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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 318  -  Maggio 2024 (*)

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Jamie Mills ucciso in Alabama

SOMMARIO :

 

1) Ucciso in Alabama Jamie Mills che ha sempre detto di essere innocente

2) Prevista una serie di esecuzioni se Trump diventerà presidente degli Stati Uniti

3) La pena di morte nella Russia di Vladimir Putin

4) Muore Ebrahim Raisi il presidente iraniano pluriomicida

1) UCCISO IN ALABAMA JAMIE MILLS CHE HA SEMPRE DETTO DI ESSERE INNOCENTE

 

Gli sono serviti 20 anni ma alla fine l’Alabama è riuscita ad uccidere Jamie Mills, condannato a morte per un duplice omicidio. Mills ha sempre detto di essere innocente e non è del tutto escluso che lo fosse veramente.

 

Il 30 maggio è stato ucciso in Alabama con iniezione letale il cinquantenne Jamie Mills nell'Holeman Correctional Facility di Atmore. Jamie era stato condannato per l'omicidio di Floyd Hill, 87 anni, e della moglie Vera Hill, 72 anni, avvenuto il 24 giugno 2004. Negli ultimi 16 anni Jamie è vissuto nel braccio della morte e ha continuato ad affermare di essere innocente e di essere stato incastrato.

Mills sosteneva che la sua nuova moglie JoAnn Mills, che testimoniò contro di lui nel 2007, lo fece solo a causa di un accordo patteggiato in precedenza, che le avrebbe risparmiato la pena di morte.

Secondo quanto testimoniato da JoAnn, nel pomeriggio del 24 giugno 2004, Jamie e JoAnn decisero di rapinare la casa di una coppia di anziani, Floyd e Vera Hill. Vera era in cattive condizioni di salute e suo marito la assisteva. Angela Jones, una nipote di Floyd e di Vera, aveva parlato con loro al telefono intorno alle 14,00. Tuttavia, quando arrivò a casa quella sera, non riuscì farsi aprire. Angela chiamò la polizia e richiese un controllo di sicurezza.

Un agente trovò sia Floyd che Vera sdraiati in pozze di sangue in un magazzino della proprietà. Floyd fu dichiarato morto sul posto, tuttavia Vera era ancora viva e fu portata d'urgenza in ospedale. Morì qualche mese dopo, per le ferite riportate durante l'aggressione, tra cui un trauma cranico contundente, una frattura del cranio, fratture intorno agli occhi e al naso, collo rotto/fratturato e mani schiacciate.

Un'indagine rivelò che un vicino aveva visto una berlina bianca passare diverse volte e alla fine parcheggiare nel vialetto di casa degli Hills. La mattina seguente, la polizia trovò Jamie e JoAnn che tentavano di sgattaiolare fuori di casa a bordo di un veicolo bianco corrispondente alla descrizione fornita dal vicino. I Mills affermarono di non sapere cosa fosse successo agli Hills e che quella sera erano fuori città per andare a trovare il padre di Jamie.

Durante l'interrogatorio, JoAnn permise alla polizia di perquisire la loro casa e il loro veicolo. Vi furono trovati diversi oggetti e varie prove forensi che li collegavano al crimine. Alla fine, JoAnn testimoniò in tribunale che, il 23 giugno 2004, lei e Jamie erano rimasti svegli tutta la notte a fumare metanfetamina. La sera seguente, Jamie disse che avrebbe parlato con un uomo per dei soldi e che JoAnn avrebbe dovuto semplicemente seguire il suo esempio.

Jamie era andato a casa degli Hills, dove tentò di fare diverse chiamate dal loro telefono mentre JoAnn chiacchierava con Floyd e Vera. Dopo le telefonate, andarono tutti nel capannone per guardare alcuni degli oggetti, e qui Jamie attaccò Floyd e Vera. JoAnn affermò di non aver partecipato all'aggressione. L'anziana coppia fu picchiata con un machete, un martello e una chiave inglese. Poi i due rubarono denaro e medicinali.

Quella sera guidarono fino a casa del padre di Jamie per trascorrere lì la notte. Tornarono il giorno seguente e stavano tentando di sbarazzarsi degli oggetti che li collegavano al crimine quando la polizia li fermò.

JoAnn testimoniò contro Jamie al suo processo. Egli fu condannato a morte da una giuria che votò 11 a 1 per l’esecuzione, e JoAnn fu condannata all'ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola.

Il mese scorso gli avvocati di Mills avevano presentato due mozioni:

- Nella prima mozione chiedevano a un giudice federale di riaprire il suo caso, sostenendo che "le prove appena scoperte mettono in discussione non solo l'affidabilità del verdetto del processo capitale, ma anche l'integrità" della corte. Gli avvocati di Mills avevano indicato una nuova dichiarazione

giurata dell'ex avvocato di JoAnn Mills, in cui affermava che nel 2007, prima che uno dei Mills affrontasse il processo per omicidio capitale, aveva incontrato l'allora procuratore distrettuale e la famiglia delle vittime. In quell'incontro il procuratore distrettuale accettò di lasciare che JoAnn Mills si dichiarasse colpevole dell'accusa minore di omicidio ed evitasse la pena di morte in cambio della sua testimonianza contro il marito.

