FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 170 – Maggio / Giugno 2009
Delara Darabi in carcere
SOMMARIO:
1) Dal verbale dell’assemblea di Firenze del 3 maggio 2009
2) Si è tenuta a Roma l’Assemblea della Coalizione Mondiale
3) Basta con le votazioni sulla moratoria!
4) Per Troy Davis almeno un’altra estate da vivere
5) L’esecuzione di Delara Darabi, brutale e proditoria
6) L’ex soldato Steven Green condannato all’ergastolo
7) Agonizza in Italia l'unico processo per una rendition
8) Attività legislativa: veto in Connecticut all’abolizione
9) Anche il Togo abolizionista totale
10) La pena di morte non è un deterrente speciale
11) Ansia e tristezza in una lettera di Fernando
12) Davo tutto per scontato diWilliam Moore
13) “Il diritto di non uccidere”
14) Notiziario
1) DAL VERBALE DELL’ASSEMBLEA DI FIRENZE DEL 3 MAGGIO 2009
L’Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau/Ellis One Unit si è riunita il 3 maggio 2009 […] Si affronta […] il seguente ordine del giorno: 1. Relazioni sulle attività svolte dal Comitato Paul Rougeau dopo l’Assemblea del 15 giugno 2008; 2. situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci; 3. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2008; 4. ratifica di eventuali dimissioni dal Consiglio direttivo; elezione di membri del Consiglio direttivo. Eventuale breve sospensione dei lavori dell’Assemblea per consentire una riunione del nuovo Consiglio direttivo con il rinnovo delle cariche sociali. 5. Eventuale prosieguo dell’impegno del Comitato Paul Rougeau a supporto del caso legale di Larry Swearingen condannato a morte in Texas; 6. programmazione di un eventuale tour in Italia di Dale e Susan Recinella nell’anno 2010 per una serie di conferenze; 7. redazione del Foglio di collegamento; 8. gestione del sito del Comitato; 9. discussione delle strategie abolizioniste; 10. discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività in corso; proposte di nuove attività da parte dei soci, programmazione ed approvazione delle stesse; 11. proposte rivolte ai soci che non fanno parte dello staff del Comitato di collaborare attivamente in iniziative consone alle loro rispettive possibilità ed esperienze; 12. raccolta fondi e allargamento della base associativa; 13. ricerca di adesioni ideali di personalità al Comitato Paul Rougeau; 14. varie ed eventuali. In apertura di seduta si affronta il punto 1. all’o. d. g.; […] Giuseppe Lodoli, Grazia Guaschino e Stefania Silva relazionano sulle principali attività svolte dal Comitato dopo l’Assemblea del 15 giugno 2008. Del Foglio di Collegamento (F. d. C.), […] in questo periodo sono usciti 8 numeri, […] la quantità di pagine del bollettino è stata largamente superiore al minimo programmato di 12 pagine per ogni numero […] Per la preparazione del Foglio di collegamento sono state raccolte ed esaminate oltre 1.100 pagine di documentazione. Il F. d. C. viene attualmente spedito in forma cartacea a 45 persone, lo stesso numero dell’anno precedente. Da tre anni il numero delle copie su carta del F. d. C. si è stabilizzato. 307 persone ricevono il F. d. C. per e-mail, di queste una ventina lo riceve anche su carta. Complessivamente ricevono il F. d. C. circa 330 persone con un incremento di 30 unità rispetto all’anno precedente. […] Per aumentare la probabilità che i destinatari leggano il F. d. C. si era inoltre proposto di renderlo più appetibile e vivace, cosa che non si è riuscita a fare. Si continuerà a perseguire questi due obiettivi. C’è da tener presente che così com’è il nostro bollettino è uno dei pochissimi periodici italiani centrati sulla pena di morte e l’unico che cerchi di operare un certo approfondimento. Giuseppe Lodoli lamenta il fatto che sia diminuito il numero di persone che scrive articoli per il bollettino. Si cercherà di stimolare una maggiore varietà di apporti. […] E’ necessario trovare persone che si prestino a rivedere il bollettino in bozza per correggere errori banali ma anche sostanziali che attualmente rimangono in numero eccessivo in esso nonostante le revisioni di Giuseppe e di Grazia. […] Riprendendo la relazione delle attività svolte (punto 1.),Giuseppe fa presente che nell’ultimo anno non sono state prodotte nuove edizioni dell’Opuscolo del Comitato e che l’edizione di aprile 2008 è quasi esaurita. […] Del libro su Gary Graham sono state vendute 16 copie [...] Occorrerebbe trovare il modo di smaltire le 181 copie in giacenza. Ogni altro tipo di materiale propagandistico e di materiale vendibile in occasione di raccolte fondi è in via di esaurimento; di magliette del Comitato ne sono rimaste solo una ventina. Bisogna trovare qualcuno che si occupi di produrre il materiale […] Non si è fatto più nulla per quanto riguarda la campagna per protestare contro le condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas (ultima lettera inviata nel gennaio 2007). Esponenti del C. P. R. (Grazia, Paolo, Giuseppe, Marinella…) hanno partecipato ad un totale di circa 10 eventi abolizionisti/ culturali/formativi/di raccolta fondi (per lo più incontri nelle scuole sul tema della pena di morte e sui diritti umani.) [...] Sono stati mantenuti dei contatti con la Comunità di Sant’Egidio. Rapporti con Amnesty International: partecipazione ad incontri nelle scuole e in altri luoghi. [...] Collaborazione in diverse occasioni con il Coordinamento Pena di Morte di Amnesty Sezione Italiana, in particolare per l’azione urgente in favore di 5 donne in Iran, tra novembre e dicembre[…]: raccolte e inviate al capo del potere giudiziario dell’Iran ben 607 firme su carta. E’ proseguita, su input di Amnesty, la mobilitazione on-line in favore di Troy Davis condannato a morte in Georgia. [...] Collaborazione con la World Caolition Against the Death Penalty in occasione della Giornata mondiale del 10 ottobre 2008: abbiamo preparato una articolata e organica petizione al Governo Giapponese per chiedere l’abolizione/la moratoria della pena di morte. […] Consegnata la petizione a mano all’Ambasciata del Giappone in Italia il 17 ottobre. Nello stesso giorno la petizione è stata spedita per posta al Primo Ministro Taro Aso e al Ministro della Giustizia Eisuke Mori, oltre che ai tre più importanti quotidiani nipponici [...]. Assistenza a Larry Swearingen, condannato a morte in Texas molto probabilmente innocente: raccolti in un mese e mezzo, dal 30 ottobre al 19 dicembre 2008, 3.500 dollari per la sua difesa legale. Tali fondi sono serviti per un’ulteriore perizia a favore del condannato fatta una decina di giorni prima della data dell’esecuzione fissata per il 27 gennaio 2009. La perizia è stata uno dei due motivi della sospensione dell’esecuzione di Larry con 24 ore di anticipo sul momento fissato. Passando direttamente al punto 5. si discute a lungo se aderire alle ulteriori richieste di raccolta fondi provenienti da Larry Swearingen [...] Si deciderà dopo aver avuto informazioni dall’avvocato difensore del condannato [...] Proseguendo la relazione sulle attività svolte dopo la precedente assembra, Giuseppe parla dell’assistenza e delle consulenze prestate a una mezza dozzina di corrispondentidi condannati a morte, anche attraverso il gruppo ‘sistas’ e della mobilitazione in favore del messicano José Medellin, condannato a morte in Texas in violazione al Trattato di Vienna sulle Relazioni Consolari, che è stato comunque ucciso il 5 agosto 2008. Dopo l’ultima assemblea sono statiricevuti circa 14 mila messaggi e-mail (15 mila nel periodo precedente, con 2 mesi in più) e mandati oltre 3.000 messaggi (2.500 nel periodo precedente, con 2 mesi in più). Stefania riferisce che l’attività del gruppo ‘sistas’ [...] L’invio di soldi, a 7 detenuti, si è ridotto [...] Si è molto ridotta la corrispondenza con i detenuti. Le persone tuttora attive nel gruppo ‘sistas’, che erano una dozzina, ora sono circa la metà. Grazia riferisce sulle due conferenze di due ore ad un totale di 7 classi terze tenute il 27 marzo nella scuola media di Novara nella quale insegna la socia Anna Maria Esposito. La conferenza era stata preceduta e preparata da una specifica attività didattica [...] Grazia riferisce che è stato adottato dal Comitato come corrispondente privilegiato dal braccio della morte, Fernando Eros Caro rinchiuso nel braccio della morte di San Quentin in California. Si tratta di un detenuto saggio e sereno che ha scritto contributi molto interessanti per il Foglio di Collegamento. [...] Punto 2. Loredana riferisce che gli iscritti al Comitato sono attualmente 101, dei quali 50 sono da sollecitare perché la loro quota sociale è scaduta (dal 2008 in poi). Si decide di passare l’archivio dei soci a Lorenza Giangregorio di Roma [...] L’obiettivo di Lorenza deve essere quello di avvicinare il più possibile il numero delle quote sociali