FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 270 - Aprile 2020 (*)
SOMMARIO:
1) Jerry Givens, ex carnefice diventato abolizionista, muore di COVID-19
2) Il coronavirus frena le esecuzioni negli Stati Uniti
3) Si arena la legge che avrebbe probabilmente salvato Zeigler
4) Respinta la richiesta di un nuovo processo per Avila in Texas
5) Pena di morte per una donna che ha impiccato i due figlioletti?
6) Una vittoria di Trump riguardo alle esecuzioni federali
7) 280 impiccagioni in Iran nel 2019
8) Eseguita in Bangladesh la condanna a morte di un noto golpista
9) In Corea del Nord tre esecuzioni senza processo
10) Messo a morte in Iran un altro minorenne al momento del reato
11) Amnesty International: meno esecuzioni capitali nel 2019
12) Notiziario: Iran, Taiwan
1) JERRY GIVENS, EX CARNEFICE DIVENTATO ABOLIZIONISTA, MUORE DI COVID-19
Gli abolizionisti statunitensi sono addolorati dalla morte di uno di loro: il nero Jerry Givens diventato un attivista contro la pena capitale dopo aver ‘giustiziato’ 62 condannati a morte in Virginia.
Jerry Givens, attivista contro la pena capitale, è morto il 13 aprile 2020 di COVID-19. Aveva 67 anni. Durante i suoi 17 anni di servizio come guardia carceraria (dal 1982 al 1999) ha messo a morte 62 condannati nello stato della Virginia, lo stato USA che ha compiuto più esecuzioni di qualsiasi altro, a parte il Texas.
Sebbene avesse giurato di non dire nulla alla propria famiglia sul suo ruolo di giustiziere fino a quando non avesse lasciato il suo lavoro, Givens ha poi condiviso le sue esperienze in tutti gli Stati Uniti e a livello internazionale. “Jerry era addolorato per la sua esperienza, ma anche orgoglioso di come l'avesse svolta”, ha detto Abraham Bonowitz, co-direttore del gruppo abolizionista Death Penalty Action, del cui Consiglio di amministrazione Givens ha fatto parte. “Questo, a volte, ha dato fastidio ad alcune persone del movimento abolizionista. Era anche un religioso molto devoto. Ha fatto quello che poteva per rimediare i danni causati durante la sua carriera”.
“Era uno dei pochissimi carnefici disposti a parlare pubblicamente della propria esperienza, e di come quell'esperienza lo avesse cambiato nel tempo, tanto che è diventato un critico appassionato e un oppositore della pena di morte”, ha detto Michael Stone, direttore esecutivo di Virginians for Alternatives to the Death Penalty (VADP), un'altra associazione nella quale Givens è stato membro del Consiglio di amministrazione.
Jerry Givens ha raccontato di essere stato scosso dal caso di Earl Washington, un uomo intellettualmente disabile che confessò un omicidio che non aveva commesso. Nel 1985, Givens doveva mettere a morte Washington, ma l’esecuzione fu sospesa all'ultimo minuto e il condannato fu poi scagionato dalle prove del DNA. "Stavo facendo così tante esecuzioni all'epoca, ero diventato un ‘dipendente dall'esecuzione’. Non che mi piacesse, ma ero entrato in quella mentalità. Sono un marito e un padre a casa. Sono un frequentatore della chiesa", ha detto Givens. “Non avrei sopportato per il resto della mia vita di aver giustiziato un uomo innocente, e Dio ha risposto alle mie preghiere. Ha risposto portandomi in prigione e portando Earl Washington in libertà.” (1)
Givens ha raccontato che le sue opinioni sono state plasmate anche dai quattro anni passati in carcere dopo la perdita del posto e la condanna per falsa testimonianza e riciclaggio di denaro sporco. Fu accusato, insieme ad un suo vecchio amico, di aver comprato un’auto con i proventi che sapeva derivare da un traffico di droga.
Durante la sua prigionia, Givens ha pregato e letto la Bibbia. Riflettendo sugli insegnamenti di Gesù sul perdono, è giunto alla conclusione che la pena di morte è sbagliata. "Questo è stato il modo di Dio di svegliarmi", ha detto del periodo trascorso in prigione.
Come attivista contro la pena di morte, Givens ha testimoniato davanti alle Assemblee legislative di tutti gli Stati Uniti e più recentemente nel suo Stato natale, la Virginia - e ha parlato al Congresso Mondiale contro la Pena di Morte (WCADP).
Nel 2017 in Arkansas si è unito ad una ventina di altri dipendenti di istituti di pena, sia in servizio che ex, per ammonire del trauma psicologico che le esecuzioni a raffica programmate dallo Stato (otto in undici giorni), avrebbero inflitto agli incaricati di portare a termine tali esecuzioni.
Nelle sue apparizioni pubbliche, Givens ha parlato del tributo emotivo e psicologico delle esecuzioni. "Come posso essere me stesso? Non sono un assassino", ha detto al Richmond Times-Dispatch nel 2007 sul suo stato d’animo durante un'esecuzione. "Queste persone non mi hanno fatto niente. Non lo faccio per vendetta". "Non vi sentirete felici", ha detto Givens al Washington Post nel 2013. "Ti dispiace per la famiglia del condannato e per quella della vittima. Hai due famiglie che perdono qualcuno".
Il 16 marzo 2020, Givens ha inviato all’associazione abolizionista Death Penalty Information Center un messaggio sul coronavirus e la pena di morte: "Con questo coronavirus che ha preso il controllo del nostro Paese", ha scritto, "le esecuzioni dovrebbero essere l'ultima cosa sulla lista. Uniamoci e preghiamo che le cose migliorino". (Pupa)
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(1) Vedi n. 189 “Marie Deans…”
2) IL CORONAVIRUS FRENA LE ESECUZIONI NEGLI STATI UNITI
Possiamo dire che il COVID-19 ha avuto anche un effetto positivo: nel paese più evoluto tra i paesi mantenitori, gli Stati Uniti d’America, ha fatto sospendere e rinviare parecchie esecuzioni.
L’attuale pandemia ha cambiato, poco o molto, la vita di tutti gli abitanti della Terra. Ha anche significato la vita o la morte dei condannati alla pena capitale nei paesi in cui la triste sanzione è ancora in vigore. Di conseguenza nella metà degli articoli di questo numero trovate la parola ‘coronavirus’ o la parola ‘COVID-19’ (parole usate in modo equivalente dalla maggior parte di coloro che ne parlano o ne scrivono).