Gli avvocati di Mills sostengono che egli fu condannato principalmente sulla base della testimonianza di JoAnn Mills. Mentre nell’auto di Mills il sangue e il DNA delle vittime furono trovati sui vestiti, che riportavano il nome di Mills sulle etichette, le armi del delitto non presentavano il DNA di Mills e i suoi avvocati hanno sostenuto che gli oggetti avrebbero potuto essere stati messi nel bagagliaio senza che né Jamie Mills né sua moglie ne fossero a conoscenza.

"Questo è un caso basato principalmente sulla testimonianza di un singolo testimone: JoAnn Mills", si legge nell'atto. "Senza la sua testimonianza, il caso dello Stato era molto debole. Le prove fisiche erano coerenti con la teoria di difesa del signor Mills, secondo cui era innocente e incastrato da un certo Benjie Howe (che viene definito un "tossicodipendente locale") che è stato identificato come sospettato degli omicidi e arrestato con le medicine delle vittime e una grande quantità di denaro".

Quell'uomo aveva accesso all'auto il giorno degli omicidi, ha sostenuto Mills. In effetti, JoAnn Mills aveva in un primo tempo dichiarato alla polizia, in due diverse occasioni, di sospettare che Benjie Howe avesse piazzato le armi nella loro auto e che il signor Howe avesse portato oggetti rubati a casa loro. Le sue dichiarazioni sono state corroborate dai resoconti della polizia, secondo cui, nelle settimane precedenti l'omicidio, i poliziotti avevano visto Howe frequentare la casa dei Mills dove furono trovate le armi del delitto e dalle prove che il bagagliaio dell'auto dei Mills non aveva serratura e poteva essere facilmente aperto. È stato solo dopo che la polizia minacciò i figli di JoAnn Mills e affermò falsamente che le prove del DNA sulle armi del delitto corrispondevano a Jamie Mills, che la donna rilasciò una terza dichiarazione in cui implicava Jamie. A parte le prove trovate nel bagagliaio non chiuso a chiave, la terza dichiarazione di JoAnn è stata l'unica prova che collegava Mills al crimine.

- Nella seconda mozione di Mills, i suoi avvocati hanno sostenuto che egli avrebbe corso “il rischio imminente di essere sottoposto ad un’esecuzione inutilmente prolungata e tortuosa per mano di dipendenti statali con competenze non verificabili, senza la presenza di un avvocato o l'accesso ai tribunali". Mills è stato infatti destinato a morire tramite iniezione letale, dal momento che non aveva aderito al nuovo metodo di esecuzione dello stato, utilizzando gas azoto, quando i detenuti hanno avuto l'opportunità di farlo nel giugno 2018.

La mozione citava le iniezioni letali più recenti e le due che furono interrotte nel 2022, dopo che lo stato esaurì il tempo per trovare una linea endovenosa adatta.

La mozione chiedeva che i suoi avvocati fossero presenti durante la procedura quando i membri del team di esecuzione avessero avviato la flebo, per la quale in genere sono presenti solo i funzionari della prigione.

Per evitare che Mills rimanesse sulla barella più a lungo del necessario, la direzione del carcere ha dichiarato che "Mills non verrà portato nella camera di esecuzione finché non saranno revocate le sospensioni dell'esecuzione e, se una sospensione dovesse essere concessa mentre è nella camera, verrà rimosso dalla barella e riportato nella cella di detenzione".

In ogni caso, il 28 maggio una corte d’appello federale ha respinto gli appelli e negato una sospensione dell’esecuzione. Lo stato ha chiesto alla corte di far procedere l'esecuzione affermando che il procuratore distrettuale e l'investigatore hanno sostenuto che non c'è stato alcun patteggiamento e che anche altre prove lo collegavano al crimine. La governatrice dell'Alabama Kay Ivey, nell'annunciare l'esecuzione, ha dichiarato: "Quasi 20 anni fa, i nipoti di Floyd e Vera Hill, preoccupati per i nonni, hanno sporto denuncia di scomparsa solo per scoprire che la coppia era stata brutalmente e orribilmente picchiata a morte. La vita degli Hill è stata tolta per mano di Jamie Mills. Le prove in questo caso sono schiaccianti e il signor Mills è indubbiamente colpevole".

E così Jamie è stato messo a morte. Il sipario nella camera dell'esecuzione si è aperto alle 18:07, mentre diversi dei 5 testimoni di Mills piangevano sommessamente nella stanza dei testimoni. Uno dei testimoni ha sussurrato "Oh mio Dio" mentre il sipario si apriva. Mills ha fatto un gesto di pollice in su verso la stanza dei testimoni dove il suo avvocato e la sua famiglia guardavano, insieme ai membri dei media. Stava tremando sommessamente mentre veniva letta la condanna a morte. Le sue ultime parole sono state: “Amo la mia famiglia. Amo mio fratello e mia sorella. Non potrei chiedere di più. Charlotte, hai combattuto duramente per me. Vi amo tutti, continuate così”.

