FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 169 - Aprile 2009
Troy Davis
secondo Amnesty USA
SOMMARIO:
1) Un’altra raccolta fondi per Larry Swearingen
2) Ennesima sconfitta legale per Troy Davis
3) 100 giorni: Obama non tiene il passo con le sue nobili dichiarazioni
4) Processo capitale per un giovane combattente americano in Iraq
5) Bush negava sempre la grazia, con l’aiuto di Gonzales
6) É peggio di George W. Bush, il suo successore Rick Perry
7) USA: il punto sull’attività legislativa riguardante la pena di morte
8) American gulag di Claudio Giusti
9) Esecuzioni pro capite stato per stato, in testa Oklahoma e Texas
10) Il Burundi è il 93-esimo paese abolizionista totale
11) Richiesta di corrispondenza
1) UN’ALTRA RACCOLTA FONDI PER LARRY SWEARINGEN
Marinella, indomita socia che corrisponde con Larry Swearingen, condannato a morte in Texas, ci ha mandato un articolo che volentieri pubblichiamo in attesa di pubblicizzare una nuova raccolta fondi da utilizzare per la difesa legale di Larry, che ha scampato di misura l’iniezione letale il 27 gennaio scorso ed è tuttora a rischio di imminente esecuzione. Possono essere fatti da subito versamenti ‘pro Larry Swearingen’ sul nostro conto corrente postale, le cui coordinate sono riportate in fondo a questo numero
La notizia del terremoto in Abruzzo è arrivata fino nel braccio della morte del Texas, nella Polunski Unit, a Larry Swearingen, che il Comitato Paul Rougeau segue da circa sei mesi. Larry ci ha subito scritto, preoccupato, per avere nostre notizie, chiedendoci di rassicurarlo al più presto! Nella sua lettera le parole che mi hanno impressionato di più sono state: “I worried to death”: “ero preoccupato a morte”. Detto da uno che sta nella Polunski Unit…
Larry, lo ricordiamo, è accusato di aver ucciso una ragazza di 19 anni, Melissa Trotter, nel dicembre 1998, dopo averla rapita. Ma oltre al test del DNA, numerose perizie sul cadavere della ragazza confermano l’innocenza di Larry. Oltre alla perizie che abbiamo citato nei nn. 165 e 168, una nuova perizia eseguita dal patologo dott. Stephen Pustilnik – capo dei periti medici della Contea di Galveston – conferma con una chiarezza e una forza impressionanti che la povera Melissa fu uccisa quando Larry si trovava in carcere. La stessa sospensione in extremis dell’esecuzione di Larry, che fu fissata per il 27 gennaio 2009, è una conferma della validità delle prove di innocenza accumulatesi negli ultimi due anni. E crede fermamente nella sua innocenza anche l’avvocato difensore James Rytting. Purtroppo il lavoro dei numerosi periti e di un investigatore ai quali l’avvocato deve ricorrere viene finanziato solo parzialmente dalla corte federale distrettuale che sta riesaminando il caso di Larry.
Alla fine di dicembre 2008 il Comitato Paul Rougeau aveva raccolto e inviato all’avvocato Rytting 3.500 dollari. Una somma ben spesa da Rytting, una somma che ha contribuito in modo essenziale alla sospensione dell’esecuzione (v. n. 168).
Il compito della difesa di Larry Swearingen, come tracciato dalla Corte federale d’Appello del Quinto Circuito, rimane difficilissimo (v. n. 166) e potrà risultare decisivo ogni ulteriore apporto di esperti ed investigatori guidati dal bravissimo avvocato Rytting.
Larry, tuttora a rischio di imminente esecuzione, nella sue ultime lettere ci ha scongiurato di raccogliere altri soldi per la propria difesa legale. Una somma ragionevole, ci ha spiegato James Rytting, sarebbe di 2.500 dollari. Riusciremo a raccoglierla?
Credo proprio di sì!
Marinella
P. S. Ultim’ora: la raccolta è aperta, potete versare offerte ‘pro Larry Swearingen’ sul nostro conto corrente, le cui coordinate sono riportate nell’ultima pagina del presente fascicolo.
P. P. S. Chi vive a Roma e dintorni si faccia vivo, vogliamo anche organizzare una cena veg a sottoscrizione...
2) ENNESIMA SCONFITTA LEGALE PER TROY DAVIS
Il 16 aprile una corte federale ha sentenziato che l’afro-americano Troy Davis non ha titolo per presentare un ulteriore ricorso di habeas corpus (richiesta di liberazione). Egli fu condannato a morte in Georgia solo in base a testimonianze oculari per l’omicidio di un poliziotto avvenuto in strada nel 1989. Anche se quasi tutte le testimonianze sono state in seguito ritrattate o cambiate, il suo caso non è stato riaperto e negli ultimi due anni egli è giunto tre volte sulla soglia dell’esecuzione. Se non fosse stato per un enorme sforzo prodotto da Amnesty International USA probabilmente egli sarebbe già morto. Il suo caso rimane difficilissimo ma Amnesty non perde la speranza ed ha indetto una Giornata Globale di mobilitazione in suo favore per il 19 maggio.
La sera del 16 aprile la Corte federale d’Appello dell’Undicesimo Circuito ha preso una decisione sul caso di Troy Davis pendente dal 24 ottobre, giorno in cui essa stessa aveva ordinato la terza sospensione dell’esecuzione del condannato della Georgia (v. nn. 164, 165, Notiziario). Ed è stata una decisione negativa.
Una commissione di tre membri della Corte ha deciso a maggioranza. Secondo i giudici Joel F. Dubina e Stanley Marcus, da un’accuratissima revisione del caso risulta che Davis (cioè la sua difesa) ha “completamente fallito” nel dimostrare la sussistenza di requisiti procedurali che consentano di presentare una seconda petizione di habeas corpus (cioè una richiesta di liberazione) a livello federale. Tuttavia i giudici hanno prolungato di 30 giorni la sospensione dell’esecuzione per lasciare tempo alla difesa di chiedere un’eventuale ulteriore verifica del caso da parte della Corte Suprema.
Il terzo giudice, Rosemary Barkett, in disaccordo con i colleghi, ha scritto che giustiziare un innocente viola l’Ottavo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che proibisce punizioni crudeli ed inusuali, e il Quattordicesimo Emendamento, che garantisce il giusto processo.
Stephen B. Bright, presidente e consulente del Southern Center for Human Rights, ha commentato la sentenza dicendo che “i giudici hanno completamente perso di vista la giustizia,” aggiungendo che: “essi si sono persi in un labirinto di regole procedurali che oscurano la verità invece di portarla in luce.”