Possiamo dire che il COVID-19 ha influito positivamente sulla pena di morte nel paese più evoluto tra i paesi mantenitori, gli Stati Uniti d’America, perché ha fatto sospendere e rinviare parecchie esecuzioni che erano state programmate prima che la pandemia raggiungesse le dimensioni attuali.
Qui di seguito riportiamo in estrema sintesi notizie riguardanti il COVID-19 e la pena di morte negli USA, senza la pretesa di essere esaurienti, nell’ordine temporale in cui ci sono arrivate.
TEXAS: Il 6 aprile l’esecuzione di Billy Joe Wardlow programmata per il 29 aprile è stata spostata all’8 luglio a causa dell’epidemia da coronavirus.
OHIO: Il processo capitale a carico del 29-enne Jocquez Ross è stato spostato due volte a causa del coronavirus: una prima volta al 6 aprile, una seconda volta al 1° giugno.
OHIO: Il processo capitale a carico di Stanley Ford cominciato nel mese di marzo è stato sospeso a causa del coronavirus: ricomincerà non prima del 5 maggio.
TENNESSEE: Gli avvocati di Oscar Franklin Smith, la cui esecuzione è stata programmata per il 4 giugno, hanno chiesto uno spostamento dell’esecuzione di 6 mesi perché il coronavirus impedisce loro di preparare una adeguata richiesta di clemenza.
GIURISDIZIONE FEDERALE: Gli avvocati del condannato a morte Robert Bowers, accusato di aver ucciso 11 persone nell’ottobre del 2018 nella sinagoga Tree of Life (Albero della Vita), hanno chiesto di rimuovere i termini per la consegna di documenti difensivi a causa dei ritardi nel loro lavoro provocati dall’epidemia di coronavirus.
TENNESSEE: La data di esecuzione di Oscar Smith è stata spostata dal 4 giugno p. v. al 4 febbraio 2021. L’avvocato difensore Kelley Henry – soddisfatto per lo spostamento - ha dichiarato: “Non ha senso far entrare i testimoni dell’esecuzione e altra gente nella prigione esponendoli all’infezione del coronavirus o introdurre il virus nella popolazione del carcere. Smith, che si è sempre dichiarato innocente, ha bisogno di incontrarsi con i propri legali per preparare la domanda di grazia e gli investigatori hanno la necessità di fare interviste per preparare la domanda di grazia. Nessuno di questi lavori faccia a faccia può essere fatto nel momento attuale senza rischio per la salute.”
TEXAS: Il 27 aprile la Corte Criminale d’Appello del Texas (TCCA) ha bloccato per 60 giorni l’esecuzione di Edward Busby programmata per il 6 maggio.
OHIO: A causa del coronavirus è stato rinviato al 22 giugno l’inizio del processo capitale a carico del 37-enne Gurpreet Singh, che ad aprile del 2019 uccise sua moglie, i suoceri e una zia della moglie. Il processo doveva cominciare nell’ultima settimana di aprile.
TENNESSEE: Gli avvocati difensori di Byron Black, che fu condannato a morte nel 1988, hanno chiesto alla Corte Suprema del Tennessee di disporre il rinvio dell’esecuzione del loro assistito, programmata per il prossimo 8 ottobre. Gli avvocati si sono detti impossibilitati a condurre le investigazioni sul caso di Byron Black durante l’epidemia del coronavirus. I difensori hanno anche fatto presente che non si potrà tenere un’udienza per stabilire l’asserita insanità mentale del condannato fissata per il mese di agosto perché non potranno parteciparvi gli esperti provenienti da fuori del Tennessee.
3) SI ARENA LA LEGGE CHE AVREBBE PROBABILMENTE SALVATO ZEIGLER
Tommy Zeigler, il condannato invecchiato nel braccio della morte della Florida, che noi con il nostro amico floridiano Dale Recinella riteniamo innocente, poteva essere salvato da una proposta di legge approvata all’unanimità dalla Camera dei Rappresentanti della Florida. Purtroppo la proposta di legge è stata lasciata cadere dal Senato.
Nonostante fosse stata approvata all’unanimità dalla Camera dei Rappresentanti della Florida nel mese di febbraio, il 14 marzo scorso la proposta di legge CS/HB 7077, che avrebbe esteso l’accesso ai test del DNA nelle fasi processuali successive alla condanna degli imputati, è stata lasciata cadere dal Senato.
Tale proposta di legge era stata avanzata dal deputato Jamie Grant il 5 febbraio scorso, che si era riferito esplicitamente al caso del 74-enne Tommy Zeigler, il condannato a morte amico di Dale Recinella, della cui vicenda giudiziaria ci stiamo occupando ormai da vent’anni.
Come sappiamo, Zeigler si dichiara innocente ed è rinchiuso nel braccio della morte da 43 anni, ma gli è stato negato l’accesso ai test del DNA che potrebbero dimostrare la sua innocenza (1).
Test del DNA eseguiti prima della condanna avevano dimostrato che non c’erano macchie di sangue delle vittime su alcuni abiti di Zeigler, ma dopo la condanna non gli è stato consentito di far eseguire ulteriori test sul materiale presente sotto le unghie delle vittime e sul sangue presente su altri indumenti. Il test ulteriore era stato negato perché non avrebbe potuto dimostrare al 100% l’innocenza di Zeigler. La legge proposta da Jamie Grant avrebbe permesso di effettuare tali test anche sapendo che non sarebbero stati determinanti in assoluto.
Quando fu reso noto che i 114 membri della Camera dei Rappresentanti avevano approvato all’unanimità la proposta di legge, David Michaeli, uno dei difensori di Tommy Zeigler, aveva dichiarato: “Ritengo che questo sia un esempio di come le procedure talvolta siano davvero sporche. Quante proposte di legge sono riuscite a ottenere una simile approvazione unanime? Questo la dice lunga su come sarebbe saggio effettuare questi test e sul fatto che essi rappresentino una verifica imparziale utile sia per la difesa che per l’accusa”.
Una recente indagine condotta dal giornale Tampa Bay Times ha messo in luce le difficoltà dei condannati a morte di ottenere test del DNA dopo la sentenza. A 38 dei 46 condannati alla pena capitale della Florida che ne avevano fatto richiesta, almeno una corte ha rifiutato di concedere il test. A 19 condannati il test è stato negato da tutte le corti, e 8 di questi sono stati giustiziati.
