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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

Numero 130  -  Giugno 2005

SOMMARIO:

 

1) Petizione in favore di Robert Shields     

2) Perchè ‘gulag’ se basta dire ‘Guantanamo’       

3) Riprendono le esecuzioni da parte dell’Autorità palestinese   

4) Una chiara vittoria legale di Thomas Miller-el  

5) Respinto l’ultimo appello di Tony Ford

6) Ulteriore sconfitta legale per Eugene Broxton

7) InTexas ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola      

8) Via la parola ‘omicidio’ dai certificati di morte dei giustiziati

9) Commutate in Texas le condanne a morte dei minorenni        

10) Scuse ufficiali alle vittime dei linciaggi

11) L’assemblea della Coalizione mondiale contro la pena di morte

12) A questo numero è allegato il rendiconto economico per il 2004

13) Notiziario: Kansas, Iran, Iraq, Tennessee, Texas, Usa

 

 

1) PETIZIONE IN FAVORE DI ROBERT SHIELDS

 

Come sanno i lettori iscritti alla nostra ‘mailing list’, dopo le esecuzioni di Bryan Wolfe e di Richard Cartwright (v. n. 129) è stato programmato in Texas per il 23 agosto l'assassinio legale di un altro detenuto completamente riabilitato: si tratta di Robert Shields (#999166).

La nostra socia Alessia Antonelli, che corrisponde con Robert dal 1997, ci prega di fare tutto il possibile per salvare la vita di questo suo amico.

Robert, accusato di aver ucciso una donna a scopo di rapina nel 1994 all'età di 19 anni, non aveva precedenti penali. Fu difeso al processo da avvocati d'ufficio incompetenti e privi di esperienza che non fecero valere le attenuanti atte a prevenire  una sentenza capitale, a cominciare dalla sua giovane età.

Ora Robert è certamente una persona matura e responsabile - Alessia ce lo può testimoniare - meritevole della 'clemenza esecutiva' che è prerogativa del Governatore del Texas su proposta della Commissione per le Grazie (Board of Pardons and Paroles).

Robert si dimostra uno dei più sensibili ed impegnati attivisti contro la pena capitale nel braccio della morte del Texas. Potete leggere un brano scritto da lui nel secondo articolo che compare nel n. 129.

Se Robert potrà sopravvivere, dipenderà dall'accoglimento della domanda di grazia che il suo avvocato ha appena presentato. Noi possiamo RAFFORZARE questa domanda con le nostre lettere. Già le firme di oltre quattrocento persone sono arrivate in Texas e l’avvocato ha potute unirle materialmente alla domanda di grazia. Possiamo continuare ad inviare le nostre petizioni fino al 20 agosto.

 

 

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Alessia ti prega di dedicare con calma un po' di tempo e di concentrazione alla salvezza di Robert!

Utilizza le tue energie non solo e non tanto per raccogliere un elevato numero di firme ma anche per inviare le lettere nei modi dovuti ai destinatari.

Riproduci e fai riempire la petizione con la chiara indicazione di Nome, Cognome e Indirizzo postale completo di ciascuno dei sottoscrittori. Farai poi una fotocopia.

La petizione in favore di Robert Shields deve essere spedita ai seguenti indirizzi, sia al Governatore che al Texas Board of Pardons and Paroles (ad uno dei due destinatari invia la fotocopia), per posta prioritaria (affrancatura 0,80 euro fino a tre fogli) o per fax (o per e-mail copiando ed incollando il testo nel corpo del messaggio).

 

The Hon. Rick Perry

Governor of Texas

Office of General Counsel

P.O. Box 12428

Austin, Texas 78711-2428  USA

 

Fax: 001 512 4631849  - rickperry@rickperry.org

 

Texas Board of Pardons and Paroles

Executive Clemency Section

8610 Shoal Creek Blvd

Austin, Texas 78757   USA

 

Fax: 001 512 4638120  -  bpp-pio@tdcj.state.tx.us

 

L’indirizzo di Robert, al quale possono essere inviati messaggi di solidarietà è:

Mr. Robert Shields # 999166 - Polunsky Unit – 3872 FM 350 South – Livingston, TX 77351  USA

 

Potete contattarci per e-mail per avere aggiornamenti sulla situazione di Robert: prougeau@tiscali.it

 

Traduzione della petizione (ad uso del lettore): Caro Governatore, cari membri della Commissione per le Grazie, Robert Shields, la cui esecuzione è programmata in Texas per il 23 agosto, aveva solo 19 anni al momento del suo assurdo crimine e fu malamente rappresentato durante il processo capitale da difensori d’ufficio.Il Sig. Shields è cambiato molto durante gli anni che ha trascorso nel braccio della morte e adesso è una persona completamente diversa e migliore di quella che fu condannata dieci anni fa. Egli possiede ora tutte le qualità necessarie per giocare un ruolo utile all’interno del carcere, in qualità di esempio positivo nei confronti degli altri detenuti. Egli può anche essere utile alla società, dimostrando che la riabilitazione e il miglioramento sono ottenibili dalla maggior parte delle persone. Noi pertanto vi supplichiamo di cuore di usare clemenza nei riguardi del sig. Robert Shields.

 

Il seguente testo che noi proponiamo di inviare in Texas può essere naturalmente da te variato.

 

 

The Hon. Rick Perry

Governor of Texas

Austin, Texas 

 

Texas Board of Pardons and Paroles

Executive Clemency Section

Austin, Texas 

 

Dear Governor

Dear Members of Texas Board of Pardons and Paroles

 

Mr. Robert Shields, whose execution is set in Texas next August 23, was only 19 years old at the time of his absurd crime, and was poorly represented at his capital trial by court appointed defense lawyers.

Mr. Shields changed a lot during the years he spent on death row and is now a completely different and better person than the one who was convicted ten years ago.