Il caso di Troy Davis, su cui Amnesty International USA è impegnata allo spasimo, rimane pressoché disperato. Lo è da due anni a questa parte nonostante le tre sospensioni dell’esecuzione ottenute a partire dal 16 agosto 2007. I pronunciamenti delle corti hanno lasciato sempre pochissime opzioni alla difesa (v. n. 163). Il nodo è costituito dal fatto che l’Atto Antiterrorismo e per l’Efficacia della pena di Morte del 1996 (AEDPA) pone enormi ostacoli alla presentazione di un secondo habeas corpus federale anche perché le prove di ‘effettiva innocenza’ non sono considerate di per sé un motivo sufficiente per ribaltare un caso capitale (v. n. 163). O, almeno, non lo sono ancora; diversi giudici federali infatti – come Rosemary Barkett – pensano che sia arrivato il momento di rivedere la sentenza Herrera V. Collins emessa dalla Corte Suprema nel 1993 in merito all’innocenza.
Ricordiamo che Troy Davis, afro-americano, fu condannato a morte per l’omicidio del poliziotto Mark MacPhail, avvenuto in strada a Savannah nel 1989, solo sulla base di testimonianze oculari, un tipo di prove notoriamente fallaci. Per di più 7 dei 9 testimoni hanno in seguito ritrattato o modificato le proprie testimonianze. Uno dei due rimanenti testimoni è sospettato di essere l’effettivo autore dell’omicidio che fu attribuito a Davis.
La quarta data di esecuzione per Troy Davis potrebbe essere fissata entro maggio allo scadere dell’ulteriore sospensione di 30 giorni concessa dalla Corte. Amnesty International USA non si dà certo per vinta e incoraggia gli avvocati di Davis a tentare ogni possibile residua opzione. Essi si appelleranno di nuovo alla Corte Suprema federale, cercheranno di cambiare la posizione dell’accusa nonché, ancora una volta, di ottenere la clemenza esecutiva dalla Commissione per le Grazie della Georgia (che in precedenza ha già risposto negativamente) e dal governatore Sonny Perdue.
Per rincuorare gli abolizionisti e mantenere alta la mobilitazione, Amnesty USA scrive: “Apprezziamo che decine di migliaia di voi si siano schierati dalla parte di Troy mentre accadevano eventi mozzafiato. In tre separate occasioni, per Troy è stata fissata l’esecuzione. E in tre separate occasioni, la sua vita è stata salvata con un piccolo anticipo, anche di minuti, sul momento fissato. Ogni volta queste sospensioni sono arrivate dopo che gente come voi si è ritrovata in migliaia a manifestare in sua difesa.”
A tutti gli abolizionisti del mondo è arrivato un invito a partecipare alla “Giornata Globale di Mobilitazione in favore di Troy Davis” indetta per il 19 maggio p. v. (v. www.amnestyusa.org/troydavis )
3) 100 GIORNI: OBAMA NON TIENE IL PASSO CON LE SUE NOBILI DICHIARAZIONI
Il bilancio fatto dopo i primi 100 giorni della presidenza Obama riguardo al ripristino dei diritti umani violati nel corso della ‘guerra al terrore’ è assai più misero di quanto facessero sperare le dichiarazioni del nuovo presidente all’inizio del suo mandato. In particolare, si manifestano preoccupanti oscillazioni nella nuova amministrazione per quanto riguarda l’utilizzo di disgustose ‘tecniche di interrogazione’ che equivalgono a tortura, divenute recentemente di dominio pubblico fin nei dettagli.
Secondo Amnesty International, i primi 100 giorni della presidenza Obama sono stati caratterizzati da “promesse di cambiamento accompagnate da azioni limitate” riguardo al ripristino dei diritti umani violati nel corso della ‘guerra al terrore’.
Un bilancio tracciato il 29 aprile da Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty, si conclude con un interrogativo fin troppo ottimistico: “La domanda che stiamo ponendo è se la promessa di cambiamento del presidente Obama e i passi iniziali presi dalla sua amministrazione preludano o meno a un fondamentale, sostanziale e duraturo cambiamento verso il rispetto dei diritti umani nella lotta contro il terrorismo. Amnesty International continuerà a svolgere campagne in tale direzione, nei giorni, nei mesi e negli anni a venire.”
Pur conservando la speranza, una virtù indispensabile nel nostro lavoro, dobbiamo constatare che lo slancio iniziale di Barack Obama si è subito affievolito (v. nn. 166, 167, 168) e si sta presto esaurendo. Basta leggere i giornali americani per convincersene.
Nel mese di aprile è continuata la pubblicazione, cominciata in marzo, di memorandum e altri documenti fino ad ora segreti che descrivono le ‘tecniche di interrogazione’ utilizzate nella ‘guerra al terrore’ sotto l’amministrazione Bush (v. n. 168). Omettiamo di riportare la pedantesca descrizione di pratiche decisamente rivoltanti, che ha invaso i quotidiani statunitensi per tutto il mese. Pratiche non solo approvate in linea di principio ma anche intensamente applicate: ad esempio la tortura del waterboarding (annegamento interrotto) – di cui si garantisce l’efficacia al 100% - sarebbe stata usata 183 volte nei riguardi di un prigioniero (Khalid Shaikh Mohammed, v. n. 160, 162, Notiziario) e 83 volte nei riguardi di un altro (Abu Zubaydah)
Medici e psicologi parteciparono sistematicamente alle torture; avrebbero avuto il compito da un lato di renderle più ‘efficaci’ e dall’altro di assicurare la sopravvivenza della vittime.
Si è appreso che l’uso di certe ‘tecniche’ ha intensamente stressato gli stessi torturatori.
Tale massa di disgustose informazioni, ha certo umiliato nell’intimo gli Americani ed ha trovato il presidente Obama, che pure aveva usato parole nette e nobilissime contro la tortura, in seria difficoltà.
Il 29 aprile Barack Obama in una conferenza stampa ha rilasciato dichiarazioni che alcuni definiscono ‘sorprendenti’. Quasi a scusarsi delle sue ripetute condanne delle torture e delle altre violazioni dei diritti umani compiute dagli Stati Uniti sotto la precedente amministrazione, egli ha condiviso per la prima volta quello che il famigerato ex vice presidente Dick Cheney ha sempre sostenuto (senza provarlo), cioè che le torture hanno consentito di acquisire informazioni utili [a proteggere il popolo americano].
Obama ha ammesso che potrebbe essere più difficile raccogliere informazioni senza l’uso delle discusse ‘tecniche di interrogazione’, aggiungendo, con l’abituale retorica: ciò che “ci rende, ritengo, ancora un faro per il mondo è che noi vogliamo mantenere validi i nostri ideali, anche quando è difficile, non solo quando è facile.”
“Avremmo potuto ottenere le stesse informazioni senza ricorrere a queste tecniche?” si è domandato Obama, che ha aggiunto: il fatto di aver ottenuto informazioni utili “non risponde alla domanda più generale: Siamo più al sicuro dopo aver usato tali tecniche?”
Il mettersi sulla difensiva alla fine dei primi 100 giorni di presidenza denuncia la difficoltà di Obama a discostarsi realmente dalla condotta della ‘guerra al terrore’ delineatasi sotto l’amministrazione Bush (nonostante il fatto che la locuzione ‘guerra al terrore’ sia stata bandita dal suo governo, v. n. 168).