pagate nell’anno, al numero dei soci. Si passa al punto 3. e Paolo Cifariello illustra il rendiconto relativo all’anno solare 2008. Si sono incassate 50 quote associative per complessivi 1.808 euro. [...] Ci sono in entrata 1.300 euro da offerte varie. Tra le altre entrate sono di un certo peso quelle per la vendita del libro “Poeti da Morire” (quasi 700 euro) a fronte di una spesa per l’acquisto di tali libri di 300 euro. Tra le uscite sono preponderanti quelle per la stampa e la spedizione del bollettino su carta (1.010 euro) una somma pari al 55% delle quote associative incassate. [...] A fine 2008 avevamo in cassa 3.205 euro. Le partite di giro per le rimesse ai detenuti si sono ridotte moltissimo. Nel 2007 si ebbero 30 trasferimenti a 11 detenuti per più di 4.600 euro, nel 2008 i trasferimenti sono stati 11 a 3 detenuti per 1.700 euro. [...] Il bilancio presentato dal tesoriere Paolo Cifariello viene approvato all’unanimità. Si passa al Punto 4. Siccome i 5 membri del Consiglio Direttivo presenti alla riunione sono dimissionari e il mandato biennale di Annamaria Esposito è in scadenza, occorre nominare un minimo di 5 e un massimo di 7 membri. [...] L’Assemblea dei Soci del Comitato Paul Rougeau elegge all’unanimità come membri del Consiglio direttivo previsto nell’articolo 11 dello Statuto i soci Paolo Cifariello, Annamaria Esposito, Lorenza Giangregorio, Loredana Giannini, Maria Grazia Guaschino, Giuseppe Lodoli, Stefania Silva. […] Si eleggono all’unanimità dei presenti: Giuseppe Lodoli a presidente, Stefania Silva a vice presidente, Paolo Cifariello a tesoriere. […] viene affrontato il punto 6 all’o. d. g. Grazia ha sentito Dale Recinella il quale ha manifestato ben volentieri la sua disponibilità per un giro di conferenze di due o tre settimane in Italia nel periodo […] tra aprile e maggio del 2010. [...] Dale è disponibile a rimanere in Italia per due o per tre settimane a seconda del numero degli incontri da tenere. [...] Hanno già manifestato interesse ad avere Dale, Annamaria Esposito a Novara, e Stefano Zanini e Francesca Giorgetti ad Udine. Sicuramente ci saranno uno o più incontri a Torino. A Loredana viene dato l’incarico di organizzare degli incontri a Firenze e dintorni, ovviamente con l’appoggio di tutto lo staff del Comitato. Giuliana si potrebbe incaricare di eventuali incontri alla Comunità delle Piagge, nella scuola del Poggio Imperiale e nelle scuole degli Scolopi a Firenze. Giuseppe si occuperà di eventuali incontri a Roma e a Pisa. [...] Si discute delle strategie abolizioniste (punto 9.) riflettendo sul fatto che tutte le iniziative abolizioniste di lungo periodo a cui ha partecipato il Comitato (campagna Rimbalzo, campagna Digiuno a catena, campagna per protestare contro le condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas) sono sospese […] per mancanza di risorse umane. Ci si propone ancora una volta di riprenderle in tutto o in parte magari utilizzando le forze fresche di nuovi collaboratori dello staff. Su proposta di Stefania si decide di individuare un sottoinsieme della mailing list del Comitato – per esempio 50 o 60 indirizzi - a cui inoltrare le richieste di partecipare a petizioni che arrivano al Comitato via Internet. Essendosi in precedenza esaurito il punto 11., si passa al punto 12. Si proporrà alle sette persone che si sono recentemente offerte di collaborare col Comitato un’ampia rosa di possibilità che comprenda ad esempio le traduzioni per il sito, la raccolta fondi (cene e mercatini), la vendita di materiale promozionale, la revisione degli articoli del bollettino, la ricerca di adesioni ideali di personalità. Punto 13. Ci si propone di ottenere l’adesione ideale al Comitato di Gherardo Colombo autore del libro esemplare “Sulle regole” che tratta della società democratica e si occupa ripetutamente dell’abolizione della pena di morte. [...]
2) SI È TENUTA A ROMA L’ASSEMBLEA DELLA COALIZIONE MONDIALE
Si è svolta a Roma l’Assemblea generale della Coalizione Mondiale Contro al Pena di Morte, organismo internazionale che da sette anni svolge un significativo ruolo nel processo abolizionista, potenziando ed armonizzando gli sforzi fatti da 95 organizzazioni grandi e piccole che operano per l’abolizione universale. Il Comitato Paul Rougeau, che fa parte della Coalizione fin dalla sua nascita, ha partecipato all’assemblea con una propria delegazione.
Si è tenuta a Roma il 13 giugno l’Assemblea generale della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte. La riunione si è svolta presso la sede della Comunità di Sant’Egidio, lo stesso luogo in cui fu creata il 13 maggio del 2002.
Il Comitato Paul Rougeau aderisce con convinzione fin dall’inizio alla Coalizione Mondiale che ha il merito di stimolare e coordinare gli sforzi delle grandi organizzazioni abolizioniste che operano su scala internazionale ma anche di sostenere l’attività svolta a livello regionale da piccole associazioni che operano con mezzi limitati in paesi scarsamente democratici dell’Africa e dell’Asia.
Il 13 giugno si sono aggiunte 7 nuove associazioni, tra cui Nessuno Tocchi Caino, alle 88 organizzazioni già facenti parte della Coalizione Mondiale (20 delle quali entrate nel 2008) portando a 95 i membri, provenienti da tutti e cinque i continenti, di questo significativo e importante organismo.
E’ stato nominato il nuovo Comité de pilotage (Consiglio direttivo) della Coalizione eleggendo 20 tra le 22 organizzazioni che si erano candidate a farne parte. Tra di esse figurano Amnesty International, la francese Ensemble contre la peine de mort, la Comunità di Sant’Egidio e la Regione Toscana.
Nel corso dell’assemblea sono stati approvati la relazione sulle attività (notevole la mobilitazione in occasione delle Olimpiadi di Pechino e della Giornata Mondiale del 10 ottobre 2008 centrata sull’Asia) e il bilancio consuntivo (di circa 115.000 euro in gran parte donati dalla Commissione Europea) relativi al 2008, nonché il programma per i prossimi 12 mesi, proposto dal Comité de pilotage uscente. Esso comprende lo svolgimento della Giornata mondiale del 10 ottobre 2009 - che sarà dedicata ad un’attività didattica sull’abolizione della pena di morte (“Insegniamo l’abolizione”) - una collaborazione scientifica alla preparazione del Quarto Congresso mondiale Contro al Pena di Morte (che si terrà a Ginevra tra il 24 e il 26 febbraio 2010), una campagna mondiale per promuovere la ratifica del Secondo Protocollo Opzionale del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, un’azione di lobbying presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) per la moratoria. La Coalizione si propone di promuovere la votazione di una nuova risoluzione sulla moratoria della pena di morte nella sessione dell’UNGA del 2010.
A proposito di una nuova votazione in UNGA, il Comitato Paul Rougeau ha fatto presente che pur dovendosi intensificare l’opera di convincimento nei riguardi dei paesi mantenitori della pena di morte, mantenendo esplicita e forte la richiesta al Segretario Generale delle Nazioni Unite di monitorare costantemente l’implementazione della moratoria, risulta controproducente ripetere votazioni in UNGA che danno sempre il medesimo risultato. La delegazione del Comitato Paul Rougeau (formata da Giuseppe, Stefania e Lorenza) ha consegnato l’intervento scritto di cui all’articolo seguente alla presidenza dell’Assemblea, pregandola di trasmetterlo al Comité de pilotage.
3) BASTA CON LE VOTAZIONI SULLA MORATORIA!
La risoluzione per la moratoria della pena di morte approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2007 ha avuto un grande un significato ideale ma ha anche evidenziato una profonda spaccatura tra stati. Vi è pertanto la necessità di fare opera di convinzione nei riguardi dei paesi che hanno contestato la risoluzione invece di ripetere periodicamente, in modo pressoché identico, le votazioni in Assemblea Generale dell’ONU. Pubblichiamo un nostro intervento in proposito svolto nel corso dell’Assemblea Generale della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte il 13 giugno
Il movimento per la ‘moratoria’ è principalmente un movimento ideale, ma ha prodotto, nei fatti, anche un conflitto culturale e politico.
L’obiettivo di arrivare a scrivere in documenti ufficiali delle Nazioni Unite un invito rivolto a tutte le nazioni del mondo di sospendere le esecuzioni capitali e di riflettere sulla pena di morte in vista della sua universale abolizione, è stato raggiunto numerose volte. Per esempio, a cominciare dal 1997, ciò è avvenuto con le risoluzioni approvate ogni anno in seno alla Commissione ONU per i Diritti Umani (poi diventato Consiglio ONU per i Diritti Umani) e, in maniera più visibile e solenne, in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2007.