He owns now all the qualities necessary to play a useful role within the prison system, thus becoming a positive model to other inmates. He can even be useful to society, showing that rehabilitation and improvement are qualities that most people can achieve.

We heartily beg you, therefore, to grant Mr. Robert  Shields executive clemency.

 

Yours respectfully

 

 

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2) PERCHE’ ‘GULAG’ SE BASTA DIRE ‘GUANTANAMO’

 

Tre mesi dopo il fragore provocato dall’uscita quasi simultanea dei ‘rapporti sui diritti umani’ del Dipartimento di Stato USA e del Governo cinese (v. n. 127), il 25 maggio con la presentazione del Rapporto annuale di Amnesty International scoppia la tempesta: uno scambio al calor bianco tra Irene Khan, Segretaria Internazionale di Amnesty, e l’amministrazione statunitense in merito alla grave crisi dei diritti umani verificatasi nell’ambito della cosiddetta ‘guerra al terrore’.

Nel presentare il Rapporto 2005, Irene Khan dichiara, tra l’altro,(*): «Nonostante il pressoché universale scalpore suscitato dalle foto provenienti da Abu Ghraib e l’esistenza di prove che suggeriscono che certe pratiche siano applicate ad altri prigionieri detenuti dagli USA in Afghanistan, a Guantanamo e altrove, né l’amministrazione americana, né il Congresso hanno chiesto un’indagine piena e indipendente.

«Anzi, il governo statunitense è andato molto in là nel restringere l’applicazione delle Convenzioni di Ginevra e nel “ridefinire” la tortura. Si è cercato di giustificare l’uso di tecniche coercitive di interrogazione, la detenzione di “prigionieri fantasma” (persone trattenute in ‘incommunicado’) e il trasferimento dei prigionieri verso paesi terzi noti per l’uso della tortura. La struttura detentiva di Guantánamo Bay è diventata il gulag dei nostri tempi nel consolidare la pratica della detenzione arbitraria e indefinita in violazione alle leggi internazionali. I processi fatti dalle commissioni militari sono caricature della giustizia e del giusto processo.

«Gli USA, iper-potenza politica, militare ed economica senza confronti, danno l’esempio ai governi nel mondo. Quando il paese più potente del mondo si fa beffe della legalità e dei diritti umani, lascia spazio agli altri per commettere abusi con senso di impunità ed audacia. Da Israele all’Uzbekistan, dall’Egitto al Nepal, i governi hanno apertamente violato i diritti umani e sfidato la legislazione umanitaria internazionale in nome della sicurezza nazionale e del contrasto al terrorismo.»

Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca, replica immediatamente: “Le accuse sono ridicole e non supportate da dati di fatto. Gli Stati Uniti sono in testa quando si tratta di proteggere i diritti umani e di promuovere la dignità dell’uomo. Noi abbiamo liberato 50 milioni di persone in Iraq e in Afghanistan. Noi abbiamo lavorato per far avanzare la libertà e la democrazia nel mondo per far sì che la gente venga governata nel rispetto della legge, che siano protetti i diritti delle minoranze, che i diritti delle donne avanzino affinché le donne arrivino a partecipare pienamente alla società lì dove non possono farlo.”

Un mare di aggettivi, che vanno dall’incredibile e all’indignato, vengono scomodati dai principali dirigenti USA. Lo stesso Bush in più occasioni definisce il rapporto di Amnesty “assurdo”. “Offesi” da accuse “assurde” si dicono anche Cheney e Rumsfeld. Il generale Richard Myers, Capo di Stato Maggiore, parlando per i militari bolla come “del tutto irresponsabile” il comportamento di Amnesty (come dire: attenta Irene che, se ci attacchi, favorisci il terrorismo).

Kate Gilmore, vice di Irene Khan, osserva giustamente: “Quando vediamo un governo impegnato al massimo livello in attacchi retorici evitando di scendere nei fatti, noi interpretiamo il fenomeno come segno che stiamo cominciando a far breccia.”

Il momento appare propizio ad alcuni parlamentari USA per proporre la chiusura del Campo Delta di Guantánamo Bay: è una struttura non necessaria che ci fa una cattiva propaganda ed eccita l’ostilità islamica, si dice. Ma la reazione dell’Amministrazione è ancora più dura e imperiosa.

Di chiusura non se ne parla. Anzi si pretendono con insistenza e si ottengono scuse, a destra e a manca. Perfino il senatore Dick Durbin, numero due dei Democratici chiede infine umilmente scusa in aula, profondamente scosso, il 21 giugno.

Anche ad Amnesty viene suggerito – da più parti - di scusarsi. Michael O’Hanlon, autorevole esperto americano di Politica estera, in un articolo dal titolo “Amnesty Astray” (Amnesty fuori strada), ripreso anche dal Corriere della Sera del 20 giugno, trova appropriate le reazioni di Bush, Cheney, Rumsfeld e Myers e – da ex socio di Amnesty – consiglia all’organizzazione umanitaria di fare marcia indietro. “La madornale esagerazione della leader di Amnesty macchia la reputazione di integrità e di accuratezza di questo organismo. Non è troppo tardi, – suggerisce  O’Hanlon - La signora Khan dovrebbe formalmente ritirare le sue denunce e scusarsi.”

Il fatto è che, invece, checché ne dica Donald Rumsfeld (**), il discorso di Irene Khan è irreprensibile. Ciascuna delle 1.806 parole che lo compongono appare accuratamente soppesata. Ciascuna delle accuse dirette contro gli Stati Uniti si basa su fonti molteplici e non sospette. Ed è stata riportata decine e decine di volte nel corso degli anni dai media di tutto il mondo. Da Al Jazeera al New York Times.

