FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 128 - Aprile 2005
SOMMARIO:
1) Convocazione dell’Assemblea ordinaria del 22 maggio
2) Appello per la vita del nostro amico Bryan
3) Papa Wojtyla e la pena di morte
4) La sacralità della vita per i fratelli Bush
5) Dale Recinella ci scrive così dopo l’esecuzione di Glen Ocha
6) La mia condanna a morte è stata annullata!
7) Kenneth chiede un contributo per la Festa della libertà
8) New York pone una grossa pietra sulla pena di morte
9) L’iniezione letale può causare sofferenza fisica ?
10) Talabani non firmerà l’ordine di esecuzione di Saddam Hussein
11) Le parole di Beccaria attualissime nel XXI secolo
1) CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA ORDINARIA DEL 22 MAGGIO
Come potete vedere dall’ordine del giorno, abbiamo numerosi argomenti interessanti e coinvolgenti da trattare in assemblea. Vogliamo che ciascun socio e ciascun simpatizzante si senta caldamente e personalmente invitato ad approfittare di questa occasione di incontro personale, confronto, riflessione, proposte e suggerimenti. (Grazia)
L'Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau è convocata per domenica 22 maggio 2005 alle ore 10:00. L'Assemblea si terrà in Firenze presso l'abitazione di Loredana Giannini, Via Francesco Crispi, 14. L'ordine del giorno è il seguente:
1. Relazione sulle attività svolte dopo l'Assemblea del 23 maggio 2004;
2. relazione sulle attività di divulgazione/distribuzione del libro“Muoio Assassinato Questa Notte”;
3. relazione sulla preparazione della versione inglese del libro di cui al punto 2. (titolo inglese: “They are Murdering Me Tonight”);
4. relazione sulle conferenze di Dale Recinella in Italia nel marzo 2005;
5. situazione iscritti al Comitato;
6. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2004;
7. eventuali dimissioni dalle cariche sociali e rinnovo del Consiglio direttivo;
8. rapporti con le altre associazioni/gruppi ed eventuali interventi di Ospiti dell'Assemblea esterni al Comitato Paul Rougeau;
9. proposte di invito e ospitalità di Dale Recinella in autunno e in maggio/giugno 2006 in altre località italiane;
10. proposte, idee, suggerimenti e collaborazione per la pubblicazione negli Stati Uniti del libro di cui al punto 3.
11. invito rivolto ai nuovi iscritti a collaborare attivamente con il Comitato con iniziative consone alle loro rispettive disponibilità, capacità ed esperienze;
12. programmazione delle attività future (rapporti con i detenuti, assistenza a corrispondenti dei detenuti, petizioni e azioni urgenti, attività editoriali e telematiche, interventi nelle scuole, campagne abolizioniste, progetto “Non uccidere”, rapporti con personalità e organizzazioni, allargamento della base associativa, raccolta fondi, ...); nomina di eventuali responsabili delle varie attività;
13. varie ed eventuali.
Firmato: Maria Grazia Guaschino, Presidente del Comitato Paul Rougeau
AVVERTENZE:
· La fine dei lavori è prevista per le ore 17 circa. Il luogo dell'Assemblea è raggiungibile dalla Stazione di Santa Maria Novella anche a piedi in 20 minuti. Percorso consigliato: Stazione, Via Nazionale, P.zza Indipendenza, Via S. Caterina d'Alessandria. Arrivati all'incrocio col Viale S. Lavagnini lo si attraversa al semaforo e si prosegue lungo Via A. Poliziano che si percorre interamente, fino a sboccare in Viale Milton, in corrispondenza con un ponte sul Mugnone. Si attraversa il ponte e si giunge in Via XX Settembre; si gira a sn costeggiando il Mugnone fino ad incrociare, sulla ds, Via Crispi. Si gira dunque a ds e si percorre Via Crispi fino al n°14.
· Per chi preferisce l'autobus, dalla stazione le linee utili sono: 4 (direzione Poggetto, scendere in Via dello Statuto, parallela alla vicina Via Crispi ); 13 (dir. Piazzale Michelangelo, scendere in Via XX Settembre); 28 (dir. Sesto), scendere in Via dello Statuto.
· Tutti gli autobus fermano vicino all'uscita della stazione, lato sinistro uscendo, lato dove si trova la farmacia della stazione.
· Pernottamento: Coloro che vogliono arrivare a Firenze sabato 21 ci devono informare QUANTO PRIMA della propria venuta in maniera da riservare per tempo le camere necessarie.
· Per una migliore organizzazione, vi chiediamo di avvertirci delle vostra partecipazione anche se non intendete pernottare a Firenze.
· Per tutte le informazioni organizzative e per prenotare il pernottamento a Firenze contattare subito Loredana Giannini: tel. 055 485059 – o inviate un messaggio email a mailto:prougeau@tiscali.it
· Soci, collaboratori e simpatizzanti, siete TUTTI invitati a partecipare, ci teniamo davvero!
2) APPELLO PER LA VITA DEL NOSTRO AMICO BRYAN
Bryan Eric Wolfe, nostro amico da molto tempo, deve essere ‘giustiziato’ il 18 maggio prossimo in Texas. La storia di Bryan, seguito da Margherita De Rossi, Mauro Dispenza ed altri nostri amici, è compresa nell’Opuscolo del Comitato Paul Rougeau. Egli fu accusato di un omicidio per rapina nel 1992. Margherita è andata a visitarlo in questi giorni e lo ha trovato scoraggiato: ringrazia di cuore tutti gli amici italiani ma ha poca fiducia nell’efficacia di una petizione al Governatore. Siamo invece convinti che mandare un appello possa giovare al suo caso e alla causa abolizionista: in Texas devono capire che uccidere una persona a sangue freddo non si può considerare semplice routine!
Invitiamo pertanto i nostri lettori a partecipare alla petizione alle autorità del Texas per chiedere clemenza nei confronti di Bryan. Suggeriamo qui sotto un testo, da firmare in due o più persone.