Si badi bene: la discussione sull’efficacia delle ‘tecniche di interrogazione’ bandite da Obama non è puramente accademica. Si ritiene infatti che le indagini in corso su tali pratiche da parte del Senato e della Casa Bianca avrebbero sostanzialmente l’effetto finale di ripristinare, almeno in parte, l’uso di quelle tecniche rivelatesi effettivamente ‘produttive’.
Ciò anche perché l’opinione pubblica statunitense non è affatto garantista. Anzi, la linea Cheney trova un forte sostegno. Secondo un sondaggio fatto per NBC News e per il Wall Street Journal, il 53% degli Americani disapprova la pubblicazione dei memorandum sulla tortura redatti sotto la precedente amministrazione (v. anche n. 168), mentre solo il 40% la approva. Inoltre la maggioranza pur essendo convinta che fu usata la tortura ritiene che essa “aiutò ad estrarre informazioni di valore.” Il sondaggio mostra anche che la metà degli Americani si oppone all’ordine di Obama (sia pure futuribile) di chiudere il centro di detenzione di Guantanamo e una maggioranza si oppone all’idea di un’azione penale contro membri dell’amministrazione Bush.
La strada è in salita per Barack Obama e le cose si complicheranno ulteriormente per lui già il 28 maggio, dal momento che, in seguito ad un’azione legale dell’ACLU, il Pentagono in tale data comincerà a rendere di dominio pubblico una serie di fotografie che documentano torture inflitte dagli Americani agli stranieri negli anni passati, in vari teatri operativi e non soltanto ad Abu Ghraib.
Il 29 aprile il famoso giudice spagnolo Baltasar Garzon – lo stesso che spiccò un mandato di cattura per Augusto Pinochet - ha aperto un’inchiesta penale sulle asserite torture compiute dal governo Bush a Guantanamo Bay. E’ facile prevedere che questa lodevole iniziativa sarà avversata innanzitutto dall’amministrazione Obama e non approderà ad alcun risultato concreto.
Dunque le grandi resistenze dei ‘poteri reali’ e il mancato sostegno dell’opinione pubblica hanno creato un grande imbarazzo in Obama che era entrato in carica facendo nobilissimi annunci sul ripristino dei diritti umani violati sotto la precedente amministrazione. Ora per lui è diventato difficile andare avanti sulla strada giusta. Molto più difficile che ritirarsi. Speriamo solo che il suo ripiegamento non si trasformi in una disfatta.
4) PROCESSO CAPITALE PER UN GIOVANE COMBATTENTE AMERICANO IN IRAQ
E’ cominciato il 28 aprile l’unico processo capitale fino ad ora intentato contro un combattente USA in Iraq. L’ex soldato semplice texano Steven D. Green deve rispondere di crimini di guerra per aver svolto, il 12 marzo 2006, un ruolo determinante nello stupro di gruppo e nell’uccisione di una quattordicenne irachena, preceduti dall’assassinio dei suoi genitori e di sua sorella di 6 anni.
E’ cominciato il 28 aprile davanti ad una corte federale in Kentucky il processo capitale contro l’ex soldato semplice Steven D. Green che, insieme a quattro commilitoni, il 12 marzo 2006, nella zona di Mahmudiya poco a sud di Baghdad, si rese responsabile di una sanguinosa incursione in una fattoria.
La violenza perpetrata contro una famiglia irachena finì con lo stupro e l’uccisione di una ragazza di 14 anni, Abier Kassim Hamzah Rashid al Janabi, preceduti dall’assassinio dei suoi genitori e di sua sorella di 6 anni (v. n. 141, 147, Notiziario).
L’orrendo crimine per alcuni mesi non fu perseguito: si riuscì a farlo passare come uno tra i tanti episodi bellici che causano ‘vittime collaterali’ tra i civili. Venne alla luce per le indagini dei media.
Green è stato ora caricato di 17 capi d’accusa per crimini di guerra: associazione a delinquere, violenza carnale, omicidio, illecito uso delle armi e ostacolo alla giustizia.
I soldati James Barker, Paul Cortez, Jesse Spielman e Bryan Howard - quattro complici di Steven Green che hanno accettato di testimoniare contro di lui – stanno scontando pene detentive. Green fu congedato con onore dall’esercito prima che si scoprissero tutte intere le sue responsabilità nell’episodio del marzo 2006, pertanto viene giudicato da una corte civile.
Coinvolto in uno dei pochi procedimenti intentati contro soldati americani combattenti all’estero (v. n. 141), il texano Green rischia di diventare il capro espiatorio di una diffusa ostilità contro i militari americani operanti in Iraq che ha indotto le autorità locali a chiedere, finora invano, punizioni esemplari e soprattutto che si celebrino processi per crimini di guerra davanti a corti irachene.
Per gli avvocati difensori di Green si presenta un compito molto più difficile di quello che avrebbero dovuto affrontare in una delle corti marziali, nelle quali si danno per scontate una serie di attenuanti per i combattenti. L’imputato aveva chiesto invano di essere reintegrato nell’esercito e di essere giudicato da una corte marziale.
Pur denunciando le tradizionali ampie coperture che il governo statunitense elargisce ai suoi uomini che si macchiano di delitti nei riguardi di stranieri, non possiamo che opporci alla ventilata condanna a morte di Steven Green nell’unico processo capitale intentato finora contro un militare statunitense operante in Iraq. Lo facciamo in linea di principio ma anche perché Steven aveva solo 20 anni al momento dei fatti, manifestava problemi psichici sottovalutati dai superiori e risentiva dell’enorme tensione derivante dall’ambiente pericoloso in cui operava e dalle pesanti perdite subite dalla propria unità. Cresciuto in Texas in una famiglia povera e disastrata, aveva incontrato grosse difficoltà negli studi; era stato arruolato a 19 anni di età, per svolgere un delicatissimo compito in Iraq, nonostante avesse alcuni modesti precedenti penali.
5) BUSH NEGAVA SEMPRE LA GRAZIA, CON L’AIUTO DI GONZALES
Alberto R. Gonzales, che poi fece una folgorante carriera fino a diventare Attorney General (Ministro della Giustizia) degli Stati Uniti, dal 1995 al 1997 fu consigliere legale di George W. Bush, allora governatore del Texas. I 57 pro memoria segreti che Gonzales preparò e sottopose all’esame di Bush riassumendo le domande di grazia di altrettanti condannati a morte, erano molto accurati nel descrivere le aggravanti dei delitti attribuiti ai detenuti ma assai lacunosi nell’esporre i fattori attenuanti su cui erano basate le domande. La parzialità dei memorandum di Gonzales e la superficialità di Bush, che dedicava a ciascun caso una mezz’oretta, furono le premesse della costante negazione della clemenza esecutiva. L’attitudine di Bush di negare sistematicamente le grazie ai condannati a morte si è prolungata dopo la dipartita di Gonzales - che ha avuto un altro incarico - ed è stata ereditata dal suo successore Rick Perry.