Non sapendo a che cosa attaccarsi, Bush e compagni si dicono particolarmente indignati dell’uso della parola ‘gulag’ (***). Certo l’arcipelago dei gulag sovietici fu diverso - se non altro per estensione e per durata - dall’arcipelago delle carceri illegali, di cui il campo di Guantanamo è l’emblema, che richiudono attualmente in varie parti del mondo i sospetti ‘nemici combattenti’ degli USA. Così come fu differente l’universo dei lager nazisti. Ma alla radice di tutte queste ‘istituzioni totali’ vi è un identico ‘buco nero’ della legalità, di durata indefinita, creato dal potere. E la codarda progressiva assuefazione della maggioranza silenziosa.

Noi riteniamo che l’uso della parola ‘gulag’ sia più che opportuno: per scuotere, se è ancora possibile, le coscienze.

 

 

3) RIPRENDONO LE ESECUZIONI DA PARTE DELL’AUTORITA’ PALESTINESE

 

Dopo alcuni ondeggiamenti, ignorando molteplici e forti appelli internazionali, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha dato via libera all’esecuzione di quattro persone accusate di omicidio. Il 12 giugno sono stai impiccati, nel carcere di Gaza nel quale erano rinchiusi da circa un decennio, tre uomini di età compresa tra i 27 e i 33 anni, tali Wa'el Sha'ban al-Shoubaki, Salah Khalil Musallam, e 'Oda Muhammad Abu 'Azab. Lo stesso giorno è stata eseguita la fucilazione del ventiquattrenne Muhammad Daoud al-Khawaja nel comando di polizia.

Dal 2002 vigeva una moratoria della pena di morte che il nuovo presidente, entrato in carica all’inizio di quest’anno, ha voluto interrompere per dimostrarsi duro contro il crimine. Vi è un’altra cinquantina di Palestinesi condannati a morte, metà dei quali accusati di collaborazionismo con Israele. Proprio le pressioni israeliane hanno bloccato per qualche settimana la ripresa delle esecuzioni da parte dell’Autorità Palestinese e costituiscono una sorta di protezione per la vita dei collaborazionisti.

Ricordiamo che decine di linciaggi di collaborazionisti sono avvenute tra i Palestinesi sotto la presidenza di Arafat (v. n. 96, “Collaborazionisti…”)

Amnesty International ha protestato vivamente all’indomani delle quatto esecuzioni del 12 giugno ricordando anche che: “L'applicazione della pena di morte da parte dell'Autorità Palestinese è caratterizzata da numerose iniquità: gli imputati sono processati da tribunali militari, difesi da avvocati d'ufficio e condannati al termine di udienze brevissime, senza possibilità di appello se non alla grazia presidenziale.”

Il 22 giugno si è appreso che il presidente Abbas ha ordinato al Ministro della Giustizia Farid al-Jallad di assicurare un nuovo, equo e trasparente processo a tutti coloro che furono condannati a morte con sentenza inappellabile dalle ‘corti di sicurezza’ create nel 1998 e smantellate nel 2003.  Majed al-Aruri, esponente del Centro Palestinese per i Diritti Umani, ha dichiarato che si tratta di una delle più importanti decisioni prese dal nuovo presidente in materia di diritti umani. Al-Aruri ritiene che l’iniziativa presidenziale possa riguardare 35 condannati.

 

 

4) UNA CHIARA VITTORIA LEGALE DI THOMAS MILLER-EL

 

Il 13 giugno la condanna a morte dell’afro-americano Thomas Miller-el è stata annullata dalla Corte suprema degli Stati Uniti, suscitando un enorme scalpore in Texas. Finalmente!

Del clima razzista in cui si svolse il processo capitale a carico di Thomas Miller-el nella Contea di Dallas nel 1986 abbiamo parlato più volte (v. ad es. nn. 93, 94, 101, 105, 116). Ricordiamo che l’unico componente nero della giuria accettato dall’accusa fu un tizio che disse della pena di morte: “E’ troppo rapida. I condannati non provano dolore. Cospargeteli di miele e incatenateli su un formicaio. Questo è ciò che io chiamerei punizione capitale.”

Nel febbraio del 2002, quando sembrava ormai inevitabile l’esecuzione di Thomas, il suo bravissimo avvocato Jim Marcus – appoggiato da una campagna di stampa - riuscì a far leva sugli scrupoli dei giudici della Corte suprema federale che sospesero l’esecuzione e iniziarono un serrato contenzioso con lo stato del Texas e con la Corte federale d’Appello del Quinto Circuito, che cercavano di riaprire la strada verso l’iniezione letale.

In Texas non si riusciva a capire come mai questo caso facesse tanto scalpore quando in molti altri casi del genere si era arrivati alla ‘naturale conclusione’ dell’iniezione letale senza tante complicazioni.

In una prima fase la Corte suprema si comportò morbidamente con la famigerata Corte del Quinto Circuito che aveva ratificato la condanna di Thomas senza indagare sul sospetto di razzismo: il 25 febbraio 2003 la Corte suprema ordinò alla Corte del Quinto Circuito di riesaminare il caso e di entrare nel merito del ricorso. Il Quinto Circuito lo fece ma il 26 febbraio del 2004 sentenziò che non ravvisava sufficienti sospetti di razzismo per invalidare la condanna di Thomas. Accogliendo un nuovo ricorso di Miller-el, la Corte suprema il 28 giugno successivo decise di occuparsi direttamente della questione, per arrivare con una maggioranza di 6 a 3 (contrari solo i giudici ultraconservatori William Rehnquist, Clarence Thomas e Antonin Scalia ) all’attuale decisione di annullare la condanna a morte. Per la massima corte, anche se i motivi esplicitamente addotti dall’accusa erano diversi, la ragione dell’esclusione di 10 su 11 potenziali giurati di colore è da ricercarsi proprio nel fatto che essi fossero di colore. (Sappiamo che i giurati di colore venivano esclusi perché si riteneva che essi ‘simpatizzassero con gli accusati’ diminuendo la probabilità di ottenere una condanna capitale).