Purtroppo anche negli altri stati USA il test del DNA è di difficile accesso per i condannati a morte. Dal 2018, 3 condannati in Georgia sono stati uccisi senza aver ottenuto il test, mentre in Arkansas e in Texas i familiari di due uomini ormai giustiziati stanno cercando di ottenere un test del DNA postumo perché esso fu loro negato prima delle esecuzioni. (Grazia)
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(1) Di William “Tommy” Zeigler Jr. abbiamo scritto nei nn.: 83; 88; 98; 105; 109; 111; 124; 149, Notiziario; 176; 185; 213; 230; 237, Notiziario; 238; 239; 242; 245, 254, 255.
Rigoberto Avila
4) RESPINTA LA RICHIESTA DI UN NUOVO PROCESSO PER AVILA IN TEXAS
Sulle cause della morte per trauma di un bimbo di 19 mesi c’è discordanza tra gli esperti. Intanto però la massima corte penale del Texas ha vanificato la richiesta di un nuovo processo avanzata dalla difesa di Rigoberto Avila che nel 2001 fu condannato a morte dopo essere stato accusato dell’omicidio del piccolo.
L’11 marzo scorso la Corte Criminale d’Appello del Texas (TCCA) ha vanificato la decisione della Corte Distrettuale della Contea di El Paso che nel 2018 aveva disposto un nuovo processo per il condannato a morte Rigoberto “Robert” Avila con la motivazione che a suo tempo l’accusa aveva utilizzato argomentazioni scientifiche superate e scadenti (1).
Ora la condanna a morte è stata confermata dal massimo organo giudiziario del Texas con la motivazione che Avila non ha dimostrato che le nuove prove avrebbero sicuramente convinto una giuria a non condannarlo. La TCCA ha scritto che la difesa di Avila non ha raggiunto “il poderoso livello per dimostrare con chiare e convincenti prove che nessun ragionevole giurato lo avrebbe condannato in base alle nuove prove (sic)”.
Rigoberto Avila nel 2001 fu condannato a morte per l’uccisione del figlio di 19 mesi della sua donna. L’accusa presentò al processo la testimonianza di un “esperto” che dichiarò che il bimbo era stato violentato dall’imputato. Il pubblico ministero dichiarò: “Non esiste alcuna altra causa possibile per la morte del bambino”.
Nel 2014 la difesa di Avila presentò invece il referto di un esperto in cui si affermava che il bimbo poteva essere stato ucciso dalla ferite accidentali provocate dal fratellino di 4 anni. All’epoca la TCCA sospese l’esecuzione di Avila e rimandò la causa a una corte inferiore, basandosi su una legge del 2013 che garantiva ai detenuti di accedere alle corti per produrre nuove prove dimostranti che la loro condanna originaria era basata su prove forensi false o fuorvianti.
Il 9 ottobre del 2018 la giudice Annabel Perez sentenziò che le nuove prove mediche “avrebbero probabilmente indotto i giurati a valutare ragionevoli dubbi sulla colpevolezza di Avila” se esse fossero state disponibili all’epoca del processo.
Questa decisione non è servita perché la TCCA ha adesso deciso di non tenerne conto. Gli avvocati di Avila sono stati profondamente delusi dalla sentenza e hanno commentato dicendo che “la qualità del parere della corte manca di rispetto nei confronti della giudice Perez per il suo lavoro di revisione del caso e anche nei confronti degli sforzi del parlamento del Texas di limitare l’impatto distruttivo che la scienza forense scadente e superata ha nei casi giudiziari”.
Non è la prima volta che la TCCA revoca l’annullamento di sentenze che le corti inferiori avevano dichiarato incostituzionali in quanto fondate su prove forensi scadenti. Il caso a noi più noto è stato quello di Larry Swearingen, messo a morte il 21 agosto 2019 nonostante il parere degli esperti su molteplici questioni forensi, inclusa quella che il crimine attribuito a Swearingen era stato commesso quando costui non poteva essere presente sulla scena del delitto, essendo all’epoca in prigione per un altro reato (2). (Grazia)
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(1) Vedi nel n. 254 l’articolo sostanzialmente ottimista: “Diminuzione …”
(2) Vedi n. 262
Conner e Brinley, i fratellini uccisi in Pennsylvania
5) PENA DI MORTE PER UNA DONNA CHE HA IMPICCATO I DUE FIGLIOLETTI?
Per un crimine orrendo e inconcepibile, chiesta in Pennsylvania una pena orrenda: la pena di morte.
Un articolo pubblicato il 12 aprile dal giornale britannico online METRO porta il titolo: “Madre accusata di ‘aver fatto sesso con il suo pitbull prima di uccidere i suoi due figli piccoli impiccandoli’, potrebbe essere condannata a morte”.
Nell’articolo leggiamo che l’accusa ha chiesto che Lisa Snyder fosse processata con l'imputazione di omicidio capitale per l’uccisione dei due figli, Conner, di 8 anni, e di Brinley, di 4 anni, nella sua casa di Berks County in Pennsylvania, a settembre del 2019.
Tra i fattori aggravanti di cui si è discusso prima dell'udienza per la contestazione dell'accusa tenutasi nel mese scorso vi sono il numero delle vittime, la loro età e il fatto che i crimini siano stati commessi in concomitanza con un altro reato – l’asserito rapporto sessuale della Snyder con il cane di famiglia.
Lisa Snyder è stata accusata dell'omicidio dei suoi figli nel dicembre 2019. Aveva sostenuto che Conner uccise la sorellina prima di impiccarsi: disse che suo figlio si era lamentato di essere stato vittima di bullismo, e di aver nutrito di conseguenza pensieri suicidi aggiungendo che non voleva morire da solo. Snyder ha detto di aver trovato i ragazzi appesi ad uno stesso guinzaglio del cane fatto passare sopra una trave, con 2 sedie rovesciate sotto di loro.
I bambini ancora in vita furono portati in un vicino pronto soccorso. Intubati morirono dopo essere stati staccati dai respiratori tre giorni dopo.
L’accusatrice Margaret McCollum ha detto alla corte di considerare ‘spazzatura’ la versione degli eventi raccontata dalla Snyder: "Conner non poteva essere capace di fare ciò a se stesso e tanto meno alla sorella".
