FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU / ELLIS(ONE) UNIT
Numero 89 - Settembre 2001
SOMMARIO:
1) Guerra e pena di morte
2) Abolire la pena di morte per abolire la guerra
3) Attentati e abolizione della pena di morte negli Stati Uniti
4) Sospensione per Beazley, intanto uccidono Mitchell
5) Notiziario: Afghanistan, Cina, Europa, Turchia
6) Appello al Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush
1) GUERRA E PENA DI MORTE
Tra oscurità e contraddizioni, una guerra nuova e indeterminata è stata lanciata in risposta all’aggressione apocalittica portata al cuore dell’America l’11 settembre 2001.
“L’Italia è di nuovo in guerra a fianco degli USA. Di fronte alla sconvolgente realtà di essere in qualche modo attori di una guerra, quale senso hanno i nostri sforzi per combattere quella forma di violenza più circoscritta costituita dalla pena di morte?”
Questo interrogativo ce lo siamo posto in occasione della guerra del Kosovo (v. n. 67, pag. 4). Dopo poco più di due anni torniamo a farci la stessa domanda con più forza ed angoscia perché siamo stati coinvolti in una guerra inusuale – al di là della prassi e al di là delle garanzie minime di salvaguardia degli diritti umani consolidatesi nel diritto e nella politica internazionale – i cui attori principali sono persone che, fino ad ora, non hanno dato prova di umanità e di ragionevolezza.
1. Contendenti spietati e irragionevoli
Da chi ha organizzato gli attentati suicidi dell’11 settembre c’è sicuramente molto da temere: non sappiamo infatti se ci siano limiti nel prezzo che essi sono disposti a pagare, e a far pagare al mondo occidentale, nella loro inebriante lotta suicida. Dal loro avversario, il Presidente Bush – già Governatore del Texas e grande fautore della pena capitale - noi abolizionisti abbiamo avuto sovrabbondanti prove di chiusura mentale, di cinismo, di sordità ad ogni supplica di clemenza. Abbiamo udito le sue frasi al cardiopalma nel corso degli attentati. Le sue confuse richieste di rappresaglia a caldo. Le sue minacce sibilanti di ulteriori spargimenti di sangue ridimensionate a fatica dai consiglieri e dagli scrittori dei discorsi ufficiali.
Ovviamente non possiamo mettere tutti sullo stesso piano. Tra gli attentatori e il Presidente americano, nostro amico-avversario, c’è almeno una grande differenza: con quest’ultimo possiamo ancora parlare.
Convinti che le nostre voci potranno in qualche modo contare, dobbiamo tutti rivolgere una richiesta di pace al Presidente Bush. La libertà e la possibilità di comunicare che abbiamo in Occidente – non per nostro merito personale e a detrimento del destino di molti – dobbiamo sfruttarle al meglio per favorire la pace e il progresso della civiltà. (Vedi a pag. 9: Appello a George W. Bush )
2. Dichiarazioni pericolose
I discorsi di Bush hanno galvanizzato la popolazione degli Stati Uniti e catalizzato energie sufficienti a dar fuoco al Pianeta. La mobilitazione dell’America ha contagiato gli ‘alleati’ tradizionalmente subordinati, ha imposto una neutralità allibita al resto del mondo, ha scatenato l’orchestra assordante dei grandi comunicatori, come sempre asserviti all’(ingiusto) ordine mondiale. La ‘rabbia’ minacciosa dell’America echeggiata nelle parole di Bush ha fatto montare il già smisurato odio verso l’Occidente in molte regioni del mondo.
L’affermazione iniziale che sarebbe stato inferto un colpo mortale ai ‘terroristi’ e ai paesi che li ospitano si e’ ridimensionata, nel discorso di Bush al Congresso del 20 settembre, nella proclamazione di una lotta contro un “nemico” costituito da “una rete radicale di terroristi e [da] ogni governo che li sostiene”. Per poi allargarsi di nuovo paurosamente: “perseguiteremo la nazioni che forniscono aiuto e rifugio ai terroristi. Ogni nazione, in ogni regione, ora deve decidere. O con noi o con i terroristi.”