Nell’opinione della maggioranza della Corte suprema si legge tra l’altro: “Le ragioni non-razziste dichiarate dagli accusatori per eliminare [i giurati di colore] non stanno in piedi e sono talmente in contrasto con le prove da suonare come un pretesto;  emerge così la presenza della discriminazione che le spiegazioni addotte cercano di negare. […] Almeno due dei rimescolamenti nella composizione della giuria da parte dello stato non hanno alcun senso se si prescinde dallo sforzo di tener fuori dalla giuria membri di colore”. Secondo la corte “chiude un occhio sulla realtà” il negare che la ricusazione dei giurati da parte dell’accusa fu dovuta alla ragione che essi erano di colore.

Ora lo stato del Texas deve decidere se liberare Thomas Miller-el o sottoporlo ad un nuovo processo. E’ quasi scontato che il processo si farà e che l’accusa cercherà di arrivare ad una nuova condanna a morte dell’accusato. Questa volta però Thomas partirà avvantaggiato, se non altro perché attualmente può contare su un ottimo team di difensori. Le circostanze della rapina del 1985, in cui fu ucciso un impiegato e rimase paralizzato un secondo che avrebbe ‘riconosciuto’ in Thomas il suo aggressore, sono molto confuse ed è abbastanza probabile che l’accusato possa infine far valere le sue reiterate e coerenti proteste di innocenza. Dopo aver ricevuto ben 10 date di esecuzione.

 

 

5) RESPINTO L’ULTIMO APPELLO DI TONY FORD

 

La Corte federale d’Appello del Quinto Circuito ha respinto il 23 giugno il ricorso di Tony Egbuna Ford, grande amico di Kenneth Foster, di Gabriella Giuliari e del Comitato Paul Rougeau. In tal modo si è purtroppo concluso negativamente il regolare iter giudiziario per Tony. Rimane solo il tentativo di ottenere l’intervento della Corte suprema federale prima che venga fissata una data di esecuzione.

Scrive Dick Burr,  il suo bravissimo avvocato, da noi ben conosciuto quale difensore di Gary Graham: “Presenterò una petizione alla Corte suprema degli Stati Uniti entro il 21 settembre. La Corte deciderà se intervenire [presumibilmente] entro dicembre. Se la Corte si rifiuterà di esaminare il caso lo stato potrà chiedere una data di esecuzione, e sarebbe una data estremamente seria. Vi terrò informati su che cosa voi ed altri potrete fare per essere d’aiuto in questo periodo di tempo. Grazie per esserci vicini e per l’offerta di aiuto.”

Tony, pur riconoscendo di essersi accompagnato a due balordi che hanno compiuto una rapina in una abitazione nel 1991, sostiene di essere rimasto all’esterno della casa mentre un suo amico faceva fuoco sulla famiglia che vi si trovava uccidendo una persona. A suo carico c’è solo il ‘riconoscimento’ in aula delle vittime sopravvissute e noi sappiamo quale valore possa avere un tale riconoscimento: un valore pressoché nullo (come dimostrato dal caso di Gary Graham, vedi: “Muoio assassinato questa notte”, pagg. 119-125). Le proteste di innocenza di Tony sono dunque più che credibili e certamente una sentenza di morte non dovrebbe essere mai emessa in un caso come il suo, neppure in Texas.

Abbiamo pubblicato nel n. 127 una bella lettera di ringraziamento di Tony ai numerosi sostenitori italiani dalla quale, oltre alla sua indomita volontà di lottare contro la condanna a morte, possiamo percepire tutta la tristezza per le avversità che ha dovuto affrontare nel corso degli anni, fino al respingimento del suo appello alla Corte federale Distrettuale. Ora sappiamo che è stato respinto anche il successivo e ultimo appello alla Corte d’Appello del Quinto Circuito.

Scrivete lettere e cartoline di incoraggiamento a: Mr. Tony Ford #  999075 - Polunsky Unit – 3872 FM 350 South – Livingston, TX 77351  USA

L’indirizzo e-mail di Gabriella Giuliari, referente in Italia di Tony, è: maurofranz@tin.it

6) ULTERIORE SCONFITTA LEGALE PER EUGENE BROXTON

 

Il 29 giugno i corrispondenti di Eugene Broxton – alcuni dei quali sono nostri affezionati soci, a cominciare da Giorgio Nobili e da Nadine Ricci - sono stati dolorosamente colpiti dal rigetto dell’ultimo ricorso di Eugene a livello statale contro la seconda condanna a morte che gli è stata inflitta. Ricordiamo che la condanna a morte di Eugene Broxton pronunciata nel 1992 era stata annullata in quanto fu riconosciuta inammissibile perché razzista la testimonianza dell’‘esperto’ dott. Walter Quijano che aveva attestato la ‘futura pericolosità dell’imputato’ basandosi anche sul fatto che egli è di razza nera. Di nuovo sottoposto a processo limitatamente alla fase di punishment (quella di inflizione della pena) Broxton era stato condannato a morte per la seconda volta il 24 novembre del 2003 da una giuria composta esclusivamente da bianchi (v. n. 112).

Nel secondo processo l’impareggiabile dott. Quijano aveva testimoniato a favore dell’imputato (!) attestando che il comportamento di Broxton in carcere dimostrava un ravvedimento difficilmente riscontrabile tra i detenuti: pertanto a suo avviso l’imputato non costituiva un pericolo per la società carceraria. Rispondendo alle domande dell’accusa Quijano aveva però aggiunto che il suo giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato in assoluto non era cambiato rispetto al 1992 (!). La Corte Criminale d’Appello del Texas il 29 giugno ha pertanto ritenuto che la giuria del secondo processo ha correttamente risposto in maniera affermativa alla domanda sulla futura pericolosità dell’imputato.

