FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 172 - Settembre 2009
Il governatore del Texas Rick Perry
SOMMARIO:
1) Esecuzione fallita in Ohio ed è di nuovo in crisi l’iniezione letale
2) Caso Willingham, reazione prematura e veemente del governatore
3) Arrivato alla soglia dell’esecuzione il cecchino Muhammad
4) Finalmente un governo abolizionista in Giappone?
5) Richard Tabler, un ‘volontario’ che fa male a se stesso e agli altri
6) Che cosa c’è nel sacchetto di carta marrone? di Luis Ramirez
7) Più consapevolezza e minor consenso per la pena di morte
8) Due link assai utili e importanti
9) Azioni e norme inumane nei riguardi degli “altri”
10) Notiziario: Cina, Idaho, Pakistan, Russia, Texas
1) ESECUZIONE FALLITA IN OHIO ED E’ DI NUOVO IN CRISI L’INIEZIONE LETALE
Il 15 settembre Romell Broom è stato sottoposto in Ohio per oltre due ore a tentativi falliti di trovare nel suo corpo una vena utilizzabile per l’iniezione letale. Per la prima volta nella storia moderna della pena di morte un’esecuzione già iniziata è stata sospesa. Si discute se sottoporre due volte ad esecuzione capitale un essere umano costituisca una pena crudele ed inusuale e quindi incostituzionale. Le esecuzioni sono sospese in Ohio almeno fino a tutto novembre e la procedura dell’iniezione letale in quello stato sarà probabilmente sottoposta ad attenta verifica.
Il nero Romell Broom, arrivato a 53 ani di età, doveva morire per iniezione letale in Ohio il 15 settembre scorso, reo dello stupro e dell’uccisione di una 14-enne avvenuti un quarto di secolo prima.
Eppure i suoi avvocati non si sono dati per vinti ed hanno messo in atto una serie di tentativi in extremis per salvargli la vita.
Tutti i tentativi possibili. Falliti uno dopo l’altro.
Il giorno 13 la Corte Suprema dell’Ohio ha respinto un ricorso del condannato basato sul fatto che gli investigatori dell’accusa avevano nascosto delle prove a lui favorevoli durate il processo.
Il giorno 14 il governatore Ted Strickland ha respinto la domanda di clemenza di Broom, seguendo una raccomandazione in tal senso della Commissione per le grazie (on c’è da meravigliarsi del comportamento di Strickland che un mese prima aveva rifiutato la grazia ad un altro condannato, Jason Getsy, pur raccomandata dall’apposita Commissione, v. nel n. 171, “Legal Lynching”).
Il giorno 15 sono cadute le speranze riposte in un intervento della Corte federale Distrettuale competente o della Corte Suprema degli Stati Uniti.
L’ultimo ricorso, alla Corte federale d’Appello del Sesto Circuito, ha ritardato l’inizio del rituale di morte, fissato per le 10 del mattino, alle 2 dopo mezzogiorno.
Fino a quel momento tutto era filato liscio, come programmato.
Broom era stato trasferito nella mattinata del 14 dal braccio della morte di Youngstown nella casa della morte di Lucasville.
Era stato sottoposto a controllo medico e psichiatrico.
Gli era stato concesso di incontrare parenti ed amici nel pomeriggio, con visite a contatto.
Aveva avuto accesso al telefono nella notte precedente l’esecuzione e ad aveva ricevuto altre visite attraverso le sbarre nelle prime ore del mattino del 15.
Se lo avesse richiesto, avrebbe avuto diritto ad un assistente spirituale.
Non avendo ordinato un pasto speciale, aveva mangiato il normale pasto dei detenuti (descritto minuziosamente dai giornali: tacchino fritto, riso, fagiolini, pere e una bibita all’aroma di ciliegie).
Dunque alle 14 del giorno 15 ci si aspettava che il condannato morisse ‘regolarmente’ entro un quarto d’ora dall’inizio dell’iniezione letale.