(Traduzione, ad uso del lettore: Caro Governatore, Cari Membri della Commissione per le Grazie, siamo angosciati dalla orribile decisione del Texas di uccidere Bryan Eric Wolfe il 18 maggio. La pena di morte nel caso di Bryan Wolfe, come in qualsiasi altro caso, costituisce un'offesa alla dignità umana ed è al giorno d'oggi da considerarsi "tanto crudele quanto non necessaria" per proteggere la società, come ha ripetutamente sottolineato il defunto papa Giovanni Paolo II. Conosciamo il sig. Wolfe e vi possiamo assicurare che una persona di grande umanità, completamente riabilitata nel corso dei dodici anni passati in carcere. Nessuno più di lui merita la grazia che le autorità hanno il dovere di dispensare in un sistema criminale che sia veramente giusto ed umano. Anche a nome di molti altri Italiani, vi preghiamo pertanto accoratamente di concedere la clemenza esecutiva a Bryan Eric Wolfe.)
The Hon. Rick Perry
Governor of Texas
Office of General Counsel
P.O. Box 12428
Austin, Texas 78711-2428 USA
Fax: 001 512 4631849 - rickperry@rickperry.org
Texas Board of Pardons and Paroles
Executive Clemency Section
8610 Shoal Creek Blvd
Austin, Texas 78757 USA
Fax: 001 512 4638120 - mailto:bpp@tdcj.state.tx.us
Dear Governor
Dear Board of Pardons and Paroles Members
We grieve over the horrible decision about Mr. Bryan Eric Wolfe's scheduled killing on May 18.
In Bryan Wolfe's case, as in all other cases, the death penalty represents an offence to human dignity and it is nowadays to be considered "both cruel and unnecessary" as repeatedly underlined by the deceased Pope John Paul II .
We know Mr. Wolfe and we assure you that he is now a man gifted with deep humanity, who has totally rehabilitated during the twelve years spent in prison. Nobody deserves mercy more than he, and authorities have the duty to grant mercy within a truly fair and humane criminal system.
Also in the name of many other Italian people, we beg you heartily to grant Bryan Eric Wolfe executive clemency.
Respectfully
Si può partecipare alla petizione inviando al più presto una lettera, un fax o un e-mail al Governatore del Texas e alla Commissione per le Grazie (fare due copie/fotocopie dello stesso messaggio e indicare nome, cognome ed indirizzo postale completo di almeno uno dei firmatari – usare la posta prioritaria con affrancatura di 0,80 euro)
(Si può aderire facilmente ad una petizione via Internet entrando nel sito della Comunità di Sant’Egidio al seguente indirizzo e cliccando sui due distinti pulsanti START:
www.santegidio.org/it/pdm/news/ap_wolfe.htm )
3) PAPA WOJTYLA E LA PENA DI MORTE
Gesù stesso si ritrasse e si schernì quando lo volevano proclamare re e quando lo chiamarono ‘maestro buono’. Nella vita di Gesù di Nazaret ci sembra di scorgere – se sbagliamo correggeteci – una decisa denuncia delle tentazioni del potere, del miracolismo e del culto della personalità. In questo momento sembra impossibile evitare queste tentazioni che ci impediscono, fra l’altro, di evitare scontri ed esagerazioni e di parlare in modo pacato ed obiettivo del defunto pontefice Giovanni Paolo II. Come abolizionisti non possiamo tuttavia fare a meno di cercare parole ‘normali’ per ricordare gli intensi rapporti che abbiamo avuto con lui negli ultimi 19 anni a proposito della pena di morte, senza tentare una valutazione organica della sua figura.
1. La vicenda di Paula Cooper
Chissà se nei suoi ultimi giorni tormentati papa Wojtyla si sarà ricordato della discesa in elicottero sul verde ondulato e luminoso delle alture abruzzesi dei Piani di Pezza. Giunse all’improvviso, il 9 agosto 1986, a dir Messa in mezzo ad una festosa distesa di scout partecipanti ad una memorabile Route Nazionale Rover/Scolte. Allora fu posto inequivocabilmente di fronte al problema della pena di morte da una lettera firmata da 5.681 giovani: “A noi sta a cuore che Paula Cooper viva perché è un essere umano e nessuno ha il diritto di uccidere…”
(Ricordiamo ai lettori che il caso di Paula Cooper, afro-americana condannata a morte il 12 luglio 1986 per un omicidio compiuto a quindici anni di età, in Italia scosse immediatamente le coscienze più sensibili, alcune associazioni cattoliche, i radicali, i comunisti, parecchi parlamentari. Diventò un evento popolare nazionale un anno più tardi quando Raffaella Carrà, conduttrice di Domenica In, lo ripropose insistentemente a partire dalla trasmissione del 28 marzo 1987. Paula Cooper si salvò. Forse anche per merito degli Italiani e del papa. V. n. 86).
Karol Wojtyla si era già impegnato segretamente in favore di alcuni condannati a morte – lo apprendemmo in seguito - ma sembrava che la lettera degli scout e le successive infinite suppliche non lo avessero scosso. Per mettere ‘alle corde’ il papa, il movimento abolizionista italiano lavorò oltre un anno (ricordiamo che i monsignori ‘filtro’, pieni di dubbi, ci domandavano se vi erano sufficienti garanzie che un’eventuale richiesta di clemenza del papa venisse accolta).
L’avvocato di Paula, numerose personalità ed associazioni avevano invano assediato il papa nell’imminenza del suo viaggio pastorale negli Stati Uniti nel settembre del 1987, perché sollevasse il problema della pena di morte con le autorità americane e, addirittura, andasse a visitare Paula Cooper in carcere. Al momento della partenza fu chiarito: il papa sulla pena di morte tacerà.
Ma già la Radio Vaticana si preparava ad aprire la strada per un intervento di Wojtyla subito dopo la conclusione del viaggio pastorale. Lo fece rendendo noto che la Conferenza episcopale degli Stati Uniti si era già espressa contro la pena capitale, intervistando la Cooper e rendendo di pubblico dominio una lettera della giovane criminale al “caro papa”. “Come stai? – aveva scritto Paula - io sto bene per quanto mi è possibile […] Spero che potrai aiutarmi in qualche modo, anche solo pregando per me, perché ho sofferto per 18 anni. […] ”
Finalmente il 26 settembre del 1987 un breve comunicato della Sala Stampa vaticana svelò la scesa in campo del pontefice: “Posso affermare che la Santa Sede e il Santo Padre - disse Navarro Valls – attraverso canali confidenziali, hanno già fatto conoscere il proprio punto di vista tendente ad ottenere la grazia per Paula Cooper, sottolineando gli aspetti umani e umanitari del caso.”