George W. Bush, quando era governatore del Texas, ha sempre dichiarato che prima di decidere per un eventuale provvedimento di clemenza considerava “con grande serietà ogni caso capitale” e rivedeva “con attenzione ogni dettaglio del caso” aggiungendo sempre la frase: “Mi accerto che tutti i condannati a morte abbiano avuto un giusto processo e pieno accesso alle corti di giustizia”.
Ha anche dichiarato, parlando dei suoi consiglierei legali: “Per ogni caso capitale, essi mi redigono un rapporto dettagliatissimo, rivedono le argomentazioni dell’accusa e della difesa, sollevando ogni possibile dubbio o problematica o domanda”. In sostanza Bush ha sempre sostenuto l’esatto contrario di ciò che accadeva. In realtà fino al 1997 il suo amico personale e suo consigliere legale Alberto Gonzales gli preparava stringati e carenti memorandum relativamente a ciascuna richiesta di grazia, che erano destinati a rimanere strettamente riservati e che sono divenuti di pubblico dominio soltanto nel 2003, in base al Public Information Act, una norma particolarmente garantista che vige negli Stati Uniti, e per iniziativa del giornalista Alan Berlow, esperto di pena capitale (v. n. 109). Berlow ritiene che Bush impiegasse una mezz’oretta per documentarsi sul caso di ciascun condannato prima di marcare la casella “DENY” in un modulo, rifiutando la grazia, il giorno stesso dell’esecuzione.
L’ampiezza dei memorandum era di 3-7 pagine (e già questo la dice lunga sulla loro completezza, visto che si parla di casi capitali con un iter estremamente complesso durato per molti anni). Il contenuto, invariabile, di questi memorandum, consisteva nella descrizione del crimine attribuito al condannato, spesso con dovizia di particolari macabri, in una breve storia della sua vita (ma con gravi omissioni su eventuali maltrattamenti subiti nell’infanzia o su storie di malattie mentali pregresse) e in un sintetico riassunto dell’iter processuale e degli appelli.
Non venivano mai sollevati dubbi sulla validità della difesa legale di cui aveva usufruito il condannato durante i processi e gli appelli o sul fatto che fossero state celate prove a discarico e fattori attenuanti durante le udienze. Non ci stupisce, a questo punto, che Bush, già di suo convinto sostenitore della pena capitale, nonché ignorante assoluto e volontario delle gravissime lacune del sistema giudiziario vigente nel suo stato, non abbia mai esitato nel rifiutare una grazia.
Oltre al nostro amico Gary Graham, con tutta probabilità innocente, Bush spedì sul lettino dell’iniezione letale Carla Faye Tucker, colpevole ma profondamente convertita e pentita, Terry Washington, il cui quoziente di intelligenza era simile a quello di un bimbo di sette anni, e altri 149 condannati, per alcuni dei quali sussistevano seri dubbi di innocenza e per moltissimi dei quali vi erano forti fattori attenuanti, attinenti la sfera psichica o sociale. In un solo caso egli commutò una condanna a morte, a seguito della comprovata estraneità al crimine da parte del condannato. Si trattava del caso di Henry Lee Lucas, un serial killer probabilmente autore di soli tre omicidi, che si vantava, in modo inverosimile, di aver ucciso centinaia di persone. In ogni caso, come aveva fatto presente a Bush l’Attorney General, Jim Mattox, Lucas si trovava in Florida quando si verificò in Texas l’omicidio per cui fu poi condannato a morte.
Non sappiamo come funzionarono le cose dopo il 1997, anno in cui Gonzales fu promosso da Bush e non potè più fungere da suo consigliere legale. Il fatto che non sia cambiata per nulla la tendenza del governatore a negare sistematicamente ogni tipo di clemenza fa presumere che non sia cambiato neanche il modo di ricevere ed esaminare le informazioni sui condannati a morte che sono stati via via ‘giustiziati’.
E’ certo, inoltre, che l’assoluta latitanza di George W. Bush rispetto al suo compito istituzionale di vagliare i casi capitali e di decidere per la clemenza esecutiva, è stata ereditata in toto dal suo vice Rick Perry, divenuto alla fine del 2000 governatore del Texas (v. articolo seguente).
Anzi possiamo dire che l’allievo ha superato il suo maestro! (Grazia)
6) E’ PEGGIO DI GEORGE W. BUSH, IL SUO SUCCESSORE RICK PERRY
Il governatore del Texas Rick Perry si appresta a presiedere alla 200-esima esecuzione capitale nel corso del suo mandato. Mai negli Stati Uniti un governatore ha lasciato uccidere tante persone omettendo di usare la propria facoltà di concedere la clemenza esecutiva. Neanche il suo famigerato predecessore George W. Bush. Gli abolizionisti texani ci invitano a protestare nei riguardi di Rick Perry, chiedendogli di mutare atteggiamento; lo possiamo fare agevolmente sottoscrivendo la petizione on-line che si trova all’indirizzo: www.protest200executions.com/petition.php
Rifiutandosi ostinatamente di concedere la clemenza esecutiva, George W. Bush, nel corso dei sei anni in cui è stato governatore del Texas, ha lasciato ‘giustiziare’ 152 condannati senza intervenire. Una sola volta Bush commutò una sentenza di morte, lo fece su richiesta dell’Attorney General (ministro della giustizia) per Henry Lee Lucas, un serial killer che viveva in un altro stato quando in Texas avvenne l’omicidio per cui ricevette la pena capitale.
Quello di George Bush sembrava un record impossibile da uguagliare. Eppure il suo successore Rick Perry si appresta a presiedere alla 200-esima esecuzione capitale!
L’attuale governatore del Texas è stato vice governatore durante il mandato di George W. Bush ed ha perfettamente assorbito l’attitudine di esaminare superficialmente e di respingere sbrigativamente le domande di grazia. Sotto il suo governatorato, iniziato il 21 dicembre 2000, sono avvenute fino ad ora 198 esecuzioni. La 200-esima esecuzione da lui presieduta potrebbe essere quella di Terry Hankins programmata per il 2 giugno p. v.
Gli abolizionisti texani ci invitano a manifestare il nostro sdegno all’approssimarsi di questa tetra pietra miliare ed a chiedere a Rick Perry di cambiare atteggiamento. Anche se non abbiamo la possibilità di recarci in Texas, possiamo molto agevolmente sottoscrivere la petizione on-line che si trova all’indirizzo: http://www.protest200executions.com/petition.php Invitiamo tutti i lettori a farlo subito. E’ sufficiente inserire, nella prima casella, Nome e Cognome, poi l’Indirizzo e-mail, la propria Città, e infine “Italy” nella casella Country (nella casella State lasciare il Texas).
