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FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 216 - Agosto / Settembre 2014
Henry Lee McCollum, condannato a morte, riconosciuto innocente dopo 30 anni
SOMMARIO:
1) Disabili mentali innocenti, esonerati dopo 30 anni
2) Esonerato, si batte con tutte le forze contro la pena capitale
3) Un anno dopo Lampedusa, aumenta il numero di vite perse in mare
4) Uccisa Lisa Coleman povera, nera, lesbica, sadica, ma non rapitrice
5) Non poteva permettersi un impianto antifurto, ma una pistola sì
6) Armi, armi, armi: 28.000 bambini e teenager uccisi negli USA in 11 anni
7) Come compensare le torture inflitte ai 'nemici combattenti'?
8) Spiare sempre, spiare tutti: la CIA spia chi la controlla
9) La pena di morte verrà abolita negli USA per mancanza di soldi?
10) "Non venga liberato, neanche per morire!"
11) La quotidianità del braccio della morte
12) Abbracciamo un albero in memoria di Orso Che Corre
13) Notiziario: California, Spagna, USA
1) DISABILI MENTALI INNOCENTI, ESONERATI DOPO 30 ANNI
Nel 1983 due neri, giovanissimi, disabili mentali, furono arrestati innocenti e condannati a morte.
La mattina del 2 settembre in North Carolina sono stati ufficialmente esonerati e messi in libertà Henry Lee McCollum e Leon Brown. Si tratta di due fratellastri di colore, deboli di mente, che hanno passato 30 anni in galera pur essendo del tutto innocenti.
McCollum, che al momento dell'arresto, nel 1983, aveva 19 anni, era condannato a morte. Brown, quindicenne al momento dell'arresto, era condannato all'ergastolo.
Per la verità anche Leon Brown era stato condannato a morte nel 1983. Però, in un nuovo processo subìto nel 1991, fu giudicato colpevole solo di violenza carnale e condannato all'ergastolo.
Henry Mc Collum ha battuto un tenebroso record: quello della più lunga permanenza nel braccio della morte della North Carolina.
Alcuni test del DNA fatti fare dalla Commissione statale Innocence Inquiry Commission (1), avevano dimostrato l'innocenza di McCollum e Brown e, nel contempo, la colpevolezza di tale Roscoe Artis, uno stupratore assassino, già detenuto, che all'epoca dei fatti abitava a meno di 100
metri dal luogo in cui fu trovato il cadavere dell'11-enne Sabrina Buie (la piccola risultò violentata e soffocata).
"E' terrificante che il nostro sistema giudiziario abbia consentito di incarcerare due ragazzi disabili mentali per un crimine con il quale non avevano nulla a che fare, e poi li abbia lasciati soffrire lì per 30 anni," ha dichiarato l'avvocato Ken Rose, del Center for Death Penalty Litigation di Durham (2), che ha rappresentato Henry McCallum per 20 anni. "Henry ha visto decine di compagni di prigionia avviati all'esecuzione. Ad ogni esecuzione si agitava così tanto che dovevano rinchiuderlo in isolamento. é impossibile trovare parole adeguate per descrivere tutto ciò che questi due hanno sofferto e tutto ciò che hanno perduto."
"Questo caso è una tragedia che riguarda profondamente non solo la vita delle due persone coinvolte, ma anche il sistema giudiziario della North Carolina," ha dichiarato Ann Kirby, avvocato di Brown. Questo caso mette in luce nella maniera più drammatica l'importanza di trovare la verità.
Oggi la verità ha prevalso, ma è arrivata con trent'anni di ritardo per Sabrina Buie e per la sua famiglia, per Leon, per Henry e per le loro famiglie." Come ha ricordato l'avvocato Rose, la sole prove a carico che permisero di collegare i due malcapitati disabili mentali al crimine loro imputato furono le loro confessioni. Per la verità McCollum all'inizio aveva dichiarato di non aver nulla a che fare col crimine, ma alle 2 di notte del
29 settembre 1983, dopo 5 ore di pressanti interrogatori, egli firmò una confessione preparata dalla polizia: gli dissero che se avesse firmato sarebbe stato subito liberato. Poco dopo, anche il fratello più giovane firmò. (3) Il 2 settembre Richard Dieter, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, in un comunicato riguardante la vicenda di McCollum e Brown, ha osservato tra l'altro: "Sarebbe ingenuo ritenere che non ci siano altri casi come questo tra le migliaia di detenuti che rimangono nei bracci
della morte, o che simili errori non siano stati compiuti per una parte dei 1.400 individui che sono stati messi a morte [a partire dal 1977]".
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(1) V. http://www.innocencecommission-nc.gov/ Tale Commissione opera in North Carolina dal 2007 ed ha il compito di rivedere i casi di detenuti che potrebbero essere innocenti.
(2) V. http://www.cdpl.org/
(3) Accusatore di McCollum e Brown fu il procuratore distrettuale Joe Freeman Britt, che si guadagnò il nomignolo di "Procuratore più mortifero del mondo" per aver ottenuto 50 sentenze capitali in 12 anni. A quei
tempi non vi erano leggi che impedissero di condannare a morte i giovanissimi e i disabili mentali.
2) ESONERATO, SI BATTE CON TUTTE LE FORZE CONTRO LA PENA CAPITALE
Andy De Paoli - che ha incontrato l'anno scorso Kirk Bloodsworth, un poderoso attivista del Maryland - ci ha segnalato la prossima uscita di un documentario sulla drammatica vicenda di Kirk.
Presto uscirà un documentario, intitolato Bloodsworth: An Innocent Man, sulla vicenda del battagliero attivista Kirk Noble Bloodsworth, un ex condannato a morte del Maryland.
Bloodsworth nel 1993 fu il primo condannato alla pena capitale ad essere esonerato mediante un test del DNA.
Nel trailer del documentario (1) sono contenuti, tra gli altri, questi passaggi:
Commento introduttivo: "Fu un crimine tra i più orrendi. Un caldo giorno d'estate del 1984, il corpo di Dawn Hamilton, una ragazzina di 9 anni, recante brutali segni di violenza sessuale e fisica, fu trovato nei boschi di Rosedale. Due settimane dopo la polizia della contea di Baltimore arrestò
Kirk Bloodsworth. Una giuria lo trovò colpevole, un giudice lo condannò alla pena di morte."
Kirk: Avevo 22 anni, gli anni in cui cerchi di definire chi sei e orientarti nella vita. Ma io ho dovuto vivere la vita che il governo, lo stato del Maryland, ha scelto per me.
[...] Da anni supplico di abolire la pena di morte nel Maryland per una semplice ragione: gli esseri umani non sono perfetti. Nel mio caso non posso lamentare trascuratezza o singoli errori nell'iter processuale. Alla fin dei conti, ogni singola persona coinvolta nel caso 'Stato del Maryland contro Kirk Noble Bloodsworth' aveva torto marcio.