Invece Romell Broom, sia pure gravemente traumatizzato nella psiche e nel fisico, era ancora vivo nei giorni seguenti! Infatti la sua esecuzione è stata sospesa su ordine del governatore Strickland dopo più di due ore di inutili tentativi di trovare una vena utilizzabile per l’iniezione letale.
Saputo che l’esecuzione era stata sospesa solo per una settimana e che il detenuto restava nella casa della morte di Lucasville, l’avvocatessa di Broom, Adedele Shan, ha dichiarato il giorno dopo: “E’ andata così male quando le sue vene non erano ancora ferite, che riprovarci così presto costituisce l’invito a compiere un disastro”.
In effetti i due ‘infermieri’, un uomo e una donna, alternatisi al ‘capezzale’ di Romell Bromm – evidentemente in preda a nervosismo crescente - avevano infierito crudelmente ed invano sul corpo da uccidere.
Sono stati 18 i tentativi di inserire la cannula nelle vene sia delle braccia che delle gambe. Non sono mancate fuoriuscita di sangue, urla di dolore e lacrime del condannato. Ad un certo punto l’infermiera ha abbandonato la stanza dell’esecuzione, al che il capo delle guardie le ha chiesto se andava tutto bene. Lei ha detto: “No” ed è uscita.
E’ la prima volta nella storia moderna della pena di morte negli USA, dal 1977 in poi, che un’esecuzione già iniziata sia stata interrotta. Anche se si sono registrate parecchie decine di ‘incidenti’ che hanno prolungato ed acuito a dismisura le sofferenze dei condannati, tutte le precedenti 1172 esecuzioni sono finite con il condannato divenuto, in qualche modo, cadavere.
Abbiamo un solo caso documentato, antecedente il 1977, di un’esecuzione sospesa dopo essere cominciata: il 3 maggio 1946 il nero Willie Francis, minorenne all’epoca del reato, fu messo sulla sedia elettrica in Louisiana, fu data corrente ma non morì. Interpellata dalla difesa di Francis, la Corte Suprema federale, sentenziando 5 a 4, si rifiutò di dichiarare ‘crudele ed inusuale’ la ripetizione di un’esecuzione conseguita ad ‘un incidente imprevedibile’. Un anno dopo, il 9 maggio 1947, Willie Francis fu ucciso su una sedia elettrica più efficiente.
Nei giorni seguenti il 15 settembre, l’apparato statale dell’Ohio si diceva pronto a ripetere la procedura su Broom e sicuro di portarla a termine il giorno 22 senza ulteriori problemi. Tuttavia si sarà sentito sollevato dall’intervento del giudice federale distrettuale Gregory Frost, che ha concesso un breve rinvio dell’esecuzione e un’udienza agli avvocati del condannato.
Successivamente l’esecuzione di Romell Broom è stata sospesa da Frost almeno fino al 30 novembre, giorno in cui si terrà l’udienza.
Gli avvocati di Broom, in uno fra molti ricorsi, hanno sollevato di nuovo l’incostituzionalità di sottoporre due volte un essere umano ad esecuzione capitale, osservando che per di più non si è trattato di ‘un incidente imprevedibile’ come nel caso di Francis nel 1946, ma di una serie di tentativi di uccidere che costituiscono una vera e propria tortura. In subordine i difensori chiedono che la procedura dell’iniezione letale in Ohio sia sottoposta ad una approfondita revisione in modo da garantire che non si ripetano i problemi incontrati con Broom il 15 settembre.
I legali dei tre condannati la cui esecuzione era stata già fissata in Ohio per i mesi successivi, si sono attivati perché le date siano spostate ben dentro il 2010.
Per come si sono messe le cose è difficile che si effettuino altre esecuzioni in Ohio prima di una revisione della procedura dell’iniezione letale. Questo ha diffuso tra gli abolizionisti la speranza in una nuova moratoria delle esecuzioni non soltanto in Ohio ma in tutti gli Stati Uniti e, infine, nella messa al bando dell’iniezione letale. Tale speranza è probabilmente troppo ardita: il metodo dell’iniezione letale – tra i metodi di uccidere disponibili negli USA - è decisamente quello più ‘umano’ perlomeno nelle apparenze. Metterlo fuori legge vorrebbe dire mettere fuori legge la pena di morte.
