FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 129 - Maggio 2005
SOMMARIO:
1) L’esecuzione di Bryan Wolfe, assassinio di un amico
2) “Mi rimangono da vivere due giornate e un risveglio”
3) Ucciso Ross: surreale ripresa delle esecuzioni in Connecticut
4) Donald Jones ‘inaugura’ la nuova Casa della morte in Missouri
5) Una lapidazione nell’Afghanistan ‘liberato’
6) Resistere fisicamente all’esecuzione? Risultati del sondaggio
7) Intervista nel braccio della morte
8) 14 maggio 2005: grande evento abolizionista a Modena
9) L’assemblea di Firenze del 22 maggio tra amicizia e produttività
10) Pena di morte nel mondo: notizie buone e cattive
1) L’ESECUZIONE DI BRYAN WOLFE, ASSASSINIO DI UN AMICO
Bryan Eric Wolfe, in favore del quale abbiamo lanciato un’azione urgente nel numero scorso, è stato inesorabilmente ucciso dalla stato del Texas il 18 maggio. Non sono servite a salvarlo le numerose suppliche. Nemmeno la richiesta di grazia fatta dal pontefice Benedetto XVI è stata presa in considerazione. Margherita De Rossi ha trovato il coraggio di stare vicino a lui nelle ultime settimane e fino alla fine. E’ riuscita a trasmettergli la solidarietà di tutti noi. E’ stata una forte fede religiosa a sostenere lei e lo stesso Bryan. Pubblichiamo il messaggio con cui Margherita ci ha annunciato alcuni ‘miracoli’ occorsi in extremis a Bryan, escluso il miracolo di avere salva la vita.
Bryan e' morto veramente da santo... come non ringraziare il Signore per lui e insieme a lui? Ha ricevuto i sacramenti la sera prima durante una messa che e' stata celebrata "a contatto" come mai era avvenuto prima in Polunsky.
Tutto il brutto e i cattivi sentimenti sono stati lasciati e alla fine era lui che guidava me con amore e pace fino al supplizio. Ha affrontato la croce con dignità e coraggio, ma soprattutto con tanto amore, conscio del grande mistero che è stato chiamato "per vocazione" a condividere con Cristo.
[...] Bryan è stato un dono dall'inizio alla fine e continua ad esserlo.
Ma tutto questo lo accettiamo per fede. Razionalmente è pazzesco. Non posso accettare una cosa simile nel nostro mondo così perfetto... L'esperienza e' stata grande e dolorosissima. Questa sera Richard Cartwright dovrà affrontare lo stesso Calvario e la sua mamma, così dolce e coraggiosa, ancora una volta abbraccerà il figlio morto... se non succede un miracolo... Non possiamo smettere di pregare e di lottare. Margherita
Nell’articolo seguente, scritto dal compagno di prigionia Richard Cartwright, potete leggere affettuose e commoventi annotazioni sugli ultimi giorni di vita di Bryan.
2) “MI RIMANGONO DA VIVERE DUE GIORNATE E UN RISVEGLIO”
Il diario allucinante di Richard Cartwright - scritto per gli abolizionisti nel braccio della morte del Texas - si concentra in gran parte nei suoi ultimi di tre mesi di vita, successivi alla fissazione della data di esecuzione al 19 maggio 2005. Riportiamo alcuni brani tratti dalla 36-esima ed ultima puntata del diario di Richard.
(Traduzione di Laura Silva)
Martedì 17 maggio 2005, ore 5.25
Ancora due giorni e un risveglio prima che il braccio sanguinario della giustizia mi tolga la vita.
A Wolfe rimane oggi, e un risveglio.
Dicono che questo è un modo umano di uccidere. Tutte stronzate. Per me non è affatto umano, e non mi sembra umano il dolore che provo nel cuore per la tristezza e la disperazione nascoste dietro alle risa e ai sorrisi dei miei cari. (Noi, finché si può, si ride e si sorride.)
ore 18.28
Bene. Buona sera, e benvenuti alla mia più grande nonché ultima serata, mentre mi avvicino alla morte, che mi attende.
Ho una cosa da dirvi subito.
Ho appena passato le due ore più dure della mia vita.
Mia madre è andata a prendere mia figlia Ricki a scuola per farle vedere il papà per l'ultima volta.
Ho tenuto botta per quasi tutta la visita con Ricki fino alle ultime due ore. Guardare gli occhi belli di mia figlia e saper in cuor mio che sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei posato il mio sguardo su di lei.
Come si può non piangere, guardando in quegli occhioni da cerbiatta?
Abbiamo parlato delle cose pratiche della vita come la scuola, essere buona con il fratellino, dare ascolto alla mamma.
Poi abbiamo parlato dell'Eternità, del Per sempre, di Dio. Concetti difficili da afferrare per una ragazzina di 8 anni, specialmente se pronunciati da un padre in lacrime, che singhiozza ogni due parole. Giurerei di aver visto un lampo di comprensione nello sguardo di Ricki - comprensione che sì, le cose stanno proprio così. Potrei sbagliarmi, ma forse no.
Continuavo a dirle "Ricordami sempre, principessa, perché io veglierò sempre su di te".
Certo, la nonna ci metteva qualche parola, nel vedere che il papà non poteva parlare per le lacrime e l'emozione che mi soffocava.
Due ore molto, molto, molto dure, e manco erano due ore piene. Sono riuscito a dominarmi fino a quel momento, e poi basta, non ce l'ho più fatta.
Alla fine della visita, avevo addosso una tale sensazione di... non so... di... sì ci arrivo: di PUNTO FINALE... ecco l'espressione giusta.
Ricki se ne va, lanciando a suo padre i suo bacini, facendo la sua buffa danza Ha Ha!! Angelo di papà.
Potrei forse chiedere alla mamma di Ricki di vederla ancora giovedì, il giorno del mio sacrificio umano, decretato dallo stato, ma non sono sicuro che per Ricki sarebbe un bel vedere.
Oggi ero l'unico a piangere, ma giovedì chissà.
Mia madre aveva le lacrime agli occhi ma è riuscita a contenerle, a differenza di me. Ho voglia di imprecare e gridare e maledire questo sistema giudiziario, ma non migliorerei le cose. Vede, pastore John, sto migliorando!!! […]
Ancora una volta, devo ergermi a dire: non credo che questa esecuzione sia molto umana. […]
E' ora di far dormire la macchina da scrivere e di sbrigare alcune faccende, prima della visita di domani.
I miei cari staranno là fuori a veder portare via Bryan Wolfe per l'ultima volta, sapendo che la stessa sorte li aspetterà il giorno dopo.
18 maggio 2005, ore 3.24
Beh, sedevo a un passo da Bryan Wolfe oggi, durante la sua ultima visita. Durissimo vedere le lacrime e le emozioni che prorompevano irrefrenabili alla fine della visita, sapendo che domani sarà il "nostro" turno.
Mia madre, e altri, piangevano e consolavano i visitatori di Wolfe e io sedevo lì provando... grande grande tristezza per il mio amico e la sua famiglia!
Quando Wolfe è passato vicino al mio box, l'ho guardato negli occhi e gli ho detto "Mi raccomando, a testa alta!" e lui mi ha risposto "Puoi giurarci, Chi-Town!".
E' un grande, spero di poter mostrare la sua stessa forza e dignità.
Quando sono ritornato alla mia gabbia, Robert Shields mi ha mandato il resoconto scritto di quello che aveva visto fuori dalla finestra. Gliel'avevo chiesto io, per tenervi aggiornati. Ho anche domandato a Robert se poteva fare altrettanto domani, quando sarà il mio turno di salire sul furgone della morte....
La reale consistenza di tutto questo mi sfugge ancora, e vorrei che così non fosse.
Provo davvero una grande pace nel cuore, ma so che tutti i cari che mi lascerò dietro...
Interessante nota a margine. Ieri era l'ultimo giorno dei 4 lavorativi per gli agenti esterni e qualcuno di essi è venuto da me augurandomi buona fortuna e raccomandandomi di tener duro.
Ho pensato sia giusto dirvelo, perché vi informo quando mi trattano male, vero o no? Hahaha!
Lo dico sempre, c'è del buono e del cattivo in ogni gruppo di persone, non si può condannare un insieme per colpa di qualcuno, a meno che quel gruppo non sia di condannati a morte, ovviamente!!!!
Il ricordo dell'addio a mia figlia è un assillo. E' un dolore inesprimibile e fa male sapere che non la rivedrò mai più.
Abbiamo provato a chiedere se potevamo toccarci, tenerci la mano, o abbracciarci, ma la ovvia risposta è stata NO!
Mouse, ti ringrazio di cuore per averci provato.