Il raggiungimento di quest’ultimo obiettivo ha avuto un grande significato ideale ma ha anche avuto conseguenze negative sul piano culturale e politico. Infatti la risoluzione è stata contestata da una sessantina di paesi che negano la sua stretta attinenza con i diritti umani fondamentali e la considerano una indebita interferenza negli affari interni dei paesi membri delle Nazioni Unite.
Nel febbraio del 2008, 58 di tali paesi hanno presentato un duro documento al Segretario Generale delle Nazioni Unite in cui chiariscono che non accettano la risoluzione per la moratoria e neanche la giurisdizione in merito dell’Assemblea Generale.
Pertanto, all’indomani del raggiungimento dell’obiettivo della risoluzione per la moratoria in Assemblea Generale, nella prima metà del 2008, si palesava chiaramente la necessità di abbassare i toni e di intensificare il colloquio privato, sommesso e paziente, degli abolizionisti nei riguardi dei paesi mantenitori per convincerli del fatto ovvio che l’abolizione universale della pena di morte non costituirà una sconfitta per nessuno bensì una vittoria per tutta l’umanità.
Si è preferito invece continuare ad impiegare energie per ottenere una nuova risoluzione per la moratoria in Assemblea Generale ONU, che è giunta esattamente un anno dopo la prima e che ha riprodotto esattamente la spaccatura verificatasi la volta precedente. Si è acutizzata la contrapposizione tra paesi. Non è aumentato, ma semmai ne risulta appannato, il significato ideale che aveva avuto la precedente risoluzione.
Anziché cercare di prevalere, bisogna convincere. Aveva osservato, in questo giustamente, Vanu Gopala Menon, ambasciatore di Singapore alle Nazioni Unite, all’indomani dell’approvazione della prima risoluzione per la moratoria: “Non c’è stato nessun tentativo reale di cercare consenso e di persuadere gli altri avanzando degli argomenti”.
Pur continuando a chiedere al Segretario Generale dell’ONU di monitorare continuamente l’implementazione della moratoria, a nostro avviso occorre evitare di inflazionare le votazioni in merito. Noi del Comitato Paul Rougeau siamo contrari a nuove votazioni sulla moratoria in Assemblea Generale.
Ripetiamo: la pena di morte scomparirà dalla faccia della Terra soltanto quando avremo convinto ogni paese che il suo superamento è una conquista per tutto il genere umano e non è una sconfitta per nessuno. Non sono possibili azioni di forza. Non ci possiamo risparmiare la fatica e soprattutto la pazienza che sono necessarie per arrivare al traguardo.
4) PER TROY DAVIS ALMENO UN’ALTRA ESTATE DA VIVERE
La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di esaminare o meno l’ennesimo ricorso di Troy Davis, annunciata per il 29 giugno, non vi è stata. Questo significa che l’esecuzione del condannato a morte della Georgia non potrà essere fissata prima del prossimo autunno, stagione in cui si terrà la prossima sessione della massima corte di giustizia americana. Ci auguriamo che ciò non avvenga mai.
La Corte Suprema degli Stati Uniti doveva far sapere a fine giugno se intendeva prendere di nuovo in considerazione il caso di Troy Anthony Davis, un caso cruciale su cui è impegnata allo spasimo Amnesty International USA, del quale ci siamo ripetutamente occupati (v. ad es. nn. 163, 164, 165, Notiziario, 169). Ma non lo ha fatto. Questo significa che la vita del condannato è salva almeno per alcuni mesi, fino alla prossima sessione della Corte Suprema che si terrà in autunno.
Ricordiamo che il 23 settembre scorso la Corte Suprema intervenne in extremis ordinando una sospensione dell’esecuzione di Davis con due ore di anticipo sul momento fissato per l’iniezione letale. Si trattava della seconda sospensione in due anni. Tuttavia un mese dopo la stessa Corte decise di consentire l’esecuzione nonostante il fatto che Davis fosse stato dichiarato colpevole solo in base a 9 testimonianze oculari, 7 delle quali furono successivamente ritrattate o modificate.
Il condannato sarebbe dunque morto se il 24 ottobre la Corte Federale d’Appello dell’Undicesimo Circuito non fosse intervenuta concedendo un’ulteriore sospensione. Tale corte il 16 aprile ha però respinto il ricorso di Davis pur lasciandogli un mese per ritornare ad appellarsi alla Corte Suprema (v. n. 169). L’appello fu presentato; poteva anche essere rigettato senza esser preso in considerazione ma una decisione in merito non è stata presa entro il termine del 29 giugno che la Corte Suprema si era posto.
Una delegazione di oltre 20 persone, appartenenti all’Associazione Nazionale Americana per il Progresso delle Persone di Colore (NAACP), ad Amnesty International e ad altre organizzazioni per i diritti civili, lo stesso giorno ha consegnato a Larry Chisolm, nuovo Procuratore Distrettuale competente, l’ennesima petizione in favore del condannato. E’ stata consegnata a mano all’ufficio di Chisolm una grande scatola contenete 60 mila firme.
La speranza è che Larry Chisolm voglia intervenire in favore di Troy Davis, che è un nero. Anche in virtù del fatto che Chisolm, anche lui un nero, è stato eletto nella Contea di Chatham cui appartiene Savannah, la città di Davis, con un forte sostegno della popolazione di colore.
“Abbiamo sufficienti prove, riteniamo, per dimostrare che Troy Anthony Davis è innocente,” ha dichiarato in una conferenza stampa improvvisata Prince Jackson, presidente della sezione di Savannah della NAACP. “Chiediamo che gli sia data una possibilità. Dopo tutto è in gioco la sua vita”.
Non possiamo nasconderci che la strada verso la salvezza per Troy Davis è estremamente stretta e difficoltosa. La sua esecuzione rimane più che probabile. Rappresenterebbe una grave sconfitta per la giustizia, e per il movimento abolizionista che ha avuto il merito di mantenerlo in vita fino ad ora. Ci auguriamo l’esecuzione non avvenga, per lui come per ogni altro condannato a morte.
5) L’ESECUZIONE DI DELARA DARABI, BRUTALE E PRODITORIA
L’impiccagione improvvisa in Iran di Delara Darabi, minorenne all’epoca del delitto che le fu contestato, oltre a costituire una violazione sostanziale dello spirito dei trattati internazionali sui diritti umani, viola la lettera della stessa legge iraniana e costituisce uno sprezzante rigetto delle richieste internazionali di risparmiare la ragazza riversatesi sul regime degli ayatollah fin dal 2006.
Alle 7 di mattina del 1° maggio la 22-enne Delara Darabi telefona a casa dal carcere di Rasht in Iran. “Oh mamma, vedo il cappio di fronte a me,” dice con la voce spezzata. “Stanno per uccidermi. Ti prego salvami!” Un funzionario della prigione le strappa il ricevitore e urla: “Possiamo facilmente giustiziare vostra figlia e voi non potete farci niente.” I genitori disperati corrono alla prigione e, prostrati, scongiurano le guardie di consentir loro di vedere Delara. In quel momento esce dal carcere un’ambulanza: probabilmente contiene il corpo senza vita della loro figlia.
L’improvvisa impiccagione di Delara Darabi – minorenne all’epoca del crimine che le fu contestato - ha violato, oltre che lo spirito dei trattati internazionali sui diritti umani (1), anche la lettera della legge iraniana secondo la quale l’avvocato difensore di un condannato a morte deve essere preavvisato dell’esecuzione come minimo 48 ore prima. Ha anche violato un ordine del Capo del potere giudiziario iraniano Ayatollah Shahroudi il quale – sotto le pressioni internazionali - il 19 aprile aveva sospeso per due mesi l’esecuzione della ragazza. Secondo Amnesty International, “ciò appare come una cinica mossa delle autorità per evitare proteste interne e internazionali che avrebbero potuto salvare la vita di Delara Darabi.”
E’ finita così una orribile vicenda che ha tenuto col fiato sospeso gli attivisti per i diritti umani fin dal 2006, anno in cui si è risaputo del caso Darabi. Nel 2006, sotto le pressioni internazionali, vi era stato un annullamento della condanna a morte di Dealara, poi ripristinata. Per scongiurare l’esecuzione di Delara Darabi si è battuta in particolare la Sezione Italiana di Amnesty International. Il Comitato Paul Rougeau ha pubblicizzato il suo caso e una petizione in suo favore (v. nn. 135, 149, Notiziario).
Delara Darabi fu condannata all’impiccagione (nonché a 50 frustate per rapina e a 20 frustate per concubinaggio) nel febbraio del 2005, in seguito all’uccisione di una ricca cugina del padre nel corso di una rapina avvenuta nel 2003, solo sulla base della sua confessione.
Ella in seguito ha ritrattato e dichiarato di essersi falsamente accusata dell’omicidio, nella convinzione di scampare il capestro perché minorenne, omicidio che avrebbe invece compiuto il suo ragazzo, Amir Hossein, di due anni più grande di lei.
Amnesty International considera scorretto l’iter giudiziario cui è stata sottoposta la Darabi perché non sono state considerate prove emerse successivamente al processo che potevano scagionarla.