Quanto a noi, speriamo se non altro che il Governatore Ted Strickland, un democratico che una volta si era detto contrario alla pena di morte, conceda la grazia a Romell Broom, tenendo conto che costui la sua via crucis l’ha già percorsa.
P. S. Molto spesso, parlando della pena di morte negli Stati Uniti, ci assale la sensazione di raccontare una storia dell’orrore, impossibile nella realtà, frutto di una qualche fantasia malata.
2) CASO WILLINGHAM, REAZIONE PREMATURA E VEEMENTE DEL GOVENATORE
Il governatore del Texas Rick Perry, probabilmente a causa di una cattiva coscienza per aver negato la grazia a Cameron Todd Willingham nel 2004, e innervosito dal clima pre-elettorale, ha rotto il silenzio sul caso del primo condannato a morte per cui si prospetta il riconoscimento dell’innocenza dopo l’esecuzione. Dopo aver riaffermato la colpevolezza di Willingham, Perry ha anche sostituito alcuni membri della Commissione per le Scienze forensi del Texas in procinto di esprimersi sul rapporto di un famoso esperto di incendi favorevole al condannato. Si allontana quindi e diventa quanto mai incerto il momento in cui il Texas riconoscerà onestamente di aver ‘giustiziato’ un innocente e chiederà scusa.
Cameron Todd Willingham fu condannato a morte in Texas nel 1992 sulla base della testimonianza del sig. Manuel Vasquez, vice capo dei Vigili del fuoco. Ma gli esperti di incendi sono concordi nel contestare radicalmente la testimonianza di Vasquez (*).
Il dottor Craig L. Beyler del Maryland è stato il nono esperto di incendi a scagionare Willingham, ‘giustiziato’ in Texas nel 2004 con l’accusa di aver appiccato l’incendio che uccise le sue tre figliolette il 23 dicembre 1991. E il parere di Beyler riveste i caratteri dell’ufficialità e dalla terzietà conseguendo da un incarico affidatogli della Commissione per le scienze forensi del Texas (Texas Forensic Science Commission), un organismo indipendente finanziato dallo stato, che ha il compito di accertare gli errori commessi da laboratori od enti accreditati per svolgere test ed analisi nei casi criminali (v. n. 171).
Prima che la Commissione prendesse ufficialmente atto del rapporto di Beyler e stendesse un suo rapporto, il 19 settembre Rick Perry, Governatore del Texas, ha rotto il proprio silenzio sul caso contestando i ‘cosiddetti “esperti” (per essere chiaro ha mimato le virgolette con le dita) e affermando con forza la colpevolezza di Willingham.
“Conosco bene i cosiddetti esperti di incendi dell’ultimo grido” ha dichiarato Perry aggiungendo che - anche prescindendo dalle prove che mostravano come l’incendio fu doloso - dai documenti legali che lui stesso esaminò prima dell’esecuzione di Cameron Todd Willingham emergevano “chiare e stringenti, sovrabbondanti prove che egli fu effettivamente l’assassino delle sue figlie”.