“La nostra reazione va oltre rappresaglie immediate ed incursioni isolate. Gli Americani non si aspettino una battaglia sola, bensì una lunga campagna, diversa da qualsiasi altra che abbiamo conosciuto. Potrà includere incursioni sensazionali, visibili in televisione, e operazioni coperte, di cui anche il successo resterà segreto.”
Questo proclama è stato commentato dai più come il lancio di una ‘guerra sporca’, una guerra cioè che può includere esecuzioni extragiudiziali, la tortura e l’uccisione di innocenti, la protezione di coloro che si macchiassero di crimini di guerra, al riparo dalle critiche e dagli scrupoli di coscienza dell’opinione pubblica.
Nonostante tutto ciò, secondo il Presidente USA questa “è la battaglia della civiltà. E’ la battaglia di tutti quelli che credono nel progresso e nel pluralismo, nella tolleranza e nella libertà.”
Ricordando l’opposizione del Papa alla guerra del Golfo nel 1991 e i moniti rivolti da Giovanni Paolo II alla ‘comunità’ internazionale impegnata nella ‘guerra umanitaria’ per il Kosovo nel 1999, la posizione attuale della Chiesa cattolica ci appare di basso profilo. Il 25 settembre scorso, lo strenuo ma stanchissimo viaggiatore bianco ha visto oscurare i suoi reiterati appelli alla ragione da due sincrone prese di posizione degli apparati ecclesiastici. Da una parte il Cardinal Ruini per la gerarchia italiana, dall’altra il Portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls per la Santa Sede, hanno dato una sorta di approvazione agli Stati Uniti giustificando per loro l’uso della forza letale. Per la verità la dichiarazione di Ruini e soprattutto quella di Navarro-Valls si riferivano ad un uso minimale della violenza, non alle stratosferiche minacce americane (che, come sappiamo, non escludono nemmeno l’uso dell’arma nucleare). Tuttavia nel calderone frastornante e approssimativo dell’informazione ad uso dell’uomo della strada, queste dichiarazioni suonavano come la “benedizione” che ancora mancava alla guerra mondiale del Bene contro il Male.
Dal ‘fronte avverso’ giungono pochissime dichiarazioni. Tutti hanno condannato le stragi dell’11 settembre che nessuno ha rivendicato. Il presunto mandante degli attentati suicidi, Osama Bin Laden, e il regime dei Talibani, accusato di complicità, hanno proclamato il ricorso alla ‘guerra santa’ in caso di attacco occidentale.
Intanto si levano, sempre più alte e terrificanti, le grida di odio nei confronti degli Stati Uniti da parte delle popolazioni dell’Oriente che si sentono ingiustamente aggredite.
3. Previsioni per il futuro e impegno abolizionista
La tribolazione cominciata con le stragi dell’11 settembre prosegue con le sofferenze inenarrabili dei profughi afgani. Queste sofferenze vengono citate marginalmente, quasi che una vita non valga una vita, che un povero afgano non valga un ricco occidentale… Si è levata chiaramente solo la voce dell’organizzazione umanitaria Emergency la quale ha denunciato che il profilarsi di una possibile guerra con gli USA ha peggiorato le condizioni di vita, già estremamente precarie, delle popolazioni afgane. Quanti ancora fuggiranno? Quanti moriranno di fame e di freddo?
Al momento di chiudere questo bollettino, ci vengono ripetuti allarmi di possibili attentati in Occidente con mezzi di sterminio di massa e le TV mostrano ossessivamente decolli di aerei militari, acrobazie di “rambo” incappucciati, l’incessante incedere delle navi da guerra. Non possiamo che augurarci che le peggiori previsioni per il futuro non si avverino né ora né mai, per il progressivo recupero della ragione sulle follie ispirate della collera e dell’odio. Qualsiasi cosa accada, dobbiamo conservare la serenità necessaria per proseguire il nostro importantissimo lavoro contro la pena di morte, sicuri di contribuire al difficile cammino dell’umanità verso la giustizia e la pace.