La perfetta efficienza della macchina della morte del Texas, stato che da solo ormai compie la metà delle esecuzioni che si verificano in tutti gli Stati Uniti, consegue dal concorso di diversi fattori perfettamente armonizzati tra di loro: un elevato tasso di criminalità, la mentalità particolarmente forcaiola della popolazione, uno statuto della pena di morte che agevola al massimo l’emissione di condanne capitali da parte delle giurie, una Corte Criminale d‘Appello incline a convalidare pressoché automaticamente le sentenze capitali e a respingere aprioristicamente i ricorsi di habeas corpus dei condannati a morte, una corte di appello federale competente, la famigerata Corte del Quinto Circuito, molto restia a ribaltare i casi capitali, e infine il mancato funzionamento del sistema delle grazie e l’atteggiamento del governatore del Texas.
Il governatore del Texas, per legge, può concedere la clemenza esecutiva soltanto su parere favorevole di una apposita commissione di sette membri appartenenti al Board of Pardons and Paroles. Si tratta di un organo consultivo che decide a maggioranza pro o contro il condannato a morte che chiede clemenza. Tale commissione, che non vede la necessità di indire riunioni e si limita a comunicare via fax, è incline a fornire pareri in armonia con la posizione del Governatore il quale la nomina e la influenza. Il governatore, dal canto suo, una volta fissata un’esecuzione, ha la facoltà di disporre autonomamente un’unica sospensione di 30 giorni.
Rick Perry ha ordinato una sola volta una sospensione di 120 giorni di un’esecuzione, su parere del Board. Lo ha fatto nel 2004 per una donna, Francis E. Newton, la quale fu comunque ‘giustiziata’ nel 2005 dopo un’ulteriore revisione del suo caso da parte delle corti.
In un caso, il 18 maggio 2004, Perry ha ignorato la raccomandazione del Board che gli ha proposto di commutare la sentenza di Kelsey Patterson, un detenuto che soffriva di una gravissima forma di schizofrenia paranoide (v. n. 118).
Egli è stato costretto a commutare le sentenze capitali di una trentina di prigionieri dal momento che due sentenze storiche della Corte Suprema degli Stati Uniti hanno proibito l’esecuzione dei ritardati mentali (nel 2002) e dei minorenni all’epoca del crimine (nel 2005).
Un solo provvedimento di clemenza pieno, libero e positivo è stato adottato da Perry. Si tratta della commutazione della condanna a morte del nostro amico Kenneth E. Foster. L’intervento quasi insperato del governatore si è avuto in extremis il 30 agosto 2007, dopo una campagna di stampa in favore di Kenneth e dopo che l’opinione pubblica del Texas, pur forcaiola, si era decisamente schierata contro l’esecuzione del condannato (v. n. 152).
In violazione degli obblighi internazionali degli Stati Uniti, Perry ha lasciato mettere a morte stranieri dei quali erano stati lesi i diritti consolari, nel caso di José Medellin ucciso il 5 agosto 2007 lo ha fatto disattendendo una specifica sentenza della Corte Internazionale dell’Aia (v. n. 162).
Perry ha lasciato uccidere un gran numero di malati mentali e possibili innocenti, decine di minorenni o appena maggiorenni all’epoca del crimine (*).
Quattro degli ultimi cinque condannati a morte ‘giustiziati’ negli USA per crimini commessi nella minore età erano texani, tutti e quattro erano afro-americani.
In ogni caso, trattandosi di decidere di una vita umana, ci si aspetterebbe che un governatore considerasse con grande attenzione e prudenza ogni domanda di grazia, indipendentemente dall’età e dallo stato mentale del condannato, e dalla gravità del delitto da lui commesso.
Al pari di Bush, Perry non si è mai preoccupato di farlo, e mai negli Stati Uniti un governatore ha dato via libera a tante esecuzioni, come Perry.
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(*)V. http://www.amnesty.org/en/library/info/AMR51/057/2009/en
7) USA: IL PUNTO SULL’ATTIVITÀ LEGISLATIVA RIGUARDANTE LA PENA DI MORTE
In almeno 14 stati USA sono stati presentati negli ultimi tre mesi disegni di legge di un certo rilievo riguardanti la pena di morte. Prevalgono nettamente le proposte di segno positivo tendenti a limitare od abolire l’uso della pena capitale. Anche se la maggioranza di queste iniziative è destinata a concludersi con un nulla di fatto per il forte attaccamento degli Statunitensi alla pena capitale, non è del tutto escluso che si arrivi all’abolizione delle pena di morte in un altro stato dopo il New Mexico.
Come abbiamo rilevato nel numero 167, negli Stati Uniti si assiste quest’anno ad un’intensa attività legislativa riguardante la pena di morte. Prevalgono di gran lunga le iniziative di segno positivo, tendenti a restringere o ad abolire l’uso della pena capitale. Anche se la maggioranza delle leggi abolizioniste è destinata ad arenarsi per effetto del forte attaccamento culturale alla pena di morte, si è prodotta l’abolizione della pena capitale nel New Mexico (v. n. 168) e vi è qualche speranza che la stessa cosa possa avvenire in Colorado o in Connecticut. Nel Maryland il governatore Martin O'Malley non è riuscito ad ottenere l’abolizione ma in compenso è stata approvata una legge che riduce drasticamente le possibilità per l’accusa di chiedere la pena capitale.
Passiamo in rassegna la situazione aggiornata al 30 aprile in ciascuno degli stati in cui sono state proposte leggi riguardanti la pena di morte.
Alabama: Una proposta di legge che prevede una moratoria delle esecuzioni per tre anni è stata accolta favorevolmente dalla Commissione Giustizia della Camera l’8 aprile con una votazione 6 a 1. Il prosieguo dell’iter di questa legge rimane però del tutto incerto. In questo stato una legge approvata alla Camera in marzo che diventerà senz’altro operativa consentirà di aumentare a 6 il numero dei congiunti delle vittime del crimine che potranno assistere alle esecuzioni capitali; altrettanti potranno essere i testimoni scelti dal condannato. Dal 1996 l’Alabama ha consentito la presenza di 2 familiari della vittima elle esecuzioni, che allora venivano fatte con la sedia elettrica.
Alaska: è fallito un tentativo di ripristinare la pena di morte abolita nel 1957. Una proposta di legge in tal senso introdotta in gennaio dal Presidente della Camera Mike Chenault e appoggiata dalla governatrice Sarah Palin non è stata neanche discussa in aula.
Colorado: La legge che abolisce la pena di morte dedicando i fondi in tal modo risparmiati all’indagine dei casi criminali irrisolti e abbandonati da tempo è passata alla Camera il 21 aprile con un solo voto di maggioranza ed attende di essere discussa in Senato. Non avrà vita facile ma non è del tutto escluso che si arrivi alla cancellazione della pena di morte anche in Colorado.
Connecticut: Una proposta di legge che abolisce la pena di morte è stata accolta favorevolmente dalla Commissione giustizia ed è stata inviata in aula alla Camera il 31 marzo con una votazione 24 a 13. Il prosieguo dell’iter della legge rimane incerto ma non è escluso un esito favorevole.