Si riferiva a Charlotte Morrison, il suo avvocato dell'Equal Justice Initiative, che era nella stanza dei testimoni. Mills ha continuato a fare il gesto di pollice in su alla sua famiglia. Alle 18:12 il suo consigliere spirituale si è avvicinato e ha pregato per lui. Mills ha sussurrato “vi amo” alla sua famiglia. Circa un minuto dopo ha perso i sensi. Alle 18:14 una guardia carceraria nella camera dell'esecuzione ha eseguito il controllo dello stato di incoscienza. Le tende della camera dell'esecuzione si sono chiuse alle 18:19 e Mills è stato dichiarato morto alle 18:26.

La governatrice ha detto, dopo l’esecuzione: “Stasera, 2 decenni dopo aver commesso questi omicidi, Jamie Mills ha pagato il prezzo per i suoi crimini efferati. Prego per le vittime e i loro cari mentre continuano a soffrire”. Anche il procuratore generale dell'Alabama Steve Marshall ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che “le azioni di Mills sono state fredde e calcolate e la punizione assegnatagli non è mai stata più meritata”.

La famiglia degli Hills ha rilasciato una dichiarazione da far leggere al commissario John Hamm dopo la morte di Mills. Diceva: “Negli ultimi 20 anni, la nostra famiglia ha cercato giustizia e oggi giustizia è stata fatta. Tuttavia, ci sono voluti 20 anni. La nostra famiglia crede nel sistema giudiziario, non importa quanto tempo ci metta”.

Noi crediamo invece che la giustizia non può mai avere il volto della vendetta, anche nei casi di sicura colpevolezza. E questo non era neppure un caso di colpevolezza così lampante. (Grazia)

2) PREVISTA UNA SERIE DI ESECUZIONI SE TRUMP DIVENTERÀ PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI

 

Durante gli ultimi sei mesi della presidenza di Donald Trump, la sua amministrazione portò avanti una serie di esecuzioni senza precedenti, uccidendo 13 persone nel braccio della morte federale e ponendo fine a una moratoria de facto sulle esecuzioni federali, durata 17 anni.

Poco dopo l’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca, il Dipartimento di Giustizia ha formalmente ripristinato la moratoria federale sulle esecuzioni e ha annunciato un’ampia revisione politica. Ma nonostante la promessa elettorale di Biden di lavorare per porre fine alla pena di morte federale, ci sono stati pochi progressi verso quell’obiettivo.

Nel frattempo, Trump, che sarà candidato del Partito Repubblicano alle presidenziali del 2024, ha apertamente fantasticato di giustiziare spacciatori e trafficanti di esseri umani. Secondo quanto riferito, avrebbe suggerito che anche i funzionari che rilasciano informazioni alla stampa dovrebbero essere giustiziati. E dietro le quinte, c’è una squadra di conservatori pro-Trump che sta spingendo per un secondo mandato di Trump che comporti ancora più omicidi.

L’anno scorso, uno sforzo di coalizione di gruppi conservatori noto come Project 2025 ha pubblicato un documento di 887 pagine che definisce obiettivi politici e raccomandazioni per ciascuna parte del governo federale. Sepolta a pagina 554 c'è una direttiva che prevede l'esecuzione di tutti i prigionieri rimasti nel braccio della morte federale, e che persuade la Corte Suprema ad ampliare i tipi di crimini che possono essere puniti con condanne a morte.

Gene Hamilton, l'autore del capitolo del manuale di transizione del Dipartimento di Giustizia, ha scritto che la prossima amministrazione conservatrice dovrebbe “fare tutto il possibile per ottenere la definitività” per ogni prigioniero nel braccio federale della morte, che attualmente comprende 40 persone.

“Dovrebbe anche perseguire la pena di morte per i crimini applicabili, in particolare i crimini atroci che comportano violenza e abuso sessuale sui bambini, fino a quando il Congresso non dirà diversamente", ha scritto. In una nota a piè di pagina, Hamilton ha affermato che ciò potrebbe richiedere alla Corte Suprema di annullare un caso precedente, “ma il dipartimento di Giustizia dovrebbe dare priorità a questo”.

Hamilton, ex funzionario del Dipartimento di Giustizia di Trump e del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, ha svolto un ruolo di primo piano nel porre fine alla Deferred Action for Childhood Arrivals - il programma che forniva protezione contro la deportazione, pro-immigrati portati illegalmente negli Stati Uniti da bambini – e alla politica di “tolleranza zero” che ha portato alla separazione dei bambini dalle loro famiglie.

La campagna presidenziale di Trump non ha risposto immediatamente alla richiesta di commento dell’Huffpost.

La proposta del Progetto 2025 prevede un cambiamento estremo nel modo in cui viene utilizzata la pena di morte in America. Le 13 esecuzioni effettuate alla fine della presidenza Trump hanno segnato il maggior numero di esecuzioni federali in un solo anno dal 1896. Sebbene esistano crimini federali diversi dall'omicidio, come il tradimento, che tecnicamente comportano la pena di morte, ogni persona nel braccio federale della morte è stata condannata per crimini che comportano la morte di una vittima, secondo Robin Maher, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center.