2) ABOLIRE LA PENA DI MORTE PER ABOLIRE LA GUERRA
“La guerra – violenza decisa e pianificata al massimo livello di consapevolezza, e poi sparsa sulla Terra in maniera sostanzialmente indiscriminata – offende radicalmente i diritti umani individuali e collettivi. Infatti essa distrugge i beni, la storia e la memoria, l’equilibrio mentale e la vita stessa, di esseri umani, combattenti e non, cui non è stato neanche contestato un reato, se si esclude la ‘colpa’ di trovarsi nel luogo e nel tempo maledetto in cui viene scatenata la guerra.” (v. n. 67)
Il secolo appena conclusosi è stato il più violento della storia e la ‘guerra del terzo millennio’ è già cominciata. Appare chiaro tuttavia che si impone un cambiamento di rotta: in primo luogo per il grado di maturità etica conseguito dall’umanità e in secondo luogo per il potere illimitato raggiunto dai mezzi di offesa bellica che mettono in pericolo la stessa sopravvivenza della nostra specie. Occorre imboccare rapidamente la strada che porti alla rinuncia della guerra per regolare i conflitti tra gli uomini, adottando in sua vece strumenti giuridici basati sul rispetto dei diritti umani e sulla solidarietà universale. Non si tratta di un’utopia ma di una delle scelte obbligate (insieme a quelle di uno sviluppo equo e di un equilibrio ecologico globale) per evitare una catastrofe planetaria che porti alla fine della civiltà umana nel giro di non molti decenni.
Norberto Bobbio – che pure non possiamo annoverare tra i pacifisti - argomenta che l’abolizione della pena di morte è un piccolo passo sulla strada del superamento della violenza ma un passo necessario e di grande significato.
In concomitanza con il passaggio dallo stato assoluto allo stato liberale e di diritto fu tolto al sovrano il potere di vita e di morte e nacque l’idea abolizionista. Dice Bobbio: “Dalle origini delle società umane sino ad un tempo così vicino a noi che potremmo chiamare ‘ieri’, il contrassegno del potere è stato il diritto di vita e di morte. Elias Canetti (…) commenta (…): “La morte è tenuta sistematicamente lontana dal potente: egli può e deve infliggerla. Può infliggerla tanto spesso quanto gli piace. La condanna capitale che egli pronuncia è sempre eseguita. E’ il suggello del suo potere, il quale rimane assoluto soltanto fino a che il suo diritto di infliggere la morte continua ad essere incontestato.”
Un ulteriore deciso attacco al potere di vita e di morte degli stati è oggi necessario per spezzare la catena della violenza. Osserva Bobbio: (…) Una delle poche lezioni certe e costanti che possiamo trarre dalla storia è che la violenza chiama violenza, non solo di fatto ma anche, ed è ancora più grave, con tutto il seguito delle giustificazioni etiche, giuridiche, sociologiche che la precedono e la seguono. Non vi è violenza, anche la più efferata, che non sia stata giustificata come risposta, come unica risposta possibile, alla violenza altrui: la violenza del ribelle come risposta della violenza dello stato, quella dallo stato a quella del ribelle, in una catena senza fine (…) Il posto ben più grande nel teatro della storia lo occupa la violenza politica cui appartiene quel fenomeno di violenza collettiva, la guerra, di fronte al quale parlare di ‘abolizionismo’ come se ne parla legittimamente a proposito delle pena di morte, può sembrare un’imperdonabile ingenuità. (…)
“Dalla costatazione che la violenza chiama violenza in una catena senza fine, traggo l’argomento più forte contro la pena capitale, forse l’unico per cui valga la pena di battersi: la salvezza dell’umanità ora più che mai dipende dall’interruzione di questa catena. Se non si rompe potrebbe non essere lontano il giorno di una catastrofe senza precedenti (qualcuno parla non senza fondamento di una catastrofe finale). E allora bisogna cominciare. L’abolizione della pena di morte non è che un piccolo inizio. Ma grande è il capovolgimento che essa produce nella pratica e nella concezione stessa del potere dello stato, raffigurato tradizionalmente come il potere ‘irresistibile’.”