Jayne Miller, giornalista: 'E' una storia di prove perse o ignorate, strade non percorse e dubbi profondi sul fatto lo stato abbia rispettato tutte le regole. La ricerca dei sospetti era basata su un identikit fornito da un bambino di 10 anni che aveva visto Dawn allontanarsi con un uomo. [...]
Kirk: Non c'era sangue, niente capelli, niente fibre, niente di niente che mi collegasse in alcun modo al crimine al di fuori di testimonianze oculari. E basarono una condanna a morte su quelle. [...] Quando ti arrestano ti leggono i tuoi diritti. Qualunque cosa tu dica può essere e verrà usata
contro di te dinanzi alla corte. Lo dicono sul serio. Loro dissero che io avevo fatto una cosa terribile e che io e mia moglie non saremmo stati più insieme a causa di ciò. Era terribile. Non perché avessi a che fare con l'assassinio di Dawn Hamilton. Era terribile per come si è poi svolta la mia vita, il mio matrimonio. Ciò è accaduto quasi 30 anni fa, ma per me è presente e reale come era brillante la luce del sole stamattina.
[...] La Corte Suprema ha detto che l'innocenza di fatto non è motivo per fermare una sentenza di morte se ottenuta con un iter giudiziario corretto. Dannazione! E la sua dannazione l'avrà anche la pena di morte! Voglio ammazzare ciò che mi ha quasi ammazzato. Mi avevano già steso. Mi
avevano quasi ucciso. Da quando mi misero le manette e mi spinsero dentro quella macchina della polizia federale, si misero in moto per la mia condanna. Fui arrestato nell'agosto del 1984 e nel marzo del 1985 venivo già spedito nel braccio della morte.
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(1) Aprire il link: http://tak.pt/i/uaESUUqe#.VB6GzyAB1aM.email e poi cliccare sul rettangolo nero.
3) UN ANNO DOPO LAMPEDUSA, AUMENTA IL NUMERO DI VITE PERSE IN MARE
Quest'anno sono almeno 2.500 le persone morte in mare, tra i migranti che tentano di raggiungere l'Italia partendo dalle coste africane. Il numero dei decessi è aumentato notevolmente dopo i tragici naufragi di un anno fa che furono ampiamente riportati dalle cronache. Amnesty International, in un
impegnativo rapporto, denuncia la carenza di soccorso dei migranti da parte dell'Unione Europea.
Sintetizziamo il drammatico Comunicato del 30 settembre, diffuso da Amnesty International in occasione della pubblicazione di un ampio Rapporto sulla ininterrotta strage dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo. Ogni nostro commento è superfluo.
Un anno dopo i naufragi al largo di Lampedusa, in cui annegarono oltre 500 persone (1), un nuovo rapporto di Amnesty International denuncia la vergognosa mancanza d'azione dei paesi dell'Unione europea che ha contribuito all'aumento delle morti nel mar Mediterraneo (2) .
Il documentatissimo rapporto di Amnesty International è intitolato "Vite alla deriva: rifugiati e migranti in pericolo nel Mediterraneo centrale".
Mentre "l'Unione europea erige muri sempre più alti, i rifugiati e i migranti attraversano il Mediterraneo nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. Stipati su imbarcazioni insicure da scafisti senza scrupoli, ogni settimana centinaia di loro ondeggiano tra la vita e la morte,
tra la speranza e la disperazione“ ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
Dall'inizio dell'anno, oltre 2500 persone partite dall'Africa del Nord sono annegate o disperse nel Mediterraneo. L'Europa non può ignorare la tragedia che si sta compiendo alle sue porte. Un numero maggiore di navi per la ricerca e il soccorso nel Mediterraneo centrale, col chiaro compito
di salvare vite umane in acque internazionali e risorse adeguate per svolgerlo al meglio: ecco che cosa l'Unione europea e i suoi stati membri devono fornire con urgenza“ ha aggiunto Dalhuisen.
Nel 2014, oltre 130.000 rifugiati e migranti hanno attraversato la frontiera meridionale europea via mare. Quasi tutti sono stati soccorsi dalla Marina italiana. La maggior parte di essi era salpata dalla Libia, un paese tormentato dalla guerra.
Il rapporto di Amnesty International identifica una serie di carenze strutturali nel sistema di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale e chiede che vi siano più percorsi sicuri e legali verso l'Europa a disposizione di chi fugge dai conflitti e dalla persecuzione. Questo può essere fatto
attraverso il reinsediamento, i programmi di ammissione umanitaria e l'agevolazione dei ricongiungimenti familiari, nonché mediante una revisione dei regolamenti di Dublino riguardanti la gestione delle domande d'asilo nell'Unione europea.
Una tipica storia, riportata da Amnesty, è quella raccontata da Mohammed, 22-enne proveniente da Damasco (Siria): "Quando abbiamo lasciato la Libia, eravamo 400 adulti e circa 100 bambini. Abbiamo dovuto raggiungere a remi l'imbarcazione più grande. All'inizio non riuscivo a vederla, poi quando l'ho notata ho visto che era in cattive condizioni. Non volevo salire, ma lo scafista mi ha minacciato con una pistola. Ci sono volute due ore per far salire tutti. Poi, alle 2 di notte, ho sentito degli spari. Un'altra imbarcazione con uomini armati a bordo ci si è messa davanti. Hanno cercato di fermarci per circa quattro ore. Sparavano da ogni direzione. All'alba, se ne sono andati. La nostra barca, danneggiata, stava affondando. Abbiamo gettato in mare tutte le nostre cose, compresi i salvagente: volevamo vivere!"
Amnesty International ritiene che il regolamento di Dublino, secondo il quale lo stato dell'Unione europea di primo arrivo è responsabile dell'esame delle domande d'asilo, pone un onere iniquo a carico dei paesi impegnati nelle operazioni di soccorso, che devono poi provvedere
alle necessità di lungo termine delle persone soccorse.
"Malgrado i pericoli e le misure dell'Unione europea per tenerli a distanza, i rifugiati e i migranti continueranno a rischiare la loro vita e quella dei loro figli per fuggire da paesi di origine devastati dalla guerra, in cui i diritti umani sono violati o le condizioni economiche sono disperate. Gli stati
dell'Unione europea non possono costringerli a viaggiare lungo la più pericolosa rotta marina del mondo e poi abbandonarli al loro destino" ha concluso Dalhuisen.
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(1) Questo dato meriterebbe un'ulteriore verifica. Sul più disastroso di tali naufragi, v. nel n. 207 il comunicato di Amnesty del 13 ottobre 2013.
(2) A partire dal seguente link è possibile accedere ad una sintesi in Italiano e all'intero Rapporto in Inglese:
http://www.amnesty.it/Un-anno-dopo-naufragi-di-lampedusa-numero-di-vite-perse-in-mare-aumenta-mentre-Europa-guarda-altra-parte
mentre-Europa-guarda-altra-parte
4) UCCISA LISA COLEMAN POVERA, NERA, LESBICA, SADICA, MA NON
RAPITRICE
L'esecuzione di una donna suscita un certo scalpore negli USA, trattandosi di un evento raro, ed anche una certa pietà, specie quando si tratta di una donna vissuta in terribili condizioni sociali.