Ad Eugene rimane da percorrere l’iter dei ricorsi federali prima di rischiare una data di esecuzione.

 

 

7) IN TEXAS ERGASTOLO SENZA POSSIBILITA’ DI USCITA SULLA PAROLA

 

In Texas il governatore Rick Perry ha firmato il 17 giugno una legge che potrebbe diminuire il numero di condanne a morte. La legge infatti prevede la possibilità per le giurie di richiedere, nella fase di “punishment” dei processi capitali, la condanna all’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola, in alternativa alla pena di morte.

Finora l’alternativa alla pena di morte era una condanna a vita che prevedeva un minimo di 40 anni di carcere dopo i quali il detenuto poteva essere rilasciato sulla parola su proposta del Texas Board of Pardons and Paroles. Questa nuova legge annulla la possibilità della liberazione. Un motivo addotto per spiegare le numerose condanne a morte in Texas era proprio il fatto che alle giurie non veniva data l’opzione di un ergastolo che fosse davvero “a vita”, garantendo in tal modo la sicurezza dei cittadini di fronte al rischio di un possibile rientro nella società di un efferato criminale.

Ovviamente non si tratta di un autentico progresso della civiltà, perché lo scopo ‘rieducativo’ della pena è incompatibile con la reclusione a vita di un essere umano. Tuttavia, trattandosi del Texas, la notizia può essere considerata relativamente positiva.

La nuova legge, che riguarderà coloro che saranno incriminati di reato capitale dopo il 1° settembre prossimo, è stata fortemente osteggiata dagli ultra conservatori proprio per paura che diminuiscano le sentenze di morte. La proposta di legge originale – che manteneva come terza opzione anche quella della possibile uscita dopo 40 anni di carcere – giudicata troppo morbida, è stata bloccata in parlamento; ha potuto vedere la luce solo dopo l’eliminazione della terza opzione. Il governatore, nel promulgare la nuova legge, ne ha enfatizzato l’aspetto repressivo: “Questa nuova legge rafforza il nostro sistema di giustizia criminale perché dà ai giurati una nuova opzione per proteggere il pubblico con la certezza che un assassino non giri mai più per le strade.” (Grazia)

 

 

8) VIA LA PAROLA ‘OMICIDIO’ DAI CERTIFICATI DI MORTE DEI GIUSTIZIATI

 

Eseguendo una sentenza di morte lo stato si pone sullo stesso piano dell’omicida che viene ‘punito’. Per sottolineare questo fatto gli abolizionisti statunitensi sono soliti mettere in rilievo che nei certificati di morte dei prigionieri ‘giustiziati’, la causa del decesso viene indicata come ‘omicidio’. La continua – apparentemente inevitabile – contestazione degli abolizionisti irritava particolarmente i sostenitori delle pena capitale in Texas. Finché le autorità dello stato non hanno trovato l’uovo di Colombo: basta togliere la parola ‘omicidio’ dai certificati di morte!

Il 17 giugno, firmando una nuova legge, il governatore del Texas Rick Perry ha dichiarato: “Gli individui che commettono crimini innominabili contro i cittadini texani e che vengono messi a morte secondo la legge del Texas non sono vittime. Sono criminali e il documento finale che porta il loro nome deve riflettere questo fatto”. Per legge, il certificato che viene redatto subito dopo l’eliminazione dei condannati a morte conterrà pertanto la frase: “Esecuzione ordinata in giudizio.” Con grande soddisfazione dei sostenitori della pena di morte, soprattutto degli agguerriti membri di ”Justice for All.” (Grazia)

 

 

9) COMMUTATE IN TEXAS LE CONDANNE A MORTE DEI MINORENNI

 

La storica sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti del 1° marzo scorso, che ha dichiarato incostituzionale la pena capitale per i minorenni all’epoca del crimine, sta avendo i suoi effetti: il governatore del Texas Rick Perry ha commutato il 22 giugno scorso 28 condanne a morte di altrettanti uomini che avevano meno di 18 anni all’epoca del crimine loro contestato. Per la commutazione della sentenza di un 29-esimo condannato, Mauro Barraza, che fu salvato fortunosamente un anno fa dalla Corte suprema federale a quattr’ore dall’esecuzione, dovrà intervenire la stessa Corte suprema.

Perry, firmando queste commutazioni controvoglia e solo perché costretto, ha dichiarato alla stampa: “Anche se questi individui furono incriminati dalle giurie per omicidi brutali e condannati a morire per i loro crimini odiosi, non ho altra scelta che di commutare le loro sentenze in ergastolo come conseguenza della decisione della Corte suprema”.

Il Texas in questi anni ha ucciso 13 minorenni all’epoca del crimine. Come potremmo dimenticare il nostro grande amico Shaka Sankofa, Joe Cannon, Napoleon Beazley e altri che abbiamo conosciuto in modo più o meno approfondito? Purtroppo per loro questa legge è arrivata troppo tardi.

Come detto in un precedente articolo, il governatore ha firmato nei giorni scorsi un’altra legge che dà alle giurie, nei processi capitali, la possibilità di infliggere una condanna all’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola in alternativa alla pena di morte. Tuttavia questo provvedimento avrà valore solo dal prossimo settembre per cui l’ergastolo dei 28 uomini la cui condanna è stata commutata, corrisponde ancora al vecchio concetto di ergastolo: 40 anni di carcere come minimo, con possibilità di essere liberati successivamente. Questo particolare è stato sottolineato dal portavoce del governatore che ha espresso dolore per i familiari delle vittime dei crimini commessi da questi detenuti, dicendo: “Essi [i familiari] adesso sanno che devono affrontare la possibilità che questi criminali che assassinarono i loro cari possano un giorno camminare di nuovo liberi per le strade”. In effetti la reazione di molti familiari delle vittime è stata estremamente negativa. Non ne dubitavamo, vista la cultura di vendetta di cui vengono costantemente nutriti i familiari delle vittime negli USA e in particolare in Texas. Il padre di una ragazza uccisa da Michael Lopez (uno dei 28 detenuti graziati) ha dichiarato: “Il processo di guarigione avrebbe potuto iniziare quando Lopez fosse morto. Siamo stati ingannati anche per quel po’ di rassegnazione che avremmo potuto ottenere”.