Nessuno oggi può affermare seriamente che il mondo non possa rinunciare alla pena di morte. L’abolizione della pena capitale sembra a portata di mano: lo dimostra il crescendo esponenziale del numero di paesi abolizionisti. Quando la pena di morte sarà abolita potremo pensare ad abolire gli eserciti, e forse faremo in tempo ad abolirli prima della catastrofe finale.
Non dobbiamo scoraggiarci anche se grandi ostacoli vengono posti sulla strada dell’abolizione dagli attori della guerra presente. Nei paesi islamici in cui cresce l’utopia della ‘guerra santa’ contro l’Occidente, è ben radicata la pratica della pena di morte. E’ assai arduo parlare con questi paesi di abolizione. D’altra parte sappiamo bene quanto sia forte l’attaccamento degli Americani alla pena capitale e quanto sia difficile trovare con la maggioranza di essi – nonostante le affinità culturali - un linguaggio comune per discutere di abolizione.
3) ATTENTATI E ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE NEGLI STATI UNITI
L’editoriale del Washington Post dell’11 settembre intitolato “Declino della pena di morte” ha avuto pochissimi lettori perché gli americani, dopo aver comprato il giornale, sono rimasti incollati ai televisori. In questo editoriale leggiamo tra l’altro: “ (…) l’attuale declino [delle esecuzioni] consegue in parte alla diminuzione naturale che segue il picco [degli anni precedenti]. Ma sono presenti anche altri e più lusinghieri fattori. Dopo l’esonero di parecchi condannati a morte, i giudici in diversi stati hanno cominciato ad esaminare i casi capitali più accuratamente. Per di più è diminuito il numero delle condanne a morte negli stati che hanno introdotto come alternativa alla pena di morte il carcere a vita senza possibilità di uscita sulla parola.”
“Queste sono incoraggianti tendenze. Ma reversibili. (…) Un aumento della criminalità potrebbe rapidamente restituire sostegno alla pena capitale e rendere più difficile per i giudici – particolarmente per quelli eletti – usare la prudenza che il clima attuale consente. (…) Per tale ragione si impone una riforma del sistema. (…) Questa riforma dovrebbe assicurare una decente difesa legale agli imputati di reati capitali e revisioni in appello abbastanza incisive da intercettare gli errori giudiziari. La pena capitale non diventerebbe con ciò giusta, immune da arbitrarietà e moralmente sostenibile. Ma il rischio per gli innocenti diminuirebbe.”
Ci domandiamo ora se gli attentati dell’11 settembre possono bloccare il declino della pena di morte, interrompere la discussione serrata e il ripensamento profondo dell’uso della ‘punizione estrema’ da parte delle fasce più evolute della società americana.
Se ci si limita ad esaminare i segnali più eclatanti, sembra che gli Stati Uniti siano stati scaraventati indietro sulla strada della civiltà da un colpo che, di conseguenza, ha fatto indietreggiare l’Occidente e il mondo intero verso l’irrazionalità e la violenza. Tra le conseguenze negative della nuova situazione vi sono immediate richieste di un inasprimento delle pene, in particolare della pena di morte, nello stato di New York e in Wisconsin. Queste leggi vogliono andare al di là delle norme antiterrorismo già previste a livello federale.
Nello stato di New York, il più duramente colpito dagli attentati, è stato approvato dal Parlamento in soli cinque giorni un ‘pacchetto antiterrorismo’ che prevede sei nuove fattispecie di reato, diminuisce le garanzie di privacy personale e amplia il codice della pena di morte includendovi l’omicidio connesso con attività di terrorismo. La velocità con cui i due rami del Parlamento hanno cambiato all’unanimità il codice della pena capitale è in netto contrasto con la storia della pena di morte in quello stato. Ricordiamo che il ripristino della pena di morte, ottenuto con molta fatica sotto il governatorato di George Pataki nel 1995, dopo la lunghissima e vincente opposizione del precedente governatore Mario Cuomo, aveva dato luogo ad una legislazione garantista e prudente, una delle più avanzate di tutti gli States. Fino ad ora le corti e gli stessi accusatori sono stati restii ad applicare la pena capitale e vi sono state solo sei condanne a morte e nessuna esecuzione.