2. Costante impegno contro la pena di morte
Se impiegò un tempo secondo noi interminabile per decidersi a rispondere al movimento abolizionista, il papa ha poi esercitato una pressione forte e costante contro la pena capitale, impegnandosi in due direzioni: 1) invocando clemenza per TUTTI i condannati a morte per i quali gli è stato richiesto (siamo stati direttamente coinvolti in una decina di questi interventi, l’ultimo dei quali in favore di Gary Graham); 2) facendo avanzare l’insegnamento della chiesa ben oltre i limiti che i cattolici sostenitori della pena di morte ravvisano nella dottrina tradizionale.
Per questo suo caparbio impegno, Wojtyla dovette sovente subire la contestazione e la derisione in campo cattolico, sia da parte di chierici che di laici potenti. Ricordiamo, a titolo di esempio, che il 25 gennaio 2002 il cattolicissimo Antonin Scalia, Giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, dichiarò: “[…] non concordo con l’[affermazione dell’enciclica papale] Evangelium vitae e con il Nuovo catechismo […] che la pena di morte debba essere imposta solo per proteggere [la società] e non per vendicare e, dal momento che nelle società più moderne non è necessaria per il primo motivo, sia sbagliata. […] Mi sembra che l’enciclica o ignora o rigetta il perdurante insegnamento della chiesa che la vendetta è un valido motivo; anzi il principale motivo della punizione inflitta dallo stato. […] Così sono felice di apprendere […]che l’affermazione contenuta nell’Evangelium vitae non rappresenta un insegnamento ex cathedra e pertanto non deve essere necessariamente accettato dai cattolici praticanti. […] Per quanto riguarda l’ultima edizione del Nuovo catechismo ritengo che sia solo un prodotto della burocrazia clericale che dice: “Sì, capo”.
3. Documenti fondamentali
Che cosa dicono dunque il Nuovo catechismo e l’Evangelium vitae sulla pena di morte?
La prima edizione del nuovo “Catechismo della Chiesa Cattolica”, firmata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1992, a trent’anni esatti dall’apertura del Concilio Vaticano II, per quanto riguarda la pena di morte opera una mediazione tra le spinte di coloro che vogliono relegare la pena capitale nel passato (tra i quali riteniamo si possa collocare lo stesso papa) e la resistenza di coloro che, appellandosi alla indubbia plurimillenaria presenza della pena di morte nella civiltà giudaico-cristiana, nei testi sacri e nella Tradizione ecclesiastica, non intendono rinunciare ad applicarla nel momento presente.
Il compromesso raggiunto tra i 19 vescovi di diversa tendenza presieduti dal cardinale Ratzinger incaricati di stendere nell’arco di sei anni – attraverso 9 successive bozze - il nuovo catechismo, portò ad affermare da un lato che l’insegnamento tradizionale della chiesa ammette la pena di morte e dall’altro che l’organizzazione statuale moderna, consentendo di adottare misure alternative, rende in pratica illecito applicare la pena capitale. O almeno questa era la lettura che ne davamo noi abolizionisti (pur nella delusione che non si fosse arrivati ad una posizione più netta). I cattolici sostenitori della pena di morte, soprattutto negli USA, si rifacevano invece ad una parte degli enunciati del catechismo per dire che tale pena poteva ancora considerarsi lecita e utilizzabile.
Forse qui occorre ricordare che il Catechismo del 1992 dice, fra l’altro: “(n. 1907) […] In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali e inalienabili della persona umana [...]. (1930) Il rispetto della persona umana implica il rispetto dei diritti che scaturiscono dalla sua dignità di creatura. Questi diritti sono anteriori alla società e ad essa si impongono […]. (2273) […]Tra questi diritti fondamentali bisogna […] ricordare il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento alla morte.”
Il diritto alla vita viene considerato fondamentale e, in prima istanza, inalienabile, assoluto: “(2273) Il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione.”
Tuttavia 1'apposizione dell'aggettivo "innocente" apre la strada ad una relativizzazione che finisce con l’ammettere la pena di morte (2266) in conseguenza al diritto-dovere di legittima difesa del "bene comune" che esige di porre l'aggressore in stato di non nuocere. Ciò avviene tramite l'inflizione di "pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte". Però il n. 2267 obbliga l’autorità ad usare mezzi incruenti se questi sono sufficienti per difendere le vite umane dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone "in quanto essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana".
Nella sua lettera enciclica Evangelium vitae, pubblicata alla fine di marzo del 1995, papa Wojtyla volle indubbiamente chiarificare, nel senso già da noi inteso, la dottrina proposta dal catechismo del 1992. Tale intervento sulla pena di morte di Giovanni Paolo II fu così ampio ed incisivo che il cardinale Ratzinger dichiarò subito che il catechismo doveva essere ‘riscritto’.
Nell’Evangelium vitae (al n. 27) troviamo un primo incoraggiante riconoscimento del movimento abolizionista, accostato al movimento profetico dei ‘non violenti’. Viene annoverata tra i segni di speranza l'avversione alla pena di morte "anche solo quale strumento di 'legittima difesa' sociale, in considerazione della possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine nei modi che, mentre rendono inoffensivo colui che 1'ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi".
Il papa sottolinea i passi della Bibbia orientati alla misericordia e alla protezione del reo dalla vendetta. Al n. 9, parafrasando il passo della Genesi su Caino e Abele, afferma che "neppure l'omicida perde la sua dignità personale" ricordando che "Dio non volle punire l'omicida con un omicidio, perché vuole il pentimento del peccatore più che la sua morte".
Passando a commentare il comandamento di "non uccidere", dopo aver assegnato un valore positivo al diritto di legittima difesa, che può essere superato soltanto da una rinuncia fatta in virtù di un amore eroico, Giovanni Paolo II si sofferma per un intero capitolo sul problema della pena di morte. Prende atto della crescente tendenza a chiederne un'applicazione sempre più limitata ed anzi una totale abolizione (cogliamo qui anche un riferimento alla trattatistica sovranazionale che consegue alla Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo). "Il problema va inquadrato - dice - nell'ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell'uomo". Richiama poi i passi del nuovo Catechismo sulla natura e sulla funzione della pena per affermare che "1'autorità ottiene lo scopo di difendere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza offrire allo stesso reo uno stimolo e un aiuto a correggersi e a redimersi". Il papa conclude che "la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell'istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti". (Le parole 'oggi' e 'ormai' conferiscono al discorso un valore dinamico e prefigurano un'era in cui la pena di morte sarà cancellata dal volto della terra e seppellita per sempre nel passato.)