La McCollum ha riferito che Lisa Snyder aveva comprato un guinzaglio per uccidere i bambini il giorno prima, e ha aggiunto che Conner non avrebbe avuto la capacità di fare i cappi usati per uccidere lui e sua sorella.
La polizia ha scoperto che Conner era felice a scuola e aveva molti amici, e gli insegnanti hanno respinto le affermazioni della madre secondo cui sarebbe stato vittima di bullismo.
È stato riferito che alcune settimane prima della morte dei suoi figli, la Snyder aveva condiviso un video in cui stava facendo sesso con il cane. Aveva commentato il video scrivendo: "Sta mangiando la mia ..., papà".
"Si muove ogni volta che il flash si spegne", scrisse la Snyder, apparentemente riferendosi al suo cane.
L'amica di Lisa Snyder, Jessica Senft, ha detto alla corte che l’assassina ha progettato di uccidersi se fosse stata liberata su cauzione.
La Snyder deve tornare in tribunale per un'udienza il 29 giugno. (Pupa)
6) UNA PARZIALE VITTORIA DI TRUMP RIGUARDO ALLE ESECUZIONI FEDERALI
Il numero delle esecuzioni nella giurisdizione federale statunitense resta fermo a 3. L’ultima delle 3 esecuzioni fu portata a termine nel 2003. Ora una vittoria legale di stretta misura dei favorevoli alla ripresa delle esecuzioni in ambito federale rende un poco più probabile il riavvio delle esecuzioni in tale ambito.
Il 25 luglio 2019 il Dipartimento di Giustizia USA, incalzato dal presidente Trump, aveva annunciato l’intenzione di riprendere le esecuzioni federali (dopo un’interruzione di 16 anni) e ne aveva fissate addirittura cinque da effettuarsi nell’arco di due mesi, tra dicembre e gennaio (1).
Ciò anche se le esecuzioni a livello federale sono state rarissime: il governo USA ha messo a morte solo tre condannati da quando la pena capitale fu ripristinata a livello federale nel 1988. L’ultima esecuzione risale al 2003.
Ma il 20 novembre Tanya Chutkan, giudice della Corte Federale del Distretto di Columbia, con una argomentazione esposta in una quindicina di pagine, aveva sospeso le esecuzioni contestando il fatto che nella procedura federale in vigore era prevista l’esecuzione con un unico metodo (iniezione letale di pentobarbital) mentre una legge federale del 1994 impone di portare a termine le esecuzioni con i metodi previsti negli stati in cui la condanna viene emessa (2).
Arriviamo al 31 marzo u. s. quando una Commissione di tre giudici della Corte d’Appello federale, con una votazione di 2 contro 1, ha annullato la sospensione del 20 novembre (rinviando a una Corte Distrettuale l’esame di ulteriori contestazioni dei condannati).
Non stupisce che i due giudici favorevoli alla ripresa delle esecuzioni - Greg Katsas e Neomi Rao (nella foto) - siano stati a suo tempo nominati da Trump (il giudice contrario - David Tatel - era stato invece nominato da Bill Clinton, anch’egli favorevole alla pena di morte, ma di certo non con l’accanimento dell’attuale presidente americano).
Quando la notizia è stata resa nota, Cate Stetson, uno degli avvocati dei condannati a morte, ha diffuso un commento per email dichiarando che l’amministrazione Trump “ha affrettato il procedimento al fine di poter eseguire le condanne senza una revisione significativa della legalità e della costituzionalità delle nuove procedure di esecuzione”.
Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, ha osservato che la decisione dei giudici “pone più domande che risposte e non fornisce molte linee guida su come procedere”. Ha aggiunto: “La questione su cui tutti i giudici sono stati concordi è che ci sono altri problemi concreti e legali che la Corte distrettuale deve ancora risolvere”.
Le altre questioni sollevate dalla difesa dei detenuti richiederanno tempi lunghi di analisi ed è abbastanza improbabile che le esecuzioni possano riprendere finché questi ulteriori argomenti non saranno stati esaurientemente dibattuti. Tra l’altro il coronavirus ha bloccato per adesso tutti i processi ai vari livelli, allungando così i tempi in modo indeterminato. (Grazia)
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(1) V. n. 261
(2) V. n. 265
7) 280 IMPICCAGIONI IN IRAN NEL 2019
Nel paese che, insieme alla Cina, compie più esecuzioni capitali si registra una progressiva diminuzione delle esecuzioni. Nel 2015 si ebbero 972 esecuzioni note, nel 2019 si è venuti a sapere di 280 esecuzioni.
Il 31 marzo u. s. IHR (Iran Human Rights) ha pubblicato un dettagliato rapporto sull’applicazione della pena di morte in Iran nel 2019. Il rapporto è stato redatto in collaborazione con l’associazione francese ECPM (Ensamble Contre la Peine de Mort). (1)
Dal rapporto apprendiamo che l’anno scorso la Repubblica Islamica dell’Iran ha messo a morte per impiccagione almeno 280 persone, anche se le fonti ufficiali hanno reso note solo 84 esecuzioni. (In Iran molte esecuzioni vengono portate a termine in segreto senza neppure avvisare gli avvocati dei condannati).
Il numero di esecuzioni in Iran negli ultimi anni è assai diminuito rispetto al picco di 972 esecuzioni registratosi nel 2015.
I condannati messi a morte per omicidio nel 2019 sono stati 225 (l’80% del totale).
Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore della IHR, ha sottolineato la crescita nel numero delle persone colpevoli di omicidio risparmiate in quanto perdonate dai familiari delle loro vittime. Almeno 374 rei di omicidio sono stati perdonati dai familiari delle loro vittime: un significativo incremento dei perdoni rispetto agli anni precedenti.
Ricordiamo che l’Iran applica la qisas (ossia la legge islamica della vendetta), che consente ai parenti della vittima di decidere se la persona condannata per l’omicidio debba essere o no messa a morte. In questo modo, lo stato trasferisce sulle spalle dei familiari la responsabilità dell’esecuzione.
Secondo Mahmood Amiry-Moghaddam, oltre a costituire una punizione inumana, la pena di morte, delegata dalla qisas ai familiari delle vittime, è anche una violazione dei diritti di costoro, perché li trasforma in giustizieri.
L’11% delle esecuzioni portate a termine nel 2019 conseguivano a condanne per reati di droga. Il numero di condanne a morte per reati connessi al traffico di stupefacenti si è ridotto molto dal novembre 2017, in seguito alla modifica della Legge Anti Narcotici, che ne ha limitato l’applicazione (2).