Il prof. James Liebman della Columbia University, famoso esperto del sistema della pena capitale negli USA, ha commentato così il provvedimento: “Ritengo che si debba considerare un gesto simbolico per indicare ciò che la gente prova nei riguardi dell’efferatezza associata con ciò che è appena accaduto a New York.”
Ma Kathryn Kase, nota avvocatessa di Albany, ha detto: “C’è in giro l’impressione che da ora in poi se il tuo cliente non avrà l’aspetto del ‘pane bianco americano’, farai molta fatica a difenderlo. Credo che questa sia una preoccupazione fondata.”
Per capire meglio il significato dei provvedimenti presi a New York, conviene sentire ciò che si dice in Wisconsin dove un gruppo di tre senatori repubblicani ha chiesto il ripristino della pena di morte abolita fin dal 1853 come parte qualificante di un ‘pacchetto antiterrorismo’ da approvare al più presto. “Siamo in guerra. Dobbiamo rispondere in modo adeguato alla minaccia di terrorismo – ha detto il Sen. Bob Welch – ci sono dei passi ragionevoli che possiamo fare per aumentare la sicurezza in Wisconsin.”
“I nostri sforzi non possono garantire che il terrore non scoppi qui, ma garantiscono che coloro che si dedicano a così nefande attività paghino caramente – ha dichiarato il Sen. Dave Zien – La pena di morte è un deterrente. Essa fa in modo che la gente ci pensi due volte.”
Alcuni esperti ipotizzano che gli attacchi dell’11 settembre possano influire sul sistema della giustizia criminale nella sua interezza, inclusa l’applicazione della pena di morte. In effetti vi sono delle correlazioni tra eventi bellici e situazioni di crisi e la pena di morte. Per esempio tra il 1907 e il 1917, sei stati abolirono la pena di morte e altri tre ne limitarono l’applicazione ma questa tendenza si interruppe con l’entrata in guerra degli Stati Uniti e con la Rivoluzione di ottobre in Russia: 4 dei 6 stati che avevano abolito la pena di morte la reintrodussero entro il 1920. Più recentemente, nel 1996, il Congresso rispose all’attentato di Oklahoma City con l’approvazione dell’atto Antiterrorismo e per il Rafforzamento della pena di morte. Questo Atto, che limita notevolmente le possibilità di appellare le sentenze di morte, ha effetti negativi duraturi. Richard Dieter direttore del Centro di informazione sulla Pena di morte ha osservato che una ‘spirale di retorica’ può innescarsi tra i legislatori quando il paese è sotto attacco e brucia dal desiderio di reagire. “La pena di morte – dice Dieter – è il simbolo della massima vendetta.”
Per il momento non possiamo valutare appieno i danni arrecati al processo abolizionista degli attentati negli USA. Molto dipenderà dagli sviluppi degli avvenimenti in corso. Per esempio dal verificarsi o meno di altri attentati. Possiamo sperare che il grado di maturazione raggiunto sulla questione della pena capitale non sia stato sostanzialmente compromesso. Ci incoraggia il fatto che in questi giorni sui giornali americani gli articoli sulla pena di morte, seppure più rari, non sono troppo diversi di quelli che leggevamo in precedenza. Per quanto abbiamo potuto constatare, non sembra che i media premano per l’inasprimento della pena di morte.
4) SOSPENSIONE PER BEAZLEY, INTANTO UCCIDONO MITCHELL
Come abbiamo ampiamente riferito nel numero precedente (pag. 4), il caso di Napoleon Beazley, Afro-americano condannato a morte in Texas per un delitto compiuto quando era ancora minorenne, divide l’opinione pubblica americana. La sua esecuzione, prevista per il 15 agosto, è stata all’ultimo momento sospesa.