Il succo della dottrina enunciata nell’Evangelium vitae è stato recepito nell’edizione ‘typica’, in latino e definitiva, del nuovo Catechismo, uscita all’inizio di settembre del 1997. I numeri 2266 e 2267 sono stati completamente riformulati. Nel 2266, ora dedicato solo alle pene, è scomparsa la citazione della pena di morte (prima prevista “in casi di estrema gravità”). Alla pena di morte, vista come problema a parte, è dedicato tutto il paragrafo 2267 dell’editio typica. Esso dice che l’insegnamento tradizionale della Chiesa considera la pena capitale una misura limite da adottarsi solo quando sia l’unico modo di proteggere le vite umane dall’ingiusto aggressore. La pubblica autorità deve usare mezzi non letali nei casi in cui non vi sia l’assoluta necessità della soppressione del reo. I casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.” Ecco una (non rigorosa) traduzione dell’intero numero 2267: “A condizione che si siano determinate appieno l’identità e la responsabilità del colpevole, l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude il ricorso alla pena di morte, se questa è l’unica via possibile per difendere effettivamente le vite umane contro l’ingiusto aggressore. Se, tuttavia, mezzi non letali sono sufficienti per difendere le vite umane dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone l’autorità si limiterà all’uso di tali mezzi, dal momento che essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, come conseguenza della possibilità dello stato di prevenire efficacemente il crimine mettendo il reo in condizione di non nuocere – senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi – i casi in cui la soppressione del reo sia una assoluta necessità sono ‘molto rari se non praticamente inesistenti’.”
4. Altre forti prese di posizione
Senza tentare di fare un panorama completo dei rapporti di papa Wojtyla con la pena di morte, vogliamo ricordare alcune sue prese di posizione particolarmente significative, come il discorso urbi et orbi del Natale 1998 in cui egli annoverò la pena di morte fra le sei macchie sul mondo pervaso dalla violenza, in “stridente contrasto tra la serenità dei canti natalizi,” che attendono “misure urgenti ed adeguate.” (Produzione e commercio delle armi, offese alla vita umana innocente, pena di morte, sfruttamento dei bambini, genocidi e crimini di guerra, degrado ambientale.)
Vogliamo poi ricordare il discorso a Saint Louis nel Missouri del 27 gennaio 1999: “Rinnovo l’appello che ho fatto molto recentemente a Natale ad un consenso per porre fine alla pena di morte, che è tanto crudele quanto non necessaria. […] Un segno di speranza è l’aumentare del riconoscimento che la dignità della vita non deve mai essere tolta, anche nel caso di coloro che abbiano commesso gravi malvagità. La società moderna ha i mezzi per proteggersi, senza negare definitivamente ai criminali la possibilità di redimersi.” Il papa ottenne dal Governatore del Missouri Mel Carnahan la grazia per Darrell Mease la cui esecuzione era stata programmata per quel giorno. (Sia il papa che Carnahan furono oggetto in seguito di aspre critiche. Il governatore chiese quasi scusa per la grazia che aveva concesso, sotto una forte pressione personale del papa).
Alla svolta del millennio erano ormai evidenti il coinvolgimento di papa Wojtyla nelle concrete battaglie abolizioniste e la risonanza della sua predicazione con gli sforzi fatti da soggetti impegnati sul campo, come la Comunità di Sant’Egidio e i radicali di Nessuno Tocchi Caino.
Il papa, favorevole alla moratoria delle esecuzioni a partire dal 2000, si augurava che la pena di morte potesse essere abolita all’inizio del terzo millennio. “Al Colosseo si terrà una manifestazione che si inserisce nell’ambito della campagna mondiale in favore di una moratoria della pena di morte.” Disse il papa il 12 dicembre del 1999 e aggiunse: “Il grande giubileo del 2000 è un’occasione privilegiata per promuovere nel mondo forme sempre più mature del rispetto della vita e della dignità di ogni persona.” Di qui il suo appello “a tutti i responsabili affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte, dal momento che i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari se non addirittura inesistenti.”
5. Un’amicizia dialettica anche con il nuovo papa
Alla voce di Karol Wojtyla, affievolitasi negli ultimi tre anni, si è sostituita quella del cardinale Ratzinger, papa Benedetto XVI. Speriamo sia una voce che continui a parlare senza sosta in favore la causa abolizionista. Non lasceremo in pace il nuovo pontefice, così come abbiamo fatto con Giovanni Paolo II.
Le premesse ci fanno pensare che non sarà facile entrare in risonanza con Joseph Ratzinger, che scriveva ai vescovi americani nel luglio 2004, a proposito delle condizioni per ricevere l’Eucaristia: “[…] Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e pietà nell’imporre le pene ai criminali, può essere ancora permesso di prendere le armi per respingere un aggressore o di ricorrere alla pena di morte. […]”
Non avendone né titolo né motivo, non chiederemo certo a papa Benedetto XVI di negare la Comunione a personaggi di religione cattolica come Jeb Bush, bensì di aiutarli, da fratello maggiore nella fede, a seppellire la pena capitale tra gli strumenti e gli orrori del passato.
4) LA SACRALITA’ DELLA VITA PER I FRATELLI BUSH
Jeb Bush, governatore della Florida e fratello del presidente degli U. S. A., è un degno seguace della filosofia di famiglia: nell’arco di pochi giorni, all’inizio di aprile, ha preso un paio di decisioni che dimostrano il suo disprezzo per la vita umana. Il colmo è che egli, come del resto suo fratello, si proclama strenuo difensore della ‘sacralità della vita’.
Glen Ocha era un malato di mente con un passato di tentati suicidi e un desiderio apertamente espresso di porre fine alla propria esistenza. Era stato condannato a morte per aver assassinato una donna dopo aver avuto un rapporto sessuale con lei. Glen aveva rinunciato ai suoi appelli, desideroso di essere ucciso nel più breve tempo possibile. Un serio difensore della vita avrebbe dovuto, in un caso come questo, opporsi ad un suicidio assistito dallo stato. Non così ha fatto Jeb Bush, che ha firmato l’ordine di esecuzione di Glen ed ha consentito che egli venisse ucciso con un’iniezione letale il 5 aprile.