I familiari dei condannati invece hanno ovviamente tirato un sospiro di sollievo. La madre di Nanon Williams ha dichiarato: “Per una madre affrontare l’idea che suo figlio venga giustiziato è una cosa orrenda. Almeno, se gli danno l’ergastolo potrà continuare a lottare per dimostrare la sua innocenza”.

I 28 uomini verranno presto tolti dal braccio della morte e trasferiti in altre unità carcerarie. Prima di effettuare questo trasferimento, verranno individualmente esaminarti per valutare quale destinazione sia la più adatta ad ognuno: si considererà il loro background culturale, le attitudini lavorative, la storia della loro famiglia, la loro anamnesi clinica e altri fattori personali.

Si tratterà di un enorme cambiamento per la maggior parte di loro: andranno a vivere in mezzo agli altri detenuti, potranno avere anche compagni di cella, potranno partecipare alle attività culturali e lavorative e potranno vedere la televisione. Solo i membri delle gang, che tendono ad avere legami con queste organizzazioni criminali, verranno trasferiti in altre unità di massima sicurezza con celle individuali, non molto diverse da quelle del braccio della morte.

Possiamo essere soddisfatti di questo grosso passo in avanti nella realizzazione di un sistema giudiziario più giusto ed umano, e non ci resta che continuare ad adoperarci con grande energia perché la pena di morte possa un giorno sparire del tutto, e non solo per alcune categorie di persone. (Grazia)

 

 

10) SCUSE UFFICIALI ALLE VITTIME DEI LINCIAGGI

 

Negli ultimi cinquant’anni i difensori dei diritti dei Neri si sono battuti con ogni sforzo per ottenere da otto presidenti consecutivi e dal Congresso statunitense l’approvazione di una legge che vietasse e punisse i linciaggi. La loro lotta è stata sempre frustrata dalla Casa Bianca e da molti parlamentari che hanno opposto una fiera resistenza accampando i più inverosimili pretesti.

Il fenomeno dei linciaggi, soprattutto dei neri, è una vergogna americana: nel periodo dal 1890 al 1968 ebbero luogo negli USA circa 5000 linciaggi accertati, ma il numero dei linciaggi è certamente molto più alto, perché tanti crimini di questo tipo non furono mai registrati a futura memoria.

In questi giorni il Senato degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione, nella quale viene ufficialmente chiesto scusa ai familiari delle vittime dei linciaggi per le malvagità commesse nel passato. Tuttavia 20 Senatori (19 Repubblicani e un Democratico) hanno insistito affinché i loro nomi non figurassero in calce alla mozione approvata (di fatto si è deciso di approvarla per acclamazione e non per voto individuale, lasciando così sparire i reticenti in un vergognoso anonimato).

Questa decisione costituisce comunque un notevole segnale di progresso verso il rispetto dei Neri e delle minoranze etniche, dopo tanti anni in cui i loro diritti sono stati bellamente ignorati e violati, e chi commetteva spaventosi e brutali violenze nei loro confronti non veniva perseguito. Se si tiene conto di quanto razzismo ancora permei la società americana negli stati del sud, come chiaramente dimostra anche la disparità nell’applicazione della pena di morte (v. n. 106 “Niente pena di morte…”), un simile riconoscimento rappresenta indubbiamente un segnale positivo.

Questo segnale dovrà però essere presto rafforzato e confermato da ulteriori progressi nel rispetto dei diritti umani fondamentali, se si pensa che la violenza determinata da odio nei riguardi dei ‘diversi’ provoca ancora moltissime vittime ogni anno (9000 crimini ‘causati dall’odio’ contro gli omosessuali o le minoranze razziali secondo l’FBI, oltre 50.000 secondo le stime, più realistiche, del Southern Poverty Law Center, un’organizzazione di pubblica difesa dei diritti dei poveri negli stati del sud).

Purtroppo le leggi che dovrebbero combattere questo genere di criminalità non sono ancora pienamente applicate e in alcuni stati non esistono neppure come tali, specie, ovviamente, in quelli in cui i Neri sono ancora visti da molti come esseri inferiori e particolarmente pericolosi.

Quando nel 2004 il Senato approvò una legge che avrebbe dato il potere di perseguire a livello federale i ‘crimini dettati dall’odio per i diversi’ anche quando le autorità locali si fossero rifiutate di farlo, i Repubblicani alla Camera dei Rappresentanti bocciarono questa legge. Accamparono la medesima scusa che per anni era stata utilizzata per non approvare le leggi anti-linciaggio: dissero che approvando la legge si sarebbero violati i diritti dei singoli stati ed esteso in modo troppo invasivo il potere del governo federale. Una palese bugia se si pensa che, ad esempio, il governo federale sta forzando la mano per ottenere sentenze di morte in quegli stati che non prevedono la pena capitale nel proprio ordinamento (v. ad es. nn. 104, 108 “Il boia di…”, 111). (Grazia)

 

 

11) L’ASSEMBLEA DELLA COALIZIONE MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE

 

Il 10 giugno si è svolta a Firenze l’Assemblea Generale della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, ospitata in modo egregio dalla Regione Toscana. Erano presenti le più importanti organizzazioni impegnate contro la pena di morte, come Amnesty International, la Comunità di Sant’Egidio, Ensemble Contre la Peine de Mort, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani e una ventina di organizzazioni più piccole. Hanno partecipato esponenti dell’ambasciata ugandese e del consolato messicano, della Regione Toscana, delle città di Parigi, Firenze, Reggio Emilia e Matera, rappresentanze sindacali francesi, delegati di ordini di avvocati francesi e americani. Tra le organizzazioni abolizioniste italiane aderenti alla Coalizione Mondiale, erano presenti la Coalit, il Comitato Paul Rougeau, il Comitato 3 luglio di Claudio Giusti, la Fondazione Barnabei. La sottoscritta, Giuseppe Lodoli e Loredana Giannini hanno rappresentato il Comitato Paul Rougeau.