Dopo la sospensione, in favore di Baezley continuano a giungere richieste di grazia da parte di importanti autorità del Texas. Abbiamo già riferito l’intervento del 15 agosto di Cynthia Stevens Kent, la giudice che presiedette il processo in cui Beazley fu a suo tempo condannato alla pena capitale. Il 22 settembre, in favore di questo condannato, è stato inoltrato al Governatore Perry un forte appello da parte di 18 parlamentari texani: “La pratica del Texas di giustiziare giovani criminali come Napoleon va contro norme consolidate in tutto il mondo. Ogni nazione con un governo in carica, eccetto gli Stati Uniti, ha ratificato la Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite che proibisce l’inflizione della pena di morte a coloro che hanno meno di 18 anni al momento del crimine”, essi affermano tra l’altro. E aggiungono: “Se non vengono adottate subito misure correttive, man mano che gli appelli di questi condannanti si esauriranno, il nostro stato finirà per ucciderne alla spicciolata un numero senza precedenti.”
Ormai in Texas solo una potente e ristretta minoranza conservatrice approva l’esecuzione di minorenni al momento del delitto. Purtroppo, però, prosegue inesorabile la procedura per l’esecuzione di un altro condannato minorenne all’epoca del delitto; si tratta di Gerald Mitchell, un nero che ora ha 33 anni. La data di esecuzione di Mitchell è il 22 ottobre prossimo. Dobbiamo inviare i nostri appelli per chiedere la grazia per Gerard Mitchell, così come abbiamo fatto per Napoleon Beazley.
Fotocopiate, firmate e spedite SUBITO per Posta Prioritaria (affrancatura: lire 1500) o via fax il seguente appello sia al Governatore del Texas che alla Commissione delle Grazie. Al Governatore Perry è anche possibile scrivere tramite il suo sito Web mettendo come stato di partenza il Texas, alla pagina: www.governor.state.tx.us/contact%20%20information/email/email_the_governor.htm
The Hon. Rick Perry
Governor of Texas
Bill Jones, General Counsel
P. O. Box 12428
Austin, TX 78711 (USA)
Fax: 001 512 463 1932
001 512 463 1849
Mr. Gerald Garrett
Chairperson
Texas Board of Pardons and Paroles
P. O. Box 13041
Austin, TX 78711-3401 (USA)
Fax: 001 512 463 8120
Dear Governor Perry
Dear Members of the Board of Pardons and Paroles
Gerald Lee Mitchell's case, whose execution is set next October 22nd, is one of those cases, for which the Texas citizens and the Texas Representatives, in their aim to the progress of penal justice and of civilisation, wish the granting of executive clemency.
Mr. Gerald Mitchell, now 33, who is of Afro-American race, perpetrated a murder when still a juvenile. The jury which condemned him was an all-white jury, and was selected by the prosecutor through the peremptory use of criteria aiming to avoid that mitigating factors could be taken into consideration, such as the defendant's young age. These mitigating factors are the same which afterwards the federal Supreme Court has considered as crucial in capital cases.
In Texas, as in the whole civilised world, the execution of persons, who were under age at the time of the crime, is considered a cruel and inhuman punishment.
We join your fellow citizens and your Representatives in heartily begging you to stop Gerald Mitchell's execution!
Respectfully
Traduzione
Il caso di Gerald Lee Mitchell, del quale è prevista l’esecuzione capitale il 22 ottobre p. v., è uno di quelli per i quali la maggioranza dei e cittadini e dei parlamentari del Texas, orientata al progresso della giustizia penale e della civiltà, si augura che venga concessa la clemenze esecutiva. Il signor Gerard Mitchell, che ora ha 33 anni ed è di razza nera, si macchiò di un omicidio quando era ancora minorenne. La giuria che lo condannò a morte, composta solo da bianchi, fu selezionata perentoriamente dall’accusa in base a criteri atti a prevenire che venissero prese in considerazione attenuanti quali la giovane età dell’accusato, attenuanti che poi la stessa Corte Suprema federale ha definito di importanza cruciale nei casi capitali. Ormai in Texas, come in tutto il mondo civile, si ritiene crudele ed inumano giustiziare persone che erano minorenni all’epoca del delitto. Unendoci ai vostri concittadini e ai vostri parlamentari vi scongiuriamo caldamente di non permettere che Gerald Mitchell venga messo a morte!