Nella prigione centrale di Rasht, Delara Darabi aveva subito gravi maltrattamenti (riportando la frattura di un braccio) e aveva tentato il suicidio. Invano i genitori avevano chiesto che fosse spostata in un altro carcere.
Poi lei aveva reagito dedicandosi alla pittura e dimostrando un talento non comune. Era soprannominata ‘la prigioniera dei colori’ anche se molti dei sui lavori sono in bianco e nero: decisi tratti di carbonella esprimono angoscia, volti deformati. Altri dipinti presentano delle macchie rosse schizzate sui foulard chiari delle prigioniere, o larghe pennellate rosse sullo sfondo ad esprimere l’orrore della detenzione.
Riproduzioni di dipinti di Delara Darabi, spiccavano nel pomeriggio del 6 maggio su una specie di altarino al centro di una distesa di fiori bianchi, deposti in segno di lutto a Roma, nei pressi dell’Ambasciata dell’Iran, per iniziativa di Amnesty International. Abbiamo aderito anche noi alla silenziosa e mesta manifestazione cui hanno partecipato la nuova Presidente della Sezione Italiana di Amnesty Christine Weise e un’ottantina di Romani. Abbiamo portando alcuni rami di fiori bianchi. Lunghi rami spinosi.
Mentre la famiglia seppelliva Delara, uno dei suoi avvocati, Mohammad Mostafaei - valoroso attivista per i diritti umani che si batte contro alla pena di morte per i minorenni (2) - ha ricordato che la ragazza gli aveva dedicato il quadro di un uomo attempato che suona il violino: “Non sapeva che quel vecchio stava suonando la sua canzone funebre”.
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(1) L’Iran fa parte di due trattati che proibiscono la pena di morte per i minorenni all’epoca del reato: il Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici e la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, sia pure ponendo delle riserve che lasciano mano libera al potere religioso.
(2) Mohammad Mostafaei è stato arrestato dalle autorità iraniane il 25 giugno nel caotico periodo post elettorale. A fine mese non si conosce ancora il motivo del suo arresto, né il luogo in cui è stato portato.
6) L’EX SOLDATO STEVEN GREEN CONDANNATO ALL’ERGASTOLO
Il texano Steven Green, l’unico statunitense ad essere finito sotto processo capitale per crimini di guerra commessi in Iraq, il 21 giugno ha scampato la pena di morte per un soffio: ha ricevuto una condanna a vita senza possibilità di liberazione sulla parola perché la giuria non è riuscita a raggiungere l’unanimità
Ha scampato la pena di morte l’unico militare americano sottoposto a processo capitale per crimini di guerra commessi in Iraq e, per quanto ne sappiamo, in tutto il mondo, nel corso della ‘guerra globale al terrore’ dopo l’11 settembre 2001.
Ma ci è andato molto vicino l’ex soldato semplice Steven Dale Green, un texano di 24 anni (vedi nn. 141, 147, Notiziario, 169). Riconosciuto colpevole il 7 maggio di 17 capi di imputazione per crimini di guerra, tra cui omicidio premeditato, da una corte federale in Kentucky, Green non è stato condannato a morte per il fatto che nella fase processuale di inflazione della pena, il 21 maggio, dopo una intera giornata di discussioni, non si è raggiunta la prescritta unanimità nella giuria di 12 membri. Gli è stata così inflitta la condanna al carcere a vita senza la possibilità di liberazione sulla parola. Una pena incivile ed inaccettabile nella sua assolutezza ma pur sempre preferibile alla pena di morte.
La difesa di Green si era data molto da fare per far riconoscere all’imputato forti attenuanti e aveva convinto, evidentemente, almeno qualche giurato. In effetti, tre mesi prima di compiere un’orrenda strage, Steven Green, come i suoi compagni di plotone, disse ad un consulente militare esperto di stress che avrebbe voluto vendicarsi sugli Iracheni, compresi i civili, per le perdite che la guerriglia aveva inflitto al suo battaglione, inclusa la morte di un sergente cui egli era particolarmente affezionato. Il consulente definì il plotone ‘non in grado di svolgere la sua missione’ a causa del basso morale, dello stress da combattimento e della rabbia vendicativa per le perdite subite. Affermò che l’unità necessitava di una forte supervisione e di riposo. Ma non se ne fece niente.
Proveniente da una famiglia disastrata, Steven Green aveva incontrato grosse difficoltà negli studi; era stato arruolato a 19 anni di età, per svolgere un delicatissimo compito in Iraq, nonostante avesse alcuni modesti precedenti penali derivanti dal consumo di alcool e di droga.
Almeno altri quattro Statunitensi, tuttora militari, furono coinvolti con Green nella strage di una famiglia irachena avvenuta a Mahmudiya il 12 marzo 2006 (1), ma costoro, processati da corti marziali, hanno avuto pene minori, e potrebbero tornare in libertà sulla parola dopo aver scontato 10 anni o anche meno.
Il trattamento molto più severo riservato a Steven Green deriva da diversi fattori: il ruolo particolarmente efferato da lui svolto durante il delitto, il fatto di non essere più un militare, il fatto che gli altri imputati abbiano ‘collaborato con la giustizia’ testimoniando contro Green, il fatto che si dovesse avere almeno un capro espiatorio da esibire agli Iracheni (che avrebbero voluto processate in proprio tutti i soldati statunitensi responsabili della strage e condannarli a morte senza tanti complimenti).
Nel rallegrarci sinceramente insieme alla famiglia del detenuto perché, sia pure in modo fortunoso, si è evitata una condanna a morte, non possiamo dimenticare la parzialità e l’estrema indulgenza con cui si processano (peraltro in rare occasioni) gli Statunitensi resisi responsabili, in giro per il mondo, di crimini ai danni di stranieri. (v. nn. 140, 141).
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(1) Il proposito dei militari di abusare di una ragazza di 14 anni, Abeer Qassim Hamza al-Janabi, si realizzò con lo stupro e l’uccisione della giovane, preceduti dall’assassinio dei suoi genitori e di sua sorella di 6 anni.
7) AGONIZZA IN ITALIA L'UNICO PROCESSO PER UNA RENDITION
Sono tali e tanti gli ostacoli posti dai governi italiano e statunitense allo svolgimento del processo per il rapimento dell’imam Abu Omar ad opera della C. I. A. nel febbraio del 2003 da mettere in dubbio la prosecuzione dell’unico procedimento al mondo contro la pratica illegale della extraordinary rendition.
L' imam Hassan Mustafa Osama Nasr, detto Abu Omar, fu rapito in strada a Milano il 17 febbraio 2003 da agenti segreti americani ed italiani. Fu trasportato in Egitto dalla C. I. A. dove venne imprigionato e, secondo quanto egli stesso ha dichiarato, sottoposto a torture. Fu fatta circolare la falsa notizia che se ne fosse andato nei Balcani.
Il processo per il rapimento di Abu Omar apertosi a Milano il 14 maggio 2008, che abbiamo cercato di seguire nelle sue fasi essenziali (vv. nn. 160, 163 Notiziario), va avanti a fatica, inframmezzato da lunghe pause. Dopo la prolungata attesa della decisione della Corte Costituzionale, chiamata in causa dal Governo italiano che oppone il segreto di stato, decisione arrivata solo l'11 marzo scorso, il 20 maggio il giudice presidente Oscar Magi ha deciso di mandare avanti l'unico processo al mondo conseguito alla pratica illegale della extraordinary rendition da parte della C. I. A. (1). Magi ha anche respinto la richiesta del più noto degli imputati italiani, il generale Nicolò Pollari, ex capo del Sismi, di chiamare a testimoniare i Presidenti del consiglio Prodi e Berlusconi.
Il 27 maggio Nicolò Pollari ha protestato in aula la propria innocenza dicendo di essere vittima del segreto di stato che gli impedisce di produrre un'ottantina di documenti che lo scagionerebbero. "Non possono difendermi - ha detto Pollari - senza commettere un reato gravissimo. Ho svolto una funzione pubblica con onore, sono un militare, ho patito ma sto zitto perché non voglio violare la legge".
Il giudice Magi ha deciso di continuare il procedimento nei riguardi di tutti e 33 gli imputati respingendo le richieste dei difensori di revocare le ordinanze di arresto per i cittadini stranieri. Tra gli imputati, i 26 Statunitensi sono contumaci e non verranno mai estradati. Infatti i due governi che dovrebbero eseguire l'estradizione si oppongono al processo e, per di più, il nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha autorizzato la prosecuzione della pratica della rendition.
Il compito dell'accusa sostenuta da Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, già difficile, è diventato improbo perché non possono più essere utilizzati alcuni documenti e dichiarazioni di testimoni che hanno consentito il rinvio a giudizio degli imputati. In conseguenza della decisione della Consulta, il 10 giugno il presidente Magi ha respinto la richiesta della procura di acquisire agli atti dichiarazioni rese da agenti del Sismi durante le indagini preliminari.