“Un principio fondamentale dell'uso della pena di morte nell'era moderna è che ne stiamo limitando l'uso non solo al peggiore dei peggiori crimini, ma ai peggiori trasgressori”, ha affermato Maher. “Espandere la pena di morte rappresenterebbe semplicemente un cambiamento epocale che influenzerebbe decenni di giurisprudenza, e non credo che ci siano abbastanza voti nella Corte Suprema perché ciò accada”.

L’Alta Corte ha ripetutamente affermato che l’esecuzione della pena di morte per stupro violerebbe le protezioni costituzionali contro le punizioni crudeli e insolite: prima in un caso del 1977 riguardante lo stupro di una donna, e di nuovo in un caso del 2008 riguardante lo stupro di un bambino. Durante il caso del 2008, che si concluse con una decisione 5-4, diversi gruppi si opposero alla pena di morte per stupro su minori, sostenendo che avrebbe ostacolato il processo di guarigione delle giovani vittime. Tre dei quattro giudici che hanno votato a favore della pena di morte come punizione per violenza sessuale su minori sono ancora in tribunale, insieme ad altri tre giudici conservatori.

Nonostante queste sentenze della Corte Suprema, sono stati compiuti numerosi sforzi a livello statale per estendere le condanne a morte ai casi di non omicidio. L'anno scorso, il governatore della Florida Ron DeSantis ha firmato un disegno di legge che consente la pena di morte nelle condanne per stupro su minori. Durante un evento per la firma del disegno di legge, DeSantis ha affermato che la decisione nel caso Kennedy v. Louisiana, il caso della Corte Suprema del 2008, “era sbagliata” e che la nuova legge del suo stato forniva un modo per “sfidare quella precedente”. Mesi dopo, un pubblico ministero della Florida ha chiesto la pena di morte contro un uomo accusato di aver violentato un bambino, anche se il caso si è concluso con un patteggiamento che ha portato all’ergastolo.

I legislatori del Tennessee hanno recentemente approvato un disegno di legge simile, che attende la firma o il veto da parte del governatore.

Nel 2021, Biden è diventato il primo presidente ad opporsi apertamente alla pena di morte. Si è trattato di un’evoluzione drastica per il politico che in precedenza aveva sponsorizzato una storica legge sulla criminalità del 1994 che prevedeva un’espansione dell’uso della pena di morte federale. I sostenitori dell’abolizione della pena di morte speravano che il presidente Democratico raccogliesse voti al Congresso per un disegno di legge volto a porre fine alla pena di morte federale o, per lo meno, a commutare le condanne a morte in ergastolo, in modo che un futuro presidente non potesse immediatamente ripristinare le esecuzioni.

Invece, Biden è rimasto notevolmente silenzioso sulla questione. Sebbene il Dipartimento di Giustizia abbia sospeso le esecuzioni e stia conducendo un’ampia revisione delle politiche e delle procedure di esecuzione, ha anche continuato a combattere in tribunale contro le persone nel braccio della morte che contestano le loro sentenze.

“Ci sono molti casi in cui ai prigionieri è stata diagnosticata una disabilità intellettiva, o (gli stessi) hanno dimostrato che i loro processi erano infettati da pregiudizi raziali, solo per esempio”, ha detto in un'intervista Ruth Friedman, direttrice del Federal Capital Habeas Project.

“Il Dipartimento di Giustizia potrebbe dare una nuova occhiata a questi casi e valutare se affrontare questi fallimenti. Ma invece li stanno combattendo vigorosamente tutti, e questo è scoraggiante”, ha detto.

Il Dipartimento di Giustizia ha anche chiesto la condanna a morte per Payton Gendron, l'autore dell'omicidio di dieci persone di colore in un supermercato di New York. Alla fine, Gendron è stato condannato all'ergastolo senza possibilità di liberazione.

Ci sono diversi progetti di legge alla Camera e al Senato che vorrebbero abolire la pena di morte federale, alcuni dei quali sono stati introdotti più volte senza arrivare al voto. L’anno scorso, la Casa Bianca ha rifiutato di rispondere alla domanda se avesse lavorato per il sostegno Democratico a tale legislazione.

"Non direi che la Casa Bianca abbia spinto attivamente le persone a sostenere il disegno di legge", ha detto il deputato Adriano Espaillat (D-N.Y.), lo sponsor di uno dei progetti di legge sulla pena di morte alla Camera. "Penso che la loro risposta alla questione della pena di morte sia stata quella di attuare questa moratoria".

La deputata Ayanna Pressley (D-Mass.), che ha ripetutamente introdotto la legislazione bicamerale sull'abolizione della pena di morte insieme al senatore Dick Durbin (D-Ill.), ha affermato, in un'intervista, che stanno facendo progressi. Quando lei e Durbin hanno presentato per la prima volta i progetti di legge nel 2019, c’erano solo 20 co-sponsor in entrambe le Camere del Congresso, ha detto. Ora ci sono più di 80 sponsor in totale, oltre al supporto di oltre 265 organizzazioni.

Ancora, ciò rappresenta meno di un terzo dei Democratici alla Camera e meno della metà di quelli al Senato. Alla domanda se pensasse che Biden avesse fatto tutto il possibile per convincere i democratici del Congresso a sostenere il disegno di legge, Pressley ha detto: "Non penso che sia responsabilità di una persona portare avanti una questione. È il lavoro di costruzione del movimento, ed è quello che stiamo facendo. La piena ragione perché voi continuiate a reintrodurre la legislazione è coinvolgere ancora altre persone."