Il dottor Glenn Larkin, uno scienziato forense della North Carolina, noto abolizionista, ha osservato a questo punto con giustificata ironia: “Sì, tutti gli scienziati hanno torto: il Grande Fratello Perry ha ragione - il Grande Fratello ha sempre ragione. Poiché sappiamo che Willingham ha ucciso le sue figlie, questi deve aver generato il fuoco per magia Voodoo. Dopotutto la scienza è valida solo se aiuta l’accusa - altrimenti gli scienziati fanno parte di un’élite di debolucci con la testa nelle nuvole dediti soprattutto a creare confusione. La Commissione è composta da secchioni e cervelloni, che hanno il solo scopo di mettere in cattiva luce il Grande Fratello. [Nonostante ciò io] ho seri dubbi sulla salute mentale del Grande Fratello; se è conscio dei fatti riguardanti il caso e si ostina a credere ciò che ha detto, mi chiedo se appartenga a quell’associazione che professa che la Terra sia piatta…”
L’uscita virulenta del Governatore, prematura, lesiva delle prerogative della Commissione per le Scienze Forensi del Texas che non ha concluso i suoi lavori, a detta di alcuni commentatori consegue alla sua cattiva coscienza. Infatti il primo rapporto di un esperto che contesta la testimonianza resa al processo da Manuel Vasquez fu redatto dal dottor Gerald Hurst di Austin quando Willingham era ancora in vita. Fu presentato al governatore Perry nel 2004 poco prima dell’esecuzione del condannato. Nonostante ciò Perry lasciò procedere l’esecuzione senza intervenire.
Rick Perry, dieci giorni dopo aver reso le sue stupefacenti dichiarazioni, ha fatto di più e di peggio. Il 30 settembre con una mossa a sorpresa ha ritirato l’incarico al Presidente Sam Bassett, un avvocato di Austin, e ad altri due membri della Commissione per le scienze forensi. Si è inoltre riservato di sostituire un quarto membro, l’ultimo di sua nomina (la nomina dei rimanenti cinque membri spetta ad altre autorità texane). Il nuovo presidente John Bradley, un pubblico ministero ultraconservatore, per prima cosa ha annullato l’attesissima riunione della Commissione sul rapporto Beyler - che doveva avvenire in presenza dell’autore e comprendere una fase aperta al pubblico - già programmata per il 2 ottobre, cioè due giorni dopo.
Grande è stato il disappunto di tutti gli interessati al caso di Todd Willingham e dei media. Il comportamento del Governatore ha ricevuto critiche da tutti i principali giornali del Texas (e non solo da questi). Per di più gli articoli che stigmatizzano il comportamento di Perry sono stati commentati favorevolmente dai lettori texani (pur essendo in genere i commenti del pubblico texano ottusamente ‘forcaioli’). Tutto ciò innervosisce maledettamente il governatore che ha già la mente impegnata dalla prospettiva delle elezioni del prossimo anno in cui cercherà di ottenere la riconferma nel suo incarico.
Vedremo come andrà a finire. Certo coloro che si augurano che il Texas dichiari con onestà di aver messo a morte un innocente e chieda scusa, dovranno per lo meno aspettare. A lungo.
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(*) Vasquez asserì che vi erano prove che l’incendio fu provocato, da Willingham. Gli esperti negano radicalmente la validità di tali prove. Secondo loro non è quindi possibile affermare che l’incendio fu doloso. Alcuni disquisiscono sul fatto che anche se non è stato provato che lo fu, l’incendio potrebbe essere stato comunque doloso. A noi questa sottigliezza sembra irrilevante, dal momento che la colpevolezza deve essere provata e che, in mancanza della prova della colpevolezza, vale la presunzione di innocenza.
3) ARRIVATO ALLA SOGLIA DELL’ESECUZIONE IL CECCHINO MUHAMMAD
John Allen Muhammad uno dei due cecchini di colore che, nel clima alterato della guerra al terrorismo, uccisero a casaccio 10 persone in tre stati nordamericani nel mese di ottobre del 2002, è arrivato alla soglia dell’esecuzione capitale. Muhammad, cui fu concesso di difendersi da solo nel corso del processo capitale subito in Virginia nel 2004 nonostante le sue precarie condizioni mentali, avrebbe quantomeno titolo alla concessione della grazia da parte del governatore Timothy Kaine.