Nel corso dell’assemblea si sono discusse alcune modifiche dello Statuto della Coalizione, si sono eletti i nuovi membri dello Steering Committee (Consiglio Direttivo) e si sono poi affrontati argomenti generali sugli obiettivi, sugli aspetti organizzativi e sui ruoli della Coalizione stessa. Sono intervenuti molti partecipanti con osservazioni e discorsi interessanti e motivanti. Un ruolo preminente riconosciuto alla Coalizione Mondiale in quanto tale è quello di fare pressione nelle sedi internazionali, con particolare riguardo alle Nazioni Unite, perché avanzino i trattati tendenti a limitare sempre più e ad abolire la pena di morte. Si è sottolineata la necessità di coinvolgere maggiormente nel movimento abolizionista le nazioni asiatiche e dell’Africa meridionale. Sono stati evidenziati i progressi del cammino abolizionista negli ultimi anni, ma anche la crisi attuale di diritti umani nelle grandi nazioni democratiche, come gli Stati Uniti, che dovrebbero essere modelli di civiltà per i Paesi meno evoluti.

A nome del Comitato Paul Rougeau ho letto un documento che sottolinea la necessità di un’armonica cooperazione tra le varie organizzazioni abolizioniste, tenendo sempre presenti e rispettando le diversità culturali e vocazionali dei singoli gruppi, le differenze nelle posizioni, nelle strategie e nelle iniziative.

Dopo la conclusione degli interventi, è stato proiettato “Non uccidere” un impressionante documentario sul braccio della morte del Texas realizzato da Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio.

Al termine dell’Assemblea la bravissima Amanda Sandrelli ha recitato con grande partecipazione emotiva il lungo e toccante monologo di Stefano Massini “Prima dell’alba – lettera al figlio” in cui impersonava una donna incinta condannata a morte.

E’ stata un’esperienza davvero coinvolgente e motivante partecipare a questo avvenimento che ci ha permesso, tra l’altro, di incontrare amici e collaboratori di vecchia data quali Alessandra Ruberti, Stefano Argentino, Karen Hooper ed Ezio Savasta. 

Constatare quante persone nel mondo si muovono nella stessa direzione e come il desiderio di giustizia sia vivo in tanti cuori, aiuta a convincerci dell’utilità di contribuire, seppure nel nostro piccolo, a questa grandiosa missione. (Grazia)

 

12) A QUESTO NUMERO E’ ALLEGATO IL RENDICONTO ECONOMICO PER IL 2004

 

Il rendiconto economico del Comitato Paul Rougeau per l’anno 2004, preparato dal tesoriere Paolo Cifariello e approvato nell’Assemblea dei Soci del 22 maggio 2005, è allegato questo numero 130 del Foglio di Collegamento. Il rendiconto è contenuto in un file Excell che è stato stampato ed unito alla versione su carta del Foglio di Collegamento.

 

 

13) NOTIZIARIO

 

Kansas. Lo stato cerca di ripristinare lo statuto della pena di morte. La Corte Suprema del Kansas il 7 dicembre 2004 ha dichiarato incostituzionali le leggi che regolano la pena di morte in quello stato, rendendo impossibile giustiziare i sei ‘ospiti’ del braccio della morte (v. n. 124). Purtroppo il Ministro della Giustizia Phill Kline ha fatto ricorso presso la Corte suprema federale, la quale il 31 maggio ha annunciato che esaminerà la questione.

 

Iran. Nuovo processo per Leyla. Il 29 giugno da una fonte norvegese si è appreso che una corte di appello iraniana avrebbe ordinato un nuovo processo per Leyla Mafi, la diciannovenne ritardata mentale condannata alla lapidazione per reati contro la pubblica moralità. Ricordiamo che in favore di Leyla, maltrattata e costretta a prostituirsi fin da bambina, vi fu una mobilitazione internazionale nel mese di gennaio alla quale prese parte anche il nostro Comitato (v. nn. 124, 125). La corte d’appello avrebbe approvato solo la pena accessoria di 100 frustate.

 

Iraq. Sul futuro processo a Saddam Hussein indiscrezioni e mormorii. Il 13 giugno è stato diffuso un video privo del suono che mostra Saddam Hussein sotto interrogatorio davanti al giudice Raid Juhi  del Tribunale speciale che fu istituito alla fine del 2003 per ordine dell’autorità provvisoria americana. I due minuti cui si riferisce il video sarebbero parte di una ripresa più lunga e completa di una seduta durata tre ore, nella quale, dopo essere stato ammonito a ‘non divagare nella politica’, Saddam avrebbe risposto in merito  all’esecuzione di 143 persone a Dujail, 50 miglia a nord di Baghdad, dopo un fallito attentato contro la sua persona avvenuto nel 1982. Un altro video rilasciato il 13 giugno mostra un interrogatorio di alcuni collaboratori di Saddam: sembra che costoro rispondessero ad accuse riguardanti l’uso di gas venefici contro le popolazioni curde alla fine degli anni ottanta e la sanguinosa repressione dell’insurrezione sciita del 1991. Secondo alcune voci il processo vero e proprio nei riguardi di Saddam Hussein e di cinque suoi collaboratori comincerebbe entro tre mesi. Secondo altre voci non sarebbe tanto imminente. All’inizio di giugno il governo iracheno aveva annunciato l’inizio del processo a Saddam entro due mesi. La segretezza dei procedimenti in corso contro l’ex dittatore iracheno, detenuto in isolamento in una località segreta, accompagnata dallo stillicidio di voci sugli ‘interrogatori’ e sul suo sempre imminente processo, rafforzano la sensazione che la ‘gestione del caso Saddam’ sia confusamente finalizzata al conseguimento di vantaggi politici di poco conto nel breve periodo mentre diventa sempre più evanescente la prospettiva di arrivare ad una conoscenza limpida ed approfondita delle vicende che lo riguardano e che interessano l’intera umanità (v. n. 127).