“In ogni momento, potrebbero esserci 12.000 atti legislativi attivi”, ha continuato la Pressley. “Spesso, e includerò me stessa in questo, ci sono progetti di legge con i cui sentimenti sono molto in linea, ma semplicemente non sapevo esistessero." (Anna Maria)

3) LA PENA DI MORTE NELLA RUSSIA DI VLADIMIR PUTIN

 

In Russia non c’è la pena di morte dal 1996. Ma in questo grande paese la pena capitale potrebbe essere presto reintrodotta anche in seguito ad un attacco terroristico del 22 marzo u. s. in cui 144 persone furono uccise e centinaia di altre rimasero ferite.

 

Un'organizzazione indipendente di sondaggi ha riferito che oltre il 50% dei cittadini russi è favorevole al ritorno della pena di morte, un ulteriore segno della crescente approvazione dell'uso della pena capitale negli ultimi 10 anni.

Questa recente impennata del sentimento pubblico segue l'attacco terroristico del 22 marzo al Crocus City Hall, un locale musicale alla periferia di Mosca; l’attentato è stato uno dei più letali degli ultimi decenni in Russia: almeno 144 persone sono rimaste uccise e centinaia ferite.

In seguito all'attacco, la propaganda di Stato del Paese è diventata sempre più insistente su quella che alcuni considerano l'unica risposta appropriata: porre fine dopo 28 anni alla moratoria sulla pena di morte e giustiziare i responsabili dell'attacco. I politici del Cremlino, tra cui Vladimir Vasilyev, leader parlamentare del partito al potere, Russia Unita, sono saliti sul carro dei vincitori.

Le esecuzioni eseguite dallo Stato nel più grande Paese del mondo sono ora una prospettiva reale. Avendo stretto una morsa di ferro sulla Russia, il dittatore Vladimir Putin vede senza dubbio questa opportunità come un'occasione per guidare ulteriormente la nazione nel regno della paura e dell'oppressione.

Nel panorama giuridico in continua evoluzione della Russia moderna, la saga della pena di morte è piena di alti e bassi, simbolo dell'instabilità dell'ambiente politico russo.

Dopo il crollo dell'Unione Sovietica - un regime in cui la pena capitale non solo era legale, ma anche attivamente utilizzata - la neonata Federazione Russa ha segnalato nella sua Costituzione del 1993 l'intenzione di eliminare la pena di morte, ma non si è spinta fino all’abolizione: l'articolo 20 permetteva in casi eccezionali il ricorso alla pena capitale “fino alla sua completa abolizione”.

Questa ambiguità ha permesso la persistenza della pratica fino al 1996, quando la Russia ha aderito al Consiglio d'Europa e ha promesso di imporre una moratoria sulle esecuzioni e di eliminare del tutto la pena capitale. In particolare, la Russia promise di ratificare, entro 3 anni, il 6° Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti Umani, che proibisce la pena di morte. La scadenza è arrivata ma la Russia non ha ratificato il 6° Protocollo.

A partire dal 1996, la Russia ha interrotto tutte le esecuzioni, rendendo la pena di morte una disposizione inattiva all'interno del Codice penale russo. Questa tendenza è continuata anche dopo i terribili atti terroristici dei primi anni 2000, nonostante questi abbiano scatenato richieste diffuse di reintroduzione della pena di morte.

Tuttavia, in mancanza di una posizione giuridica definitiva sulla questione, la non applicazione della pena capitale è rimasta precaria, senza una solida garanzia contro la possibilità di una sua reintroduzione.

Una forma di soluzione l’ha fornita la Corte costituzionale russa, che nel 2009 ha dichiarato una moratoria sulla pena di morte. La motivazione della Corte era duplice: primo, la Russia doveva onorare l'oggetto e lo scopo del 6° Protocollo che aveva firmato, anche in assenza di ratifica, astenendosi quindi dal ricorso alla pena capitale; in secondo luogo, la Corte ha sostenuto che la prassi consolidata di non applicazione della pena di morte aveva effettivamente creato un precedente legale contro il suo uso. In questo modo, l'ambiguità giuridica è stata apparentemente risolta rendendo la pena di morte non più applicabile in Russia.

In questo contesto, il riaprirsi del dibattito sulla potenziale reintroduzione della pena di morte in Russia segue una serie di eventi cruciali che lasciano intravedere una traiettoria più oscura per la nazione. Fin dai primi anni della presidenza di Vladimir Putin, la pratica di assassinare gli oppositori politici ha iniziato a diffondersi in Russia. Tra le vittime di esecuzioni extragiudiziali figurano l'oppositore Sergei Yushenkov (2003), la giornalista investigativa Anna Politkovskaya (2006), l'ex ufficiale dell'FSB Alexander Litvinenko (2006), l'avvocato Sergei Magnitsky (2009), il politico Boris Nemtsov (2015) e, più recentemente, il leader dell'opposizione Alexei Navalny (2023). La proliferazione e la normalizzazione della violenza letale sponsorizzata dallo Stato durante la presidenza di Putin hanno alimentato l'erosione di uno dei pilastri fondamentali dello Stato: il rispetto del diritto alla vita.