Dio non mi concede il pensiero di toccare la mia bambina prima che questa pellaccia di yankee tiri le cuoia, domani, eh.
Tutto sommato è incredibile come la sto prendendo, mi stupisco di me stesso. Credevo che sarei stato pieno di furore e di odio, oppure che mi venisse una sana incazzatura o qualche altro sentimento... tutto tranne come mi sento in realtà.
Sono davvero in pace con quello che succederà domani.
So che probabilmente pensate che sono tutte balle, ma è la verità.
La parte davvero difficile è, come dico sempre, tutto quello che soffrirà la mia famiglia.
Se solo aveste potuto vedere gli occhi di mia madre oggi, che teneva tra le braccia la ragazza di Bryan mentre lo portavano via, quello sguardo della ragazza di Bryan, e l'estrema disperazione e il dolore, giuro, assolutamente insopportabili; non sono riuscito a guardare, ho girato la testa.
Ma ho ancora negli occhi quel dolore assoluto, bruciante in lei, e in mia madre che sicuramente pensava: domani tocca a me vedere mio figlio portato via per l'ultima volta... […]
19 maggio
Sono alla Walls Unit e tutto è preparato. Un viaggio d'inferno, ma è giunta l'ora. Ho avuto l'ultimo pasto, ho fatto l'ultima telefonata.
Sono stato trattato con rispetto da tutti qui alla Walls Unit, sono in pace con Dio, e pronto ad andarmene. No, non pronto, ma dovrò andarmene comunque, non opporrò resistenza.
Per favore, tenete viva la lotta. Che non muoia con me!
E voi del braccio della morte, fate onore a voi stessi, rialzate la testa con piena dignità.
Dio vi benedica e vi protegga. Con amore, Rich Cartwright
3) UCCISO ROSS: SURREALE RIPRESA DELLE ESECUZIONI IN CONNECTICUT
Il ‘serial killer’ di otto giovani donne Michael Bruce Ross, condannato a morte in Connecticut nel 1987, aveva orrore di se stesso e chiedeva di essere ucciso. L’inerzia dello stato in cui non si compivano più esecuzioni dal 1960, stato abolizionista di fatto, è stata enorme, ma dopo molti rinvii (v. n. 126) il 13 maggio Ross stato infine ‘accontentato’.
Come osserva il New York Times, l’eccezionalità assoluta del caso di Ross fa sperare che la sua esecuzione rimanga un fatto isolato nel Nord Est degli Stati Uniti. Non è molto probabile che essa catalizzi altre esecuzioni o induca la popolazione a cambiare mentalità in una regione culturalmente evoluta in cui la pena di morte era stata praticamente dimenticata. Ma gli abolizionisti del Connecticut – stato che custodisce altri sei prigionieri nel braccio della morte - rimangono giustamente in allerta.
Sappiamo che, per arrivare ad uccidere Ross, la preparazione è stata complessa, lunga e costosa. Si sono dovuti importare ed approntare i sistemi tecnici, le procedure; soprattutto si è dovuta riesumare faticosamente tutta la retorica della pena capitale.
Ross non ha dato nessuna soddisfazione ai parenti delle sue vittime e alla stampa, morbosamente attenta ad ogni particolare per fare sensazione intorno un evento inusuale. Egli è rimasto ad occhi chiusi ed immobile per 15 minuti: tanto è durata la procedura che lo ha reso cadavere, davanti a 21 testimoni, nel cuore della notte.
Dalla cronaca: Ore 2 e 10’. Un microfono viene posto vicino alla tavola a cui è strettamente legato in croce il condannato. “No grazie,” risponde Ross alla richiesta di fare un’ultima dichiarazione.
“Non ha neanche le balle per dire qualcosa,” borbotta il parente di una vittima di Ross.
Seguono tre minuti di telefonate. Il capo della squadra deve assicurarsi che non ci sia alcun impedimento al procedere dell’esecuzione.
L’iniezione comincia alle 2 e 13’. Ross ansima e trema. Si sente qualcuno tra i familiari delle vittime dire sarcasticamente: “Uh, sente un po’ di dolore?”
Alle 2 e 18’ Ross sembra essersi irrigidito, la sua faccia grigia come lo stucco.
Una voce osserva: “Il tutto è troppo pacifico.”
Alle 2 e 21’ finisce lo spettacolo per i testimoni: viene tirata una tenda.
Pochi secondi prima delle 2 e 30’ Christine Whidden, direttrice del carcere, annuncia alla stampa: “La morte è occorsa alle 2 e 25’ di oggi.”
Debbie Dupuis, sorella di una diciannovenne uccisa da Ross nel 1983 dichiara, come da copione: “Credo che potrò provare un sentimento di ‘chiusura’ ma sono infuriata di averlo visto lì disteso, semplicemente addormentarsi, dopo ciò che ha fatto a quelle donne.”
Brian Garnett, portavoce del Dipartimento di correzione, si scusa del leggero ritardo con cui è iniziata la procedura [10 minuti] perché “dovevamo assicurarci che ogni cosa fosse fatta appropriatamente.”
4) DONALD JONES ‘INAUGURA’ LA NUOVA CASA DELLA MORTE IN MISSOURI
Il governatore del Missouri Matt Blunt ha acconsentito che si “inaugurasse” la modernissima Casa della Morte dello stato con un’esecuzione particolarmente spietata.
Donald Jones, di 38 anni, è stato imbottito di veleno il 27 aprile scorso. Nel 1993 aveva ucciso sua nonna che gli rifiutava del denaro per l’acquisto di cocaina. I parenti di Donald e della sua vittima avevano chiesto al governatore di graziare l’uomo, commutando la sua condanna a morte in ergastolo, e così pure era stato raccomandato dalla Commissione per le Grazie, con un voto di 5 a 2. Anche la Conferenza episcopale del Missouri aveva presentato una richiesta di clemenza al governatore.
Donald, drogato e violento nel 1993, in questi anni di prigionia aveva subito una profonda trasformazione.
“Sono fiero di appartenere ad una famiglia cristiana così meravigliosa”, ha dichiarato il giorno prima di morire. “So che io non mi perdonerò mai per ciò che ho fatto e ogni giorno ho lottato con questo pensiero”. Donald ha detto di essere felice del perdono dei suoi familiari ed ha aggiunto: “Speravo e pregavo perché il governatore risparmiasse alla mia famiglia ulteriori sofferenze, ma lui non la vede in questo modo o semplicemente non gliene importa nulla. E’ triste che la politica e questa condanna a morte si trovino intricatamente connesse”.
Sordo a tutte le richieste di grazia, il governatore Blunt ha negato la commutazione. “L’esecuzione deve essere portata a termine”, ha dichiarato. “E’ nell’interesse del sistema giudiziario del nostro stato.”
Visto che spesso si afferma che la pena di morte viene applicata per portare “chiusura” ai familiari delle vittime dei crimini, che dire in questo caso, in cui i familiari della vittima sono gli stessi del condannato? Sembrerebbe assurdo negare la grazia in una simile situazione, quando proprio questi stessi familiari la richiedono, avendo perdonato e amando il loro parente in carcere. Ma Blunt ha trovato le parole adatte per giustificare anche questa esecuzione. “Non abbiamo la pena di morte perché le famiglie possano provare un senso di vendetta”, ha detto. “Abbiamo la pena di morte perché crediamo come società, crediamo come stato, crediamo come popolo che alcuni crimini siano così orrendi che l’unica punizione appropriata sia la morte”.
E così, la doppia morte, quella della nonna nel 1993, e del nipote adesso, ha portato un grande dolore per due volte nella stessa famiglia. Come si può parlare di giustizia e di sensibilità verso i familiari delle vittime? Questo episodio è un’ulteriore conferma che le motivazioni dei politici nel sostenere la pena di morte vanno ben al di là del riguardo verso le vittime dei crimini.
L’esecuzione di Donald ha trovato largo spazio nei media anche perché è la prima portata a termine nel complesso che costituisce la nuova Casa della morte del Missouri, che sostituisce un precedente edificio finora utilizzato a questo macabro scopo.
I nuovissimi locali sono stati progettati e realizzati a Bonne Terre, all’interno del carcere chiamato ‘Centro Correzionale e Diagnostico del Settore Orientale’, costruito due anni fa. Sono conformi ai più moderni standard architettonici adottati anche da altri stati per questo scopo. La camera in cui avviene l’esecuzione è una stanza di circa 6 metri per 3, con pareti bianche e aperture incorniciate di acciaio nero lucido in tre dei quattro lati. La stanza, priva di finestre, ha sul soffitto una grata per l’aerazione e due bocchette anti-incendio. Tutto è inondato da luci al neon. Sulla parete adiacente il lettino dell’esecuzione, d’acciaio marrone, è praticato un foro di circa 3 centimetri di diametro, attraverso cui passano i tubicini che trasportano le sostanze letali.