Le cronache riportano che Lisa Coleman, una nera di 38 anni, è stata 'giustiziata' mediante iniezione letale in Texas, il 17 settembre. Le autorità carcerarie dichiarano (1) che l'esecuzione è durata 12 minuti, dalle 6 e 12' alle 6 e 24' del pomeriggio, e niente di 'inusuale' è accaduto. Nella sua ultima dichiarazione Lisa ha mandato il suo amore alla propria famiglia e alle 'ragazze nel braccio della morte'. Le sue ultime due parole: "Sono spacciata." Le cronache aggiungono che erano lì, per lei, due sorelle, l'avvocato difensore e un amico.
La Coleman era accusata di aver fatto morire di stenti 10 anni fa Davontae Williams, un bambino di 9 anni figlio della sua amante Marcella Williams. Sul corpo del ragazzino furono trovate abrasioni e segni di bruciature di sigarette, di cinghie strette. La causa di morte fu certificata come "malnutrizione, con una polmonite quale fattore aggravante".
La notizia ha fatto un certo scalpore soprattutto perché l'esecuzione di una donna è un evento molto raro negli USA: vi sono state solo 15 esecuzioni di donne su un totale di 1400 esecuzioni portate a termine dal 1977 ad oggi. Della 15 esecuzioni, 6 riguardano il Texas (2).
La notizia ha suscitato una particolare pietà forse perché il delitto contestato a Lisa fu in gran parte conseguenza delle terribili condizioni in cui era cresciuta e si trovava a vivere.
Lisa Coleman era cresciuta in povertà in mezzo alla violenza, continuamente stuprata da uno zio.
La compagna di Lisa, Marcella Williams, che partorì Davontae a soli 14 anni di età, è stata condannata all'ergastolo, dopo un patteggiamento. Potrà uscire sulla parola, nella più favorevole delle evenienze, nel 2044.
Come rileva il Texas Death Penalty Abolition Movement, Lisa Coleman non avrebbe dovuto essere condannata a morte per l'assenza di almeno una delle aggravanti capitali previste all'epoca del processo ma un "accusatore famelico si mise in caccia di quella povera donna nera lesbica" e per farla ammazzare aggiunse gratuitamente alle accuse l'aggravante del rapimento.
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(1) In un comunicato letto del portavoce del TDCJ - Texas Department of Criminal Justice
(2) Dopo l'esecuzione di Lisa Coleman rimangono nel braccio della morte del Texas 7 donne
5) NON POTEVA PERMETTERSI UN IMPIANTO ANTIFURTO, MA UNA PISTOLA SÌ
Theodore Wafer, un bianco di 54 anni, uccise Renisha McBride, una nera di 19 anni che bussò alla sua porta nottetempo. Uscirà assolto dal processo in corso come avvenne per George Zimmerman, il bianco che uccise Trayvon Martin, un 17-enne nero che gironzolava nei pressi della sua abitazione?
Negli Stati Uniti l'uso della armi personali è un antico retaggio culturale ed una pratica diffusissima, peccato che a farne le spese sia il diritto alla vita di tante persone innocenti, grandi e piccole (1). La letale consuetudine, ben integrata con le leggi locali e federali (fino ad arrivare alla Costituzione USA), è difficile da superare, anche se di tanto in tanto vengono compiuti qua e là passi nella giusta direzione. Tali passi sono stimolati dai fatti particolarmente raccapriccianti che accadono in continuazione, riportati dalle cronache statali e nazionali, di cui a volte parliamo in queste pagine.
Ricordiamo che Renisha McBride (2), una ragazza nera di 19 anni, poco prima dell'una di notte del 2 novembre 2013 andò a cozzare con l'auto contro una macchina parcheggiata a Dearborn Heights, un sobborgo di Detroit nel Michigan. Renisha scese completamente frastornata dalla sua
macchina. Vagò per 3 ore e mezza nei dintorni del luogo dell'incidente. Fu vista rientrare ogni tanto in macchina dai rari passanti a cui diceva di voler tornare a casa. Alla fine bussò ripetutamente alla villetta di Theodore Wafer, un impiegato aeroportuale bianco di 54 anni.
Il padrone di casa, deciso a difendere la sua proprietà, socchiuse la porta interna e sparò attraverso la zanzariera alla sagoma che vide di fronte a sé. Uccise Renisha sul colpo.
Parlando del caso del bianco George Zimmerman, che uccise Trayvon Martin, un 17-enne nero che gironzolava disarmato in un'area privata in Florida (1) (Zimmerman uscì completamente indenne dal successivo processo), notammo che il caso di Renisha fu affidato ad una procuratrice
nera piuttosto aggressiva, Kym Worthy, che fece incriminare Wafer di omicidio di secondo grado, consentendogli la libertà provvisoria solo dietro il pagamento di una pesante cauzione.
Il conseguente processo si sta svolgendo in questi giorni. L'accusa sostiene giustamente che l'uomo poteva limitarsi a restare chiuso in casa e a chiamare la polizia. Dal canto suo Wafer, con molta sicurezza di sé, ha dichiarato che aveva paura della ragazza e che non voleva lasciarsi
intimidire, rifiutandosi di essere vittima in casa propria. Ha precisato che non poteva permettersi di dotare la casa di un impianto antifurto, e che pertanto si era comprato sei anni prima una pistola da usare nei momenti di pericolo. "Ho ritenuto che fosse tempo per me di procurarmi lo strumento di sicurezza che potevo permettermi", ha detto al processo con tono flemmatico. Wafer in sostanza ritiene che l'uccisione di Renisha sia stata soltanto il risultato di una legittima difesa.
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(1) V. nel n. 207, "Presidia il tuo suolo ammazzando", nonché l'articolo "Armi, armi, armi..." sintetizzato in questo numero.
(2) Di Renisha McBride abbiamo già parlato all'epoca dei fatti (v. n. 210)
6) ARMI, ARMI, ARMI: 28.000 BAMBINI E TEENAGER UCCISI NEGLI USA IN 11
ANNI
Ecco una nostra sintesi dell'articolo segnalato da Claudio Giusti a proposito della grande diffusione delle armi personali negli Stati Uniti e delle morti che queste provocano tra i giovanissimi (*)
Per ogni soldato statunitense ucciso in Afghanistan durante 11 anni di guerra, almeno 13 bambini sono stati colpiti e uccisi da un'arma da fuoco in America. Più di 450 tra loro non hanno fatto a tempo a frequentare la scuola d'infanzia. Altri 2700 o più sono stati uccisi prima che avessero l'età per sedersi al volante di un'auto.
Ogni giorno in media sette bambini sono stati colpiti a morte.
Un'indagine di News21 sulle morti di bambini e giovani in America tra il 2002 e il 2012 ha rilevato che almeno 28.000 bambini o teenager sono stati uccisi con armi da fuoco. I ragazzi tra i 15 e i 19 anni costituiscono più di due terzi dei giovani morti per arma da fuoco in America. [...]