A questo punto - ci domandiamo - vale la pena di andare avanti? Se non per punire i colpevoli e scoraggiare la pratica della rendition, almeno il processo servisse per accertare la verità dei fatti al di là di quanto è emerso fino ad ora!
Ma la principale verità - di cui peraltro nessuno dubita - non verrà mai affermata in un'aula di giustizia perché si tratta del coinvolgimento diretto dei governi italiano e statunitense in quella che è stata, oltre che un'azione gravemente illegale, anche una grande corbelleria finita con un buco nell’acqua.
Non sono mancati contrasti e rivalità tra i numerosi agenti coinvolti. E colpi bassi. Alcune carriere sono decollate a scapito di altre bruscamente interrotte, come rivela il Los Angeles Times in un articolo del 19 maggio. Il colonnello Stefano D'Ambrosio, ex capo del Sismi a Milano, ha dichiarato in aula ad ottobre: "ci trovavamo tra il tragico e il ridicolo". Tanta frenesia non aveva alcuna plausibile giustificazione se, come ha affermato D'Ambrosio, l’ideologo estremista che gli Americani volevano rapire era ben controllato e "non era certamente un soggetto che rappresentasse un pericolo imminente. Abu Omar non andava in giro con un AK-47 ad ammazzare bambini."
L'ipotesi meno demenziale, tra quelle avanzate, è che la C. I. A. volesse sottoporre l'imam a forti pressioni affinché diventasse un proprio informatore (ruolo che, a quanto pare, Abu Omar, nonostante le sofferenze subite, si rifiutò comunque di svolgere).
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(1) Come è noto, la C. I. A. rapisce persone 'sospette di terrorismo' in ogni parte del globo e le trasporta in paesi terzi dove vengono interrogate, v. n. 134.
8) ATTIVITÀ LEGISLATIVA: VETO IN CONNECTICUT ALL’ABOLIZIONE
Proseguendo l’analisi dell’attività legislativa sulla pena di morte negli Stati Uniti cominciato nel numero precedente, diamo alcuni aggiornamenti sulle principali norme discusse e votate nell’ultimo scorcio delle sessioni parlamentari ordinarie del 2009 nei vari stati.
Purtroppo la novità più rilevante per quanto riguarda la normativa sulla pena di morte è l’apposizione del veto da parte della governatrice M. Jodi Rell sulla legge che aboliva la pena di morte in Connecticut. Anche in Colorado e in Maryland sono fallite le speranze di arrivare all’abolizione delle pena di morte, tuttavia in quest’ultimo stato la pena capitale è divenuta difficilmente applicabile. Decisamente negativi gli ultimi sviluppi per Nebraska, Nevada, North Carolina e Texas. (1)
Colorado. La proposta di legge che aboliva la pena di morte dedicando i fondi di conseguenza risparmiati alle indagini sui casi criminali rimasti irrisolti, dopo un’appassionata discussione e l’approvazione di misura alla Camera il 21 aprile, è stata respinta per un solo voto in Senato il 6 maggio.
Connecticut. Anche per merito degli abolizionisti impegnatisi in una qualificata e persuasiva azione di lobbying, i due rami del parlamento del Connecticut, in un appassionato ed anche aspro dibattito, hanno approvato la legge che aboliva la pena di morte, sostituendola con l’ergastolo senza possibilità di liberazione. Alla Camera dei Rappresentanti la legge è passata con 90 voti contro 56 il 13 maggio. Al Senato è stata approvata con 19 voti contro 17 il 22 maggio, alle 4 di notte dopo 11 ore di dibattito. Nonostante le preghiere degli abolizionisti e in primis dei parenti delle vittime del crimine che si oppongono alla pena capitale, la governatrice M. Jodi Rell ha posto il veto alla legge il 6 giugno preannunciandolo la sua mossa con 2 settimane di anticipo: “Appezzo le appassionate convinzioni di coloro che si schierano su fronti opposti riguardo alla pena di morte. Comprendo pienamente le preoccupazioni e le profonde certezze di coloro che vorrebbero vedere abolita la pena di morte in Connecticut. Tuttavia comprendo pienamente anche il tormento e l’offesa delle famiglie delle vittime che pensano, come me, che ci siano determinati crimini così atroci, così intrinsecamente repellenti per la nostra umanità, per i quali la pena di morte è appropriata.” La scelta della Governatrice deriva certamente dalle sue convinzioni personali ma è stata probabilmente facilitata dall’attaccamento della popolazione alla pena capitale. Secondo un sondaggio pubblicato il 26 maggio, il 61% dei cittadini del Connecticut è contrario a sostituire la pena di morte con l’ergastolo senza possibilità di liberazione, mentre il 34% è favorevole. In Connecticut vi sono 10 condannanti a morte, un solo condannato è stato ‘giustiziato’ dopo il ripristino della pena di morte negli USA avvenuto nel 1976.
Maryland. Per il governatore cattolico Martin O’Malley l’abolizione della pena di morte in Maryland costituiva un obiettivo prioritario nella sessione legislativa appena conclusasi. O’ Malley non è riuscito a convincere la maggioranza dei parlamentari e così ha dovuto accettare un compromesso: il provvedimento che aboliva la pena di morte si è trasformato in una legge che limita drasticamente le possibilità di ottenere sentenze capitali (v. n. 169). Il 7 maggio egli ha dunque firmato una legge che, a partire dal mese di ottobre, consentirà all’accusa di chiedere la pena di morte solo nei casi in cui sia in possesso di prove biologiche o del DNA, della videoregistrazione del crimine o di confessioni volontarie videoregistrate. Casi supportati solo da testimonianze oculari non potranno divenire casi capitali. Gli abolizionisti, aiutati dalla stampa, ora premono su O’Malley perché commuti le sentenze dei condannati a morte del Maryland (che ricevettero la pena capitale in condizioni molto meno restrittive di quelle previste dalla nuova legge). I condannati a morte in Maryland sono solo 5. In Maryland vige una moratoria di fatto dal 2006, anno in cui la Corte d’Appello dello stato ha sentenziato che i protocolli dell’iniezione letale in vigore non erano stati correttamente adottati. Si è avviato pertanto un macchinoso processo di revisione delle procedure di esecuzione tramite iniezione letale posto sotto la responsabilità del governatore. L’apposita commissione ha divulgato la bozza dei nuovi protocolli il 24 giugno: per la verità non vi sono variazioni sostanziali rispetto alla procedura generalmente in vigore negli USA. Gli abolizionisti sperano che passino molti mesi o addirittura anni prima che le nuove procedure possano essere definitivamente approvate consentendo la ripresa delle esecuzioni.
Nevada. Il 30 maggio è definitivamente fallito in Nevada un progetto di legge, introdotto in Parlamento il 18 febbraio, che ordinava uno studio sui costi della pena di morte e prevedeva una moratoria delle esecuzioni fino al 2011.
Nebraska. La legge che introduce l’iniezione letale come metodo di esecuzione al posto dell’elettrocuzione (dichiarata incostituzionale nel 2008) è stata approvata definitivamente a larga maggioranza e firmata dal governatore Dave Heineman il 28 maggio. Ora dovrà essere messo a punto il relativo protocollo che, si prevede, verrà fortemente dibattuto e contestato. L’Attorney General (Ministro della Giustizia) Jon Bruning pensa di poter chiedere una prima data di esecuzione col nuovo metodo entro due o tre anni. Valutazione giudicata fin troppo ‘ottimistica’ dagli abolizionisti. In Nebraska, dove non si verificano esecuzioni dal 1997, vi sono 11 condannati a morte.
North Carolina. Il 14 maggio, approvando un legge contro la discriminazione razziale nell’uso della pena di morte, il Senato ha fatto passare un emendamento atto a facilitare la ripresa delle esecuzioni, sospese dal 2006 a causa dei sospetti di incostituzionalità del protocollo dell’iniezione letale fino ad allora in uso. Il nuovo protocollo prevede la presenza di un medico e la questione è se l’ordine professionale possa o meno sottoporre a provvedimento disciplinare i medici che partecipano alle esecuzioni. L’emendamento è stato successivamente eliminato dall’altro ramo del Parlamento, nonostante ciò gli ostacoli alla ripresa delle esecuzioni in North Carolina sono stati praticamente rimossi da una serie di decisioni del potere giudiziario.
Texas. E’ bastato che il governatore Rick Perry ventilasse il suo veto perché la proposta di legge che avrebbe eliminato la famosa law of parties (che rende possibile condannare a morte complici di un delitto che non uccidono), approvata alla Camera in aprile, venisse emendata in Senato il 21 maggio in modo da richiedere soltanto processi capitali separati per i complici che non uccidono (cosa su cui Perry è d’accordo tanto è vero che usò questo argomento per giustificare la grazia concessa al nostro amico Kenneth Foster).