Ciò che invece si continua a fare con il solito ritmo, in aperta violazione degli impegni internazionali, è l’esecuzione di minorenni all’epoca del reato. La Legge Penale Islamica suggerisce punizioni correttive e alternative per i bambini e i minorenni, ma l’articolo 91 di questa legge esclude chiaramente tale moderazione nei casi di omicidio punibili in base alla qisas, lasciando in tal modo la decisione riguardo alla pena di morte ai familiari delle vittime del crimine anche per i minorenni. La maggiore età relativamente alla responsabilità penale è di 15 anni lunari per i ragazzi e di 9 per le ragazze; quindi maschi e femmine di queste età possono essere condannati a morte, anche se poi, per la loro esecuzione, si attende solitamente il compimento del 18-esimo anno (3).
Alcune delle esecuzioni del 2019 sono state effettuate in pubblico, e anche questa è una violazione dei trattati internazionali riguardanti i diritti umani, come lo è il tempo assai breve che in molti casi intercorre tra l’arresto e l’esecuzione della condanna. Numerosi imputati non hanno accesso a una difesa legale, gli interrogatori vengono effettuati senza la presenza di un avvocato e in alcuni casi il giudizio della corte si basa solo su confessioni ottenute con la tortura.
La relazione della IHR ha inoltre denunciato che nel 2019 l’Iran ha continuato a opprimere gli abolizionisti, esercitando pressioni indebite su molti attivisti, tra i quali Atena Daemi, Nasrin Sotoudeh e Narges Mohammadi, che stanno scontando pene detentive per le loro attività contro la pena di morte. A tutti costoro è stato negato il permesso di uscire dal carcere nonostante il pericolo di contrarre il coronavirus rimanendo in prigione. (Grazia)
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(1) Il rapporto integrale che consta di 68 pagine si trova qui: https://iranhr.net/media/files/Rapport_iran-GB.pdf
Sull’analogo rapporto relativo al 2018 v. n. 257
(2) Vedi nn.: 240, Notiziario; 242; 243
(3) Vedi ad esempio n. 258
8) ESEGUITA IN BANGLADESH LA CONDANNA A MORTE DI UN NOTO GOLPISTA
È stato messo a morte il 12 aprile Abdul Majed, uno dei militari che eseguirono il sanguinoso colpo di stato in Bangladesh del 1975. Majed, condannato a morte nel 1996 dopo il ripristino della democrazia, si era nascosto all’estero per 23 anni ed era tornato segretamente in patria nello scorso mese di marzo.
Il 12 aprile u. s. nel carcere centrale di Dacca è stata eseguita la condanna a morte per impiccagione del capitano Abdul Majed che partecipò al colpo di stato militare del 15 agosto 1975 in cui fu ucciso il presidente Bangabandhu Sheikh Mujibur Rahman, fondatore dello stato del Bangladesh (ricordiamo che il Bangladesh nacque per secessione dal Pakistan nel 1971) (1)
L’ordine di esecuzione era stato emesso l’8 aprile u. s.
Majed aveva dichiarato di essere tornato in Bangladesh tra il 15 e il 16 marzo scorsi. Era riuscito a nascondersi all’estero, per lo più in India a Calcutta, negli ultimi 23 anni.
Dopo il ripristino della democrazia in Bangladesh avvenuto nel 1996, 12 militari golpisti furono condannati alla pena capitale. Cinque di loro sono stati messi a morte il 28 gennaio 2010, uno di loro è deceduto per cause naturali, i rimanenti sei - tra cui Abdul Majed – fuggirono all’estero.
Il pubblico ministero Abdulah Abu ha dichiarato ai giornalisti che il giudice del distretto di Dacca, Helaluddin Choudhury, ha ordinato l’esecuzione della condanna di Abdul Majed nonostante il blocco delle attività imposto per il COVID-19 usufruendo di un permesso speciale della Corte Suprema.
Il giudice Helaluddin Choudhury ha letto le accuse e la sentenza originale emessa nel 1998 invitando le autorità carcerarie a procedere con l’esecuzione della pena.
Il Ministro dell'Interno Asaduzzaman Khan Kamal ha ricordato che il "killer reo confesso" non solo ha partecipato all'assassinio di Bangabandhu, ma ha anche preso parte alla successiva uccisione di quattro leader nazionali nella prigione centrale di Dacca il 3 novembre 1975.
Nel 1996 - dopo il ritorno al potere della Lega Awami che, come scritto nel suo manifesto politico, intendeva assicurare alla giustizia gli assassini di Bangabandhu - Mojad insieme ad altri golpisti del 1975, fuggì dal paese.
La sentenza di morte di Majed è stata eseguita 4 giorni dopo che il Presidente Abdul Hamid ha respinto la sua richiesta di clemenza.
Majed "è stato impiccato alle 12:01’ di domenica 12 aprile", ha dichiarato il funzionario del carcere Mahabubul Alam alla stampa. In precedenza le autorità carcerarie avevano chiamato la moglie per una visita finale esaudendo l’ultimo desiderio del condannato.
Il corpo di Majed è stato portato per la sepoltura a Bhola, sua città di origine, tra le proteste di alcuni parlamentari locali. (Pupa)
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(1) Il 15 agosto 1975 un gruppo di ufficiali dell'esercito invase la capitale e la residenza presidenziale con due divisioni meccanizzate e uccise Mujib, la sua famiglia e il personale di servizio. Solo le figlie Sheikh Hasina Wajed e Sheikh Rehana, che stavano visitando la Germania Ovest, sfuggirono al massacro e al nuovo regime militare.
Sia nel 1996 che nel 2009 la figlia maggiore di Mujib, Sheikh Hasina Wajed, è stata eletta Primo Ministro del Bangladesh.
9) IN COREA DEL NORD TRE ESECUZIONI SENZA PROCESSO
Nel paese in cui la pena di morte viene usata nel modo più ingiusto e a discrezione del potere, sono stati arrestati e immediatamente giustiziati tre alti funzionari che avevano sottratto e messo in vendita a borsa nera cibo importato per essere consumato nella festa nazionale del 15 aprile, Giorno del Sole.
Nella prima settimana di aprile le autorità della Corea del Nord hanno messo a morte senza processo tre alti funzionari accusati di tradimento. I tre avevano sottratto cibo dalla riserva strategica del paese e lo avevano venduto a borsa nera.