La maggior parte dei morti per arma da fuoco, il 62%, sono stati assassinati e la maggioranza delle vittime è costituita da bambini neri e adolescenti. I suicidi sono stati il 25% delle morti di giovani per arma da fuoco. In maggioranza i giovani suicidi erano bianchi.
Più di 1.100 bambini e adolescenti sono stati uccisi da un'arma che ha sparato accidentalmente.
Un'epidemia di violenza
Zeke Cohen, direttore esecutivo di Intersezione [The Intersection], un gruppo attivo in favore dei giovani a Baltimora, sostiene che la discussione sulle armi arriva a livello nazionale solo quando avviene una sparatoria di massa in un quartiere ricco abitato da bianchi, come quello in cui è cresciuto lui. Il dibattito sulle armi in America, dice, raramente tiene conto del gran numero di giovani neri che vengono assassinati ogni giorno.
"Come nazione tolleriamo la violenza quando avviene nelle comunità nere a basso reddito," dice Cohen. Ci siamo abituati ad accettare le morti per arma da fuoco dei Neri e permettiamo che ciò continui ad accadere."
Dawnya Johnson aveva 11 anni quando sulla sua giovane vita già compromessa si abbatté una catastrofe. Sua madre era una tossicodipendente, suo padre era rinchiuso in prigione, e lei era
sballottata da una famiglia affidataria all'altra. Trovò sollievo nella protezione di un suo cugino più grande. Ma quella protezione ebbe fine su un marciapiede insanguinato: il cugino di Dawnya fu colpito sei volte alla schiena e morì prima che l'ambulanza arrivasse sulla scena del delitto. Aveva 17 anni.
"Egli aveva sostituito due persone che a quel tempo non potevano prendersi cura di me" ha dichiarato Dawnya Johnson che ora è diventata un'attivista contro la violenza. "Quel po' di sostegno mi fu strappato." [...]
Jennifer Rauhouse, direttrice esecutiva di Soluzioni Paritarie [Peer Solutions], un'organizzazione formativa dell'Arizona che cerca di prevenire gli atti di violenza, ritiene che la violenza da arma da fuoco sia collegata ad altri problemi, come il maltrattamento dei minori, l'abuso sessuale e il
bullismo.
"Se noi non entriamo nel cuore della questione della violenza con arma, falliamo" ha detto la Rauhouse, che ha fondato l'organizzazione. [...]
Tutti gli studenti appartenenti a Intersezione sono stati toccati dalla violenza con arma da fuoco. Hanno perso la famiglia o gli amici, sono stati colpiti o coinvolti in sparatorie.
"I nostri studenti stanno tentando di cambiare questa situazione e di distruggere la violenza nella nostra città" ha detto Zeke Cohen. [...]
"E' troppo permissivismo. A Baltimora è più facile per un ragazzo comprare un'arma da fuoco che un pacchetto di sigarette. Meno armi saranno accessibili, meno morti avremo, anche se questo non risolve il problema." [...]
Un'arma, un momento
D'altro canto, i suicidi hanno costituito la maggioranza di morti per arma da fuoco tra i giovani bianchi, con una media di 644 all'anno.
" L'arma non è la causa del suicidio, ma un aspirante suicida che disponga di un'arma è molto più probabile che abbia successo in un tentativo di suicidio rispetto a qualcuno che usi un altro metodo." Ha detto Elaine Frank, direttore del Centro di Consulenza sull'Accesso ai Mezzi Letali
(Counseling on Access to Lethal Means - CALM). " La combinazione di accessibilità, familiarità, letalità e brevità del tempo necessario per usare un'arma da fuoco."
Nel New Hampshire, dove ha sede il CALM, più del 95% di tutti i giovani uccisi da armi da fuoco erano bianchi e il 70% di loro si sono suicidati, ha rilevato News21. [...]
Con una cultura pressoché rurale, i ragazzi del New Hampshire crescono con le armi e sono istruiti sulla sicurezza dell'arma. Hanno familiarità con le armi da fuoco e la maggioranza degli adolescenti sa dove sono tenute le armi in casa.
"Se qualcuno ha manie suicide ed ha facile accesso a strumenti altamente letali, specialmente armi da fuoco, aumenta enormemente il rischio che, se fa un tentativo di suicidio, esso sia letale" ha detto Frank.
Anche il Vermont, un altro stato rurale della New England, sta affrontando il problema dei giovani suicidi, con il 73% dei giovani suicidi morti per arma da fuoco. [...]
I colpi sparati per errore sono ugualmente letali
Gli incidenti per arma da fuoco sono la terza causa di morte fra i giovani, dopo l'omicidio e il suicidio. Più di 1.100 ragazzi sono stati uccisi accidentalmente da un'arma, come mostra un'analisi di News21.
James Parker aveva 12 anni quando fu colpito e ucciso accidentalmente da un membro della sua famiglia. Stava andando a caccia con il padre [...] nel North Carolina, quando un colpo di fucile lo ha privato della vita.
Sincere Tymere Smith aveva 2 anni quando sparò uccidendosi con la pistola di suo padre a Natale, a Conway nella South Carolina. [...]
Ryder Rozier aveva 3 anni quando, nella camera dello zio a Guthrie in Oklahoma, è inciampato in una pistola che lo ha colpito alla testa. [...]
Neegnco Xiong aveva 2 anni quando fu colpito da suo fratello di 4 anni, che aveva trovato una pistola sotto il cuscino del padre a Minneapolis. [...]
William Rees aveva 14 anni quando morì a casa dei nonni nella Contea di Fremont in Idaho. Stava tirando ad alcuni bersagli con una pistola [...].
I bambini di cui sopra furono uccisi tutti nel 2012.
"Una pistola che finisce nelle mani di un bambino è passata prima tra le mani di un adulto" ha detto Colette Martin, membro di Genitori Contro la Violenza delle Armi. "Abbiamo molta responsabilità se, essendo proprietari di armi legali, consentiamo ai figli l'accesso alle armi ".
Gli adolescenti fra i 15 e i 19 anni sono quelli più soggetti ad una morte causata da un grilletto tirato per caso, tra di essi si verifica la metà delle morti di questo tipo. [...]
Ragazzi americani
Si tratti di omicidio, suicidio o incidente, ogni 4 ore la vita di un bambino è stata portata via da un proiettile durante il periodo di 11 anni dal 2002 al 2012. E' l'equivalente del massacro di Sandy Hook ogni tre giorni.
Più di 19.000 studenti delle superiori non sono mai saliti sul palcoscenico della loro scuola per ritirare il diploma.
"Nessuna legge sulle armi cambierà le cose" ha detto Rauhouse. "Facciamo leggi sulle armi e non ci preoccupiamo dei nostri ragazzi. La gente dovrebbe riflettere sul perché esiste la violenza delle armi e cercare di impedirla."
"Altri attivisti per il controllo delle armi argomentano che le leggi sulla detenzione delle armi dovrebbero essere approvate e fatte osservare.
Leggi molto severe sulla conservazione delle armi eviterebbero parte delle morti per arma da fuoco che avvengono in casa" ha detto Martin, di Genitori Contro la Violenza delle Armi. [...]
