati trasferiti in isolamento in preparazione delle loro esecuzioni dopo essersi incontrati un’ultima volta. All’epoca l'esecuzione è stata ritardata per ragioni sconosciute ad ora è stata eseguita solo la sentenza capitale di Maryam.
Fonti informate in precedenza hanno detto a IHR: “Aveva ucciso il marito che era violento, brutale e non avrebbe acconsentito al divorzio. Il padre, che non aveva altro modo di aiutare la figlia, l'ha aiutata a uccidere”.
“Dopo aver portato a temine l'esecuzione di Maryam, hanno portato suo padre, Ebrahim Karimi, a vedere il cadavere della figlia appeso al cappio. Ma per ragioni sconosciute, non l'hanno giustiziato e dovrebbe essere riportato nel reparto di custodia comune nel giro di due giorni", hanno detto ora fonti informate a IHR.
Secondo le fonti, “la figlia di Maryam aveva 6 anni quando è avvenuto l’'omicidio del padre ed è stata affidata alla famiglia del padre. Negli ultimi 13 anni le avevano detto che entrambi i suoi genitori erano morti, ma hanno dovuto dirle la verità alcune settimane prima dell'esecuzione per prepararla psicologicamente”. Nei casi di omicidio in cui l’imputato è condannato alla qisas, il querelante o il “parente prossimo” della vittima deve essere presente sulla scena dell'esecuzione. Poiché la legge iraniana considera la qisas come un diritto del querelante, i membri della famiglia della vittima dell'omicidio sono incoraggiati a fare eseguire la condanna.
Oltre a definire la pena di morte disumana, Iran Human Rights ha in passato chiesto l'abrogazione della legge disumana della qisas, che pone la responsabilità dell’esecuzione sulle spalle del querelante e favorisce ulteriori violenze e crudeltà.
In Iran non c'è una distinzione legale tra omicidio e omicidio preterintenzionale, sia volontario che involontario, quindi coloro che sono accusati sotto il termine “ombrello” di "omicidio premeditato" ricevono la pena di morte indipendentemente dall'intenzione e dalle circostanze.
Al momento di scrivere questo articolo, l'esecuzione di Maryam Karimi non è stata resa nota dai media nazionali o dalle autorità in Iran. (Pupa)
Dorothea Waddingham fotografata nel 1935
9) IMPICCATA IN INGHILTERRA NEL ’36 LA FALSA INFERMIERA D. WADDINGHAM
Il patrimonio di un’anziana madre e della figlia malata di sclerosi multipla, e l’accesso a un’abbondante quantità di morfina, trasformarono la direttrice di una casa di cura in una duplice omicida.
Il 16 aprile 1936 la 36enne Dorothea Nancy Waddingham, direttrice di una casa di cura inglese, fu impiccata dopo essere stata condannata per duplice omicidio. Fu l’ultima persona messa a morte a Birmingham.
Nata in una fattoria nei pressi di Nottingham, Dorothea ebbe una scarsa educazione: lavorando presso un’infermeria ricevette una formazione medica del tutto superficiale, tanto che per la legge inglese rimase sempre e solo una cameriera.
Nel 1925 Dorothea sposò Thomas Leech, che aveva il doppio dei suoi anni e da cui ebbe tre figli. Durante il matrimonio, la donna trascorse anche alcuni anni in carcere per frode e furto. Leech morì nel 1933, e la Waddingham andò a convivere con il suo amante, Ronald Sullivan, da cui ebbe altri due figli.
Durante il loro rapporto, Dorothea iniziò ad accogliere pazienti anziani e infermi, trasformando in una casa di cura la loro abitazione di Nottingham. Per aumentare il giro di affari, la donna si rivolse alla “County Nursing Association” che le procurò due pazienti: l’89-enne signora Baguley e sua figlia Ada, 50-enne malata di sclerosi multipla.
Nel febbraio 1935 morì nella sua struttura una malata terminale a cui venivano somministrate forti dosi di morfina, e molte confezioni del farmaco rimasero nella casa di cura.
Nel frattempo, Ada Baguley aveva fatto testamento lasciando un patrimonio di 1.600 sterline (che a oggi, tenuto conto dell’inflazione, varrebbero circa 125.000 Euro) da distribuire alla mamma e a due cugini. Tuttavia, il testamento scomparve (la Waddingham affermò al processo che era stato stracciato dalla stessa Ada), e ne comparve un altro datato maggio 1935, in cui la donna lasciava tutto il denaro a Dorothea e al marito, come ricompensa per le cure, e chiedeva di essere cremata dopo la morte.
L’anziana signora Baguley morì nella seconda settimana di maggio, mentre la figlia le sopravvisse. Il 10 settembre Ada ricevette la visita di una vecchia conoscente di famiglia, che disse alla Waddingham di aver intenzione di invitare a sua volta l’amica a casa sua, ma il giorno dopo Sullivan informò il dottor Mansfield che Ada era in coma. Quando il medico si recò a visitarla, constatò che era già morta. Senza nutrire sospetti, dopo aver ricevuto dettagli sulla malattia da parte della Waddingham, compilò il certificato di morte attestando come causa del decesso una degenerazione cardiovascolare. All’epoca però, per poter procedere con la cremazione di un corpo era necessario che fossero due i medici a firmare il certificato di morte, il secondo dei quali dopo aver informato i parenti del defunto. All’esplicita richiesta del responsabile delle cremazioni, Cyril Banks, la Waddingham affermò che non c’erano familiari e mostrò il testamento in cui la sventurata Ada aveva scritto di non notificare la morte ai parenti. Banks, che era anche l’ufficiale medico della sanità di Nottingham e non aveva un’alta opinione della cosiddetta casa di cura, s’insospettì e richiese un’autopsia prima di procedere con la cremazione. Il patologo trovò evidenti tracce di morfina nello stomaco, nel fegato, nei reni e nel cuore di Ada, concludendo che era stata avvelenata. A quel punto fu riesumato anche il corpo della madre e si scoprì che era stata avvelenata anche lei con la morfina. Dorothea Waddingham e Ronald Sullivan furono così arrestati e accusati di duplice omicidio.