Non è il primo caso in cui il governatore della Florida, neo convertito alla fede cattolica, aiuta un malato mentale a suicidarsi. Quasi la metà delle esecuzioni autorizzate da Jeb Bush riguarda persone che hanno rinunciato ai loro appelli per accelerare la fine. L’ordine di ammazzare un individuo come Glen non è quindi eccezionale e non avrebbe destato grande attenzione in Florida, se non fossero sopraggiunte due circostanze a rendere il fatto particolarmente macabro e rivoltante.
La prima è stata una petizione dei vescovi della Florida, in cui si implorava il cattolico Bush di graziare il condannato. Il governatore non ha neppure preso in considerazione tale richiesta. In compenso ha dichiarato alla stampa che aveva già deciso di posporre l’esecuzione (si noti: di posporla, NON di annullarla) in onore al Papa appena defunto (come se al Papa, che si è tanto battuto contro la pena di morte, avesse fatto piacere che Glen venisse ammazzato qualche settimana dopo…) ma poi, all’ultimo momento, considerato che i familiari della vittima del crimine di Ocha erano “già preparati e pronti a presenziare all’esecuzione” per raggiungere la meritata ‘closure’ (chiusura del loro dolore), ha cambiato parere consentendo che si procedesse con l’iniezione letale come programmato. Non penso che una simile condotta, che dimostra la pochezza della mentalità di quest’uomo, necessiti di ulteriori commenti.
La seconda circostanza è stata la decisione presa da Jeb Bush lo stesso giorno dell’esecuzione di Ocha: egli ha firmato una legge in cui si prevede che non vengano perseguite le persone che uccidono per legittima difesa putativa, non solo in casa e in auto, come già previsto, ma anche per la strada e senza essere più tenute a preferire risposte alternative o la fuga. Se consideriamo che gli Americani possiedono armi di tutti i tipi e che la criminalità, soprattutto la microcriminalità giovanile più sprovveduta, dilaga nel Paese, possiamo ben immaginare il clima che si potrà creare in Florida: un rapido ritorno al "Far West", pieno di pistoleri che non avranno nessuna remora ad ammazzare persone sospettate di atti criminosi, con il risultato di avere presto molte vittime tra gli appartenenti agli strati sociali più emarginati. La nuova norma, foriera di ‘spiacevoli equivoci’ in cui verranno colpiti individui del tutto innocenti, produrrà anche un forte aumento dell’uso della violenza letale preventiva da parte dei criminali nei riguardi delle persone ‘perbene’. Questa legge perniciosa, non stupisce, è stata fortemente voluta dai più noti fabbricanti di armi riuniti nella National Rifle Association.
Fatti come questi inducono a pensare che la vita sia veramente sacra per i fratelli Bush solo quando si tratta della loro e di quella delle persone importanti che li aiutano a conservare il loro strapotere.
Risulta difficile scorgere un sincero amore per la vita umana in George W. Bush persino quando difende la vita nascente o quando si oppone all’eutanasia passiva, comportamenti entrambi condivisi dal fratello Jeb. (Grazia)
5) DALE RECINELLA CI SCRIVE COSI’ DOPO L’ESECUZIONE DI GLEN OCHA
Glen Ocha aveva rinunciato a tutti i suoi appelli e desiderava morire, convinto che la sua fine avrebbe portato pace ai familiari della sua vittima e sarebbe stata per lui il giusto mezzo di espiazione. Il governatore Jeb Bush ha firmato l'ordine di esecuzione di Glen pur sapendo che si trattava di un malato mentale, e che in pratica stava autorizzando un suicidio assistito. Glen è stato ucciso con un'iniezione letale alle ore 18 di martedì 5 aprile nel carcere di Starke in Florida. Aveva chiesto di essere assistito spiritualmente da Dale Recinella, il nostro amico che da alcuni anni presta servizio di volontariato presso il braccio della morte della Florida, come cappellano cattolico laico. Dale è stato vicino a Glen nei suoi ultimi giorni di vita, subito dopo essere rientrato in America dal suo ciclo di conferenze in Italia. Tutti i conoscenti italiani di Dale hanno seguito con grande partecipazione gli eventi di questi giorni, relativi all'esecuzione di Glen, cercando di dimostrare a Dale e a Glen la loro amicizia e la loro partecipazione. Dale ha scritto a questi amici il giorno dopo l'esecuzione, per ringraziarli e dare notizie. Riportiamo qui di seguito il messaggio di Dale, perché ci sembra giusto e importante condividerlo con tutti voi. (Grazia)
Florida, 6/04/2005
Cari amici,
grazie per il vostro interessamento e per il sostegno che mi avete dato in questi giorni. Le ultime giornate di Glen sono state attive e, per come lui me le ha descritte, molto, molto significative.
Suo fratello, che non vedeva dal 1978, ha fatto un lungo viaggio dal nord degli Stati Uniti e così hanno potuto incontrarsi lunedì sera per due ore e di nuovo martedì mattina per altre due ore (nell’ultima ora è stata consentita una visita con contatto). Anche se non era stato programmato così, l’ultimo pasto di Glen (pollo fritto) è arrivato al carcere presto – così, piuttosto che lasciarlo raffreddare, gli fu permesso di mangiarlo nella stanza delle visite e di condividere il pasto con suo fratello. Si è trattato di un’esperienza molto forte e speciale per entrambi.
Lunedì mattina, Glen si era confessato per la prima volta con il Vescovo Snyder, aveva ricevuto la sua Prima Comunione e Cresima e l’Estrema Unzione. Colpito con forza dalla presenza dello Spirito Santo durante la Cresima, chiese di potersi inginocchiare. Sembrava proprio che fosse illuminato e il suo contegno era davvero luminoso. Egli ha descritto la sensazione come un profondo calore generato dall’amore che entrava nel suo corpo. Persino martedì pomeriggio continuava a sostenere che si sentiva diverso rispetto a come era prima di lunedì mattina.
Glen ha detto più volte ieri che le guardie lo avevano trattato sempre bene durante la sua permanenza nel braccio della morte. Molte di loro si sono premurate di venire a trovarlo per dirgli quanto lo stimassero, e che avrebbero sentito la sua mancanza. Le ultime ore che ho trascorso con lui davanti alla sua cella sono state calde, ricche di condivisione delle storie della sua vita, in particolare di avventure della sua infanzia con suo fratello. Non ci sono stati discorsi impegnativi in quelle ultime ore, tuttavia abbiamo concluso la visita con una lettura tratta dal capitolo 8 della Lettera ai Romani e con la recita del Padre Nostro.