"La lobby delle armi è molto potente. I responsabili non sono al passo con ciò che vuole la gente" ha detto Gerry Hills, fondatore di Abitanti dell'Arizona per la Sicurezza delle Armi [Arizonans for Gun Safety]. "Gli Americani non sono seri riguardo alla protezione dei giovani e alla
prevenzione della violenza delle armi."
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(*) Il titolo originale dell'articolo comparso il 16 agosto 2014 in News 21 a firma di Kate Murphy e Jordan Rubio è: "At least 28000 children and teens were killed by guns over an 11 year period", vedi:
http://gunwars.news21.com/2014/at-least-28000-children-and-teens-were-killed-by-guns-over-an-11-year-period/
period/ La traduzione integrale dell'articolo eseguita Anna Maria Esposito si può trovare nel nostro sito.
7) COME COMPENSARE LE TORTURE INFLITTE AI 'NEMICI COMBATTENTI' ?
Dopo l'11 settembre li hanno torturati e maltrattati per anni: almeno non li condannino a morte.
Tredici anni sono tanti per compiere una vendetta: un gigantesco grattacelo ha preso il posto delle Torri Gemelle a New York; le minacce 'terroristiche' sono molto cambiate; tanta gente è nata, tanta gente è morta... eppure Khalid Shaikh Mohammed, presunto organizzatore degli attacchi
apocalittici dell'11 settembre 2001, non è stato ancora giudicato e condannato... soltanto crudelmente torturato (1).
In merito al comportamento che gli Stati Uniti dovrebbero tenere da ora in poi nei riguardi di Mohammed ci sembra particolarmente interessante l'opinione del professor Jonathan Hafetz, docente di legge all'Università cattolica di Seton Hall nel New Jersey (2).
Riportiamo le considerazioni di Jonathan Hafetz e qualche nostra considerazione. E' infatti arrivato il momento per raccogliere le idee: dopo anni e anni di discussioni, polemiche e schermaglie legali sembra che Khalid Shaikh Mohammed, ritenuto la mente organizzatrice degli
immani attacchi terroristici voluti da Osama Bin Laden, sia in procinto di essere giudicato da una Commissione Militare a Guantanamo Bay nell'isola di Cuba. Ci si aspetta che Mohammed venga condannato a morte. Però, secondo Hafetz, anche per chi crede nella pena capitale è difficile pensare che egli sia un ottimo candidato per il capestro. Al contrario ci sono buoni motivi per non procedere alla sua esecuzione, indipendentemente dal fatto
di essere pro o contro la pena di morte. Egli fu vittima di un trattamento palesemente illegale da parte del Governo USA: la CIA lo sottopose 182 volte alla tortura del waterboarding (annegamento interrotto) nel marzo del 2003, e minacciò di uccidere i suoi figli mentre egli era imprigionato in un
luogo segreto (black hole)...
Come verrà gestito il suo caso da ora in poi, è del massimo interesse proprio in relazione al fatto che il Governo americano non ha la coscienza pulita. Il Presidente Obama ha rifiutato di avanzare accuse penali nei riguardi dei responsabili delle torture e degli altri trattamenti illegali inflitti a Mohammed e ad altri personaggi come parte della cosiddetta 'guerra al terrore'. Barack Obama ha detto che gli Stati Uniti "devono guardare avanti, il ché è l'opposto del guardare indietro" mente la sua amministrazione omette non solo di avviare procedimenti penali ma anche di compiere una
diligente investigazione sulla tortura. (Sappiamo che, all'opposto, la Commissione Intelligence del Senato sta per rendere noto un ampio rapporto sulla tortura, dopo anni di revisioni degli aspetti legali e di aggiustamenti, vedi art. "Spiare..." ).
Secondo Hafetz, le condanne da infliggere ai terroristi possono essere uno strumento, sia pure illogico e imperfetto, per compensare la mancanza di accountability di coloro che incoraggiarono ed eseguirono le torture. Uno strumento per ripristinare una reputazione dell'America per quanto
riguarda l'osservanza della legislazione internazionale: se verrà dichiarato colpevole, Mohammed dovrà avere salva la vita dal momento che la sua esecuzione - dopo anni di maltrattamenti in una serie di prigioni segrete della CIA prima di ricomparire a Guantanamo - manderebbe un disastroso
segnale riguardo all'impunità per la tortura e per le altre violazioni della legalità.
Jonathan Hafetz sostiene la sua posizione citando alcuni fatti. In primo luogo il fatto che il 'nemico combattente' Jose Padilla sia stato condannato ad una limitata pena detentiva proprio in ragione delle attenuanti costituite dalle torture e dalle sofferenze inflittegli dal Governo USA.
Riportiamo integralmente le conclusioni di Hafetz:
"La mancanza di accountability [dei torturatori] rende la fase di inflizione del pena del suo processo molto importante. Diversamente da quel che avviene nella precedente fase del processo, quella in cui si stabilisce la colpevolezza o l'innocenza, nella fase di inflizione della pena è consentito alla corte di valutare le attenuanti e le aggravanti. A ciò è data giustamente molta importanza nei casi capitali.
"Mettere a morte Mohammed dopo la sua brutale tortura sarebbe una presa in giro della legalità, un condono della tortura togliendole ogni conseguenza legale. Peggio, rinforzerebbe la percezione che si applichi un doppio standard nel combattere il terrorismo - sbandierando i valori liberali in astratto ma ignorandoli in pratica. Una condanna a vita, invece, sarebbe la migliore soluzione. Non cancellerebbe le estese violazioni dei diritti umani commesse dopo l'11 settembre ma costituirebbe una delle ultime possibilità per dimostrare che anche il governo deve pagare le conseguenze delle violazioni della legge."
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(1) Sul caso di Khalid Shaikh Mohammed, sui vari tentativi di processare Mohammed, sull'opposizione ad un suo processo a New York, v. gli ampi articoli pubblicati nei numeri 198 e 201 e nei numeri ivi citati.
(2) Da lui espressa nel numero del 24 settembre del New York Times.
8) SPIARE SEMPRE, SPIARE TUTTI: LA CIA SPIA CHI LA CONTROLLA (1)
Ogni tanto ritorniamo su qualche aspetto dei grandi apparati di spionaggio creati dagli Stati Uniti (e non solo da essi). Ora parliamo di conflitti in merito sorti negli USA tra le più alte sfere del potere.
Lo scorso marzo John Brennan (2), famigerato direttore della CIA (Central Intelligence Agency), reagì indignato quando la senatrice Dianne Feinstein accusò l'agenzia di essersi inserita illecitamente nei computer usati dalla Commissione Intelligence del Senato, di cui lei è presidente.
"Per quanto riguarda le supposizioni che la CIA si sia introdotta nei computer del Senato, nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Intendo dire, non lo faremmo mai. Intendo dire, ciò va al di là delle nostre finalità." dichiarò Brennan.