Le tre aperture nelle pareti della stanza danno su altrettante camerette destinate, separatamente, ai familiari del condannato, ai familiari delle vittime e agli esponenti dello stato e dei media. Il vetro della finestra che dà verso i familiari del condannato è trasparente in entrambe le direzioni, mentre gli altri due vetri sono a specchio dal lato del condannato e trasparenti solo dall’altra parte. Questa “finezza” psicologica ufficialmente è stata realizzata per risparmiare al condannato l’umiliazione di vedere i suoi ‘nemici’ assistere alla sua morte, permettendogli invece di guardare i volti amici dei suoi cari. Di fatto, nutro qualche dubbio sullo scopo reale e non so se sia piuttosto un modo per permettere ai familiari delle vittime e ai media di osservare più liberamente anche i familiari del condannato (visibili attraverso il vetro trasparente) senza essere a loro volta osservati. La privacy dei familiari delle vittime vale di più di quella dei familiari del condannato?
Il complesso della casa della morte comprende anche i locali in cui il condannato viene trasferito in attesa dell’esecuzione. Si tratta di due camere contigue, contenenti una doccia in acciaio inossidabile, un televisore e due telefoni. Una porta costituita da una lastra d’acciaio isola questa zona da quella dell’esecuzione. Fuori dal locale “d’attesa” il condannato può vedere l’ultimo pezzo di mondo nella sua vita, separato da una porta di sicurezza chiusa a chiave: un vialetto asfaltato e uno steccato al di là del quale si trova il campo da baseball del carcere.
Tutti questi dettagli, che sono stati resi noti con minuzioso scrupolo dall’ufficio stampa del carcere e dai media non fanno altro che sottolineare la crudeltà e la sottile perversione di questo meccanismo infernale. (Grazia)
5) UNA LAPIDAZIONE NELL’AFGHANISTAN ‘LIBERATO’
Quando nel 2002 i media avevano annunziato la “liberazione” del popolo afgano dalla tirannide del governo talebano da parte degli Anglo-americani e dell’Alleanza del Nord, una delle notizie di ‘colore’ divulgate, con l’intento di dimostrare il radicale miglioramento delle condizioni di vita in quei luoghi lacerati dalla guerra, era che “finalmente le donne afgane gettano via il burka”.
Tiziano Terzani, grande giornalista e acuto osservatore dei fatti, ma soprattutto uomo dotato di grandissima sensibilità e rettitudine, si trovava in quei giorni a Kabul e dichiarava di non aver visto neppure un burka gettato via, anzi, di aver notato che le condizioni di vita in generale per il popolo “liberato” si erano inasprite: i soldati americani sparavano senza tanto badare chi o che cosa colpivano, la criminalità si era moltiplicata, e la gente viveva di fatto miseramente e con una grande paura. Insomma accadeva allora in Afghanistan qualcosa di analogo a ciò che sta accadendo ora al “liberato” popolo iracheno.
Il “democratico” Afghanistan ha continuato a ignorare bellamente la tutela dei diritti umani, compiendo arresti arbitrari e torturando senza tanti scrupoli i prigionieri per estorcere ammissioni di colpevolezza ed informazioni.
Avevamo parlato di questa situazione in particolare in un articolo uscito sul bollettino di novembre 2004 (Condanna capitale “Made in Afghanistan” – v. n. 123), in cui riferivamo dell’arresto, della tortura e della conseguente condanna a morte di Reza Khan, incriminato per l’omicidio della giornalista italiana Maria Grazia Cutuli. Reza aveva confessato colpe che andavano al di là dei reati commessi: aveva per esempio confessato di aver stuprato la giornalista, cosa che l’autopsia ha dimostrato non vera.
Si è trattato di un evento triste, che lascia la bocca amara, ma almeno Reza in qualche modo è complice di un omicidio.
Vediamo però che cosa succede adesso, a distanza di tre anni dalla “democratizzazione”, in questo paese tuttora dilaniato da insurrezioni, attentati e rapimenti (quello dell’italiana Clementina Cantoni è il più dolorosamente noto nel nostro paese). Guardiamo soprattutto a come vengono trattate le donne, “libere e senza burka”, come affermavano superficialmente i giornali nel 2002.
Proprio in questi giorni Amnesty International ha denunciato il caso di una donna di 29 anni, nota solo con il nome di Amina, che è stata accusata di adulterio dal marito, trascinata fuori dalla casa dei suoi genitori da lui e da alcune guardie, processata sommariamente da un tribunale islamico locale, e condannata a morte. Meno di 48 ore dopo la condanna, Amina è stata lapidata in pubblico. L’uomo con il quale Amina avrebbe commesso adulterio, ha ricevuto 100 colpi di frusta e poi è stato liberato.
Sembra che Amina da molto tempo chiedesse al marito la separazione, perché questi, assente dalla famiglia da oltre cinque anni e residente in Iran, non era in grado di mantenere la moglie.
“Il caso di Amina dimostra il fallimento del governo afgano nel proteggere le persone, assicurare e dispensare la giustizia, in particolare nei riguardi delle donne.” Ha dichiarato Amnesty International.
La nuova costituzione afgana prevede uguali diritti per uomini e donne. Questo sulla carta. I fatti, come quello di Amina, parlano un linguaggio ben diverso, ed ogni giorno in Afghanistan molte donne subiscono violenza, vengono percosse, stuprate, rapite e vendute come schiave.
Che cosa fa il presidente filo-americano Karzai di fronte a questo dilagare di soprusi? Nulla di concreto, anche se pare sia stata aperta un’inchiesta sull’illegale e precipitosa esecuzione di Amina.
Karzai di recente ha pubblicamente esortato le autorità islamiche a prendere posizione contro la violenza sulle donne. Egli ha anche dichiarato, nel 2003 e ad aprile di quest’anno, di sospendere le esecuzioni capitali fino al completo riassetto del sistema giudiziario. Non possiamo certo essere molto ottimisti circa la realizzazione di questo programma, in quanto non vi è nessuna seria volontà e concreta possibilità di metterlo in pratica, effettuando controlli e punendo le violazioni, in un paese in gran parte controllato dai ‘signori della guerra’ locali.
Sono passati tre anni dalla ‘liberazione’ dell’Afghanistan… Se è in grado di farlo, che cosa aspetta Karzai per attivarsi? (Grazia)
6) RESISTERE FISICAMENTE ALL’ESECUZIONE? RISULTATI DEL SONDAGGIO
Cari amici italiani, sono felice di condividere con voi le informazioni che ho ricavato dal sondaggio da me proposto. Prima di tutto e cosa più importante, desidero dirvi che mi ha fatto molto piacere leggere le osservazioni di tutti quelli fra voi che hanno dedicato il loro tempo a rispondermi. Spero che vi rendiate conto, o che vi renderete conto in futuro, che questi fatti vi riguardano quasi quanto noi. Mi sono commosso leggendo molte delle vostre risposte. Alcune mi hanno fatto venire i brividi, altre quasi le lacrime. Sebbene io non conosca personalmente la maggioranza di voi queste risposte hanno sottolineato la fratellanza che ci unisce. Gli amici a cui scrivo in Italia sono come una famiglia per me e ho avvertito questo stesso tipo di sentimento per molti di voi. Questa è stata un’esperienza molto profonda e vi ringrazio per averci dedicato del tempo.
Vorrei chiarire un punto. La questione che io ho posto non rappresentava una “mia” idea. Come ho scritto nell’articolo originario, questo è un argomento su cui i condannati a morte discutono da anni. Si tratta di fatti successi nel passato e che possiamo ancora vedere in futuro. Una delle persone più note che si è battuta in modo determinatissimo è stato Shaka Sankofa, che ha opposto resistenza fino alla fine. Il Comitato Paul Rougeau un tempo aveva aiutato Shaka e adesso ha reso omaggio alla sua memoria con un libro pubblicato su di lui. Quindi questi argomenti sono proprio reali.