Le ultime parole di Glen sono state quelle riportate dai media. Era calmo, raccolto e controllato – parlava in modo chiaro, deliberatamente e con chiarezza di argomenti. Ha concluso la sua vita proprio come desiderava.
Glen aveva creduto fermamente che Gesù sarebbe venuto da lui prima che il veleno lo uccidesse. Possiamo solo fare delle supposizioni, ma di fatto il suo respiro si è fermato quasi subito all’inizio della procedura. Non posso fare a meno di domandarmi se davvero egli abbia avuto ragione.
Come sempre, sono andato direttemene dal carcere alla chiesa dove suo fratello e altri parenti e amici stavano aspettando insieme a mia moglie. Abbiamo trascorso la serata con loro, condividendo le loro storie e i loro ricordi.
Non ci sono dubbi che questa pratica di uccidere legalmente debba finire. La giustizia non ha bisogno di questo e delle vite – in particolare quelle della famiglia del condannato – che diventano ulteriori vittime di omicidio.
Tutti noi, incluso Glen, abbiamo fatto del nostro meglio considerate le circostanze. Preghiamo Dio che queste situazioni diventino presto un relitto nel nostro passato e non siano mai più parte del nostro presente e del nostro futuro.
Carissimi saluti a tutti. Dale Recinella
6) LA MIA CONDANNA A MORTE E’ STATA ANNULLATA!
La lettera di Kenneth che ci comunica l’importante notizia dell’annullamento della sua sentenza di morte è giunta dopo l’uscita del precedente numero di questo Foglio di Collegamento in cui abbiamo dato la notizia. Ci sembra comunque interessante pubblicarla. Notate che, al momento di scrivere questa lettera, il nostro amico non sapeva ancora dell’intenzione dell’accusa di appellarsi contro la decisione della Corte federale distrettuale.
Cari amici italiani, il 3 marzo 2005 la mia condanna a morte è stata annullata dalla Corte federale distrettuale. Ho ricevuto la notizia dal mio avvocato l’8 marzo. C’è voluto molto tempo, ma finalmente una corte ha ammesso che la mia condanna a morte è incostituzionale. Ho sempre avuto fiducia che quesito sarebbe accaduto un giorno.
Come molti di voi sanno, ho sostenuto la mia totale innocenza fin dal primo giorno. L’abbiamo provata con vari argomenti, ma questo giudice è stato molto duro sulla questione della totale innocenza: ha solo annullato la sentenza di morte. Possiamo ancora appellarci su tale questione presso una corte superiore. Però non c’è ancora nulla di certo.
Si tratta di una vittoria agrodolce perché non siamo soddisfatti della possibilità che io debba scontare una condanna all’ergastolo. Una condanna all’ergastolo per reato capitale in Texas significa una condanna a 40 anni prima di un’eventuale uscita sulla parola, e non c’è neppure la sicurezza di poter poi uscire. Ci sarà ancora molto da combattere, la battaglia non è affatto vinta. Siamo comunque molto sollevati all’idea che non dovrò affrontare l’esecuzione. La sentenza afferma che lo stato ha 90 giorni di tempo per scegliere se sottopormi ad un nuovo processo oppure commutare la mia condanna a morte, e noi crediamo che, di fatto, saranno costretti ad optare per la commutazione.
Anche se il giudice ha negato la mia innocenza, ha ammesso, con la sua sentenza, che il mio ruolo nel crimine non è stato quello dichiarato dagli avvocati dell’accusa. C’è una contraddizione e noi continueremo a lottare fino a che sarà emessa una sentenza giusta.
Non posso fare a meno di pensare al giorno in cui lascerò il braccio della morte. Desidero ardentemente avere una visita con contatto fisico con i miei cari, in particolare con mia figlia. Non ho potuto tenere mia figlia tra le braccia da quando aveva 8 mesi.
Questa sentenza di fatto afferma che non avrei mai dovuto essere condannato a morte. Immaginate solo per un momento che cosa sarebbe successo se io non avessi avuto bravi avvocati come quelli che ho ora e se gli argomenti a mio favore non fossero stai sollevati (come accade per molti condannati): avrei potuto essere ucciso ingiustamente.
Se le cose fossero state condotte nel modo del tutto giusto per me, avrei dovuto essere liberato. Invece ho dovuto trascorrere qui ingiustamente otto anni della mia vita. Continueremo a lottare contro la “Law of parties” (v. n. 127) finché non la cambieranno. Ho scritto più volte sul bollettino del Comitato riguardo a questa legge. Se alcuni di voi hanno dei pen-pal che sono stati condannati in base a questa legge, dovreste far loro sapere ciò che è successo a me perché potrebbe aiutare anche loro. Ci saranno delle conseguenze alla sentenza che mi riguarda. Questa è la ragione per la quale i casi di alcuni condannati a morte devono essere particolarmente sostenuti, perché la sentenza che riguarda uno può aiutare molti altri.
Questa sentenza è un passo. Io non mi fermerò fino a che non otterrò di essere liberato, perché so di essere innocente di questo crimine. Con il vostro aiuto potrebbe diventare una realtà. Vi terrò informati degli sviluppi. Continuate a lottare con noi. Ciao. Kenneth
7) KENNETH CHIEDE UN CONTRIBUTO PER LA FESTA DELLA LIBERTA’
Voglio parlarvi di un evento che sto cercando di organizzare per la prossima estate in Texas, con l’aiuto di militanti ed artisti. Si chiamerà FREEDOM FEST (Festa della Libertà). Si tratta di un concerto combinato con un laboratorio educativo per il pubblico sulla pena di morte e sui detenuti. Vorrei chiedere il vostro aiuto, se possibile. Sto cerando delle donazioni in denaro per questo. So che molti di voi sono già impegnati ad aiutare i rispettivi pen-pal, ma se poteste dare una mano sarebbe proprio una benedizione. Finora due complessi si sono dichiarati disponibili ad esibirsi. Non ci chiedono denaro, dobbiamo solo aiutarli per le SPESE di viaggio. Il Texas ha molto bisogno di questo avvenimento.
La FREEDOM FEST sarà utile per molti condannati a morte e per il movimento. L’anno scorso ho collaborato per portare ad Austin alcuni poeti attivisti in occasione della Quinta marcia annuale contro la pena di morte. Hanno pubblicato un articolo su tale iniziativa sul giornale di Austin: se vi interessa potete chiedermene copia tramite il Comitato. Io non smetterò di lottare come abolizionista, quando lascerò il braccio della morte.