Tuttavia meno di 5 mesi dopo, il 31 luglio scorso, la CIA ha dovuto ammettere di aver usato una falsa identità on-line per entrare nei computer della Commissione Intelligence del Senato, computer
contenenti la documentazione inerente i rapporti segreti relativi al programma di detenzione e di tortura applicato dalla CIA medesima. Brennan allora chiese scusa in privato alla presidente Feinstein, e al senatore Saxby Chambliss, vice presidente della Commissione senatoriale. Promise anche di indagare sui responsabili dello spionaggio (sic) e di decidere come dovessero essere puniti.
In un editoriale del 31 luglio il New York Times denuncia che la CIA, con tale comportamento, non solo ha offeso i senatori della Commissione Intelligence, ma l'intero Parlamento e il popolo americano in generale. I cittadini infatti pagano le tasse per avere un'agenzia di intelligence che
rispetti la divisione e la gerarchia dei poteri dello stato. Ciò richiede che il Parlamento possa controllare la CIA e frenarne gli eccessi. Come può farlo se viene spiato dalla stessa agenzia di spionaggio?
Il Senato sta lavorando dal 2009 per investigare la prassi antiterrorismo messa in atto dalla CIA durante l'amministrazione Bush (2), prassi che implicava la rendition, cioè il trasferimento segreto di prigionieri in altri paesi, nonché la detenzione senza processo e l'uso della tortura sui sospettati.
Tutte azioni che, tra l'altro, non fornirono praticamente alcun apporto positivo alla difesa nazionale.
L'anno scorso la CIA ritenne che il Senato fosse venuto in possesso dei documenti di analisi del programma di tortura. Dal canto loro i senatori si resero conto che hacker della CIA non solo erano riusciti ad avere accesso ai documenti ma anche che spiavano le e-mail che i senatori si scambiavano. La senatrice Feinstein, in una memorabile seduta del Senato, a marzo aveva accusato la CIA di "minare la struttura costituzionale indispensabile all'attività di efficace supervisione dell'intelligence e di qualsiasi altra funzione governativa" Altri senatori avevano chiesto che
"cadessero delle teste" e che della gente andasse in prigione.
Tra le varie teste, a cadere dovrebbe certamente esserci quella di John Brennan. Se infatti egli era al corrente dell'intrusione, mentì spudoratamente affermando che non era vero. Se invece non lo sapeva (!), allora quanto meno ignorava la cultura di illegalità di cui era infetta la CIA sin dai tempi in cui George W. Bush e Dick Cheney avevano incoraggiato i suoi membri a torturare i prigionieri e a mentire al riguardo. (Grazia)
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(1) Riguardo alla pervasiva attività di spionaggio degli Stati Uniti d'America, vedi ad es. nn. 134, "Spiare tutti..."; 162 (3 articoli); 163, "Sistema informatico..."; 208, Notiziario; 209, "Datagate..." e "Privacy...".
All'inizio di agosto si è appreso che 20.800 Americani sono stati inseriti nel data base del governo USA delle persone sospettate di avere legami col 'terrorismo', 5.000 dei quali inclusi in almeno una lista di controllo (watch list). è dato per scontato che centinaia di migliaia di non Americani possono essere spiati in America e nel mondo come e quanto si vuole.
(2) Vedi nel n. 204, "Pervicace scelta di Obama..."
(3) V. n. 167, "Inchieste senatoriali..."
9) LA PENA DI MORTE VERRÀ ABOLITA NEGLI USA PER MANCANZA DI SOLDI ?
Tutt'altro che peregrina, l'opinione espressa da Daniel LaChance dell'Università Emory di Atlanta Daniel LaChance, assistente presso la Facoltà di Storia alla Emory University di Atalanta, ha scritto un'interessante opinione sul futuro della pena di morte, che è stata pubblicata l'8 settembre scorso dal New York Times. Riportiamo la sua analisi, che può sconcertare qualcuno, ma che induce comunque a riflettere e... a sperare per il meglio.
Clamorosi fatti recenti, come le esecuzioni fallite, che hanno provocato atroci sofferenze ai condannati prima di spedirli all'altro mondo, nonché la liberazione di altri condannati, dei quali i test del DNA hanno dimostrato l'innocenza, possono indurre a ritenere che l'opinione pubblica americana venga scossa a tal punto da notizie così eclatanti, da chiedere l'abolizione della pena di morte.
In realtà, secondo LaChance, le cose non andranno così. Il calo del sostegno alla pena di morte da parte del pubblico è dato essenzialmente dalla dissoluzione del suo significato, che si è prodotta negli ultimi 40 anni.
La ripresa delle esecuzioni nel 1977 - dopo una moratoria di quasi 10 anni - andava incontro al desiderio della maggior parte dei cittadini di sradicare il crimine piuttosto che prevenirlo. Fino al 1959, in maggioranza i condannati a morte trascorrevano meno di 2 anni in carcere prima di essere uccisi, dando al pubblico la sensazione di una punizione appropriata e tempestiva.
La "nuova edizione abbellita" della pena di morte, prevede invece che - per rispettare la Costituzione - vi siano una quantità di appelli e di burocrazia. Così il condannato trascorre moltissimi anni in carcere prima dell'esecuzione: i condannati "giustiziati" nel 2012 avevano
trascorso in media 16 anni in prigione. Un'ampia maggioranza di tutti quelli che sono stati condannati a morte a partire dal 1976 non sono stati ancora 'giustiziati'.
E' difficile suscitare un sentimento di solidarietà morale con le sue vittime, quando il criminale entra nella camera dell'esecuzione con 20 anni di ritardo, nelle sembianze di un uomo di mezz'età o anziano, i cui delitti sono da molto tempo svaniti nella memoria del pubblico.
Gli sforzi fatti dagli stati americani per rimediare al problema, riformando e accelerando le procedure di appello, non sembra abbiano sortito alcun risultato, per vari motivi. Il primo è banale: la mancanza di denaro. I compensi bassissimi pagati ai difensori assegnati d'ufficio agli imputati
poveri, fanno sì che non ci siano abbastanza avvocati desiderosi di assumersi questi incarichi. In California i detenuti aspettano dopo la prima condanna da 3 a 5 anni prima che si riesca a trovare per loro un avvocato che accetti di gestire i loro appelli. E questo è solo l'inizio di un lunghissimo
iter giudiziario che si protrae a volte per 25 anni. E' stata proprio questa constatazione che ha indotto un giudice federale Cormac J. Carney a sentenziare il 16 luglio scorso che la pena di morte della California costituisce una punizione 'crudele e inusuale' e pertanto viola la Costituzione USA (1).
Destinare più denaro agli avvocati difensori potrebbe ridurre gli errori nei processi capitali e accelerare la sequenza degli appelli, ma certamente questo non accadrà. Il costo della difesa nei processi capitali supera il budget previsto nei vari stati, e in particolare in quelli del Sud, dove il
desiderio di finanziarla è debolissimo. Non si può essere quindi a favore della pena di morte ma contrari a finanziarla adeguatamente.