Georgia: Il 25 marzo la Camera ha passato all’unanimità una proposta di legge che introduce l’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola come forma di punizione, in precedenza la stessa cosa era avvenuta al Senato. Finora questo tipo di ergastolo poteva essere assegnato solo in un processo capitale. Il governatore si è detto disposto a firmare tale legge che potrebbe ridurre il numero dei processi capitali.
Kansas: Una proposta di legge abolizionista raccomandata dalla Commissione Giustizia del Senato è stata rigettata in aula il 16 marzo. In compenso si effettuerà uno studio sui costi della pena di morte.
Maryland: Il governatore Martin O’Malley ha fortemente sostenuto una legge per l’abolizione della pena di morte presentata in Senato. Il Senato si è rifiutato di approvare tale legge ma in compenso, il 6 marzo, ha lasciato passare una proposta di legge che restringe grandemente i casi in cui si può chiedere la pena capitale: casi supportati da prove del DNA, da videoregistrazione del crimine o da confessioni videoregistrate. E’ esplicitamente vietata la richiesta della pena capitale quando l’accusa dispone soltanto di prove costituite da testimonianze oculari. Tale proposta di legge è stata facilmente approvata il 26 marzo dalla Camera dei Rappresentanti in cui peraltro sussisteva una maggioranza favorevole all’abolizione. Si prevede che la legge sarà firmata in maggio dal governatore O’Malley.
Nebraska: Per sbloccare la moratoria di fatto conseguita alla messa al bando nel febbraio del 2008 della sedia elettrica, che era unico metodo di esecuzione delle condanne capitali previsto nello stato (v. n. 157), il 16 aprile è stata approvata con 6 voti contro 1 nella Commissione Giustizia del Parlamento unicamerale una proposta di legge che introduce l’iniezione letale come metodo di esecuzione. Alla proposta di legge è stato riconosciuto il carattere di ‘priorità’ per cui ci si aspetta che venga presto discussa in aula. La medesima Commissione ha anche approvato una proposta di legge che abolisce la pena di morte ma negandole lo status di ‘priorità’; pertanto è assai improbabile che la legge abolizionista possa raggiungere l’aula prima del 4 giugno, data della chiusura dell’attuale sessione legislativa.
New Hampshire: è stata di nuovo presentata una legge per l’abolizione della pena di morte. Le proposta di legge è stata approvata alla Camera ed è passata al Sanato. Il 23 aprile la Commissione Giustizia del Senato ha deciso, con la maggioranza di 3 a 2, di riscrivere completamente la legge per trasformarla nella richiesta di istituire una commissione che eseguisse uno studio critico della pena di morte. Il governatore John Lynch aveva già preannunciato il suo veto caso mai la legge abolizionista fosse passata anche al Senato. Ricordiamo che i ricorrenti tentatavi di abolire la pena di morte in uno stato che non fa esecuzioni dal 1939 avrebbero avuto successo nel maggio del 2000 se non vi fosse stata l’imposizione del veto da parte della governatrice di allora Jeanne Shaheen.
Montana: Una legge abolizionista è stata approvata dal Senato ma è stata fermata dalla Commissione Giustizia della Camera il 31 marzo con 10 voti contro 8. Anche se tecnicamente tale voto non ne blocca l’iter, è del tutto improbabile che la proposta di legge vada in aula e sia discussa quest’anno.
Texas: E’ in atto il tentativo di ottenere in maggio l’approvazione di una legge che proibisce l’inflizione della pena di morte ad un complice di un omicidio aggravato che non uccide, cosa che attualmente è consentita dalla tristemente famosa “law of parties” (legge delle complicità); la medesima proposta di legge prevede processi separati per coloro che vengono incriminati in base alla “law of parties.” Si tratta di una legge importante dal momento che circa il 20% degli ospiti del braccio della morte del Texas sono ‘vittime’ della law of parties.
Virginia: Il governatore Timothy Kaine, personalmente contrario alla pena di morte, il 27 marzo ha posto il veto su una legge già approvata del Parlamento che cancellava la ‘triggerman rule’, cioè la norma che permette di chiedere la pena di morte soltanto nei riguardi di coloro che hanno materialmente compiuto un omicidio.
Utah: Una proposta di modifica costituzionale avrebbe dato al Parlamento un maggior controllo sugli appelli dei condannati a morte. Caldeggiata dall’Attorney General (Ministro della Giustizia) Mark Shurtleff doveva essere approvata con la maggioranza qualificata dei due terzi ma il 12 marzo ha ottenuto alla Camera solo 38 voti contro 35. Qualora fosse passata in Parlamento sarebbe stata sottoposta a referendum popolare. Se approvata avrebbe tagliato drasticamente le possibilità di appello dei condannati a morte.
8) AMERICAN GULAG (*) di Claudio Giusti
Pubblichiamo di nuovo – riveduto, corretto ed aggiornato - il brillante e documentatissimo saggio di Claudio Giusti sull’immenso sistema carcerario degli Stati Uniti. Dobbiamo tenere ben presente come quadro di riferimento questo fenomeno spaventoso, per capire che cosa significa il braccio della morte. Il presente saggio integra quello sul sistema giudiziario statunitense pubblicato nel numero 150.
La crescita dell’universo concentrazionario americano prosegue inarrestabile. Ogni settimana 1.000 detenuti si aggiungono a quello che è il più grande esperimento di imprigionamento di massa dai tempi di Stalin.
Un milione e seicentomila carcerati riempiono le prigioni statali e federali (trent’anni fa erano duecentomila), ottocentomila quelle locali (cinquecentomila sono in attesa di giudizio), con in più centomila minori nei riformatori (30.000 sono nelle carceri per adulti) [BJS – Sourcebook]
Gli Stati Uniti d’America detengono il record mondiale di un carcerato ogni 120 abitanti, con un tasso di detenzione di 833 per 100.000. Ma, se aggiungiamo ai 2,5 milioni in prigione i 5 milioni e passa che sono in libertà vigilata (probation e parole), arriviamo a un condannato ogni 40 abitanti e a un tasso di 2.500 per centomila.
Un adulto americano ogni cento [PEW] è dietro le sbarre e per i maschi neri si arriva a uno ogni nove. [Liptak] Con i 5 milioni in probation e parole siamo a uno ogni 31. [PEW] 5 milioni di ex carcerati (il 2% degli americani e il 14% dei neri) hanno perso il diritto di voto [The Economist]
Metà dei carcerati sono neri, ma i neri sono solo il 13% della popolazione. Se il tasso d’incarcerazione per i bianchi è di 409 per 100.000 per i neri è 2.468. Se poi si considerano solo i maschi il tasso per i bianchi sale a 736 mentre per i neri arriva a 4.789 ma in molti stati supera abbondantemente quota 10.000. Non stupisce quindi che in un quarto degli stati il 10% dei maschi neri adulti sia in galera. Questo si spiega perché, pur essendo il 13% dei drogati, i neri sono il 35% degli arrestati per possesso di droga, il 55% dei processati per questo reato e il 75% di quelli che stanno scontando una pena per questo delitto. [prisonsucks – ICJ - Webb]
Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e per i giovani neri passare un periodo di tempo in prigione è un “rito di passaggio” come lo era per noi fare il servizio militare. Il loro tasso d’incarcerazione è di 13.000 per centomila, mentre per i loro coetanei bianchi è di 1.700. [Sentencing Project – HRW]
Ci sono più ragazzi neri in prigione che all’università [Donohoe - BBC]
Le donne detenute sono 200.000 e spesso si ha notizia di una di loro costretta a partorire ammanettata mani e piedi. [AI - Liptak]
100.000 detenuti sono in isolamento nei supermax e nelle SHU [The New Yorker]
3.300 sono nel braccio della morte.