Mi ha commosso questo sondaggio non solo per ciò che ognuno di voi ha detto, ma perché questa è stata la prima volta in cui ho avuto davvero un ritorno, una corresponsione al mio lavoro. Scrivo per il Comitato da quasi tre anni. Non scrivo per me stesso, scrivo per VOI. Impegno le mie energie per portare a VOI le notizie, la vita, le idee e le situazioni del braccio della morte. Sono stato felice di ricevere notizie da 26 fra voi. Ho letto tutti i vostri commenti con profonda attenzione. Potrei scrivere un articolo su ciascuno dei vostri commenti. Ma per il momento lasciate che vi dia qualche risultato più generale:
- 14 di voi hanno dichiarato che il migliore comportamento sarebbe di resistere passivamente, senza violenza (per esempio rifiutandosi di camminare);
- 7 di voi hanno dichiarato che la resistenza fisica attiva sarebbe una cosa giusta;
- 4 di voi hanno detto che non sono in grado di prendere posizione e lasciano ad ogni singolo detenuto la scelta del suo tipo di comportamento, affermando che solo lui può giudicare cosa sia meglio fare;
- 1 persona ha detto che la cosa migliore è di camminare serenamente verso il lettino dell’esecuzione.
Moltissimi tra voi hanno dato valide e approfondite spiegazioni e oggi posso commentarne solo alcune, ma voglio comunque condividere alcune idee con voi. Un certo Piero ha detto una cosa molto importante: se gli abolizionisti nel mondo esterno non vengono coinvolti da questi fatti, qualsiasi reazione non serve a nulla. Sono d’accordo. Per quei detenuti che decidono di opporre resistenza (sia violenta che nonviolenta) è necessario che ci sia l’attenzione dei gruppi che possano attirare a loro volta l’interesse dei media. Se falliamo nel far sì che il mondo veda la nostra reazione, allora fallisce lo scopo.
E’ intervenuto anche un cappellano che assiste i condannati a morte prima dell’esecuzione. Desideravo scrivergli personalmente perché ha detto che ci sono persone che gli dicono che anche lui dovrebbe resistere fisicamente per aiutare i detenuti. Questa non è un’idea intelligente. Ogni cappellano ha una missione speciale da svolgere, ed è di natura spirituale. Lui è lì per fornire conforto. Egli deve ricreare un ponte di compassione, un ponte che è stato distrutto da questa procedura. La sua battaglia per il detenuto è strettamente di natura spirituale, perché egli sa che se reagisse in qualche modo fisicamente, non gli verrebbe mai più permesso di tornare nel carcere a visitare i prigionieri. Ma vorrei commentare la parte in cui afferma che se non c’è resistenza fisica è meglio, perché è spesso segno che i condannati hanno raggiunto la loro pace interiore. Io interpreto questo come l’affermazione che evitando di resistere un condannato mantiene una forma di dignità. Vorrei citare un articolo scritto da Grazia per questo bollettino qualche mese fa in cui dichiarava che non c’è alcuna dignità in questo. E questo è vero.
Questo processo non può e non deve essere reso apparentemente dignitoso. La vendetta, l’incremento delle sofferenze inflitto alle famiglie, ecc., non hanno nulla di dignitoso e questa procedura dovrebbe essere denunciata per ciò che è. Se continuiamo a cercare di “addolcire” questa procedura, essa continuerà ad essere accettata.
Ecco una metafora per voi: può un uomo trovarsi nel caos e sentirsi in pace nello stesso tempo? Vi pare una contraddizione? Forse lo è, ma provate a pensare ad un uragano o ad un tornado. Essi possono ruotare in modo caotico, ma nell’occhio della tempesta c’è calma. Così, può esserci una similitudine con questa situazione.
Vorrei continuare questo commento attraverso le parole di una certa Laura, che ha detto che preferirebbe un’esecuzione con la fucilazione. Ha detto: “Se vogliono uccidermi almeno che trovino il coraggio di farlo fisicamente, toccandomi con le mani, guardandomi in faccia”. Questo commento ha avuto un effetto fortissimo su di me. Vedete, la vera ragione per cui conducono queste esecuzioni in queste stanze sterili e dietro a porte chiuse è per farle sembrare accettabili. Molte persone hanno chiesto qual è la ragione di affermare che la pena di morte è un deterrente se non si fa vedere alla gente, affinché possa VEDERE la punizione. In Europa, molto tempo fa, le esecuzioni venivano portate a termine in pubblico. La gente poi ha posto fine a questo. Videro l’orrore di questa cosa. Questa è la ragione per cui l’America la tiene nascosta. Come ho detto in una delle mie poesie: “L’assassinio è assassinio sempre, non importa se effettuato in modo pulito.”
Ho cercato ad immedesimarmi in profondità in una reazione di tipo non-violento. Provate a visualizzare questa scena: un uomo vien fatto uscire dalla cella per essere condotto all’esecuzione. Si ferma. Cade in ginocchio. Comincia a pregare ad alta voce: “Padre celeste per favore perdona queste guardie che mi portano al luogo in cui sarò assassinato. Perdonali per la loro collaborazione con lo stato del Texas al fine di uccidermi. Questo sangue è anche sulle loro mani!” Immaginate una simile preghiera detta con grande passione. Metterebbe le menti in movimento. (Desidero anche ricordarvi che il braccio della morte agisce soprattutto sulla psiche. Ho sentito guardie oneste dire: ”Pregheremo per lui”. Era commovente.) Non diciamo mai: “A che cosa servirebbe fare questo?” perché non sappiamo mai come Dio agisce. Cosa succederebbe se una guardia uscendo da questo posto raccontasse l’accaduto ad un’altra persona? Ecco che il messaggio sarebbe stato trasmesso. Però potremmo non sapere che questo sta succedendo. Se passando davanti a qualcuno per strada gli sorridete, non potete sapere se quel sorriso toccherà il suo cuore. Quando pensiamo alle cose dello spirito non possiamo limitare il nostro ambito al regno della fisicità, e quindi non pensate mai con una mente ristretta.
Quando ho proposto questo sondaggio non l’ho fatto per me. Ho in mente di condividere le vostre risposte con gli altri detenuti intorno a me. Essi hanno bisogno di ascoltarle. Molti si sentono disperati. Molti di voi forse non lo sanno, ma negli ultimi sette mesi due uomini si sono suicidati qui, impiccandosi. Questa è la ragione per cui è importante leggere le vostre parole, affinché la gente sappia che a voi importa delle nostre azioni e delle nostre vite.
Non dobbiamo negare che occorre fare sacrifici quando ci si trova in mezzo ad una guerra, e sì, questa è una guerra, perché il Texas ha ucciso oltre 315 condannati. Persino gli Israeliti e i Cristiani hanno dovuto prendere in considerazione la guerra nel corso della storia. Vi fornisco alcuni riferimenti biblici… pensate a quando Mosè dovette combattere contro il Faraone. Pensate a quando Davide uccise Golia. Pensate a quando Gesù gettò i peccatori fuori dal Tempio. La reazione violenta ogni tanto si rese necessaria. Essa non contraddice la natura spirituale o la pace fino a quando il nostro cuore è dalla parte della giustizia. I profeti che ho nominato si sono battuti contro l’oppressore. Dobbiamo farlo anche noi.
Ma, attraverso tutti questi discorsi, ricordiamoci di una cosa: dobbiamo resistere in qualsiasi di questi modi INSIEME. Dobbiamo opporci INSIEME perché il nostro scopo è comune. Vorrei poter scrivere di più su questo argomento, ma per adesso devo limitarmi a questo. Continuiamo però a condividere le nostre idee e a comunicare. Grazie per tutti i vostri pensieri, per le preghiere, per la compassione e per il sostegno. Che Dio vi benedica tutti. Kenneth
N. B. Nel prossimo numero verranno pubblicati stralci delle riposte al quesito posto da Kenneth.
7) INTERVISTA NEL BRACCIO DELLA MORTE
Kenneth Wayne Morris è un nero di 34 anni accusato di omicidio. E’ in carcere dal 13 maggio del 1991 e nel Braccio della Morte del Texas dal 2 Settembre 1994.
La sua esecuzione, prevista per l’aprile 2003 fu sospesa meno di due ore prima dell’orario prestabilito.
Attraverso questa intervista mi è stata data l’opportunità di far conoscere la sua storia e la battaglia per difendere la sua vita. (Valeria Bonanni)
VALERIA: Vuoi dire ai lettori di dove sei?
KENNETH MORRIS: Sono di Houston, Harris County, Texas.
V. Da quanto tempo sei in carcere?
K. Da quattordici anni
V.Qual è la tua opinione riguardo alla pena di morte?
K. E’ condizionata dai pregiudizi razziali, politicizzata e ingiusta
V. Perché dici questo?
K. Perché sono stato accusato insieme ad altri due uomini, di aver fatto una rapina in un appartamento e di aver ucciso un uomo. I due erano cugini.
V. Vuoi dire che sono tuoi cugini?
K. No, sono cugini tra loro e avevano una famiglia in grado di aiutarli e la possibilità di pagarsi un buon avvocato. Per questo motivo non è mai stata emessa una condanna a morte contro uno di loro.