 

Tennessee. Crudele e inusuale: contestata la costituzionalità dell’iniezione letale. Gli avvocati di Abu-Ali Abdur'Rahman hanno discusso presso la Corte suprema dello stato del Tennessee un ricorso che contesta la liceità costituzionale del metodo di esecuzione mediante iniezione letale a motivo che una delle sostanze usate, il Pavulon (bromuro di pancuronio), proibito per l’eutanasia degli animali, potrebbe causare una grave sofferenza al condannato (v. n. 128). L’Ottavo emendamento della Costituzione proibisce infatti le pene crudeli e inusuali. Nel caso venisse accolto il ricorso di Abu-Ali Abdur'Rahman si aprirebbe una questione molto complessa che potrebbe portare al blocco delle esecuzioni non solo in Tennessee ma – progressivamente - in altri stati.

 

Texas. Contrordine: se l’avvocato difensore dorme il processo capitale rimane valido. La positiva conclusione del tormentato caso di Calvin Burdine nel 2001 (v. nn. 88, 109) sembrava avesse definitivamente chiarito che in Texas un avvocato dormiente non realizza il diritto costituzione al una efficace difesa legale nei processi capitali. Invece la Corte Criminale d’Appello del Texas ha sentenziato a fine maggio che la condanna a morte di George McFarland rimane in piedi nonostante il fatto che il suo principale avvocato avesse dormito durante il processo, a cominciare dal momento della selezione della giuria e sempre più spesso durante le fasi critiche del dibattimento. L’imputato non è stato privato del diritto alla difesa, secondo la giudice Cathy Cochran, in quanto l’avvocato d’ufficio aggiunto, meno esperto, è rimasto sveglio. C’è da aspettarsi un ricorso di McFarland a livello federale.

 

Usa. L’ultraconservatrice Priscilla Owen giudice nella Corte federale del Quinto Circuito. Un interminabile braccio di ferro tra il presidente Bush che nel maggio 2001 aveva nominato la giudice ultraconservatrice Priscilla Owen nella Corte federale d’Appello del Quinto Circuito, e i senatori democratici che si opponevano alla ratifica della nomina, è terminato con la vittoria di Bush nello scorso mese di maggio e il 6 giugno la Owen è stata insediata. La già famigerata Corte d’Appello che riguarda il Texas, la Louisiana e il Mississippi, più volte smentita nelle sue sentenze forcaiole perfino dalla Corte suprema degli Stati Uniti, rischia ora di diventare ancora più impervia per i ricorsi dei condannati a morte che hanno esaurito gli appelli a livello statale.

 

Usa. La Corte suprema evita di intervenire in merito al Trattato di Vienna. Gli Usa hanno sempre violato i diritti consolari degli stranieri imputati di reati capitali trascurando di avvisare per tempo i relativi consoli in modo che questi potessero prestare assistenza ai concittadini arrestati, come previsto dal Trattato di Vienna del 1963. Tuttavia il 28 febbraio di quest’anno, inaspettatamente, il Presidente Bush ha chiesto al Ministro della Giustizia Gonzales di fare in modo che gli stati ottemperino alla sentenza della Corte Internazionale dell’Aia del 31 marzo 2004, sentenza che impone agli Usa di rimediare alle violazioni del Trattato nei riguardi di 51 cittadini messicani. (Pochi giorni dopo, il 7 marzo, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dalla giurisdizione del Trattato, v. n. 127). La Corte Suprema federale, che aveva deciso di esaminare ricorso di tale Jose Ernesto Medellin, messicano condannato a morte in Texas, prendendo a pretesto la buona volontà dimostrata da Bush, ci ha ripensato e il 23 maggio ha scaricato il ricorso di Medellin. Naturalmente, nel frattempo, il Texas aveva già annunciato di opporsi alla direttiva presidenziale.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al  29 giugno 2005


 

(*) Vedi Prefazione a pag. 9 del Rapporto annuale 2005 di Amnety International

(**) Rumsfeld ha definito il discorso di Irene Khan ‘reprensibile’

(***) ‘Gulag’ è l’acronimo della frase russa “Glavnoe Upravlenie Lagerei” (Amministrazione Centrale dei Campi) che dal significato originale di ‘direzione dei campi di concentramento’, nel corso di un sessantennio, è diventata sinonimo di oppressione e sfruttamento di massa. La ‘rieducazione attraverso il lavoro’ di veri o presunti oppositori del regime comunista ebbe un grande valore economico per l’Unione Sovietica e fu consentita dalla spoliazione sistematica dei diritti fondamentali di milioni di persone che vi furono internate, a cominciare dal diritto ad un giusto processo. In questo i ‘gulag’ possono essere assimilati ai ‘lager’ che caratterizzarono fin dall’inizio anche l’esperienza nazista. La forma giuridica dei lager, a sua volta, è molto simile a quella del campo di Guantanamo, come abbiamo osservato nel n. 100 

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