Inoltre, nel 2020, la Russia ha subito importanti modifiche costituzionali, estendendo la presidenza di Putin e rafforzando il suo controllo in un modo mai visto prima. Poi, mentre il mondo era alle prese con la pandemia COVID-19, il regime di Putin ha sfruttato la crisi, accelerando l'erosione della trasparenza governativa e minando ulteriormente le vestigia dello Stato di diritto.

Due anni fa, la Russia ha iniziato un nuovo capitolo della sua storia con l'invasione su larga scala dell'Ucraina. Per reprimere l'opposizione interna alla guerra, il regime di Putin ha emanato leggi draconiane specificamente progettate per colpire e mettere a tacere i critici dell'invasione. Inoltre, la Russia ha abbandonato il Consiglio d'Europa e ha denunciato la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, compreso il suo 6° Protocollo, esonerandosi di fatto dall'obbligo di onorare l'oggetto e lo scopo del Protocollo.

Nel giugno 2023, il monopolio del regime russo sulla violenza è stato messo in discussione quando la milizia mercenaria filo-Cremlino, il Gruppo Wagner, guidata dal suo leader Yevgeny Prigozhin, ha fatto la mossa senza precedenti di marciare verso Mosca con i suoi uomini armati. Anche se Prigozhin ha interrotto la marcia a metà strada, il suo atto di sfida militare ha portato alla sua uccisione due mesi dopo, quando il suo aereo è stato abbattuto nello spazio aereo russo in piena luce del giorno.

Anche la tattica di Putin di arruolare i detenuti per combattere in guerra si è ritorta contro di loro: al ritorno dal campo di battaglia, spesso ricadono nelle vecchie abitudini, con conseguente aumento della violenza e del tasso di criminalità. Di conseguenza, il valore della vita umana è diminuito drasticamente.

La discussione sul ripristino della pena di morte emerge in un momento in cui il senso di giustizia della società russa è sconvolto, la vita umana è svalutata e la violenza non è solo sulla soglia di casa, ma ci guarda in faccia ogni giorno.

La Costituzione, prevedendo, come si è visto, la eventuale abolizione della pena di morte, segnala esplicitamente l'intenzione del Paese di mettere fuori legge la pena capitale. E sebbene il ritiro della Russia dal 6° Protocollo renda ormai irrilevante una delle argomentazioni della Corte Costituzionale, la prassi consolidata di non applicare formalmente la pena di morte è ancora valida.

In un Paese strettamente controllato dalla dittatura di Putin, tuttavia, la sentenza della Corte costituzionale rimane l'unica barriera formale che impedisce il ripristino della pena di morte. E nonostante la storia russa non abbia ancora visto la Corte Costituzionale ribaltare le sue precedenti sentenze, un simile scenario non è impensabile. Di recente, la Corte ha persino accennato a una possibile riconsiderazione della pena di morte in futuro.

Indipendentemente dal fatto che la Corte decida o meno, una cosa è chiara: rifletterà gli interessi individuali di Putin e nient'altro. Negli ultimi anni, il regime di Putin ha condotto il Paese in una buia era di illegalità e crudeltà; il ripristino della pena di morte sarebbe solo un altro passo verso tempi ancora più bui. (Pupa)

4) MUORE EBRAHIM RAISI IL PRESIDENTE IRANIANO PLURIOMICIDA

 

A maggio il regime iraniano ha giustiziato almeno quattro donne prima che il presidente pluriomicida, Ebrahim Raisi, trovasse la morte in un incidente in elicottero il 19 maggio.

Ebrahim Raisi era noto per il suo ruolo nel massacro di 30.000 prigionieri politici nel 1988. Ha anche supervisionato la brutale repressione delle proteste, che ha causato la morte di 1.500 manifestanti nel novembre 2019 e di almeno 750 nella rivolta del 2022, oltre a decine di migliaia di persone detenute e torturate.

Un altro segno distintivo del mandato di Raisi è stata l'attuazione spietata della norma sull’hijab obbligatorio, che ha portato a una severa repressione delle donne iraniane.

Il rapporto del Comitato delle donne della NCRI del maggio 2024 evidenzia questi problemi.

 

L'esecuzione di 6 donne in meno di un mese, di cui 4 a maggio

 

In meno di un mese, dal 20 aprile al 19 maggio, la magistratura clericale sotto Raisi ha giustiziato 6 donne, di cui 4 a maggio.

Una di queste donne era Parvin Moussavi, 53 anni, madre di due figli, che stava lottando contro il cancro. È stata condannata a morte per possesso di farmaci, che le avevano detto essere medicine, e ha ricevuto solo 9 dollari per averli trasportati.

Un'altra vittima è stata una donna indigente di 33 anni che 8 anni prima aveva ucciso i propri figli perché non riusciva a sfamarli. Aveva tentato di togliersi la vita, ma era stata salvata dalla sorella per scontare 8 anni di carcere ed essere giustiziata dopo tante sofferenze.

Il numero totale di donne giustiziate in Iran dal maggio 2007 ha così raggiunto quota 239.