V. Quindi ci stai dicendo che sei stato penalizzato perché non avevi il sostegno della tua famiglia ed eri povero?
K. Sì e per di più nero.
V. Credi che i pregiudizi razziali abbiano influito sulla tua condanna alla pena capitale?
K. Sì! In America, in particolare negli Stati Uniti del sud, quando un bianco viene ucciso si tende a dare la colpa a un nero.
Sono stato giudicato da una giuria formata da 11 bianchi e 1 nero. La razza è sempre un fattore determinante nel mio paese, ecco perché il sistema giudiziario americano è ingiusto. I giudici e gli accusatori usano le incarcerazioni come strumenti di propaganda politica. Se non fossi stato povero non sarei finito in carcere e se non fossi stato nero non mi avrebbero condannato a morte.
Se avessi avuto un sostegno, nel periodo tra il 13 maggio del 1991 e il Dicembre del 1993, che è stato determinante per l’esito del mio processo, non avrei dovuto accontentarmi di avvocati d’ufficio che non hanno mai fatto il possibile per difendere i miei diritti
V. Avevi dei precedenti penali, eri mai stato in carcere prima di questo caso?
K. No, sono stato mandato in un Boot Camp (riformatorio) all’età di 17 anni per alcune infrazioni, ma non ero mai stato in prigione
V. Com’erano gli avvocati di ufficio a cui è stato affidato il tuo caso?
K. Non gliene importava niente di me. Per due anni non mi parlarono neanche. Non c’erano prove contro di me, che dimostrassero la mia implicazione in quell’omicidio. La presunta arma del delitto apparteneva a uno dei due cugini, accusati di essere miei complici. Fu accertata la presenza sul luogo del delitto di entrambi i cugini e la polizia prese le impronte digitali di uno di loro.
V. Se non c’erano prove contro di te perché sei stato accusato ?
K. Perché uno dei cugini, quando lo arrestarono, disse alla polizia che ero stato io a sparare. In realtà quel giorno ero stato con loro, eravamo andati in giro a parlare con delle ragazze. Avevo bevuto del vino e poi mi ero addormentato in macchina. Il giorno dopo mi dissero dell’omicidio.
V. Quindi non sei stato mai realmente identificato come colpevole insieme ai due cugini?
K. No, al processo l’uomo che indicò i due cugini come presenti sul luogo del delitto disse di non avermi mai visto prima.
V. Come hanno potuto arrestarti, si sono basati sulla testimonianza dei cugini?
K. Quello che i due hanno detto non può essere considerata una vera e propria testimonianza, loro hanno detto alla polizia che ero io il colpevole.
Sono stato condannato a causa della mia difesa legale inadeguata e perché sono stato costretto a firmare un documento che a mia insaputa conteneva una dichiarazione di colpevolezza. Dopo essere stato messo in una cella a morire di freddo senza scarpe, senza luce mi hanno portato in una stanza dove c’erano dei poliziotti tutti bianchi che mi hanno detto:” se non vuoi la pena di morte devi firmare questa carta, così noi diremo che hai collaborato e ti aiuteranno” .
V. In pratica ti hanno fatto firmare una carta che non eri in grado di leggere? Quando hai capito che cosa vi era scritto?
K. L’ho scoperto solo durante il processo, quel documento diceva che ero stato io a sparare con una pistola calibro 32. L’autopsia e la perizia balistica hanno dimostrato invece che la morte era dovuta a un proiettile calibro 22. Avrebbero dovuto rilasciarmi, ma il mio avvocato non ha fatto niente e sono rimasto in carcere
V. Niente di tutto questo è stato preso in considerazione nella fase dell’appello?
K. I miei avvocati si comportarono come i precedenti, la gente non si rende conto di come vanno le cose. Sono stato un capro espiatorio. Nessuno avrebbe sentito la mia mancanza. Non sapevo né leggere né scrivere, la società poteva fare a meno di me. Credo che solo per volontà di Dio sono ancora vivo
V. Nel 2003 ti è stata data una data di esecuzione, come ti sei sentito?
K. Sapevo che me ne avrebbero data una prima o poi. L’ho visto accadere per tanti ragazzi che purtroppo non c e l’hanno fatta
V. Avevi paura?
K. No, ma ero agitato, mi sentivo come non mi ero mai sentito prima, entrai nella stanza e il giudice cominciò a leggere l’ordine di esecuzione. Non sono riuscito a trattenere le lacrime, scorrevano a fiumi, soffrivo terribilmente perché tutti si comportavano con indifferenza, con freddezza, a nessuno importava che fossi un essere umano, che per 13 anni fossi stato rinchiuso in una cella, isolato dal mondo, lontano da amici e familiari, a nessuno importava sapere che cosa avessi nel cuore….Ero solo un mucchio di carte da sistemare e questo mi faceva molto male. Quando il giudice terminò il suo compito uscii dalla stanza e piansi ancora, poi cercai di farmi coraggio.
V. La tua esecuzione era stata fissata a gennaio 2003 per il 15 aprile. Quindi ti rimanevano quattro mesi di vita, come li hai vissuti?
K. La prima cosa che feci fu togliere i miei familiari dalla lista delle visite, in tutti quegli anni solo mia madre era venuta trovarmi, che motivo c’era di rivedere gli altri?
Poi ho provato a rilassarmi e prendere le cose con filosofia. Ho migliorato il mio rapporto con Dio, sono stato educato come cristiano anche se ho sempre avuto un rapporto molto personale con la fede, non da praticante, ho sempre seguito solo il mio cuore.
Così quando, il giorno prima della mia esecuzione, i miei parenti vennero a trovarmi, mio padre che non vedevo dal 1991, poi mio zio che non vedevo da 12 anni e i miei fratelli che non venivano da 6, Dio mi aveva già insegnato l’amore e il perdono. Avevo capito che non dovevo giudicarli e, pensando di dover morire, sentii il bisogno di esprimere a tutti loro il mio affetto, questo li fece sentire meglio. Non li ho più visti da quel giorno, ma va bene così, mia madre viene quando può.
V. Sei entrato nella stanza della morte?
K. No perché alle 16 e 20’ ho saputo che l’esecuzione fissata per le 18 era stata sospesa.
V. Adesso hai un avvocato migliore?
K. Credo di sì ma ho bisogno di persone su cui poter contare, che mi aiutino a far riaprire il mio caso e a riesaminare gli atti del processo, ho bisogno di persone che mi appoggino, che non mi facciano sentire solo. Così lo stato non potrà più farmi del male senza doverne rispondere.
V. C’è qualcos’altro che vorresti dire ai lettori?
K. Se quanto mi è accaduto vi sembra ingiusto e se siete tra coloro che non rimangono indifferenti davanti alle ingiustizie, vi chiedo di aiutarmi in qualsiasi modo, anche solo facendo conoscere il mio caso a qualcun altro, o scrivendomi una lettera di solidarietà. Vi ringrazio del tempo che mi dedicherete.
Vorrei anche ringraziare Frank Moore e Bonnie Craway per il loro sostegno: apprezzo sinceramente quello che avete fatto. Vi voglio bene. Continuate a lottare.
Ai lettori chiedo di scrivermi al seguente indirizzo:
Mr. Kenneth Morris # 999117
Polunsky Unit
3872 F.M. 350 South
LIVINGSTON, TX 77351 USA
8) 14 MAGGIO 2005: GRANDE EVENTO ABOLIZIONISTA A MODENA di Cecilia Negri
Dopo mesi di lavoro, il 14 maggio 2005 Modena ha potuto assistere alla conferenza tenuta dai più grandi abolizionisti americani che, insieme all’ intervento della Coalizione Italiana, per la prima volta si sono trovati insieme, uniti, ad ascoltarsi a vicenda.
Nonostante la pioggia che ha iniziato a cadere alle 15 e 30’, ora prevista per l’inizio della marcia per le vie del centro, gli abolizionisti italiani, insieme a quelli americani, hanno camminato, chiedendo a gran voce l’abolizione della pena di morte; nonostante il numero limitato di persone, l’attenzione suscitata nei negozianti e nelle persone di passaggio è stata notevole.
Purtroppo, proprio per il maltempo improvviso, il corteo ha dovuto spostare il suo punto di arrivo, previsto in Piazza Matteotti, nel Palazzo dei Musei.
Giusto il tempo di riorganizzare il tutto e la conferenza ha avuto inizio grazie all’intervento toccante e coinvolgente del giornalista Marco Cinque che ha interpretato alcune poesie scritte da condannati a morte, accompagnando la sua voce con diversi strumenti etnici.
Al suo fianco Phyllis, moglie di Shujaa Graham, dava voce a brani in lingua originale.