Il cibo faceva parte di una grande spedizione proveniente dalla Cina, spedizione autorizzata anche se il commercio tra i due paesi era stato bloccato per impedire la diffusione del coronavirus.
Si è trattato di alimenti di alta qualità destinati ad essere consumati nella festa del 15 aprile, compleanno del fondatore della nazione Kim Il Sung (1), una festa chiamata Giorno del Sole.
Il 5 aprile una fonte bene informata (un commerciante della provincia del Nord Pyongan) ha riferito all’emittente RFA (Radio Free Asia) che le autorità hanno riaperto temporaneamente la dogana della città di Dandong-Sinuiju il 23 marzo per accettare la spedizione. La dogana era rimasta completamente chiusa da gennaio.
"Nonostante l’epidemia di coronavirus in corso, hanno aperto l'ufficio doganale e fatto entrare rapidamente quelle forniture", ha detto tale fonte, che ha aggiunto: "Tre dirigenti hanno rubato alcune di queste forniture importate sul mercato locale, e sono stati uccisi senza processo pochi giorni fa con l'accusa di tradimento".
"Una decina di camion e vagoni merci sono arrivati dalla Cina con forniture strategiche, per celebrare il Giorno del Sole”.
“Le forniture sono state messe in quarantena e disinfettate e poi depositate in un magazzino. Mentre le merci venivano stoccate in quantità decise dal Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori coreano, un alto funzionario di una azienda alimentare ha corrotto uno dei funzionari della logistica per ricevere cinque tonnellate di olio di soia in più di quello che avrebbe dovuto essergli assegnato, e lo ha venduto nei mercati locali".
Ma l'olio di soia è stato facilmente individuato come di origine cinese e collegato alla fornitura strategica.
E’ stata aperta un’inchiesta dopo che il Comitato Centrale ha ricevuto una segnalazione secondo cui tutto l'olio di soia venduto nei mercati nel Nord Pyongan proveniva dalla Cina.
L'inchiesta ha rivelato che il responsabile del magazzino, il fornitore che ha effettuato la consegna e la persona che ha ricevuto la merce si erano messi d’accordo per rubare dalla fornitura strategica.
L'esecuzione di questi tre potrebbe essere stata ordinata direttamente dall’attuale presidente Kim Jong Un.
"I risultati dell'indagine sono stati inclusi in un rapporto al numero 1", ha detto la fonte bene informata, usando una locuzione che significa che il rapporto era destinato al leader supremo del Paese.
"Intendo che sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco secondo la politica del numero 1 di trattare il caso come un tradimento nazionale perché hanno rubato beni di emergenza importati dal Comitato Centrale", ha detto la fonte, aggiungendo che non era noto quando e dove l'esecuzione abbia avuto luogo.
Una seconda fonte, anch'essa proveniente dal Nord Pyongan, ha riferito alla RFA che "i beni venduti dai funzionari sul mercato scarseggiavano da mesi.
Dalla fine di gennaio, quando è stato bloccato il confine a causa del coronavirus, alimenti come lo zucchero e l'olio di semi di soia scarseggiano nel mercato di Sinuiju e i prezzi sono saliti alle stelle", ha detto la seconda fonte.
"Il prezzo dell'olio di semi di soia è balzato da 15.000 won a 18.000 won [equivalenti a 1,87 e a 2,25 dollari] per chilogrammo a causa della carestia", ha affermato la seconda fonte.
L'aumento del 20% può sembrare relativamente piccolo per gli standard occidentali, ma in un paese in cui lo stipendio mensile corrisposto dal governo ammonta a meno di 5 dollari e dove la maggior parte delle persone ha bisogno di trovare un’attività extra per integrare i propri redditi, l'aumento è enorme.
“Con il prezzo dell'olio di semi di soia così alto, sembra che i funzionari stessero cercando di vendere l’olio che era stato importato per le emergenze", ha detto la seconda fonte.
Il prezzo dell'olio di semi di soia venduto a borsa nera è sceso a 13.000 won [1,62 dollari] per chilogrammo.
"Ma le persone che lo hanno acquistato, stranamente, lo hanno anche riferito al Comitato Centrale", ha reso noto la seconda fonte.
"È positivo per le persone che i prezzi nei mercati locali siano scesi, ma se riaprissero il commercio con la Cina, sarebbero in grado di acquistare olio di soia a un prezzo molto più basso", ha osservato la seconda fonte.
"La gente critica apertamente le autorità per aver incolpato gli altri mentre bloccano le normali attività commerciali", ha detto la seconda fonte.
LA RFA ha riferito alla fine di febbraio che lo stato nordcoreano ha avvertito che avrebbe emesso sanzioni più severe, compresa la pena di morte, per il contrabbando durante la crisi del coronavirus. (Anna Maria)
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(1) Kim Il Sung è il padre dell’attuale presidente della Corea del Nord, Kim Jong Un. (Quest’ultimo, dall’11 aprile fino al momento in cui scriviamo, si è reso irreperibile).
10) MESSO A MORTE IN IRAN UN ALTRO MINORENNE AL MOMENTO DEL REATO
In Iran, un paese che usa moltissimo la pena di morte, il coronavirus non ha rallentato le esecuzioni come è avvenuto negli Stati Uniti. Anzi un’evasione di massa causata dal terrore del COVID-19 ha intensificato le esecuzioni capitali, anche ai danni di minorenni all’epoca del reato.
Shayan Saeedpour, diciassettenne al momento della condanna a morte per un accoltellamento mortale, è stato impiccato in Iran il 21 aprile u. s. Era stato condannato nell'ottobre 2018. La Corte Suprema iraniana aveva confermato la condanna nel 2019.
I relatori speciali delle Nazioni Unite Javaid Rehman e Agnès Callamard (1) hanno dichiarato di essere rimasti scioccati dall’esecuzione del giovane: “Abbiamo più volte ricordato al governo e alla magistratura iraniana che la legge internazionale sui diritti umani è chiara: l'applicazione della pena di morte ai delinquenti minorenni è severamente proibita e la sua pratica è una gravissima violazione del diritto alla vita”.
I due relatori si sono detti altresì preoccupati che l'Iran possa presto eseguire altre condanne a morte tra cui quella di un altro delinquente minorenne, in risposta ai recenti disordini in carcere (2).