E’ stata fissata per il 10 novembre l’esecuzione in Virginia di John Allen Muhammad, nero, veterano della prima guerra del Golfo. Si tratta di uno dei due cecchini che impazzarono nell’ottobre del 2002, nel clima alterato della guerra al terrorismo, tra la capitale Washington e gli stati della Virginia e del Maryland, colpendo a caso coloro che gli capitarono a tiro. In tutto furono colpite, con un potente fucile di precisione munito di cannocchiale, 13 persone da John Allen Muhammad e da Lee Boyd Malvo, allora minorenne. Dieci delle vittime morirono. La condanna a morte di Muhammad arrivò inesorabile, quasi fosse già scritta, nel 2004. Nello stesso anno Malvo evitò per un soffio la pena di morte e fu condannato all’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola (v. ad es. nn. 107, 114, 112, 116, Notiziario).
Ricordiamo che i due cecchini, sbandati, poveri e privi di cultura, senza volere con la loro folle impresa contribuirono a compattare la nazione intorno ai massimi leader, nel momento in cui questi si preparavano a scatenare la guerra contro l’Iraq, ed influirono sui risultati delle elezioni che si tennero di lì a poco, il 5 novembre del 2002. A fine ottobre, non appena i neri John Allen Muhammad e John Lee Malvo furono catturati, si susseguirono le dichiarazioni dei candidati alle elezioni che si disputavano la prerogativa di mettere a morte i cecchini. Sicuramente ne trassero il maggior vantaggio elettorale i candidati più forcaioli e conservatori (v. n. 101, 112)
Timothy M. Kaine, attuale governatore della Virginia, un cattolico personalmente contrario alla pena di morte (*), a fine settembre si è premurato di preannunciare di non essere incline a concedere la grazia a Muhammad. “Non conosco niente in questo caso che suggerisca l’esistenza di qualsiasi cedibile dichiarazione di innocenza o che vi siano stati errori procedurali da parte dell’accusa,” ha dichiarato Kaine alla radio il 28 settembre. Egli esaminerà tuttavia la domanda di grazia al momento opportuno. L’avvocato difensore Jon Sheldon ritiene invece che vi siano stati gravi errori procedurali che intende sottolineare nella domanda di grazia, presenterà inoltre un ultimo ricorso alla Corte Suprema federale.
Una questione certamente rilevante su cui si basa l’avvocato Sheldon è il fatto che fu consentito a Muhammad di sostenere personalmente la propria difesa legale in una parte importante del processo capitale cui fu sottoposto in Virginia pur essendo evidente che le sue condizioni mentali – le stesse che furono alla base del suo comportamento criminoso – fossero lontane dalla normalità.
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(*) Il governatore Timothy Kaine ha consentito 9 esecuzioni da quando è entrato in carica nel 2006 ed ha disposto la commutazione di una sola sentenza di morte. Si è tuttavia vigorosamente battuto per evitare l’espansione delle fattispecie di reato capitale riuscendo a mantenere la “triggerman rule”, una legge che consente di infliggere la pena di morte soltanto a chi commette materialmente un omicidio (v. nn. 167, 169)
4) FINALMENTE UN GOVERNO ABOLIZIONISTA IN GIAPPONE?
Le ultime elezioni hanno prodotto un deciso cambiamento in senso progressista nella politica giapponese, con la sconfitta del conservatore Taro Aso del Partito Liberal Democratico. Il 16 settembre il nuovo Primo ministro Yukio Hatoyama, che ha nominando Ministro della Giustizia l’avvocatessa Keibo Chiba, un’attivista per i diritti umani, sembra incline a porre un freno al recente dilagare della pena di morte, e forse anche a favorire l’avvio di un processo abolizionista nonostante il fatto che l’opinione pubblica nipponica sia ancora nettamente a favore della pena di morte.
In Giappone la pena di morte, che sembrava esaurirsi tra gli anni Ottanta e Novanta, ha avuto una forte ripresa negli ultimi anni. Ora un deciso cambiamento politico, con la sconfitta elettorale del precedente capo di governo, il conservatore Taro Aso del Partito Liberal Democratico, ci consente di sperare in una svolta abolizionista del Giappone. Contiamo almeno in una moratoria che ci permetta di tirare il fiato dopo le numerose esecuzioni compiute sotto i governi precedenti.