Gli ergastolani sono 130.000. Un quarto non ha la possibilità di rilascio sulla parola (LWOP) e di questi circa 3.000 erano minorenni al momento del crimine (alcuni di 13 e 14 anni) [Liptak]
Il prezzo del mantenimento del gulag americano è di 60 miliardi di dollari annui e l’intero sistema giudiziario-penale ne costa 200. [Webb]
In California ogni detenuto costa 40.000 dollari all’anno (come tenerlo a studiare ad Harvard), ma se i matti fossero in manicomio e i drogati in comunità la spesa diventerebbe di 20 e 10 mila rispettivamente. Il Governatore Schwarzenegger sta tentando di salvare il bilancio rilasciando 22.000 dei 160.000 carcerati californiani. [International Herald Tribune 11/01/2008]
A tenere gremito il sistema concentrazionario Usa ci pensano le diciottomila polizie americane che, anche se metà dei crimini gravi non è denunciata, compiono ogni anno 15 milioni di arresti: 5.000 arresti ogni 100.000 abitanti. 1 milione e 500.000 sono arresti per DUI (guida in stato di ebbrezza). 2,5 milioni sono arresti di minorenni e almeno 500.00 di bambini sotto i 14 anni. [UCR]
Questa enorme massa schiaccerebbe qualsiasi sistema giudiziario, ma quello americano è salvato dalle infinite possibilità di ricatto e contrattazione che offre il patteggiamento. Così i processi con giuria sono, nel 2004, appena 155.000 su di un totale di 45 milioni e duecentomila casi giudiziari civili e penali, mentre gli appelli sono solo 273.000. [BJS – Mize]
La famosa efficienza giudiziaria americana si basa esclusivamente sulla frettolosa sommarietà del giudizio, senza certezza del diritto e della pena.
Il 6% degli americani è afflitto da gravi problemi mentali, ma per i detenuti si passa al 20% e le carceri, con i loro 500.000 malati psichici, sostituiscono gli ospedali psichiatrici [Time – HRW] che ne contengono solo 100.000 [The Economist]
Il sovraffollamento di jails e prisons non produce solo gente che dorme per terra o nei corridoi, ma condizioni igienico sanitarie atroci, con altissimi tassi di violenza, stupro e suicidio, tanto che una prigione in Georgia è stata definita da un giudice federale “una nave di schiavi”. [SCHR]
Se, ai due milioni e mezzo in prigione e ai cinque in libertà vigilata, aggiungiamo i cinque milioni che hanno perso il diritto di voto (con gravi conseguenze sia per loro che per i risultati elettorali) e i bambini che hanno almeno un genitore in prigione, vediamo che l’Incarceration Nation, ha creato una sottoclasse di 15 milioni di persone, un ventesimo della popolazione americana.
Metà abbondante degli stati rappresentati alle Nazioni Unite ha una popolazione inferiore.
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Come ho fatto i conti
1,6 prisons
0,8 jails
0,1 juvies
2,5 in totale
300 milioni di americani diviso 2,5 milioni di galeotti fa un galeotto ogni 120 abitanti
2,5 milioni diviso 3.000 fa 833 galeotti per 100.000 abitanti
Con i 5 milioni in parole e probation passiamo a uno ogni 40 abitanti e 2.500 ogni 100.000
Attenzione:
Molti dei dati in circolazione sono vecchi o non tengono conto dei minorenni in riformatorio.
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(*) American gulag
Termine iconoclasta usato anche da Lawrence Friedman per indicare l’immenso sistema carcerario americano che, con 2.500.000 detenuti e 800.000 secondini, costa 60 miliardi di dollari l’anno. Nel 2005 il sistema è aumentato di 1.000 detenuti la settimana per un totale superiore all’intera popolazione carceraria italiana. Consta di 5,069 prigioni, di cui 3,365 sono Local Jails, 1,558 State Facilities, 146 Federal Facilities, più 83 Indian Country Jails e 769 Youth Facilities.
Secondo Bernard Harcourt se alla reclusione in carcere si somma quella nei manicomi si scopre che gli Stati Uniti “richiudevano” più gente negli anni quaranta e cinquanta di quanto accada oggi. La differenza sta nel fatto che i matti erano confinati nelle istituzioni “prima” che commettessero i delitti per cui ora sono imprigionati. Questo spiegherebbe, almeno in parte, il forte aumento di omicidi degli anni sessanta e settanta. In definitiva i matti sono stati buttati in mezzo alla strada, dove hanno commesso reati più o meno gravi che li hanno portati in quelle prigioni che ormai fanno le veci del sistema psichiatrico.
Secondo il prof. Berman ci sono 200.000 carcerati federali che costano 50.000 dollari l’anno. Una diminuzione dell’1% di questi porterebbe al risparmio immediato di quei 100 milioni di dollari chiesti alle agenzie governative da Obama
Note bibliografiche minime
AI: Amnesty International
AMR 51/019/1999 Not Part of my Sentence. Violation of H R of Women in Custody
http://web.amnesty.org/library/Index/ENGAMR510191999?open&of=ENG-USA
http://web.amnesty.org/library/Index/ENGAMR510011999?open&of=ENG-USA
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More black US men 'in jail than college'
http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/2223709.stm
BJS: Bureau of Justice Statistics Bulletin
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“Jails Inmates at Midyear 2007”
“Probation and Parole in the United States 2007”
”State court Organization, 1987-2004”
Donohoe Martin
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Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=881865
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"From the Asylum to the Prison: Rethinking the Incarceration Revolution - Part II: State Level Analysis" (March 2007). U of Chicago Law & Economics, Olin Working Paper No. 335
Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=970341
HRW: Human Rights Watch
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“Targeting Blacks: Drug Law Enforcement and Race in the United States” 2009
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(ICJ) The International Commission Of Jurists
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“1 in 100 U.S. Adults Behind Bars, New Study Says” New York Times February 28, 2008
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UCR: Uniform Crime Report 2006
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http://webb.senate.gov/pdf/prisonfactsheet4.html
“The National Criminal Justice Commission Act of 2009”
http://webb.senate.gov/email/incardocs/FS_CrimJust_3-26-09.pdf
9) ESECUZIONI PRO CAPITE STATO PER STATO, IN TESTA OKLAHOMA E TEXAS
Da una statistica fatta su tutti gli stati USA apprendiamo che negli ultimi anni il maggior numero di esecuzioni capitali si è verificato in Texas e in Virginia, ma il tasso di esecuzioni pro capite è più elevato nel piccolo stato dell’Oklahoma. Guidano la classifica gli stati del Sud appartenenti alla ‘cintura della Bibbia’. La California che ha il più grande braccio della morte è al trentesimo posto.