Se siete interessati a contribuire, per favore contattate al più presto il Comitato Paul Rougeau all’indirizzo e-mail: mailto:prougeau@ltiscali.it o all’indirizzo postale: C. P. 11035 – 00141 Roma Montesacro
8) NEW YORK PONE UNA GROSSA PIETRA SULLA PENA DI MORTE
La Commissione per i Codici dell’Assembly (Camera) di Albany il 12 aprile ha rinviato sine die la discussione per emendare e reintrodurre nello stato di New York la legislazione sulla pena capitale dichiarata incostituzionale nello scorso giugno dalla Corte d’Appello (v. n. 124 ). Così facendo ha posto una pesante pietra sulla lugubre istituzione del patibolo. Come ha osservato argutamente il New York Daily News, non rimane che scriverci sopra “1995-2005” - a ricordare il decennio nel quale la pena di morte è vissuta senza portare a nessuna esecuzione - per trasformarla in una pietra tombale.
(Vedi: http://www.paulrougeau.org/ita%20ultimissime.htm ).
Il voto della Commissione per i Codici a maggioranza democratica (11 contro 7) era stato preparato da intense audizioni di esperti ed organizzazioni che hanno illustrato calorosamente i motivi etici e pratici che sconsigliano di ripristinare una legge scarsamente amata dagli ‘opinion leader’ e dalla popolazione, nonché dal sistema giudiziario che l’ha sempre boicottata. Fortemente deluso da questa decisione il governatore repubblicano George Pataki sembra rassegnato a gettare la spugna. Ricordiamo che il ripristino della pena di morte era stato il cavallo di battaglia di Pataki nella campagna elettorale del 1994 e che l’approvazione della legge attualmente vanificata fu uno dei suoi maggiori vanti.
Oltre che augurabile, è anche probabile che non si parli più di pena capitale nello stato cosmopolita di New York. Il fronte abolizionista può registrare così una importante vittoria dato il peso della ‘Grande Mela’, città considerata particolarmente evoluta e all’avanguardia negli USA.
Ci auguriamo che anche in Kansas, in cui non vengono effettuate esecuzioni dal 1965, la legge sulla pena capitale, dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema dello stato nel dicembre 2004 (v. n. 124), non venga più ripristinata. Prima di un eventuale passaggio parlamentare, la Corte Suprema federale dovrà decidere su un appello presentato dal Ministro della Giustizia del Kansas.
9) L’INIEZIONE LETALE PUO’ CAUSARE SOFFERENZA FISICA ?
L’autorevolezza di una ricerca resa nota il 14 aprile ci induce a mettere seriamente in dubbio che l’iniezione letale costituisca un metodo di assassinio indolore. Non è la prima volta che negli Stati Uniti vengono sollevati interrogativi in proposito ma finora ci siamo sempre augurati che si trattasse di falsi allarmi.
Ricordiamo che negli ultimi due anni gli avvocati di diversi condannati a morte hanno contestato che il metodo di esecuzione capitale adoperato negli Stati Uniti possa procurare gravi sofferenze ai condannati e costituisca una punizione crudele e inusuale in violazione dell’Ottavo Emendamento della Costituzione (v. nn. 112, 113). Il motivo dei ricorsi è l’uso del bromuro di pancuronio, un farmaco proibito nelle eutanasie degli animali domestici. Questa sostanza, procurando una totale paralisi muscolare, impedisce la respirazione ma anche la manifestazione della sofferenza del soggetto. Viene iniettata dopo un barbiturico ad effetto rapido, il tiopentale sodico, che dovrebbe indurre un’anestesia totale, e prima del cloruro di potassio che blocca il muscolo cardiaco. Se l’azione del tiopentale risulta in qualche modo compromessa si può facilmente intuire quali siano le sofferenze del morituro.
Finora i ricorsi dei condannati hanno prodotto solo il temporaneo rinvio di qualche esecuzione senza intaccare la procedura adottata, in modo pressoché identico, in tutti gli stati che conservano la pena di morte.
L’anestesiologo Leonidas Koniaris dell’Università di medicina di Miami in Florida scrive nella famosa rivista medica britannica The Lancet (vol. 365, pag. 1412, 16 aprile 2005): “Difetti nella concezione del procedimento, ed anche nell’attuazione, nel monitoraggio e nella revisione della procedura, possono aver portato ad una sofferenza non necessaria almeno alcune delle persone giustiziate.” La ricerca è stata fatta misurando i livelli di tiopentale sodico nel sangue di 49 detenuti messi a morte in Arizona, Georgia, North Carolina e South Carolina (lo stato del Texas si è rifiutato di partecipare alla ricerca). Solo in 6 dei 49 casi il livello dell’anestetico era uguale o maggiore di quello richiesto in chirurgia, in 21 casi il livello era così basso da essere compatibile con la coscienza! “Ritengo che vi sia la possibilità che alcuni di questi detenuti fossero completamente svegli durante la loro esecuzione,” ha scritto Koniaris.
10) TALABANI NON FIRMERÀ L’ORDINE DI ESECUZIONE DI SADDAM HUSSEIN
La nomina del nuovo Presidente dell’Iraq ha avuto una conseguenza inaspettata, forse deludente, per chi lo ha candidato. Ma certamente positiva per noi. Infatti, entrato in carica, il curdo Jalal Talabani si è detto indisponibile a firmare l’ordine di esecuzione di Saddam Hussein, nel caso l’ex dittatore venisse condannato a morte (v. n. 127). Talabani, avvocato e attivista per i diritti umani, ha dichiarato il 18 aprile in un’intervista alla BBC che una lunga opposizione alla pena di morte non gli consente di fare eccezione per Saddam Hussein. (Egli ha tuttavia precisato che il suo diniego potrebbe rimanere inefficace perché il provvedimento deve essere preso a maggioranza nel consiglio di presidenza che conta tre membri.)
“Sono tra gli avvocati che firmarono una petizione internazionale contro la pena di morte nel mondo e sarebbe per me un problema se le corti irachene emettessero delle sentenze capitali.” Aveva dichiarato Talabani in precedenza.
Seguiremo con attenzione la spinosa vicenda del processo a Saddam, che avverrà molto probabilmente nel 2006, ed il comportamento di Jalal Talabani in tutte le condanne a morte.