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(1) Vedi anche: http://www.deathpenaltyinfo.org/recent-legislative-activity#2009
9) ANCHE IL TOGO ABOLIZIONISTA TOTALE
Dopo l’abolizione della pena di morte da parte del Togo a fine giugno, che segue ad una distanza di due mesi l’abolizione in Burundi, i paesi abolizionisti totali in Africa sono 15. Nel mondo sono saliti a 94 e si intravede il superamento di quota 99: la metà dei paesi rappresentati alle Nazioni Unite. Congratulazioni vivissime agli abolizionisti togolesi!
Il 23 giugno, con una votazione unanime dell’Assemblea Nazionale, il Togo ha abolito la pena di morte per tutti i reati e commutato le sentenze capitali pendenti. L’iter abolizionista era iniziato in Parlamento il 10 dicembre scorso.
L’abolizione era stata preannunciata solennemente il 25 maggio scorso a Roma dal Ministro della Giustizia del Togo Kobou Biossey Tozoun, durante la Quarta Conferenza dei Ministri della Giustizia (africani e non) organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in Campidoglio. Ciò dimostra ancora una volta che il clima favorevole all’abolizione della pena di morte nel mondo si crea più col dialogo e con la persuasione che con lo scontro tra paesi abolizionisti e paesi mantenitori nelle sedi internazionali.
Il piccolo paese africano era maturo per compiere questo passo di civiltà, perché la pena di morte in Togo esisteva ormai solo sulla carta; le ultime esecuzioni si sono avute nel 1978 e l’ultima condanna a morte è stata pronunciata nel 2003.
Altri paesi africani, come il Mali e la Repubblica Democratica del Congo, stanno esaminando la possibilità di abolire la pena di morte. L’Africa, con l’eccezione della maggioranza dei paesi del Nord, sembra aver imboccato con decisione la strada abolizionista.
Il Togo segue il Burundi che ha messo fuori legge la sanzione capitale il 22 aprile scorso (v. n. 169). Si tratta del 15-esimo paese africano abolizionista. I paesi abolizionisti totali al mondo sono ora 94, ci si avvicina così alla metà di quelli rappresentati all’ONU (198).
Congratulazioni vivissime del Comitato Paul Rougeau vanno a Ganyo Sam Gbeti, leader dell’associazione abolizionista togolese Forum Africain Contre la Peine de Mort. Un gruppo povero di mezzi ma entusiasta che il Comitato ha cercato di aiutare negli anni scorsi, facilitando infine la sua entrata nella Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte (cose che non sono riuscite a fare organizzazioni più importanti della nostra).
10) LA PENA DI MORTE NON È UN DETERRENTE SPECIALE
La pena di morte non ha un potere speciale di scoraggiare i crimini più efferati, almeno nelle situazioni normali dei paesi democratici come gli Stati Uniti d’America. Questa affermazione fatta ricorrentemente dai maggiori esperti viene ancora contestata dai sostenitori della pena capitale ma ha trovato una nuova conferma, riteniamo pressoché definitiva, in una ricerca resa nota a metà giugno.
Il 16 giugno è stato pubblicato negli USA sul Journal of Criminal Law and Criminology un interessantissimo studio dal titolo: “Le esecuzioni diminuiscono il tasso di omicidi? Il parere dei principali criminologi” Lo studio è stato condotto sotto la direzione del prof. Michael Radelet, cattedratico del Dipartimento di Sociologia dell’Università del Colorado a Boulder, noto per aver fatto da parecchi anni a questa parte ricerche in materia. Radelet è stato sempre molto attento al parere dei criminologi.
I risultati parlano da sé tant’è che gli autori della ricerca e gli abolizionisti statunitensi hanno deciso di non impegnarsi più di tanto per pubblicizzarli.
Il rapporto pubblicato sul Journal of Criminal Law and Criminology si conclude con una lapidaria affermazione: “La nostra rilevazione indica che la grande maggioranza dei massimi criminologi del mondo ritiene che le indagini empiriche abbiano dimostrato che l’ipotesi della deterrenza è un mito. […] Vi è consenso tra i criminologi che la pena di morte non aggiunge nessun affetto deterrente significativo in più rispetto alla prospettiva dell’imprigionamento a lungo termine.” (1)
Sono stati intervistati i più autorevoli criminologi statunitensi, alcuni dei quali, ritenuti tra i migliori al mondo, sono titolari di prestigiosi riconoscimenti.
Dallo studio risulta in particolare che:
- L’88% dei massimi criminologi degli Stati Uniti non credono che la pena di morte funzioni come un deterrente speciale per gli omicidi;
- l’87% dei criminologi ritengono che l’abolizione della pena di morte non avrebbe nessun significativo effetto sul tasso di omicidi;
- il 75% di loro concorda sul fatto che il “dibattito sulla pena di morte distrae il Congresso e i parlamenti degli stati dall’occuparsi delle soluzioni reali ai problemi della criminalità.
Agli intervistati non è stato chiesto se sono favorevoli o contrari alla pena di morte, bensì di rispondere alle domande sulla deterrenza in base alla conoscenza che hanno dei risultati degli studi empirici.
Crediamo che questo studio ci autorizzi definitivamente ad adoperare nelle nostre discussioni e nelle nostre conferenze l’argomento della mancata deterrenza della pena capitale, almeno parlando delle situazioni ‘normali’ che si vivono nei paesi democratici, come gli Stati Uniti d’America, nei quali la pena capitale non viene utilizzata per eliminare gli avversari politici e mettere a tacere l’opposizione.
Possono essere seppelliti alcuni studi econometrici più o meno recenti – fatti per lo più da economisti - che avrebbero dimostrato che la pena di morte ha un effetto deterrente, studi così limitati ed errati da non riscuotere alcuna fiducia tra i criminologi ma atti a dare qualche appiglio ai sostenitori della pena capitale (peraltro costoro per lo più affermano apoditticamente l’esistenza di un potere deterrente) (2).
Ai risultati di questa ricerca, come osserva l’autorevole Death Penalty Information Center, se ne possono aggiungere altri:
- In generale, gli stati USA senza pena di morte hanno tassi di omicidi assai inferiori a quelli degli stati che mantengono la pena di morte. Secondo una ricerca fatta dal New York Times nel 2000 sui precedenti 20 anni, i tassi di omicidi degli stati con la pena di morte erano superiori dal 48% al 101% di quelli degli stati abolizionisti
- Quando si confrontano stati contigui, quello senza la pena di morte ha in genere un tasso di omicidio inferiore allo stato confinante con la pena di morte. Per esempio, il West Virginia (senza pena di morte) ha un tasso di omicidi inferiore a quello della Virginia (che usa molto la pena di morte) e il Massachusetts (senza pena capitale) ha un tasso inferiore a quello del Connecticut.
- Il Sud è responsabile di oltre l’80% delle esecuzioni ma ha il tasso di omicidi più alto di tutte e quattro le regioni USA. Il Nordest, in cui si sono avute solo 4 esecuzioni dal 1977, ha il minor tasso di omicidi.
- Gli Stati Uniti, con la pena di morte, hanno un tasso di omicidi enormemente più alto rispetto a quello dell’Europa che non ha la pena di morte.
- Alcuni studi hanno messo in rilevo un effetto ‘brutalizzante’ delle esecuzioni: gli omicidi in certe giurisdizioni sono aumentati nei periodi susseguenti ad esecuzioni molto pubblicizzate: è proprio il contrario di quello che avrebbe dovuto produrre un effetto deterrente.
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(1) Il rapporto è stato ricopiato integralmente nel sito del DPIC: http://www.deathpenaltyinfo.org
e precisamente in: http://www.deathpenaltyinfo.org/files/DeterrenceStudy2009.pdf
(2) V. articoli sulla questione della deterrenza pubblicati nei numeri precedenti (ad es. nn. 94, 95, 134) e soprattutto l’articolo di Claudio Giusti nel n. 165.
11) ANSIA E TRISTEZZA IN UNA LETTERA DI FERNANDO
Pubblichiamo una lettera, datata 18 giugno, scritta da Fernando Eros Caro, nostro corrispondente dal braccio della morte di San Quentin in California. La lettera è indirizzata a Grazia – che tiene i contatti con lui e traduce i suoi scritti dall’Inglese – ma è diretta anche a tutti noi. Sulla calma imperturbabile che caratterizza solitamente Fernando, questa volta appare qualche increspatura dovuta all’incertezza prodotta dai rilevanti cambiamenti in atto nel suo caso giudiziario. La morte imminente di una cara zia – che non potrà assistere e piangere come avviene normalmente in occasione della dipartita dei nostri cari – gli procura un’aggiunta d’angoscia. Fernando, nonostante tutto, invita Grazia – e tutti noi – a sorridere
Cara Grazia, spero che la mia lettera ti trovi in buona salute. In questi giorni sono in ansia perché i miei nuovi avvocati dovrebbero venire a trovarmi la prossima settimana. Il mio precedente avvocato è andato in pensione e il giudice me ne ha assegnati due nuovi. Questo mi ha dato un po’ fastidio perché devo aspettare ancora. I nuovi avvocati hanno bisogno di tempo per studiare il mio caso, per poi predisporre una linea di difesa. Dal momento che non posso esercitare alcun controllo sulle procedure legali, è meglio per me continuare ad esercitare la mia pazienza.