Gli esperti hanno anche denunciato l’impegno dei pubblici ministeri iraniani nello spingere la famiglia della vittima di un omicidio ad optare per la pena di morte (secondo la legge iraniana della qisas, i familiari della vittima possono chiedere un risarcimento in denaro e perdonare il colpevole).
Saeedpour era uno delle decine di prigionieri evasi da una prigione di Saqqez alla fine di marzo durante i disordini per la diffusione del coronavirus. Era stato riarrestato intorno al 3 aprile.
Secondo gli esperti dell'ONU, le autorità iraniane potrebbero accelerare le esecuzioni dei condannati a morte, torturando i prigionieri e portando a termine esecuzioni extragiudiziali di coloro che sono coinvolti nei disordini.
"Siamo molto turbati dal fatto che le autorità iraniane stiano reagendo alle proteste nelle carceri per il COVID-19, utilizzando torture e maltrattamenti che portano ad esecuzioni extragiudiziali, o accelerando le esecuzioni", hanno dichiarato i due esperti dell'ONU.
Amnesty International ritiene che le autorità iraniane reagiscano così "per dissuadere altri prigionieri dal tentare la fuga".
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(1) Javaid Rehman è il Relatore speciale dell’ONU sui diritti umani in Iran. Agnès Callamard è la Relatrice speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie presso il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU.
(2) Vedi articolo nel Notiziario
11) AMNESTY INTERNATIONAL: MENO ESECUZIONI CAPITALI NEL 2019
Riportiamo il Comunicato con cui Amnesty International annuncia la pubblicazione del suo Rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo nel 2019. Il Rapporto integrale in italiano, che consta di 50 pagine, si può scaricare cliccando su questo link: Scarica il report
Il Rapporto globale sulla pena di morte, la ricerca prodotta dai ricercatori di Amnesty ogni anno per “fotografare” la diffusione della condanna capitale nel mondo, registra nel 2019 un calo nel numero delle esecuzioni: almeno 657 note nel 2019 a fronte di almeno 690 del 2018, il minimo storico dell’ultimo decennio. Picco di esecuzioni in Arabia Saudita: in un solo anno le autorità hanno messo a morte 184 persone. (1)
Sono solo venti i paesi responsabili del numero totale di tutte le esecuzioni nel mondo. I cinque paesi con il maggior numero di esecuzioni nel 2019 sono Cina (migliaia), Iran (almeno 251), Arabia Saudita (184), Iraq (almeno 100) ed Egitto (almeno 32).
In Iraq il numero delle esecuzioni è raddoppiato e l’Iran continua a venire subito dopo la Cina, dove il numero esatto di persone messe a morte resta un segreto di stato.
“La pena di morte è una pena disumana e ripugnante e non esistono prove attendibili che essa scoraggi i reati più della pena detentiva. La vasta maggioranza dei paesi lo riconosce e vedere che le esecuzioni continuano a diminuire in tutto il mondo è incoraggiante. Tuttavia vi è un numero limitato di paesi che, in controtendenza, ha fatto sempre più ricorso alle esecuzioni. Ciò è avvenuto in Arabia Saudita, dove è stata utilizzata anche come arma nei confronti dei dissidenti politici, uno sviluppo preoccupante. Così come è stato sconcertante l’enorme aumento di esecuzioni registrato in Iraq, quasi raddoppiate in un solo anno”, ha dichiarato in una nota ufficiale Clare Algar, direttrice di Amnesty International per la ricerca e l’advocacy.
Sulla Cina non sono a disposizione cifre ma il numero delle esecuzioni è stimato nell’ordine delle migliaia. Altri paesi con numeri alti di esecuzioni, tra i quali Iran, Corea del Nord e Vietnam, hanno continuato a nascondere il loro pieno ricorso alla pena di morte limitando l’accesso alle informazioni in merito.
Rapporto sulla pena di morte nel mondo: dove aumentano le esecuzioni
Nel 2019 l’Arabia Saudita ha messo a morte 184 persone, sei donne e 178 uomini: poco più della metà erano cittadini stranieri. Nel 2018 erano state 149. La maggioranza delle esecuzioni era connessa a reati di droga e omicidi. Tuttavia, abbiamo documentato l’aumento del ricorso alla pena di morte come arma politica contro i dissidenti dalla minoranza musulmana sciita.
Il 23 aprile 2019 c’è stata un’esecuzione di massa di 37 persone, 32 delle quali erano sciiti condannati per “terrorismo” dopo processi basati su confessioni estorte sotto tortura.
Una delle persone messe a morte il 23 aprile era Hussein al-Mossalem. Aveva subito ferite multiple, una frattura del naso, della clavicola e della gamba nel periodo in cui era detenuto in regime di isolamento. Inoltre, aveva ricevuto percosse con manganello elettrico e altre forme di tortura. Era comparso dinanzi al Tribunale speciale dell’Arabia Saudita, creato nel 2008 per giudicare chi era accusato di reati di terrorismo ma sempre più utilizzato per mettere a tacere il dissenso.
In Iraq, il numero di persone messe a morte è raddoppiato dalle 52 del 2018 alle almeno 100 del 2019, perlopiù a causa del continuo ricorso alla pena di morte per le persone accusate di far parte del gruppo armato “Stato islamico”.
In Sud Sudan le autorità hanno messo a morte almeno 11 persone nel 2019, il numero più alto mai registrato dall’indipendenza del paese nel 2011, e lo Yemen almeno sette rispetto alle almeno quattro del 2018. Anche il Bahrain ha ripreso le esecuzioni dopo una pausa di un anno, mettendo a morte tre persone nel corso dell’anno.
Rapporto sulla pena di morte nel mondo: mancanza di trasparenza
Molti paesi non hanno pubblicato o fornito informazioni ufficiali sul ricorso alla pena di morte, il che sottolinea la mancanza di trasparenza nelle pratiche di molti governi.
L’Iran è secondo solo alla Cina nel ricorso alla pena di morte. Sono state messe a morte almeno 251 persone nel 2019, rispetto alle almeno 253 del 2018, di cui quattro minorenni all’epoca del reato. Tuttavia, una mancanza di trasparenza rende difficile confermare il numero complessivo effettivo di esecuzioni, che potrebbe essere di gran lunga maggiore.