Questo messaggio, se fatto recepire in modo appropriato agli Americani, potrebbe davvero cambiare il loro modo di vedere le cose. Appellarsi al portafoglio degli elettori piuttosto che al loro cuore può sortire l'effetto desiderato. Se si tiene poi anche conto del fatto che in molti stati le
esecuzioni sono praticamente ferme da anni, il messaggio ulteriore è che il denaro che già comunque si spende è inutile allo scopo prefissato: i contribuenti americani pagano per mantenere in azione la macchina della morte senza ricevere in cambio la sensazione di controllo della criminalità, di chiusura del dolore per i familiari delle vittime e di 'sicurezza' che la pena capitale ha sempre sbandierato.
La maggioranza degli Americani è bianca e vive al di sopra del tasso di povertà. Indurla a provare compassione per una minoranza di persone, i condannati a morte, che sono per lo più di colore, poverissimi, e hanno commesso gravi crimini, è un'impresa molto difficile.
Assai più facile è far presa sugli Americani inducendoli a rendersi conto che la pena di morte si è impantanata nella burocrazia e nel legalismo e che, pertanto, l'unica soluzione al problema sarà l'abolizione, dal momento che eliminare gli avvocati per gli appelli o incrementare i finanziamenti,
non è legale o fattibile.
Solo la sfiducia nei governanti, che già si manifesta in tanti altri aspetti della vita della Nazione, potrà indurre il popolo americano a chiedere l'abolizione della pena di morte. (Grazia)
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(1) Vedi n. 215, "Dichiarata incostituzionale..."
10) "NON VENGA LIBERATO, NEANCHE PER MORIRE!"
Inutili tentativi per ottenere che Max Soffar, condannato a morte malato di cancro, muoia in libertà Max Soffar, ospite del braccio della morte del Texas da quasi 34 anni, conosciuto da sempre dal Comitato Paul Rougeau (1), sta morendo di cancro. Finora sono state inutili le pressioni sul
governatore Perry per ottenere che a Max sia consentito di morire in libertà.
Soffar era un delinquente al momento dell'arresto nel 1980 ma molti, singoli e associazioni (tra cui l'ACLU), ritengono con ottime ragioni che sia innocente e che il crimine a lui ascritto (una rapina a mano armata con tre morti) sia stato compiuto da un'altra persona (tale Paul Reid, un ospite del braccio della morte del Tennessee deceduto l'anno scorso).
Dopo i danni cerebrali subiti alla nascita, la mente di Max Soffar era andata progressivamente deteriorandosi per i maltrattamenti ricevuti dai genitori adottivi e dalle istituzioni pubbliche.
Max Soffar fu arrestato su una moto rubata e costretto a firmare una confessione. Firmò dopo 3 giorni di interrogatori, costellati da maltrattamenti, pressioni e bugie di chi lo interrogava. La confessione è l'unica prova concreta a suo carico.
La procura distrettuale competente si oppone alla richiesta di liberazione, argomentando che in carcere ci sono le strutture mediche per assistere i detenuti. "Non ho visto nessun rapporto medico che provi alcunché", ha dichiarato la nota accusatrice della Contea di Harris, Roe Wilson. "Pur se
lui deve essere trattato umanamente, non ritengo che gli si debba concedere una liberazione compassionevole e il ritorno alla libertà."
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(1) Nel gennaio 2004 Max Soffar fu intervistato per il Foglio di Collegamento dal nostro amico Kenneth Foster (v. n. 114). Vedi anche nn. 118; 123, Notiziario; 125, Notiziario; 137, Notiziario; 178, Notiziario.
11) LA QUOTIDIANITÀ DEL BRACCIO DELLA MORTE
Fernando Caro, nostro corrispondente dal braccio della morte della California, parla del delicato equilibrio tra immaginazione e visione della realtà che gli permette di conservare la sanità mentale.
San Quentin, 25 luglio 2014
Se vuoi capire le persone, devi ascoltare ciò che dicono. Se le ascolterai abbastanza a lungo, capirai quali sono le cose a cui attribuiscono maggiore importanza. Quando condividiamo momenti importanti della vita comunichiamo con l'animo degli altri.
Ciò che diciamo ci fa conoscere. La maggior parte di ciò che diciamo deriva certamente dall'esperienza ed è alimentato dall'attitudine ad immaginare. E' follia contare sulla magia e sulla superstizione per sapere cosa ci può accadere.
Non vivendo libero, posso solo immaginare come avrebbe potuto essere la mia vita. Stando così le cose, la mia vita si svolge nella quotidianità nel braccio della morte.
Ciò che racconto riflette molto di quanto ho sperimentato qui dentro. Solo il mio senso di moralità mi permette di rimanere legato alle cose che mi furono insegnate da ragazzo. Il rimpianto e la nostalgia colorano la mia immaginazione. In un luogo come questo, i pensieri del tipo "che cosa
sarebbe accaduto se" stanno in mezzo a due atteggiamenti: il crogiolarsi nella malinconia e il procedere nella vita.
Non basta sopravvivere nel braccio della morte. Si deve mantenere la sanità mentale e il rispetto di se stessi. Rimanere consapevoli del fatto che se si perdono i valori morali, si diventa schiavi degli istinti! Si finisce col vivere come un animale che si ribella! Invece di cercare aggiustamenti e
soluzioni, si arriva alla disperazione!
Gli esseri umani sono capaci di adattarsi e i cambiamenti possono essere benefici. Siamo in grado di prendere decisioni per noi stessi. Le scelte sbagliate possono farci perdere il senso di responsabilità. Per fortuna, il mio senso di responsabilità è intatto. Quando do la mia parola, la mantengo!
Come si fa a sopravvivere nel braccio della morte senza senso di responsabilità o di moralità? Si finisce o con l'essere ammazzati, o con l'essere gettati in isolamento, lontano dagli altri. Questo è successo a moltissimi detenuti! Capita che la mentalità di un prigioniero non riesca ad adattarsi. Si tratta di casi disperati? Non lo so, ma tali detenuti restano comunque esseri umani e la loro vita vale come quella di chiunque altro!
Tutti noi condannati a morte sogniamo di uscire dal cancello principale e di lascarci dietro questo inferno. Anch'io ho immaginato questa scena tante tante volte. Ciò che invece non riesco a immaginare, è cosa proverei. E' un pensiero che mi sfugge ogni volta.
Essere realista e senza sciocchezze per la testa mi impedisce di varcare la soglia della follia. E' molto meglio fare affidamento su ciò che vedo e usare la mia fantasia solo per confortare la mia psiche.
Fernando
12) ABBRACCIAMO UN ALBERO IN MEMORIA DI ORSO CHE CORRE
Recensione di Grazia Guaschino
Ho letto con grande partecipazione emotiva il bel libro "Abbraccia un albero per me. Lettere di Running Bear" scritto da Christine Kaufmann, che per sette anni ha scambiato una fitta corrispondenza con Ray Allen, il nativo americano Cherokee, conosciuto da tutti con il suo nome indiano Orso Che Corre (Running Bear), per gli amici divenuto nel tempo "il caro, vecchio Orso" .