In prigione, ci sono davvero molte cose su cui non si può esercitare alcun controllo. Se non riesci ad imparare l’umiltà qui dentro, allora sei destinato ad una sepoltura precoce. E non hai assolutamente nessun controllo di ciò che avviene al di fuori del carcere.
Proprio questa mattina ho telefonato a casa e mia madre mi ha detto che mia zia Rosario sta morendo in ospedale. In prigione cerco di non mostrare le mie emozioni, ma mentre parlavo al telefono ho sentito le lacrime inondarmi gli occhi. Naturalmente ho subito cercato di frenarle per non dimostrarmi debole davanti agli altri prigionieri.
Ho due zie da parte di madre... Hanno di fatto aiutato mia madre ad allevarmi. Credo che la prima parola che imparai in vita mia sia stata “mas”, che significa “ancora”. :0) Ogni qualvolta il mio biberon era vuoto, una delle mie zie si chinava su di me e domandava “mas?”. :0)
E’ difficile per qualcuno che non sia in prigione capire quale angoscia si provi quando muore un familiare. Non puoi andare a trovarlo in ospedale, o andare al funerale. Tutto ciò che ho potuto fare é stato tornare nella mia cella e piangere silenziosamente. Sto cercando di ricordarmi il suo viso, le ultime parole che mi aveva detto, i ricordi che solo un nipote può avere.
Questo tipo di esperienza mi è già accaduta numerose volte da quando sono qui dentro, avere un familiare che muore. Una persona a me cara che non vedrò più e la cui voce non potrò più ascoltare.
I ricordi giocano un ruolo importante nella vita di un carcerato. I ricordi costituiscono quasi tutti i miei sogni. Mi ricordo i tempi felici, soprattutto di quando ero un ragazzino. Le mie zie e miei zii mi insegnarono molte cose. In particolare mi insegnarono a ridere, e a cercare di trovare sempre il lato positivo delle cose.
Una volta, quando ero un ragazzino, mi sentii triste per una qualche ragione. Un mio zio si accorse del mio broncio e mi disse: “Sei così brutto che un cane dovrebbe chiudere gli occhi per attaccarsi a una tua gamba”. Risi così a lungo che dimenticai la mia tristezza. :0)
Si dice che veniamo dimenticati a partire dalla terza generazione successiva alla nostra. Io credo che finché ci ricordiamo di qualcuno, quel qualcuno sopravvive. La famiglia è importante.
Cerca di ridere ogni volta che ne hai la possibilità, Grazia. Un sorriso può abbattere le barriere tra due persone. Fernando
12) DAVO TUTTO PER SCONTATO di William Moore
Bill Moore, condannato a morte in North Carolina, ha scritto una triste e saggia riflessione; in essa evita di scaricare tutte le responsabilità del proprio stato e dalla propria sofferenza sugli altri, come fanno in genere i detenuti. La traduzione del brano di Bill è della sua corrispondente Lucia Squillace.
Ricordo quando da bambino trovai una gabbia per uccelli e pensai, come tutti i bambini, che mi sarebbe tanto piaciuto avere un animaletto. Così preparai un’esca, lasciai la porticina aperta e posizionai la gabbia fuori, nel nostro cortile sul retro.
Quando più tardi ritornai, vi trovai la sorpresa di un bellissimo uccello rosso. Guardando da vicino potei vedere il terrore nei suoi occhi, il becco tutto sanguinante dopo aver tentato di fuggire. Provai sgomento per quel che avevo fatto e aprii immediatamente la porticina. Spaventato e sconvolto, l’uccello trovò di nuovo la sua strada verso la libertà. Mi sentivo sollevato. Ricordo molto bene che cosa provai quel giorno.
Essendo stato messo in questa gabbia di acciaio e cemento, non è la morte che mi terrorizza, ma sapere che ho preso la vita di qualcuno. Il perché ha poco valore. Quel che conta è che è successo. In un solo istante di incontrollata emozione ho preso per sempre ciò che a noi tutti è più prezioso. Due vite date per scontare quell’orribile giorno. Eppure, io respiro ancora, pur trovandolo insopportabile a volte, quando in certi momenti di quiete i miei stessi pensieri mi attaccano con la furia degli squali che si avventano sulla carne imputridita.
Davo tutto per scontato: famiglia, amici, estranei, perfino me stesso, il fare cose semplici come camminare all’aria fresca di prima mattina, con una tazza di caffè a scaldarmi le mani. In un istante tutto è andato. Tutto è cambiato. Ora sono in gabbia, circondato da estranei, senza alcuna libertà di camminare fuori. Libertà, per gli altri nient’altro che una cosa da dare per scontata. Non ha significato per me.
Lavorando come costruttore di barche, la vita era solo mia. Ora sono sotto l’autorità di gente il cui unico requisito è la capacità di entrare in un’uniforme. “Dead man walking”, così ci chiamano. Disapprovo. Perché, non si rendono conto che è la condizione propria dell’intero genere umano? Di certo il domani non è una promessa per nessuno! Eppure, lo diamo in buona parte per scontato.
13) “IL DIRITTO DI NON UCCIDERE” (*)
Grazia ci ha inviato la seguente recensione di un libro di Enrico Peyretti, valoroso attivista per la pace, “Il diritto di non uccidere – Schegge di speranza”. In esso è ricorrente il riferimento implicito ed esplicito alla tematica della nonviolenza e dei diritti umani. Leggendo questo libro ci accorgiamo che a volte per parlare delle più profonde scelte esistenziali, il registro poetico si rivela il più adatto.
Ho appena finito di leggere “Il diritto di non uccidere – Schegge di speranza”, una raccolta di brani, aforismi e pensieri di Enrico Peyretti tratti da suoi articoli pubblicati sulla rivista “Rocca” di Assisi.
E’ stato come visitare un giardino incantevole. In ogni posto trovi un albero, un cespuglio, un fiore diverso che ti attrae, ti rallegra e ti incoraggia con la sua bellezza, il suo profumo, la sua freschezza. Ognuno separato e diverso dagli altri.
In numerosi brani il tema dominante è la nonviolenza: “Vincere il violento con la violenza è sconfitta piena. L’oppressore che si riproduce nell’oppresso è pienamente vincitore, anche se viene impiccato, arso vivo, distrutto. Il terrorista che ha reso terroristi i giustizieri ha vinto su tutta la linea: è ciò che accade sotto i nostri occhi”.
Vi è il ripudio della guerra, della pena di morte e delle armi in genere: “L’uccidere non è rimasto un atto individuale, causato da uno scoppio d’ira feroce, ma si è organizzato, socializzato, è diventato un atto religioso, purificatore, giustiziere (giustiziare è assurdamente sinonimo di uccidere!), scientifico, politico. E’ stato comandato, premiato, celebrato, eroicizzato, santificato. [...]. Tale è la pena di morte inflitta per omicidio (e anche per meno), infinita contraddizione in se stessa. Tale è la guerra, sempre scusata come difesa.”.
Enrico Peyretti, uomo di fede, parla di Dio e di Gesù sottolineando il loro amore assoluto: “... La morte lo ha colpito, ma non ha trovato in lui nulla di simile a sé. Per questo, io credo, Cristo è risorto [...], perché in lui non ha trovato un istinto di morte frenato da un divieto morale, ma una totale e pura passione di vita, di amore creativo, che costituiva tutta la sua divina dignità...”. E ancora: “... La differenza di Dio da noi, la sua sola potenza, la sua perfezione, è che egli non ama moderatamente, ma completamente, perdutamente ...”. Leggiamo anche: “... Dio, dunque, tratta bene i cattivi, lo rivela Gesù, facendo forse la più grande rivoluzione religiosa, che scandalizza i religiosi. Noi, troppi di noi, vogliamo anche la pena di morte credendo di attuare una giustizia assoluta. Vergognamoci ...”
Ma proprio perché dotato di una vera fede, Peyretti promuove e sostiene il dialogo interreligioso, come unico mezzo possibile di comprensione, per abbattere frontiere fisiche e morali: “Una religione e civiltà che creda di non avere nulla da imparare dalle altre si ossifica e squalifica, non è più viva. [...] Nel dialogo nessuno resta uguale. Avviene tra i dialoganti una ‘fecondazione reciproca’. Chi ne ha paura, ha paura della vita e della verità”.
Va contro il razzismo, condannato in ogni sua forma: “E’ emersa una grave alienazione di troppe coscienze italiane, popolari e dirigenti. Rispunta, mai spenta, quella ‘autobiografia della nazione’ che Gobetti vedeva nel fascismo.”
Enrico Peyretti condanna poi il consumismo, che ci induce, per altre vie, allo sfruttamento e ad ulteriore emarginazione dei poveri: “La pubblicità, catechismo imperativo della nostra società infelice, è proprio come un totalitarismo ideologico o religioso. Sembra vendere felicità e inocula scontentezza vorace, una grave malattia pandemica. E’ una bellissima torta avvelenata.”.