In un caso, le autorità iraniane hanno messo segretamente a morte due ragazzi, Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat, nella prigione di Adelabad a Shiraz, nella provincia di Fars il 25 aprile 2019. Erano stati entrambi arrestati all’età di 15 anni e condannati per stupro plurimo a seguito di un processo ingiusto.
Non solo non avevano saputo di essere stati condannati a morte ma i loro corpi portavano i segni delle cinghiate, segno che erano stati frustati prima dell’esecuzione.
“Persino i paesi più convinti fautori della pena di morte trovano difficoltà nel giustificarne il ricorso e scelgono la segretezza. Molti di essi si sforzano di nascondere le modalità di ricorso alla pena di morte, essendo consapevoli che non reggerebbero al vaglio internazionale”, ha dichiarato Clare Algar.
“Le esecuzioni si svolgono in segreto in tutto il mondo. In alcuni paesi, dalla Bielorussia al Botswana fino all’Iran e il Giappone, le esecuzioni sono condotte senza informare preventivamente familiari, avvocati o in alcuni casi gli interessati stessi”, ha proseguito Clare Algar.
Rapporto sulla pena di morte nel mondo: i paesi abolizionisti
Sono 106 i paesi che in tutto il mondo hanno abolito la pena di morte dal loro ordinamento per tutti i reati e 142 quelli che l’hanno abolita nella legge o nella prassi.
Per la prima volta dal 2011, c’è stato un calo nel numero di paesi in cui è stata applicata la pena di morte nell’area dell’Asia e Pacifico, con esecuzioni in sette nazioni. Giappone e Singapore hanno drasticamente ridotto il numero di persone messe a morte, rispettivamente da 15 a 3 e da 13 a 4.
Per la prima volta dal 2010, non sono state registrate esecuzioni in Afghanistan. Anche a Taiwan e in Thailandia, dove nel 2018 c’erano state esecuzioni, sono state registrate delle sospensioni; al contempo, Kazakistan, Russia, Tagikistan, Malesia e Gambia hanno continuato a rispettare le moratorie ufficiali.
Inoltre, molti paesi hanno compiuto progressi positivi nel mettere fine alla pena di morte.
Ad esempio, il presidente della Guinea Equatoriale ad aprile ha annunciato che il governo introdurrà una normativa atta ad abolire la pena di morte. Sviluppi positivi che potrebbero portare all’abolizione della pena di morte sono stati registrati anche nella Repubblica Centrafricana, in Kenya, Gambia e Zimbabwe.
Anche le Barbados hanno eliminato la pena di morte obbligatoria dalla Costituzione.
Negli USA, il governatore della California ha istituito una moratoria ufficiale sulle esecuzioni nello stato americano, che registra il maggior numero di persone nel braccio della morte, e il New Hampshire è divenuto il 21° stato americano ad abolire la pena di morte per tutti i reati.
Tuttavia, alcuni tentativi nelle Filippine di reintrodurre la pena di morte per “reati efferati legati a sostanze stupefacenti e frodi” e le azioni dello Sri Lanka per la ripresa delle esecuzioni per la prima volta in oltre 40 anni hanno compromesso i progressi verso l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Il governo federale statunitense ha anche minacciato di riprendere le esecuzioni dopo quasi venti anni dall’ultima persona messa a morte.
“Dobbiamo continuare a tenere alta l’attenzione verso l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo”, ha dichiarato Clare Algar.
“Chiediamo a ogni singolo stato di abolire la pena di morte. Bisogna esercitare una pressione a livello internazionale sui pochi che ancora la applicano perché mettano fine per sempre a questa pratica disumana”, ha concluso Clare Algar.
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(1) I dati presentati in questo rapporto riguardano il solo uso giudiziario della pena di morte. Amnesty International riporta solo i dati per i quali trova una conferma, per alcuni paesi il dato reale può essere significativamente più alto. Alcuni paesi nascondono intenzionalmente le informazioni sulla pena di morte, altri non conservano o non rendono disponibili i dati sul numero di sentenze capitali e di esecuzioni.
12) NOTIZIARIO
Iran. Immediatamente messo a morte un prigioniero politico estradato dall’Iraq. Il prigioniero politico Mostafa Salimi è stato impiccato l’11 aprile nella città iraniana di Saqqez dopo essere stato estradato dal Kurdistan iracheno. Mostafa Salimi era stato condannato a morte in Iran 17 anni fa, ma era riuscito ad evadere insieme ad una settantina di altri prigionieri durante una rivolta scoppiata nel carcere di Saqqez il 27 marzo scorso per il terrore del COVID-19. Dopo di che aveva chiesto inutilmente asilo politico in Iraq. “La pena di morte è una punizione disumana. Inoltre, l'esecuzione di Mostafa Salimi ha violato tutte le norme internazionali. È stato condannato a morte dai tribunali rivoluzionari senza un giusto processo” – ha dichiarato il direttore Iran Human Rights (IHR) Mahmood Amiry-Moghaddam – “Le condanne a morte in Iran hanno continuato ad essere eseguite anche durante l’epidemia di COVID-19 e l'isolamento del Paese. Ciò dimostra che la pena di morte è cruciale per la sopravvivenza della Repubblica Islamica”. Salimi era stato condannato alla pena capitale per rapina nel 2003 ma era considerato da IHR soprattutto un valoroso oppositore politico.
Taiwan. Seconda esecuzione dopo l’insediamento della presidente Tsai Ing-wen. Anche se la pena di morte ha un forte sostegno popolare a Taiwan, la presidente Tsai Ing-wen, nonché molti parlamentari del Partito Democratico al potere, si sono ripromessi di arrivare al più presto all’abolizione della pena capitale. Tuttavia è stata portata a termine la seconda esecuzione da quando Tsai Ing-wen è entrata in carica a maggio del 2016. Il 1° aprile è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa il pluriomicida 54-enne Weng Jen-hsien (nella foto). Le cronache riportano che prima del capodanno lunare del 2016, Weng acquistò del gasolio e, quando i suoi parenti si radunarono in una stanza per la tradizionale festa di capodanno, egli irruppe nella stanza, innaffiò tutti di gasolio e appiccò il fuoco. I suoi genitori, due cugini e la moglie di un cugino perirono, mentre altri 5 parenti sopravvissero pur riportando ustioni. Weng Jen-hsien aveva accumulato un grande rancore nei riguardi dei suoi che, a suo parere, lo sfruttavano facendogli fare i lavori più faticosi nell’azienda agricola familiare di Taoyuan.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 aprile 2020