Il nuovo Primo ministro Yukio Hatoyama, leader del Partito Democratico, entrato in carica il 16 settembre, ha lanciato un segnale molto eloquente nominando ministro della Giustizia l’avvocatessa Keibo Chiba, attivista per i diritti umani vicina ad Amnesty International e dichiaratamente abolizionista. Anche un altro dei ministri nominati da Yukio Hatoyama, Shizuka Kamei, si è espresso apertamente contro la pena capitale.
E’ un fatto abbastanza raro che un politico giapponese si pronunci contro la pena di morte essendo l’opinione pubblica nipponica per l’80% a favore della sanzione capitale. Ricordiamo, come significativa eccezione nel recente passato, il ministro della giustizia Seiken Sugiura che si rifiutò di firmare ordini di esecuzione nel corso degli 11 mesi in cui rimase in carica a partire dal 31 ottobre 2005.
Il ‘tempo perduto’ da Suguira fu però recuperato dai suoi successori, tant’è che in Giappone si ebbero 9 esecuzioni nel 2007 e ben 15 nel 2008, il numero più alto da 33 anni a questa parte, quasi a sfidare la storica risoluzione per la moratoria approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 18 dicembre 2007.
Il 10 settembre, poco prima dell’avvento di Keibo Chiba, era uscito l’ennesimo rapporto di Amnesty International sulla pena capitale in Giappone che denunciava le pessime condizioni di detenzione dei condannati a morte che, una volta giunti al termine dell’iter giudiziario, non conoscono la data dell’esecuzione se non qualche ora prima di essere impiccati.
Secondo Amnesty una percentuale, elevata e mantenuta segreta, dei 102 condannati a morte soffre di malattie mentali, in alcuni casi causate proprio dalle terribili condizione di detenzione.
Si spera che Keibo Chiba si preoccupi di migliorare le condizioni di detenzione dei condannati a morte e avvii un processo abolizionista. E, quanto meno, imponga una immediatamente una moratoria di fatto rifiutandosi di firmare gli ordini di esecuzione.
5) RICHARD TABLER, UN ‘VOLONTARIO’ CHE FA MALE A SE STESSO E AGLI ALTRI
Richard Tabler, condannato a morte in Texas, malato mentale e volontario per l’esecuzione, ha provocato l’anno scorso una massiccia rappresaglia contro tutti i detenuti dello stato per aver infastidito e spaventato il senatore John Whitmire, chiamandolo insistentemente con un telefono cellulare. Ha poi tentato due volte il suicidio. Non pago del male arrecato a se stesso e agli altri detenuti, ha continuato a far uscire messaggi per Whitmire. Il 28 settembre ha ottenuto una condanna a 10 anni di carcere.
In aggiunta alla sua condanna capitale, Richard Lee Tabler, al centro dello ‘scandalo dei cellulari’ nel braccio della morte del Texas - il 28 settembre, al termine di una brevissima udienza – si è procurato una condanna a 10 anni di carcere. Il massimo della pena. Si era dichiarato colpevole di minacce ad un senatore e di possesso di materiale di contrabbando.
“Il messaggio che abbiamo voluto lanciare è che trattiamo molto seriamente i casi di contrabbando, specialmente il contrabbando di telefoni cellulari nel braccio della morte, e che noi perseguiremo questi casi con il massimo rigore della legge,” ha dichiarato la sua accusatrice Gina DeBottis, membro dell’Unità Speciale d’Accusa specializzata nei crimini commessi dai carcerati.
Tabler ci ha guadagnato una breve uscita dal braccio della morte per comparire nel vicino tribunale di Livingston.
Ricordiamo che all’inizio di ottobre 2008 Richard Tabler cominciò a telefonare al senatore John Whitmire, presidente della Commissione senatoriale che supervisiona le prigioni, denunciando le condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas e chiedendo delle raccomandazioni. Parlava usando un tono tra l’amichevole e il mafioso. Il senatore si sentì minacciato e scattò una rappresaglia gigantesca non solo contro i colpevoli del possesso di telefonini ma nei riguardi di tutti i condannati a morte e di tutti i 155 mila detenuti del Texas. I prigionieri furono sottoposti per alcune settimane di seguito per ordine del Governatore Rick Perry ad una allucinante segregazione in cella (lockdown), a perquisizioni continue e stressanti e a confisca e a danneggiamento di beni personali (v. n. 164).