Come ama i più deboli e indifesi tra gli esseri umani, così Peyretti allarga il suo amore a tutte le creature viventi, con accenti di grande tenerezza verso gli animali: “Carezza il tuo gatto prima di fare quello che urge o ti piace. Tu non vedi come, ma la tua carezza viaggia nelle fibre animali del mondo, arriva chissà dove.” E ancora: “In una cosa gli animali sono uguali a noi, nella sofferenza. In una cosa noi siamo peggiori degli animali, nella violenza.” Si riferisce alla violenza razionalizzata, propria degli esseri umani, ovviamente.
Vorrei citare tante altre frasi di Enrico Peyretti, sull’importanza di svolgere un compito, una missione nella vita (meglio ancora se più grande di noi, che non è cominciata con noi e che continuerà dopo di noi), sull’accettazione della morte (quella naturale però!), sulla condanna della ricchezza smodata, sull’importanza del dialogo (sempre), sull’amore e il rispetto per la propria casa e per le vecchie cose che la caratterizzano. Mi limito a riportare una parte dell’ultimo brano del libro: “Se allargo le braccia tocco da una parte le mani dei morti e dall’altra le manine dei nuovi nati. [...] Visibili ed invisibili, queste diverse mani sono i fili di un racconto, sono i passi di un cammino, che è di ciascuno e non è mai soltanto di uno. Ognuno vive degli altri, e tutto ciò che viviamo viene dagli altri e passa agli altri. [...] La pianticella della nostra vita attinge linfa da questo terreno e restituisce qualche frutto, o almeno qualche foglia dorata. Quando ci sentiamo soli, è soltanto un vento freddo che passa. Dopo ci accorgiamo che ci ha portato profumi e semi delle altre pianticelle, le più antiche e le più nuove. Non piangiamo sulla vita, perché è amica, a volte un po’ difficile, ma non traditrice”.
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(*) Enrico Peyretti, “Il diritto di non uccidere – Schegge di speranza”, Casa Editrice Il Margine, pagg. 151, Euro 14,00
14) NOTIZIARIO
Arabia Saudita. Crocifissione. Il 29 maggio Ahmed Al-Shamlani Al-Anzi, condannato alla decapitazione e alla successiva crocifissione per duplice omicidio, è stato decapitato in pubblico a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. Dopo l’esecuzione, la testa del condannato è stata ricucita al corpo che è stato innalzato ed esposto ai passanti per alcune ore.
Iraq. Maliki prospetta l’esecuzione di Ali il Chimico dopo una terza condanna a morte. Il famigerato cugino di Saddam Hussein, Hassan al-Majid, soprannominato Ali il Chimico, rischia e breve la terza condanna a morte da parte del Tribunale Speciale iracheno noto per aver spedito alla forca Saddam e tre suoi collaboratori, tra il 30 dicembre 2006 e il 20 marzo 2007, senza preoccuparsi granché di svolgere processi equi. Al-Majid è sotto processo per aver usato nel 1988 gas letali contro i Curdi della città di Halabja nella quale, si sostiene, furono uccise 5.000 persone. Aveva già ricevuto una prima condanna capitale per il suo ruolo nella campagna “Anfal” contro i Curdi del 1988 e una seconda per la spietata repressione conto gli Sciiti insorti subito dopo la sconfitta subita da Saddam nella prima guerra del Golfo nel 1991 (v. n. 165). Il premier Nuri al-Maliki il 31 maggio ha promesso in TV ai parenti delle vittime di Halabja di ‘non rimanere silente’ quando si tratterà di applicare la pena di morte nei riguardi dei responsabili della strage del 1988, facendo in particolare i nomi di tre persone. Oltre che ad Hassan al-Majid, al-Maliki ha promesso li capestro all’ex Ministro della Difesa Sultan Hashem e l’ex Capo di stato maggiore Hussein Rashid Muhammed. In realtà non è affatto scontato che le nuove, più che probabili, condanne a morte verranno eseguite. Potrebbero essere bloccate a tempo indeterminato come è avvenuto per le precedenti spiccate contro al-Majid e altri (v. nn. 157, 160, Notiziario, 163, Notiziario; 165, Notiziario). Secondo la normativa del Tribunale Speciale iracheno le prime condanne a morte di Ali il Chimico e compagni dovevano essere eseguite nel 2007, tassativamente entro 30 giorni dalla revisione delle sentenze. Così non è stato per la resistenza del presidente Jalal Talabani e del vice presidente Tareq al-Hashemi, e, soprattutto, per il fatto che gli Americani, i quali detengono i massimi collaboratori di Saddam Hussein ancora in vita, si sono rifiutati fino ad ora di consegnarli al boia iracheno. La consegna dei prigionieri agli Iracheni dovrebbe essere autorizzata personalmente dal presidente degli Stati Uniti. Se non lo ha fatto Bush, ci auguriamo che non lo faccia neanche Obama. E’ probabile che la prudenza degli USA sia dovuta alle pressioni internazionali susseguitesi nell’ultimo quinquennio. Per di più il 6 maggio l’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU ha chiesto all’Iraq di osservare una moratoria generalizzata delle oltre 100 esecuzioni pendenti dal momento che non è in grado di celebrare processi equi.
Tennessee. Finalmente libero Paul House. PaulHouse, che ora ha 47 anni ed è affetto da sclerosi multipla, ha passato 22 anni nel braccio della morte per lo stupro e l’uccisione di una vicina di casa. Dopo essere stato praticamente scagionato da test del DNA, nel 2006 ottenne finalmente l’annullamento del processo e della condanna e l’anno scorso fu posto agli arresti domiciliari in attesa di sapere se l’accusa volesse riprocessarlo. Il procuratore distrettuale Paul Phillips ha chiesto la fissazione di un nuovo processo (non capitale) per Paul House che doveva cominciare il 1° giugno (v. n. 167). Tuttavia l’11 maggio ha inoltrato alla corte un documento in cui dichiara di rinunciare al nuovo processo. Incontenibili sono stati la gioia e la commozione di House e di sua madre la quale ha dichiarato: “Dicono che a volte le ruote della giustizia girino lentamente, ma per lui questa lentezza ha raggiunto il livello del ridicolo”.
Texas. Avvenuta puntualmente la 200-esima esecuzione sotto il governatorato di Perry. Come abbiamo ampiamente argomentato nel numero precedente, l’attuale Governatore del Texas Rick Perry ha sempre funzionato come un ingranaggio perfetto ed essenziale della macchina della morte del suo stato lasciando procedere senza intervenire ben 200 esecuzioni capitali. Il 200-esimo condannato a morire sotto Perry è stato Terry Lee Hankins ucciso il 2 giugno. Per l’occasione si sono radunati oltre una trentina di attivisti per protestare fuori del penitenziario The Walls in cui Hankins veniva ucciso, il triplo del numero usuale di manifestanti. Allison Castle, portavoce di Rick Perry, ha dichiarato che il governatore, “così come la grande maggioranza dei Texani,” ritiene che la pena capitale sia appropriata “per coloro che commettono i più riprovevoli crimini.”
Usa. Validi gli interrogatori in assenza dell’avvocato. La Corte Suprema degli Stati Uniti, con una votazione 5 a 4, che il New York Times ha definito ‘inquietante’, ha indebolito significativamente il diritto ad avere un avvocato difensore previsto dal Sesto Emendamento della Costituzione americana. Con la decisione resa nota il 26 maggio, la Corte ha respinto il ricorso di Jesse Montejo che fu condannato a morte in Louisiana in base ad una dichiarazione che la polizia gli carpì continuando ad interrogarlo senza attendere che fosse presente l’avvocato d’ufficio che gli era stato assegnato. Secondo la maggioranza della Corte il fatto che il detenuto abbia riposto alle domande dimostra che egli rinunciò volontariamente al diritto di avere un avvocato. L’attuale sentenza rovescia la precedente sentenza Michigan v. Jackson del 1986. L’amministrazione Obama e 11 stati avevano presentato documenti alla Corte Suprema per ottenere il rovesciamento della sentenza del 1986.
Virginia. Daryl Atkins definitivamente fuori del braccio della morte. Sul caso di Daryl Atkins, che fu condannato a morte in Virginia per un omicidio commesso all’età di 18 anni nel 1996, la Corte Suprema degli Stati Uniti intervenne nel 2002 con una del sue più famose e civili sentenze, affermando l’incostituzionalità della pena di morte per i ritardati mentali. Tuttavia la Virginia sottopose Atkins ad una giuria nel 2005, sostenendo che lui non era un ritardato mentale, ed ottenne la conferma della sentenza di morte. La sentenza fu poi annullata. In attesa di un nuovo processo venne fuori che nel processo originale del 1998 l’accusa nascose alcune prove e il giudice Prentis Smiley sentenziò che per tale ragione non era ammissibile la pena di morte decretando per Atkins l’ergastolo (v. n 156). Il 4 giugno la Corte Suprema della Virginia, confermando la validità della decisione del giudice Smiley, ha spedito definitivamente il detenuto al carcere a vita.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 giugno 2009