Orso aveva 76 anni, era quasi cieco, malato di cuore e immobilizzato su una sedia a rotelle, quando nel 2006 il palestratissimo Arnold Schwarzenegger, allora governatore della California, permise che venisse 'giustiziato' dopo che aveva trascorso nel braccio della morte di San Quentin quasi trent'anni. Che il muscoloso Terminator lo ritenesse ancora un pericolo per la società?
Christine inizia il suo libro proprio con la descrizione della morte di Orso, legato al lettino del boia, con la sua bella penna d'aquila appuntata sul petto, che a un certo punto ha smesso di sollevarsi lievemente su e giù. Lei all'esecuzione era presente, proprio per lui, per Orso, perché, nonostante la cecità, la sua anima viva e sensibile sapesse che c'era una vera amica lì per lui, per dirgli a nome suo e di tanti altri amici che lui era una persona amata, che aveva arricchito con la sua pacata saggezza indiana la vita di molte persone.
Poi la Kaufmann prosegue riportando il fitto scambio di lettere che lei - tedesca cosmopolita dalle scelte di vita libere e a contatto con la natura - ha avuto con quell'uomo, chiuso nella gabbia di cemento dei bianchi, ma dallo spirito altrettanto libero e altrettanto in simbiosi con la natura. Le
lettere sono intense, rivelano la bella personalità dei loro autori, e non solo, perché anche i familiari sia di Orso che di Christine vi sono ritratti a tinte vivaci.
Nelle pagine vengono citati altri condannati a morte del paese a stelle e strisce, alcuni dei quali in contatto con amici comuni con Orso. E alcuni dei quali purtroppo a loro volta uccisi dalla furia vendicatrice degli Americani. Tra questi anche amici i cui casi, giudiziari e umani, abbiamo seguito
negli anni: Tony E. Ford, Ponchay Kamau Wilkerson, Manny Babbit ...
Oltre che in occasione della sua morte, Christine andò a trovare Orso alcuni anni prima: la descrizione delle ore trascorse insieme a quest'uomo così indebolito nel fisico ma così straordinariamente forte nell'animo, fa sentire il lettore presente a quei colloqui, e gli occhi diventano lucidi mentre scorrono quelle pagine.
Christine andò anche un'altra volta in California per far visita a Orso, ma lui, purtroppo, in quel periodo fu colpito da un infarto (il terzo!) e ricoverato in ospedale, e a lei non fu concesso di andare a trovarlo. Lo stato curò Orso e lo rimise in sesto, giusto in tempo per poterlo ammazzare pochi mesi dopo.
Mai, nelle tantissime sue lettere a Christine, Orso usa parole di odio o di rancore verso chi lo ha ridotto a vivere per decenni in una gabbia di cemento negandogli anche gli oggetti di prima necessità (per esempio, dovette penare mesi e mesi per avere un paio di occhiali decenti che
attenuassero la sua progressiva cecità). Al contrario, le sue parole sono sempre di incoraggiamento, di speranza, di invito alla serenità e all'ottimismo e ad un grande, profondo rispetto e amore per la natura.
Tante frasi sono intercalate da parole in lingua indiana, e nomi indiani sono stati dati da Orso ai suoi amici più cari (Christine è divenuta così Sole Splendente del Mattino). Più si avvicinava il momento in cui lo stato della California gli avrebbe preso la vita, e più le sue lettere diventavano incoraggianti e serene, di consolazione per tutti coloro che lo amavano, e di
esortazione a non soffrire e a non piangere per lui: stava finalmente per lasciare la sua gabbia di cemento e il suo vecchio corpo sofferente, per galoppare, sul suo magnifico stallone appaloosa Patchy's Whistle, nelle Celesti Praterie.
"Abbraccia un albero per me" è un libro che tutti - in particolare i giovani e coloro che pensano di avere tanti problemi nella vita - dovrebbero leggere.
"ABBRACCIA UN ALBERO PER ME. Lettere di Running Bear" di Christine Kaufmann
Edizioni Effigie “ Collana Stelle filanti “ Pagg. 127 Euro 15,00.
13) NOTIZIARIO
California. Cala molto rapidamente il sostegno per la pena di morte. Secondo un sondaggio reso noto dalla Field Poll il 12 settembre, in California il sostegno per la pena di morte (all'80% negli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta), è diminuito linearmente per un quarto di secolo, fino a raggiungere il 68% nel 2011, ma è crollato negli ultimi tre anni fino al 56%. Come dire che è diminuito in 3 anni tanto quanto era diminuito nei precedenti 18. Ricordiamo che in California continuano ad essere inflitte condanne a morte ma non si fanno esecuzioni dal 2006.
Spagna. Oltre la metà dei giovani spagnoli accetterebbe la pena di morte. Da uno studio compiuto dal Centro Regina Sofia per gli Adolescenti e i Giovani risulta che il 56% dei cittadini spagnoli tra i 15 e i 24 anni riterrebbero la pena di morte "del tutto accettabile" o "accettabile". Pur
essendo impensabile la reintroduzione della pena di morte in un paese come la Spagna, il dato richiede qualche riflessione. Per la cronaca: L' 82% dei giovani spagnoli accettano l'aborto e l'80% di loro ritiene che l'eutanasia dovrebbe essere legale, anche se, al 66,5%, sono contro il suicidio.
http://en.ria.ru/analysis/20140902/192574254/Spanish-Youths-Support-Death-Penalty-Abortions-Euthanasia--Study.html
Study.html
USA. Il Papa scrive a 500 minorenni condannati all'ergastolo irrevocabile. Cinquecento ragazzi detenuti negli Stati Uniti e condannati all'ergastolo senza possibilità di uscita per crimini commessi nella minore età, hanno scritto al Papa. Francesco ha risposto loro, dicendo tra l'altro di essere stato "commosso profondamente" dai racconti dei giovani detenuti, assicurando la sua preghiera, e chiedendo a sua volta loro che preghino per lui. Lo ha scritto Avvenire il 2 giugno scorso riprendendo la notizia data dal periodico dei gesuiti statunitensi America. L'insieme delle 500 lettere
è stato raccolto da padre Michael Kennedy, direttore esecutivo del Jesuit Restorative Justice Initiative. "Ho letto - ha scritto il Pontefice a padre Kennedy - le lettere che lei mi ha fatto recapitare gentilmente da ogni angolo degli Stati Uniti d'America, da parte di centinaia di ragazzi condannati in così giovane età all'ergastolo senza condizionale. Le loro storie e la loro richiesta che questa forma di sentenza venga rivista alla luce della giustizia e della possibilità di una riforma e riabilitazione mi hanno commosso profondamente". Papa Francesco ha subito reso noto di aver ricevuto le lettere ed ha stabilito che ogni detenuto che gli ha scritto riceva una copia della sua risposta a padre Kennedy. In merito all'ergastolo per i minorenni negli USA v. nn. 198, "Ergastolo non obbligatorio..." (che fa il punto sull'attuale situazione), collegandosi al n. 180 "Niente ergastolo...". http://www.americamagazine.org/content/all-things/letter-pope-francis
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 1° ottobre 2014
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