La madre e la sorella di Tabler furono arrestate e accusate di complicità; sono tuttora in attesa di giudizio.
Richard Tabler, malato mentale, aveva fatto richiesta di interrompere gli appelli e di essere ucciso già due mesi prima dello scoppio dello scandalo dei telefonini: non era passato che un anno dalla condanna a morte. Dopo il suo arresto in carcere a metà ottobre 2008, rimase a forte rischio di suicidio per diversi mesi (v. n. 166, Notiziario). Compì due tentativi di suicidio e chiese nuovamente di interrompere gli appelli.
Ma, non pago del male già fatto a se stesso e agli altri prigionieri, a partire dal mese di maggio aveva cominciato a far uscire dal braccio della morte alcune lettere dirette a Whitmire. Le lettere sono state scoperte da collaboratori del senatore all’inizio di settembre in un blog dedicato ai detenuti. Un cappellano, tale Richard Anderson, che ha fatto uscire alcune lettere di Tabler, rischia la radiazione permanente (anche se non sembra che si tratti delle lettere incriminate).
Quel che è peggio è che l’ostinazione di Richard Tabler ha comportato una nuova rappresaglia collettiva: lockdown in 14 prigioni del Texas e – quasi sicuramente - un ulteriore deterioramento permanente delle miserrime condizioni di detenzione nel braccio della morte.
6) CHE COSA C’È NEL SACCHETTO DI CARTA MARRONE? di Luis Ramirez
Vogliamo ricordare, a quattro anni dalla morte, Luis Ramirez, ucciso dallo stato del Texas il 20 ottobre 2005. Lo facciamo pubblicando una sua delicata testimonianza: Luis racconta un gesto di solidarietà dei compagni detenuti in occasione del suo ingresso nel vecchio braccio della morte di Huntsville. Così facendo ricordiamo anche Napoleon Beazley, minorenne all’epoca del reato, ucciso in Texas il 28 maggio 2002, dopo essersi completamente ravveduto. (Trad. di Grazia Guaschino)
Sto per condividere una storia con voi, la cui morale è molto importante. E’ una storia nota alla maggioranza di coloro che leggono questo articolo nel braccio della morte. Adesso diventa un racconto di cui tutti voi del “mondo libero” potrete beneficiare. E’ la storia del mio primo giorno nel braccio della morte.
Arrivai qui nel maggio 1999. La data esatta non riesco a ricordarla. Ricordo di essere arrivato nel pomeriggio. Fui sistemato in una cella nell’ala H-20 alla Ellis Unit di Huntsville. In quel momento uno tsunami di emozioni e pensieri mi attraversava. Ricordo che le sole cose dentro la cella erano un materasso, un cuscino, due lenzuola, una federa, un rotolo di carta igienica, e una coperta. Ricordo di essermi seduto, sentendomi del tutto perso.
La prima persona che incontrai lì fu Napoleon Beazley. A quell’epoca i condannati a morte svolgevano ancora delle mansioni. Il suo compito era di ripulire l’ala e di aiutare a distribuire i pasti. Stava scopando il pavimento e indossava ridicoli stivali di gomma. Si avvicinò alle sbarre della mia cella e mi chiese se fossi un nuovo arrivato... Gli dissi che ero appena entrato nel braccio della morte. Mi chiese come mi chiamassi. Glielo dissi, pensando che non ne sarebbe derivato alcun male dal dirglielo. Si allontanò in modo da poter vedere i tre piani di celle. Gridò: “C’è uno nuovo qui. E’ appena arrivato, si chiama Luis Ramirez”. Quando lo disse, sulle prime non seppi che cosa pensare. Temetti di aver commesso un errore. Vedete, come la maggior parte di voi, pensavo che nel braccio della morte tutti fossero perfidi. Pensavo che avrei trovato qui dentro centinaia di persone come “Hannibal Lecter”. E adesso tutti conoscevano il mio nome. Pensai “Bene, questo è il primo autogol”. Ero sicuro che avrebbero presto cominciato a tormentarmi. Dopo tutto, è quello che succede nei film.