Dopo che tutti i presenti avevano chiuso gli occhi, ascoltando l’ultima poesia, per riuscire a vedere le immagini raccontate, è intervenuta l’assessore alle Politiche Sociali Francesca Maletti, sottolineando la grande attenzione del Comune di Modena per l’iniziativa.
Dave Atwood, direttore della Texas Coalition Against The Death Penalty ha potuto fornire una visione d’insieme sul problema della pena capitale, raccontando delle sue esperienze dirette nell’assistere all’esecuzione di un essere umano: "immaginatevi un uomo steso su un lettino, mentre il veleno scorre nelle sue vene, senza che possa liberarsi"; "la pena di morte è ingiusta, anche perché colpisce i poveri, i diseredati ed è caratterizzata da un forte razzismo".
Dopo questo intervento, concluso con le parole di una canzone spesso utilizzata durante le dimostrazioni per l’abolizione della pena capitale, "we shall overcome", è stato il gruppo di danza Hip hop "Young blak soulz" che ha presentato il relatore successivo, attraverso lo stesso strumento con cui questo cerca di dare una alternativa ai ragazzi di strada, la danza hip hop appunto.
Tra questo momento e l’intervento di Magdaleno Rose Avila, il Sindaco di Modena Giorgio Pighi è intervenuto per sottolineare l’ingiustizia della pena di morte e focalizzare l’attenzione sulla necessità di fornire uguali diritti a tutti gli esseri umani.
Dopo di lui il discorso di Magdaleno Rose Avila ha coinvolto tutti i presenti: ex membro di una gang e ora impegnato, a fianco degli altri abolizionisti e di Suor Helen Prejan (con cui ha fondato la Moratorium Campaign 2002), nella lotta alla violenza.
Magdaleno, in piedi davanti al pubblico, ha raccontato la sua storia, da quando girava per le strade armato di due pistole ("ero un uomo molto violento"). Ora utilizza proprio questa sua esperienza per comunicare con i giovani di strada a cui cerca di mostrare un modo alternativo di vivere rispetto alla violenza della gang.
"Dobbiamo mostrare ai nostri ragazzi che esiste un mondo di pace".
E collegandosi a queste parole, Bill Pelke, nipote della vittima dell’omicida quindicenne Paula Cooper, ha mostrato la foto di sua nonna Ruth.
"Paula e le sue amiche, dopo aver bevuto e aver fatto uso di droghe, andarono a bussare alla porta di mia nonna in cerca di denaro da spendere nella sala giochi. Una volte entrate, chiedendo di poter assistere a una delle sue lezioni sulla Bibbia, la colpirono, la accoltellarono, la uccisero. Paula Cooper venne condannata a morte."
"Per un anno ho cercato la vendetta. Poi la notte del 2 novembre 1986, mentre ero al lavoro in acciaieria, iniziai a riflettere. Mia nonna era credente e come tale non avrebbe mai voluto la morte di un altro essere umano. Fu quella notte che iniziò il mio percorso di guarigione – from violence to healing -perché compresi che per guarire dalla mia sofferenza dovevo perdonare Paula".
Bill Pelke da quella notte non ha mai smesso di lottare per l’abolizione della pena di morte, riuscendo a fare commutare la sentenza di morte di Paula, che ora sta scontando una pena a sessant’anni, e portando in giro per il mondo il suo messaggio di pace e perdono.
A questo punto Chiara Silva, membro della Coalizione italiana per l’abolizione della pena di morte, ha potuto, ancora una volta, mostrare il lato più umano dei condannati a morte, raccontando l’esperienza della corrispondenza.
Al termine della conferenza, l’ultimo intervento, quello di Shujaa Graham, ex dead man walking. Con la voce rotta dal pianto Shujaa ha rivissuto insieme a coloro che erano venuti ad ascoltarlo, la sua lotta per la sopravvivenza nei lunghi 14 anni passati in carcere: "quando vi raccontano delle storie sul braccio della morte sappiate che è tutto reale". "Sono un uomo distrutto" ha affermato, ma è proprio da questo che egli trae la forza per parlare con le persone, affinché certi orribili atti non debbano accadere mai più.
Una conferenza piena di emozioni, dunque, in cui i relatori stessi si sono commossi ascoltandosi a vicenda, che ha portato un forte messaggio di pace a tutti coloro che hanno voluto ascoltare le parole di uomini e donne che combattono affinché il diritto alla vita sia difeso in ogni momento e in ogni luogo.
*****
E ora permettetemi che vi racconti il "dietro le quinte", ovvero le emozioni, i momenti passati insieme a un gruppo meraviglioso di persone che mi hanno fatto comprendere come il mio desiderio di cambiare il mondo non sia semplicemente un sogno ma possa realizzarsi.
In questi 10 giorni in cui sono stata insieme a Magdaleno, Bill, Shujaa, Dave, ho potuto assistere all’espressione totale dell’amore e del rispetto per tutti gli uomini e le donne.
Arrivati il 13 maggio all’aeroporto di Bologna, nonostante ore di ritardo, io, Katia e Monica (con cui si è lavorato per rendere tutto questo possibile) abbiamo passato quella sera seduti a un tavolo con Shujaa, sua moglie Phyllis, e Bill Pelke. Gli altri, Dave Atwood e sua moglie Peggy, insieme a Magdaleno Avila, sarebbero arrivati alle 2 di notte.
Non so se riuscirò mai a trasmettere le sensazioni che si possono provare stando insieme ad alcuni dei più grandi abolizionisti americani e parlando di pena di morte.
Posso raccontarvi delle lunghe chiacchierate che ho fatto con Shujaa, l’ex dead man walking.
Posso dirvi che, come lui stesso afferma, è davvero un uomo distrutto. Ogni volta che parla della sua esperienza non può fare a meno di piangere, sia che siate tu e lui, sia nel mezzo di una conferenza. E’ un uomo che ha passato 14 anni in galera perché combatteva per i diritti dei neri negli Stati Uniti. E’ un uomo a cui hanno cercato di togliere ogni briciolo di dignità, un uomo che ha passato 9 anni in isolamento totale.
Lo puoi vedere Shujaa, trentenne, ammanettato, mani e piedi, passare tra gli altri detenuti del carcere. Senti la guardia che urla "dead man walking" e gli altri detenuti, quelli della popolazione "normale " del carcere, che gridano il suo nome, esultano, tifano per lui. E lui che viene colpito, perché fa loro un cenno di risposta col capo…
Lo vedi, quando gli dissero: "Ora sei libero. Ti portiamo fuori". Lo vedi dire: "No. Aspettate" e sedersi ancora nella sua cella, cercando di capire che l’incubo è finito, che non sarà ucciso dallo stato, per correre poi da Phyllis, l’infermiera del carcere di cui si era innamorato e che lo amava.
Gli credi quando ti dice che negli 8 anni che hanno seguito la sua liberazione lui non ha mai voluto parlare di tutto questo; dei soprusi, delle umiliazioni, del sangue e della sofferenza visti e vissuti. Gli credi quando ti dice che in vent’anni non ha mai trascorso una notte senza incubi. Ha un’ anima ferita a morte Shujaa…ma credetemi se vi dico che non ho mai conosciuto un uomo così ricco di amore e di forza da condividere. Un grande uomo, che è riuscito a trasformare l’odio per i suoi aguzzini e tutta la sofferenza provata in amore per gli uomini di questo mondo. Ogni volta che parla, vive, Shujaa. Lo vedi agitarsi, infervorarsi, lo vedi trasmetterti tutto quello che c’è dentro di lui. Lo vedi parlare di fratellanza umana, di un altro mondo possibile se tutti crescessimo dalle esperienze altrui, uniti in una catena forte come una grande famiglia.
E poi c’era Bill Pelke… Lo vedi soffrire e commuoversi il giorno della conferenza, dedicata a lui e a Ruth, sua nonna, nel 20esimo anniversario della morte. Ma sai che dietro quella sofferenza c’è pace, perché ha perdonato.
E poi c’era Dave Atwood; a vederlo in foto sembra il classico inglese rigido e un po’ freddino…altro che freddino! Dovevate vederlo mentre stuzzicava Magdaleno al parco mentre si era addormentato, complice Shujaa.
E che dire di Magdaleno…pensarlo ventenne messicano, con due pistole in tasca a capo di una gang mi ha fatto un po’ effetto.
E pensare che ha il coraggio di combattere, con solo la sua voce, i trafficanti di droga, presentandosi agli incontri, è qualcosa che fa venire i brividi. Pensare che cerca di trasformare le gang (non di abolirle ma di trasformarle) in un gruppo ispirato dall’amore invece che dalla violenza, mostrando a dei 14-enni armati fino ai denti che esiste un’ alternativa, è qualcosa di incredibile.