Il processo iniziò il 4 febbraio 1936 e il 27 febbraio Dorothea fu giudicata colpevole, mentre paradossalmente il suo convivente fu assolto per insufficienza di prove, nonostante fosse emerso in maniera evidente che era stato lui a scrivere il falso testamento in cui Ada avrebbe richiesto di essere cremata. Fu chiesta clemenza in quanto Dorothea era madre di cinque figli (di cui l’ultimo aveva solo tre mesi durante il processo ed era ancora allattato). Nonostante ciò la donna fu condannata a morte.
Dorothea Nancy Waddingham fu impiccata nel carcere Winson Green (nella foto sotto) da Albert Pierrepoint, il più famoso boia inglese, che mise a morte circa 600 persone in una carriera di 25 anni terminata nel 1956.
Poco prima dell’esecuzione, Dorothea Waddingham confessò il crimine. Nonostante ciò furono oltre 10.000 le persone (guidate dall’attivista contro la pena di morte Violet Van der Elst) che si radunarono davanti al carcere per manifestare contro l’esecuzione e chiedere la grazia, al grido di “Fermate l’assassinio di questa madre!”.
Dopo l’esecuzione, il corpo di Dorothea fu seppellito nel cimitero del carcere. (Grazia)
Il carcere Winson Green
10) NOTIZIARIO
Algeria. Condannato a morte un muezzin (*) che uccise la moglie incinta. Un muezzin di 42 anni è stato condannato a morte in Algeria per aver ucciso la moglie incinta di due gemelli. Il condannato, che ha quattro figli, si sposò 10 anni fa. Il crimine fu compiuto a metà ottobre del 2019. Allora il muezzin portò i figli in una stanza separata in modo che non potessero assistere al crimine, poi colpì a coltellate la moglie in varie parti del corpo e infine le tagliò la gola. Si ritiene che la ragione principale del crimine siano stati i continui gravi litigi che scoppiavano nella coppia. (*) Il muezzin è la persona che, dall’alto del minareto, invita i fedeli musulmani alla preghiera cinque volte al giorno.
California. Il condannato a morte Lumord Johnson muore di morte naturale. Sulla stampa statunitense si leggono spesso degli articoli che rendono noto il decesso di condannati a morte per cause naturali. Salvo eccezioni, si tratta di brevi comunicati. In un comunicato del 25 marzo u. s. leggiamo: “Oggi, alle 6:30’ circa, il condannato Lumord Johnson è stato trovato esanime nella sua cella nel carcere di San Quentin. È intervenuto lo staff medico tuttavia Johnson è stato dichiarato morto alle 6:55’. Verrà accertata la causa della morte. Johnson che aveva 56 anni […] fu condannato a morte l’8 aprile 2002 […] ed entrò nel braccio della morte il 15 aprile 2002”.
Iran. Continua la tortura di Ahmadreza Djalali. Ahmadreza Djalali, lo scienziato svedese-iraniano rinchiuso nel braccio della morte della prigione di Evin in Iran dal 2016, è stato tenuto in isolamento per 100 giorni, periodo in cui ha potuto ricevere una sola visita da parte dei familiari. Al prigioniero è stato detto che veniva posto in isolamento in preparazione della sua esecuzione. Ricordiamo che Ahmadreza Djalali fu arrestato il 25 aprile 2016 in Iran, paese in cui si era recato per prendere parte ad alcuni seminari sulla Medicina dei disastri. Ahmadreza Djalali si era già recato due volte dalla Svezia in Iran senza avere problemi. Furono i servizi segreti ad operare l’arresto, senza esibire alcun mandato di cattura. Poi lo scienziato fu processato, accusato di collaborare con Israele e condannato a morte. Vida Mehrannia, moglie di Ahmadreza, ha dichiarato: “Durante l’isolamento ad Ahmadreza non è stato consentito di incontrare il suo avvocato e ha potuto vedere i suoi familiari una sola volta, due settimane fa. Egli non è in buone condizioni fisiche. Ha perso 7/8 chili di peso e il suo ritmo cardiaco è sceso sotto i 40 battiti al secondo. Non sta per niente bene e il ritmo di 40 battiti al secondo è veramente pericoloso. È sottoposto ad una fortissima pressione mentale. Non gli viene consentito di telefonare a sua moglie e ai suoi figli”. (Del caso di Ahmadreza Djalali abbiamo scritto nei nn. 235, 244, 246).
Iran. Notizia di un’ordinaria esecuzione. Iran Human Rights ha reso noto che il mattino presto del 14 marzo nel carcere centrale di Urmia è stato messo a morte tale Nasser Valizadeh nato a Bukan 32 anni fa. Approssimandosi l’esecuzione il condannato era stato posto in isolamento.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 marzo 2021