 

Aumento senza precedenti delle esecuzioni di donne in Iran

 

Il regime iraniano ha da tempo il triste primato di aver giustiziato il maggior numero di donne al mondo. Tuttavia, il numero di donne impiccate nelle carceri iraniane è aumentato drasticamente sotto il mandato di Ebrahim Raisi.

Durante i 2 anni, 9 mesi e 2 settimane in cui Raisi è stato in carica, sono state giustiziate 62 donne, con una media di quasi 2 donne (1,85) al mese, o circa 22 (22,21) donne all'anno. Si tratta di un aumento significativo rispetto alle 15 donne giustiziate all'anno sotto i precedenti presidenti.

Scomponendo i numeri, 11 donne sono state giustiziate da agosto a dicembre 2021, 15 nel 2022, 26 nel 2023 e 10 donne da gennaio a maggio 2024. In particolare, nel 2022 il numero di esecuzioni è stato inferiore a causa delle proteste nazionali seguite all'omicidio di Zhina Mahsa Amini sotto la custodia della Pattuglia di Guida (nota anche come Polizia della Moralità).

Nel 2023, il regime ha raggiunto il massimo da 8 anni con oltre 860 esecuzioni. Questa impennata è continuata fino alla morte di Raisi, con 126 esecuzioni nel solo mese precedente.

Secondo il rapporto annuale di Amnesty International pubblicato il 29 maggio, nel 2023 sono state messe a morte in totale 1.153 persone in 16 Paesi. L'Iran da solo ha eseguito il 74% di queste esecuzioni. Il rapporto afferma che l'enorme picco di esecuzioni registrate è dovuto principalmente all'Iran.

Non sorprende che il popolo iraniano, in particolare le famiglie delle vittime di Raisi dagli anni '80 al 2024, abbiano celebrato la morte di questo “assassino di massa”, noto come “boia del 1988” e “macellaio di Teheran”.

 

Trattamento pesante delle donne che hanno sfidato il velo obbligatorio

 

La brutale repressione delle donne che sfidano l’obbligo del velo è un altro segno distintivo del mandato di Raisi.

Poco dopo il suo insediamento, Raisi ha lanciato una campagna per far rispettare l’obbligo del velo. Ha istituito due grandi presidi per addestrare le cosiddette “pattuglie del vizio” per avvisare le donne che non osservavano completamente l'Hijab in pubblico.

Inoltre, ha creato una scuola per dare la licenza a queste pattuglie, aumentando così il numero di forze che vessano le donne nelle strade e nei luoghi di lavoro.

Raisi ha anche emanato direttive a uffici governativi, servizi pubblici e aziende, minacciando di farli chiudere se le loro dipendenti o clienti non avessero rispettato l'obbligo dell'Hijab.

In alcune città, alle donne che hanno violato l'obbligo dell'Hijab è stato vietato di entrare nelle stazioni della metropolitana, nelle banche, nei musei e negli aeroporti.

Nel frattempo, le forze di sicurezza dello Stato e gli agenti in borghese hanno effettuato arresti violenti mentre le donne e le ragazze iraniane resistevano fermamente a questi avvertimenti. Le politiche di Raisi si sono rivelate controproducenti, incontrando un'ampia resistenza da parte di giovani donne e ragazze.

Durante questa campagna, una studentessa attivista che si opponeva all'obbligo dell'Hijab è stata torturata e costretta a fare false confessioni in TV dopo essersi tolta il velo su un autobus.

Poco dopo, le pattuglie di Raisi hanno attaccato violentemente Zhina Mahsa Amini fuori da una stazione della metropolitana di Teheran. Nonostante le sue obiezioni e la sua resistenza, le pattuglie l'hanno gettata con la forza nel loro furgone. Altre donne presenti nel furgone hanno poi testimoniato che gli agenti l'avevano colpita alla testa per non aver fermato le sue urla e le sue obiezioni. Questo spiega perché all'arrivo al centro di detenzione la donna abbia avuto un collasso, entrando in coma e morendo 3 giorni dopo per emorragia cerebrale.

La morte di Amini, la prima causata dalla brutalità delle pattuglie della buoncostume, ha fatto infuriare l'opinione pubblica e ha scatenato una rivolta nazionale il 16 settembre 2022.

 

La repressione delle proteste scatenate dalla morte di Zhina Mahsa Amini è stata drasticamente più feroce delle precedenti repressioni.

 

Sotto la supervisione di Raisi, le forze di repressione del regime e gli agenti sotto copertura hanno impiegato tattiche diverse da quelle utilizzate nel novembre 2019. Invece di aprire il fuoco sui manifestanti nelle strade, hanno identificato gli individui e li hanno circondati in gran numero quando erano soli.

In numerosi casi, i manifestanti colpiti alla testa con randelli e manganelli hanno riportato ferite mortali. Altri sono stati rapiti, torturati e sottoposti a violenze sessuali per costringerli a pentirsi, a fare false confessioni televisive o a impegnarsi a non partecipare a proteste future.

Decine di detenuti si sono suicidati dopo essere stati rilasciati, e si ipotizza che durante la detenzione siano state praticate iniezioni che nel tempo hanno simulato i sintomi di un'overdose.