E scoprire che Steve Earl, cantante country molto famoso negli States nonché abolizionista dichiarato, in tournée a Modena, è amico di Magdaleno… una telefonata, e giù a scrivere una petizione contro la pena di morte. Steve non solo ci incontrerà e ci farà assistere al concerto ma riuscirà a far mettere un banchetto per la raccolta di firme!!
Beh, vi garantisco che è stato stupendo.
Già, anche perché come abbiamo tutti detto ormai la famiglia si è allargata.
Vorrei condividere con voi un’ultima bellissima esperienza; lunedì 16 abbiamo portato i nostri relatori a Reggio Emilia perché c’era un’altra conferenza a cui partecipava anche Rick Halperin, uno tra i più grandi abolizionisti al mondo; la sensazione conoscendolo di persona è semplicemente meravigliosa.
Dopo la cena insieme e lui e agli altri sono andata a ringraziarlo. L’ho ringraziato perché quando il mio corrispondete Bobby Swisher della Virginia ebbe fissata la data di esecuzione lui mi rimase vicino…
Bene, Rick abbracciandomi mi ha risposto: "Non devi ringraziarmi perché siamo tutti una grande famiglia. Ogni volta che avrai bisogno, chiamami, dimmi cosa ti serve e io lo farò".
Questo è lo spirito con cui tutti loro vivono e lavorano.
Questo è lo spirito di coloro che credono ancora di poter cambiare il mondo.
Non so a voi, ma a me piace continuare a crederci.
E come mi ha scritto Magdaleno sul suo libro: Love the truth and dream the impossible. Ama la verità e sogna l’impossibile. Sempre.
9) L’ASSEMBLEA DI FIRENZE DEL 22 MAGGIO TRA AMICIZIA E PRODUTTIVITA’
[...] Sono presenti: Elisa Burzi, Paolo Cifariello, Christian de Dampierre Raimondi, Loredana Giannini, Maria Grazia Guaschino, Antonio Landino, Giuseppe Lodoli, Lucia Meucci, Nadine Ricci, Isabella Totaro, Stefano Zanini. [...] L'ordine del giorno è il seguente: 1. Relazione sulle attività svolte dopo l'Assemblea del 23 maggio 2004; 2. relazione sulle attività di divulgazione/distribuzione del libro “Muoio Assassinato Questa Notte”; 3. relazione sulla preparazione della versione inglese del libro di cui al punto 2. (titolo inglese: “They are Murdering Me Tonight”); 4. relazione sulle conferenze di Dale Recinella in Italia nel marzo 2005; 5. situazione iscritti al Comitato; 6. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2004; 7. eventuali dimissioni dalle cariche sociali e rinnovo del Consiglio direttivo; 8. rapporti con le altre associazioni/gruppi ed eventuali interventi di Ospiti dell'Assemblea esterni al Comitato Paul Rougeau; 9. proposte di invito e ospitalità di Dale Recinella in autunno e in maggio/giugno 2006 in altre località italiane; 10. proposte, idee, suggerimenti e collaborazione per la pubblicazione negli Stati Uniti del libro di cui al punto 3.; 11. invito rivolto ai nuovi iscritti a collaborare attivamente con il Comitato con iniziative consone alle loro rispettive disponibilità, capacità ed esperienze; 12. programmazione delle attività future (rapporti con i detenuti, assistenza a corrispondenti dei detenuti, petizioni e azioni urgenti, attività editoriali e telematiche, interventi nelle scuole, campagne abolizioniste, progetto “Non uccidere”, rapporti con personalità e organizzazioni, allargamento della base associativa, raccolta fondi, ...); nomina di eventuali responsabili delle varie attività; 13. varie ed eventuali. La riunione comincia con una presentazione reciproca dei partecipanti [...] Antonio, socio dal Comitato da cinque anni, si è particolarmente impegnato in iniziative contro la pena di morte nell’ambiente carcerario italiano. Elisa corrisponde con un detenuto del braccio della morte del Nevada ed è un’operatrice sociale. Isabella oltre ad essere socia del Comitato è vice responsabile del gruppo 245 di Amnesty International che collabora da quattro anni con il Comitato per promuovere petizioni e azioni urgenti nonché interventi nelle scuole. Nadine racconta di avere avuto un familiare vittima di omicidio e di essere nonostante ciò un’abolizionista; ha una intensa corrispondenza con Eugene Broxton detenuto nel braccio della morte del Texas; è presidente per l’Italia di un’associazione abolizionista afferente alla realtà texana. Finite le presentazioni, si affronta il punto 1. all’o. d. g. [...] E’ proseguito un intenso rapporto di amicizia con Kenneth Foster, detenuto nel braccio della morte del Texas, il quale ha preparato articoli per tutti i numeri del Foglio di Collegamento, promuovendo anche un sondaggio tra i lettori in merito all’atteggiamento, di collaborazione o di resistenza, che dovrebbero assumere i condannati a morte in occasione dell’esecuzione. [...] Sono proseguite le attività di routine con l’aiuto offerto a corrispondenti di detenuti nel braccio della morte […]; Il Foglio di Collegamento è uscito regolarmente con 11 numeri di 14 pagine ciascuno. L’indirizzario per l’invio del bollettino in forma cartacea si è ulteriormente ridimensionato nell’ultimo anno passando da 90 a 77 indirizzi (erano 135 nel maggio 2003); è tuttavia cresciuto il numero di aderenti alla lista per la ricezione del bollettino via e-mail (passando da 178 a 217); 24 persone ricevono entrambe le versioni. In tutto i destinatari del F. d. C. sono quindi 324. […] Il Comitato ha continuato a smistare informazioni sul tema della pena di morte: ricevuti 13.500 e-mail (l’anno precedente oltre 12.000), spediti 2.220 e-mail (l’anno precedente oltre 1.500). Sono stati effettuati oltre 10 interventi di membri del Comitato nel corso di manifestazioni ed incontri sui temi della pena di morte e dei diritti umani, specie nelle scuole. Il sito Web è stato puntualmente aggiornato da Grazia [...] Passando al punto 2. Grazia, Giuseppe e Paolo relazionano sulla diffusione del libro su Gary Graham. Sono state distribuite oltre 400 copie delle 500 avute inizialmente dall’editore; [...] Punti 3. e 10. E’ stato eseguito un lavoro accurato di revisione ed integrazione e un minuzioso controllo del testo inglese del libro su Gary Graham [...] Grazia ha ottenuto che una sua amica statunitense autrice di successo di libri gialli esplorasse la possibilità di pubblicare il libro negli Stati Uniti. Un’altra opzione potrebbe essere quella di pubblicare il libro con l’editore della versione italiana (Multimage) […] Vengono trattati congiuntamente i punti 4. e 9. Stefano Zanini relaziona sul tour di Dale Recinella in Friuli che ha avuto grande successo. Presso l’Università di Udine – che ha sponsorizzato il tour – si è anche parlato di un possibile futuro conferimento di una laurea honoris causa a Recinella. Stefano si è caricato dell’impegnativo e delicato lavoro di comunicazione e di raccordo con le organizzazioni e con le persone che collaboravano […] nella realizzazione dell’evento. Grazia relaziona sulla conferenza di quattro ore tenuta da Dale al Sermig di Torino e sulle conferenze da lui tenute in un liceo della medesima città. In entrambi i casi l’oratore americano ha saputo coinvolgere profondamente il pubblico. [...] Giuseppe si terrà in contatto con Dale in vista di una sua venuta a Roma nel prossimo autunno per un’iniziativa abolizionista organizzata da un prestigioso studio legale internazionale. Dale si rende volentieri disponibile a venire a Firenze per una manifestazione da organizzare in concomitanza dell’Assemblea del prossimo anno. […]. Punto 5. Loredana illustra la situazione degli iscritti al Comitato: tra soci in regola e soci di cui è appena scaduta l’iscrizione (che si prevede rinnoveranno la quota a breve termine) si arriva a 140 persone. […]. Con piacere si nota che nell’ultimo anno una mezza dozzina di persone ha cominciato a collaborare con lo staff del Comitato nelle attività di routine. Punto 6. Il Tesoriere Paolo Cifariello illustra il rendiconto economico per il 2004. Tra le entrate, rispetto all’anno precedente, l’importo delle quote associative è aumentato di circa il 15%, le altre voci – in particolare le offerte per i detenuti non sono aumentate. Ciò è dovuto soprattutto al venir meno dell’apporto del socio Paolo Cortelli che, per le mutate condizioni del mercato, non ha potuto più vendere i suoi programmi informatici a beneficio del Comitato. Il numero di operazioni di trasferimento di fondi ai detenuti per conto terzi è aumentato rispetto