L’autorevole Death Penalty Information Center (*) il 27 aprile ha diffuso i dati sulle esecuzioni capitali effettuate stato per stato dal ripristino della pena di morte nel 1976 in poi. Anche se il Texas guida la classifica con ben 436 esecuzioni, è secondo rispetto al piccolo stato dell’Oklahoma nel numero di esecuzioni pro capite. Infatti il Texas ha 24 milioni di abitanti mentre l’Oklahoma ne ha meno di 4 milioni ed ha messo a morte 89 prigionieri. Al terzo posto troviamo il piccolissimo stato del Delaware. La California che ha il più alto numero di abitanti (quasi 37 milioni) e il più grande braccio della morte degli Stati Uniti (con 678 detenuti, quasi il doppio del Texas) ha ucciso 13 prigionieri ed è al trentesimo posto nella classifica delle esecuzioni pro capite che riportiamo integralmente qui di seguito.
Gli stati del Sud appartenenti alla Bible belt (cintura della Bibbia) guidano la classifica sia per quanto riguarda il numero di esecuzioni in assoluto sia per quanto riguarda il numero di esecuzioni pro capite.
Sappiamo che in Oklahoma la macchina della pena di morte ha sempre funzionato a pieno ritmo con il favore della popolazione, delle corti e dei governatori che vi si sono succeduti. In Virginia l’attuale governatore democratico Timoty Kaine, personalmente contrario alla pena capitale, si è posto in netta controtendenza rispetto ai suoi predecessori.
Esecuzioni pro capite (fino al 27 aprile 2009)
(*) Vedi: http://www.deathpenaltyinfo.org/
10) IL BURUNDI È IL 93-ESIMO PAESE ABOLIZIONISTA TOTALE
Con la conclusione del processo abolizionista in Burundi, il 22 aprile il numero dei paesi abolizionisti per tutti i reati è arrivato a 93; si tratta di quasi la metà dei paesi rappresentati all’ONU. Il gruppo dei paesi abolizionisti totali diventerà presto maggioritario ma la forte ed esplicita resistenza all’abolizione della pena capitale da parte di una sessantina di paesi soprattutto di matrice islamica rischia di far slittare di alcuni decenni il momento dell’abolizione universale della pena di morte.
Il 22 aprile, con la firma del presidente Pierre Nkurunziza, si è concluso l’iter del nuovo codice penale del Burundi che abolisce la pena di morte per qualsiasi crimine, portando a 93 il numero dei paesi abolizionisti totali nel mondo.
La relativa proposta di legge giacente da oltre un anno ha avuto la sua prima approvazione con una votazione all’unanimità della Camera dei Rappresentanti il 22 novembre scorso (90 voti a favore, 10 astenuti). I parlamentari hanno mostrato la loro leadership anche a rischio dell’impopolarità dato il forte attaccamento del pubblico alla pena capitale.
Il cammino del Burundi verso l’abolizione della pena di morte è stato sostenuto dalla Comunità di Sant’Egidio e da Ensemble Contre la Peine de Mort, le due organizzazioni promotrici della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte.
Il Burundi ha compiuto le ultime esecuzioni di civili nel 1997 e di militari nel 2000 ed ha continuato negli ultimi anni a emettere sentenze capitali; secondo alcune fonti nel paese vi sarebbero circa 800 condannati a morte, la cui sentenza viene ora commutata in ergastolo.
Le organizzazioni per i diritti umani hanno salutato con particolare soddisfazione il grande passo compiuto dal Burundi sulla strada della civiltà anche perché questo paese - come il paese gemello Ruanda che ha abolito la pena di morte nel 2007 - è passato attraverso un terribile genocidio interetnico alla fine del secolo scorso. Il nuovo codice proibisce e sanziona pesantemente la tortura, il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità.
Prima del Burundi, l’ultimo paese mantenitore ad abolire la pena di morte per tutti i reati è stato l’Uzbekistan il 1° gennaio 2008, anno in cui anche l’Argentina che conservava la pena di morte in casi eccezionali è divenuta un paese abolizionista totale.
Il ritmo con cui viene abolita la pena di morte nel mondo fa prevedere che il gruppo dei paesi abolizionisti totali diventerà la maggioranza fra i 192 paesi rappresentati all’ONU entro due o tre anni.
La forte ed esplicita resistenza all’abolizione di una sessantina di paesi, soprattutto di matrice islamica, che contrastano la dinamica abolizionista in atto all’ONU e nelle altre sedi sovranazionali (v. nn. 155, 157, 163), fa però temere un rallentamento della crescita del fronte abolizionista nel prossimo decennio e sposta il momento dell’abolizione universale della pena di morte nel pieno degli anni Venti ed anche oltre.
Come abbiamo più volte rilevato, per accelerare l’abolizione della pena di morte nel mondo è necessaria un’opera di convincimento, intensa, sommessa e paziente, che tenda a smussare la contrapposizione tra paesi abolizionisti e paesi mantenitori. Solo allargando la consapevolezza che la fine della pena di morte non è una sconfitta per nessuno ma un guadagno per tutti si creeranno le condizioni per un’abolizione stabile e generalizzata.
11) RICHIESTA DI CORRISPONDENZA
La socia Barbara Bazolli, in un messaggio indirizzato a Grazia, ci ha chiesto di pubblicizzare la richiesta di corrispondenza di un detenuto del braccio della morte della Florida che si chiama Norberto Pietri. Pubblichiamo volentieri il messaggio della nostra amica Barbara che è angosciata per una possibile ricusazione dell’ultimo appello presentato dall’avvocato di Norberto.
Cara Grazia, per l’appello di Norberto riporto fedelmente ciò che ha scritto nella sua richiesta: “Ho una famiglia che mi ama ma non mi scrive, Cerco persone che credono in Dio e mi accettino come cristiano, e diventino l’estensione della mia famiglia per condividere un’amicizia tramite la corrispondenza.”
Ti riscrivo anche il suo indirizzo:
Mr. Norberto Pietri #096867 (p 6220)
Union Correctional Institution
7819 NW 228th Street
Raiford, Florida 32026 USA
Oggi mi è anche arrivata una sua lettera dove mi informa sulla sua situazione legale: il suo avvocato ha presentato la sua, forse ultima, petizione alla corte federale... Non è molto ottimista sull’esito positivo della sua vicenda. Ovviamente sono angosciata, cosa succederà ora?
Grazie di tutto, ti abbraccio con affetto
Barbara
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 aprile 2009