Le forze di sicurezza hanno anche usato pistole a pallini a distanza ravvicinata, crivellando i corpi dei manifestanti con centinaia di proiettili, che spesso hanno causato la morte.

Inoltre, spari in faccia ai manifestanti hanno costituito una pratica volta ad accecarli a uno o entrambi gli occhi.

La Missione internazionale d'inchiesta delle Nazioni Unite ha rilevato che molte delle azioni del regime durante la soppressione delle proteste e della rivolta del 2022 costituiscono crimini contro l'umanità.

 

Avvelenamento di studentesse

 

Il mandato di Raisi è stato segnato anche da una campagna di avvelenamento delle studentesse che avevano partecipato attivamente alle proteste anti-regime, durata 5 mesi.

La notizia di questi attacchi chimici contro le ragazze è passata inizialmente inosservata per quasi un mese a causa del silenzio dei media. Durante questo periodo, i funzionari competenti non hanno intrapreso alcuna azione per trovare i responsabili. Hanno invece negato l'esistenza di aggressori e minimizzato la gravità degli incidenti.

In cinque mesi, più di 700 scuole femminili in oltre 160 città del Paese sono state bersaglio di attacchi chimici, che hanno causato la morte di almeno cinque studentesse. Il governo di Raisi, tuttavia, non ha reso conto di questi incidenti.

Con una mossa sorprendente, il Ministero dei Servizi Segreti - e non quello dell'Istruzione o della Sanità - ha rilasciato una dichiarazione in cui attribuiva gli avvelenamenti a un'azione scorretta degli studenti. Il comunicato affermava inoltre che chiunque avesse diffuso notizie su questi avvelenamenti era di fatto un agente dei nemici e dei servizi stranieri che tentavano di destabilizzare il Paese.

 

Trasformare la vita in un incubo per le donne che si sono rifiutate di cedere alle pressioni

 

Sotto Raisi, il regime iraniano ha imposto senza sosta restrizioni alle libertà dei cittadini. A più di un anno dalla ripresa della campagna per imporre il velo obbligatorio alle donne iraniane dopo la rivolta, non ha risparmiato alcuno sforzo per raggiungere il suo obiettivo.

In un Paese in cui circa il 90% della popolazione fatica a sbarcare il lunario, il governo ha stanziato milioni di dollari per acquistare tecnologie di riconoscimento facciale e installare telecamere a circuito chiuso nelle strade, nei centri commerciali, nelle scuole, nelle università e altrove per identificare le donne che non si attengono all'obbligo dell’Hijab.

Nell'aprile 2023, i tre rami del governo di Raisi hanno introdotto una nuova legge su “Hijab e castità”, approvata frettolosamente dal Parlamento dei mullah nel settembre 2023, che comprende 70 articoli per un periodo di prova di tre anni. Sebbene la legge non sia ancora stata approvata dal Consiglio dei Guardiani dei mullah e dal Consiglio di Stato per le Emergenze, il Ministero degli Interni e le Forze di Sicurezza dello Stato di Raisi l'hanno applicata illegalmente fin dalla fase di proposta.

 

Descrizione generata automaticamente

 

Nell'ottobre 2023, la diciassettenne Armita Geravand è stata uccisa dalle pattuglie Hijab in una stazione della metropolitana di Teheran. I servizi segreti del regime hanno controllato strettamente la situazione, negando l'accesso ai genitori di Armita per evitare un'altra rivolta a livello nazionale.

Il 6 marzo 2024, Amnesty International ha pubblicato un rapporto documentato basato su testimonianze, che offre “uno sguardo spaventoso sulla realtà quotidiana di donne e ragazze” in Iran. Il rapporto ha evidenziato che le donne iraniane sono state fermate dalla polizia, perseguite penalmente e hanno subito altri abusi per aver esercitato i loro diritti all'autonomia corporea, alla libertà di espressione, di religione e di credo sfidando le leggi sull’obbligo del velo.

Nonostante la sfida, la resilienza e la resistenza delle donne iraniane, la “campagna draconiana” persiste, e la campagna “Light” ha prodotto scene raccapriccianti di trattamento brutale delle donne nelle strade.

Ebrahim Raisi, a causa della sua lunga storia di esecuzioni, repressioni e crimini, nonché della sua assoluta obbedienza alla guida suprema dei mullah Ali Khamenei, occupava un ruolo e una posizione speciali nella strategia di massima repressione di Khamenei.

Sebbene la morte di Raisi segni un duro colpo nelle condizioni politiche e sociali più delicate per il regime iraniano, non deve distogliere l'attenzione dalla ricerca di giustizia in corso contro altri leader del regime responsabili di crimini contro l'umanità.

La morte di Raisi non pone fine alla tendenza del regime alla persecuzione e alla violazione dei diritti umani.

La comunità internazionale deve affrontare con urgenza queste violazioni, ritenere il regime responsabile e garantire che figure come Khamenei siano perseguite.

Il dossier sulle violazioni dei diritti umani in Iran dovrebbe essere portato davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per catalizzare un'azione decisiva contro il regime clericale. (Pupa)

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 Maggio 2024

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