all’anno precedente (passando da 37 a 53). [....] Dopo approfondita discussione, si decide che una somma residua - proveniente da offerte generiche negli anni precedenti - che in precedenza si era deciso di trasferire ai detenuti possa essere utilizzata per eventuali spese connesse con la pubblicazione del libro su Gary Graham negli USA, intendendosi che il profitto realizzato con la vendita dei libri verrà interamante devoluto ai detenuti. […] E’ leggermente diminuito rispetto all’anno precedente l’ammontare delle somme devolute a detenuti (713 dollari contro 838 dell’anno precedente). [...] Punto 7. L’Assemblea rielegge all’unanimità i sei membri del Consiglio direttivo [...] Pertanto il Consiglio direttivo risulta composto da: Maria Grazia Guaschino (Presidente), Giuseppe Lodoli (Vice presidente), Paolo Cifariello (Tesoriere), Anna Maria Esposito, Loredana Giannini e Stefano Zanini (Consiglieri). [...] Si passa al punto 8. Nadine illustra le attività dell’organizzazione abolizionista "Coalition for Truth and Justice" (CFTJ) di cui lei è responsabile per l’Italia dicendosi disposta a collaborare con il Comitato Paul Rougeau in tutti i modi opportuni. Per cominciare Nadine pubblicizzerà nel sito della CFTJ il libro su Gary Graham [...] Si illustrano i buoni e molteplici rapporti di collaborazione del Comitato Paul Rougeau con la Sezione italiana di Amnesty International [...] Il Comitato ha confermato la disponibilità a collaborare al nuovo presidente della Sezione Italiana di A. I. Paolo Pobbiati. Il gruppo di Torino proseguirà la collaborazione con il Sermig per sensibilizzare il pubblico sul problema della pena di morte soprattutto nei settori del volontariato sociale e del pacifismo. Passando al punto 11. Antonio si rende disponibile a pubblicizzare nella realtà carceraria il libro su Gary Graham; [...] Grazia e Giuseppe contatteranno alcuni nuovi soci per affidare loro compiti specifici, in particolare i rapporti con organizzazioni e personalità aderenti al Comitato e il “restyling” del sito Web. Elisa manifesta la disponibilità a diventare responsabile delle azioni urgenti e delle petizioni promosse dal Comitato proponendosi di sfruttare il particolare Internet. Continueranno le attività ordinarie di sostegno ai detenuti, di informazione e di supporto nei riguardi dei corrispondenti dei condannati a morte, di incontri sulla pena di morte, specie nelle scuole, di aggiornamento del sito Web, di diffusione di informazioni nel mondo abolizionista e di pubblicazione del Foglio di Collegamento. Giuseppe riassume la storia del “Coordinamento ‘Non uccidere’ tra enti ed associazioni religiose e laiche per l’abolizione della pena di morte”. “Non uccidere” ha cessato le attività [...] Si decide di avviare un Progetto del Comitato Paul Rougeau denominato “Coordinamento Non uccidere” che – in modo del tutto autonomo dalla linea e dalle scelte strategiche del Comitato – promuova iniziative abolizioniste da parte delle associazioni impegnate nel sociale e delle confederazioni sindacali. [...] La prima attività di Non uccidere sarà la ripresa della “Campagna Rimbalzo” diretta a (particolari categorie di) cittadini di paesi che mantengono la pena di morte. [...]
10) PENA DI MORTE NEL MONDO: NOTIZIE BUONE E CATTIVE
Ogni anno, Amnesty International fornisce i dati sulla pena di morte. Anche quest’anno con un prezioso lavoro di ricerca e documentazione, la più grande ed autorevole organizzazione per i diritti umani riesce a darci un quadro dettagliato dell’andamento di questa barbara pratica nel mondo.
(v. http://web.amnesty.org/library/Index/ENGACT500012005?open&of=ENG-392)
Per quanto riguarda il 2004, molte notizie sono ottimistiche per noi abolizionisti, e altre tragiche. Non sembra possibile la coesistenza di simili opposti, eppure è così.
Iniziamo con le buone notizie. La pena di morte nel mondo è in forte declino per quanto riguarda il numero di nazioni che la applicano. Infatti nel 2004 altri 5 paesi sono diventati abolizionisti per tutti i reati (Bhutan, Grecia, Samoa, Senegal e Turchia), portando così a 120 il numero dei paesi che hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica (per contro 76 paesi continuano ad usare la pena capitale). In altri stati, come il Malawi e la Corea del Sud, vige da anni una moratoria sulle esecuzioni, e il Tagikistan si è unito a questo gruppo lo scorso anno.
Altra buona notizia per il 2004 è la discussione da parte della Corte Suprema USA della liceità della pena di morte minorile (preparatoria della storica sentenza del 1° marzo del 2005 che dichiarato incostituzionale l’uso della pena di morte applicata ai minori di 18 anni all’epoca del crimine). Così in tutti i paesi del mondo, per legge o per un impegno preso dall’esecutivo, è stato posto un termine alle esecuzioni di minorenni all’epoca del crimine. Purtroppo si sa che in pratica alcuni stati non sono coerenti con se stessi, come la Cina, in cui nel 2004 è avvenuta almeno un’esecuzione di un minorenne all’epoca del reato, o l’Iran, dove ne sono state registrate almeno tre.
Turchia, Belgio, Irlanda e Turkmenistan nel 2004 hanno proibito nelle rispettive costituzioni la pena di morte per ogni reato. Ciò significa che questi paesi non si potranno più far leggi che prevedano la pena capitale in qualsiasi evenienza. Purtroppo l’Italia non ha fatto ancora altrettanto, dal momento che nella costituzione del paese che ha visto la nascita dell’abolizionismo (il Granducato di Toscana abolì la pena di morte nel 1786) e che si batte contro le esecuzioni nel mondo, la pena di morte è consentita, in base all’articolo 27, nel codice militare di guerra. Occorre attivarci con rinnovato slancio per cancellare questa macchia dalla nostra costituzione!
Passiamo ora alle brutte notizie, che sono brutte davvero. Aggrappandosi con rabbia e tenacia al loro presunto ‘diritto’ di applicare la pena di morte, in un fanatico tentativo di contrapporsi alla crescita dell’abolizionismo nel mondo, un ridotto numero di paesi l’anno scorso si sono scatenati. Nel 2004 sono state “giustiziate” almeno 3.797 persone in 25 paesi (dei 76 che conservano la pena capitale; nel 2003 i paesi che ‘giustiziarono’ furono 28, nel 2002 31) e ne sono state condannate a morte altre 7.395 in 64 paesi. Molti stati continuano ad emettere sentenze capitali e ad eseguire le condanne in segreto. Secondo Amnesty la maggior parte dei prigionieri messi a morte non ha avuto diritto a un processo equo e molti di essi sono stati condannati sulla base di 'prove' estorte con la tortura. In Cina sono state registrate da Amnesty oltre 3.400 esecuzioni, ma la cifra, seppure raccapricciante, probabilmente non rappresenta che un terzo del dato effettivo. In Iran sono state uccise almeno 159 persone, in Vietnam almeno 64 e negli USA 59 (sei in meno rispetto al 2003, ma sempre 59 di troppo).
Negli USA nel corso del 2004 è stato scagionato e liberato dal braccio della morte il 115° condannato: Ryan Matthews (v. nn. 119; 120, notiziario). Il test del DNA ha confermato la sua innocenza, mentre veniva dimostrato che la pubblica accusa aveva nascosto alla giuria alcune prove discolpanti. Sono 115 quindi gli uomini che, pur avendo subito la disgrazia innominabile di una ingiusta condanna capitale e di un lungo periodo di detenzione negli atroci bracci della morte, hanno poi avuto spesso fortunosamente la possibilità di essere scagionati in tempo prima di morire. Quanti altri innocenti invece non hanno avuto la stessa fortuna? Un sistema che dimostra simili falle e simili possibilità di errore, come può a buon diritto proclamare un grado di infallibilità tale da permettersi di disporre della vita dei suoi cittadini?
Altra brutta notizia è che il presidente della Palestina vorrebbe sospendere la moratoria sulle esecuzioni e riprendere ad applicare le condanne a morte. Vi sono circa 50 prigionieri nei bracci della morte palestinesi, e Amnesty International ha chiesto un colloquio con l’ambasciatore dell’Autorità Palestinese in Italia, nel tentativo di scongiurare una ripresa delle esecuzioni, che farebbe fare alla Palestina un balzo indietro nel cammino verso una vera civilizzazione. (Grazia)
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 22 maggio 2005