Diversi commentatori ritengono che risparmiare la vita di Saddam sarebbe anche una opportuna scelta politica in vista di una riconciliazione nazionale: potrebbe attenuare l’opposizione di sunniti ed appartenenti al partito Baath dell’ex presidente. Ci sono voci di trattative in merito tra gli sciiti al potere e i ribelli.
11) LE PAROLE DI BECCARIA ATTUALISSIME NEL XXI SECOLO
Col saggio “Dei Delitti e delle Pene”, Cesare Beccarla ha avviato nel 1764 la discussione che ha consentito al movimento abolizionista di muovere i primi passi. Sono rimasta colpita di come le sue idee siano tuttora valide non solo per contrastare la pena capitale ma anche per promuovere sotto molti altri aspetti i diritti umani. E’ ovvio che il nobile lombardo del diciottesimo secolo aveva delle limitazioni, determinate dall’educazione ricevuta e dalla situazione storica e politica del momento, ma, tenuto conto di questi fattori, e, anzi, proprio tenuto conto di questi, il suo netto discostarsi dall’opinione comunemente condivisa nella sua classe di appartenenza, fa di lui un rivoluzionario autentico. Per rivoluzionario intendo chi ”rivoluziona”, ossia, “capovolge, rovescia” una situazione ormai consolidata. Desidero proporre alla riflessione del lettore alcune frasi, tratte dall’opera di Beccaria, che mi hanno particolarmente colpito.
Già nella prima parte del libro, dedicata ai fondamenti delle leggi e delle pene previste per chi le infrange, troviamo alcune perle di saggezza, che, se applicate dagli attuali governanti, permetterebbero all’intera umanità di convivere pacificamente, con beneficio comune:
“…ogni atto di autorità di uomo a uomo che non derivi dall’assoluta necessità è tirannico.
[…]
Gli attentati dunque contro la sicurezza e libertà dei cittadini sono uno de’ maggiori delitti, e sotto questa classe cadono non solo gli assassinii ed i furti degli uomini plebei, ma quelli ancora dei grandi[…], l’influenza dei quali agisce ancora ad una maggiore distanza e con maggior vigore, distruggendo nei sudditi le idee di giustizia e di dovere, e sostituendo quella del diritto del più forte, del pari pericoloso in chi lo esercita e in chi lo soffre.
[…]
Dalla semplice considerazione delle verità fin qui esposte egli è evidente che il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso.
[…]
Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.”
Circa il valore dei testimoni leggiamo:
“la credibilità dunque deve sminuirsi in proporzione dell’odio, o dell’amicizia, o delle strette relazioni che passano tra lui [il testimone] e il reo. Più di un testimonio è necessario […]”
Circa le accuse segrete e gli atti di delazione, leggiamo, mentre il nostro pensiero va ai tribunali di Guantanamo:
“Chi può difendersi dalla calunnia quand’ella è armata dal più forte scudo della tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quello, ove chi regge sospetta in ogni suo suddito un nemico[…]? Quali sono i motivi con cui si giustificano le accuse e le pene segrete? La salute pubblica, la sicurezza e il mantenimento della forma di governo? Ma quale strana costituzione è quella, dove chi ha per sé la forza, e l’opinione più efficace di essa, teme d’ogni cittadino?”
Sulla tortura, ancor oggi praticata in modo sciagurato e miope, poi, Beccaria non ha esitazioni:
“Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione […]. Quale dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la potestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente?
[…]
Questo [la tortura] è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti.
[…]
Quest’abuso [la tortura] non dovrebbe essere tollerato nel decimottavo secolo.”
La pena non dovrebbe essere comminata dopo lunghe, tormentose attese (pensiamo di nuovo a Guantanamo):
“[…] la privazione della libertà essendo una pena, essa non può precedere la sentenza se non quando la necessità lo chiede.
[…]
Il processo medesimo deve essere finito nel più breve tempo possibile. Qual più crudele contrasto che l’indolenza di un giudice e le angosce di un reo?”
Sulla violenza e la prepotenza strisciante, pensando all’oggi, leggiamo:
“Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi di esser persona e diventi cosa: vedrete allora l’industria del potente tutta rivolta a far sortire dalla folla delle combinazioni civili quelle che la legge gli dà in suo favore.
[…]
Questa è la ragione per cui in alcuni governi, che hanno tutta l’apparenza di libertà, la tirannia sta nascosta o s’introduce non prevista in qualche angolo negletto dal legislatore, in cui insensibilmente prende forza e s’ingrandisce. Gli uomini mettono per lo più gli argini più sodi all’aperta tirannia, ma non veggono l’insetto impercettibile che gli rode ed apre una tanto più sicura quanto più occulta strada al fiume inondatore.”
Allacciandosi a questo suo discorso, Beccaria prosegue, parlando delle pene da comminare ai nobili:
“Quali saranno dunque le pene dovute ai delitti dei nobili, i privilegi dei quali formano gran parte delle leggi delle nazioni?
[…]Io mi restringerò alle sole pene dovute a questo rango, asserendo che esser debbono le medesime pel primo e per l’ultimo cittadino”.
Contro le pene crudeli, che recano troppa sofferenza, Beccaria scrive:
“Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse
[…]
L’atrocità stessa della pena fa che si ardisca tanto di più per schivarla, quanto è grande il male a cui si va incontro; fa che si commettano più delitti, per fuggir la pena di un solo. […] il medesimo spirito di ferocia che guidava la mano del legislatore, reggeva quella del parricida e del sicario.
[…]
Perché una pena ottenga il suo effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male deve essere calcolata l’infallibilità della pena e la perdita del bene che il delitto produce. Tutto il di più è dunque superfluo e perciò tirannico.”
Ed ecco poi alcune frasi sulla pena di morte, con parte delle quali possiamo confrontare l’odierno insegnamento della chiesa cattolica:
Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili?
[…]
Non e dunque la pena di morte un diritto […] ma e una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità.
[…]
La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano più l’animo degli spettatori che il salutare terrore che la legge pretende di ispirare.
[…]
Chi ha fatte queste leggi? Uomini ricchi e potenti, che non si sono mai degnati visitare le squallide capanne del povero, che non hanno mai diviso un ammuffito pane fra le innocenti grida degli affamati figliuoli e le lagrime della moglie.
[…]
Non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini.[…] (Grazia)
Questo numero è stato chiuso il 19 aprile 2005