5) NOTIZIARIO
Afghanistan
Anche gli occidentali rischiano la pena di morte per proselitismo cristiano. Gli otto membri occidentali dell’organizzazione umanitaria Shelter Now International, imprigionati con 16 afgani con l’accusa di aver fatto proselitismo cristiano, rischiano anch’essi la pena di morte. In un primo momento, come abbiamo riferito nel numero precedente, si era parlato di pena capitale solo per gli imputati afgani. Il 5 settembre i giudici hanno ipotizzato che anche gli stranieri possano essere condannati a morte. Gli imputati sono ancora tenuti in incommunicado e la parte pubblica del processo – che prevederebbe la presenza di un avvocato difensore di fiducia - non è cominciata.
Cina
Lenta deriva verso l’iniezione letale. Da quattro anni a questa parte è in atto in Cina una discussione, accompagnata da un’agghiacciante ‘sperimentazione scientifica’, sul metodo di esecuzione mediante iniezione letale. Nella interminabile diatriba, motivi pratici – tra i quali, secondo alcuni commentatori, vi sarebbe anche l’intento di ottimizzare l’espianto di organi dai corpi dei condannati – si aggiungono a considerazioni umanitarie. E’ certo che, come avviene ad esempio negli Stati Uniti, il passaggio ad un metodo di esecuzione meno crudele prelude alla critica della crudeltà della pena di morte in sé ed è, in definitiva, un passo sulla strada dell’abolizione della pena capitale. Secondo il prof. Chen Xingliang, docente di diritto criminale all’Università di Pechino, la scelta dell’iniezione letale al posto della fucilazione alla nuca si conformerebbe ad una tendenza mondiale.
Le esecuzioni nelle antiche società erano effettivamente dirette ad arrecare sofferenza al condannato, cercando di creare, con un vistoso spargimento di sangue, terrore fra i criminali potenziali. Oggi le esecuzioni cruente, in definitiva, costituiscono un cattivo esempio per il popolo e rendono le persone psicologicamente inclini alla crudeltà. Questo non aiuta a prevenire i crimini, ma piuttosto ha la funzione di rendere esemplare la crudeltà, andando contro il progresso civile. Queste osservazioni del prof. Chen seguono una Conferenza nazionale sul metodo dell’iniezione letale tenutasi il 13 settembre nella città di Kumming e precedono l’annuncio, fatto da un funzionario della Corte Suprema del Popolo il 28 settembre, che verrà adottata in tutta la Cina l’iniezione letale. Nel frattempo – ha precisato il funzionario - continueranno le esecuzioni mediante fucilazione.
Europa
L’Unione Europea non estraderà terroristi passibili di condanna a morte. Marc Verwilghen, Ministro della Giustizia del Belgio, paese che detiene la presidenza di turno dell’Unione Europea, il 25 settembre ha riaffermato che dall’Europa non verranno estradate negli Stati Uniti persone sospette di terrorismo se non vi saranno adeguate garanzie che costoro non rischieranno la pena di morte.
Turchia
Ancora rimandata l’abolizione della pena di morte. Per approvare modifiche costituzionali in Turchia è necessaria una maggioranza qualificata: almeno i due terzi del Parlamento. Il 4 settembre i leader politici turchi hanno deciso di programmare una sessione legislativa speciale per approvare alcune modifiche costituzionali che avvicinino la Turchia agli standard richiesti per l’ingresso nell’Unione Europea. Si intendono modificare ben 37 articoli della Costituzione andata in vigore sotto il regime militare all’inizio degli anni ottanta.
Tuttavia tali modifiche costituzionali non comprenderanno ancora l’abolizione della pena di morte, condizione imprescindibile per l’ingresso nell’U. E. Per il momento è stato solo proposto di togliere al Parlamento l’autorità di ratificare le condanne a morte. Pur prevedendo la pena capitale, la Turchia ha istituito una moratoria di fatto delle esecuzioni dal 1984. I deputati nazionalisti hanno dichiarato che si opporranno all’abolizione della pena di morte fino a che l’esponente curdo Abdullah Ocalan, condannato dalla Turchia per terrorismo, non sarà stato ‘giustiziato’.
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Questo numero è stato chiuso il 30 settembre 2001