Ebbene, non è quello che accadde. Dopo che fu servita la cena, Napoleon stava di nuovo scopando il pavimento. Passando davanti alla mia cella, fece passare un sacchetto di carta marrone tra le sbarre. Gli chiesi: “Che cos’é?”. Mi disse di guardarci dentro e si allontanò. Oddio, non sapevo cosa aspettarmi. Ero sicuro che fosse qualcosa di brutto. Tuttavia la curiosità ebbe la meglio su di me. Aprii il sacchetto con cautela. Ciò che vi trovai dentro era l’ultima cosa che mi sarei aspettato di trovare nel braccio della morte, e costituiva ogni cosa di cui avevo bisogno. Il sacchetto conteneva alcuni francobolli, delle buste, un notes, una penna, del sapone, shampo, dentifricio, spazzolino da denti, un dolce, una bibita e due scatolette di pasta precotta. Mi ricordo che chiesi a Napoleon da dove arrivasse tutto ciò.
Mi disse che tutti avevano contribuito. Sapevano che non possedevo nulla e che probabilmente avrei dovuto aspettare un bel po’ prima di riuscire ad avere qualcosa. Gli chiesi di scoprire chi avesse contribuito. Volevo rimborsarli. Mi rispose: “Non funziona così. Limitati a ricordartene la prima volta che vedrai uno arrivare qui come te. Allora dovrai contribuire”.
Mi sedetti sulla mia brandina con il mio pacchetto di cose buone, e meditai su ciò che mi era appena accaduto. L’ultima cosa che mi sarei mai aspettato di trovare nel braccio della morte era gentilezza e generosità. Sapevano che avevo bisogno e si erano fatti carico delle mie necessità. Lo avevano fatto senza nessuna aspettativa di rimborso o di compenso. Lo avevano fatto per un estraneo, non per un amico conosciuto. Non so come si sentissero mentre compivano questo gesto di incredibile gentilezza. Sapevo solo che, come era accaduto in precedenza a loro, dodici “brave persone” avevano giudicato anche me incapace di redenzione. L’unico rimedio che queste “brave persone” può offrirci è la morte. In qualche modo ciò che quelle “brave persone” avevano visto e quello che io vedevo non combaciava. Come potevano questi uomini, che mi avevano appena dimostrato tanta umanità, essere considerati “i peggiori dei peggiori”?
Dopo di allora Napoleon fu “giustiziato”, per un crimine che aveva commesso da adolescente. Ho voluto condividere questo racconto con i suoi cari. Vorrei che i suoi sapessero che il loro figlio era una brava persona. Uno che io non dimenticherò mai. Desidero che loro sappiano quanto mi dispiace che la società abbia respinto loro e lui. Continuo a giudicare ridicolo che noi come popolo non possiamo educare o amare i nostri giovani in modo adeguato. Sono costernato all’idea che un adolescente venga considerato incapace di redenzione, che l’unica soluzione che possiamo offrire sia la morte. E’ tragico che questa osservazione venga fatta alle “brave persone” da uno dei “peggiori tra i peggiori”. Che Dio ci aiuti tutti.
Che cosa c’era nel sacchetto di carta marrone? Vi trovai attenzione, gentilezza, affetto, umanità e compassione in una quantità che non ho mai visto scambiare nel mondo libero tra le “brave persone”.
(Testimonianza diffusa tra gli abolizionisti il 22 settembre 2005, un mese prima dell’esecuzione di Luis Ramirez, nel momento in cui si facevano appelli in suo favore).
Ultima dichiarazione di Napoleon Beazley:
Il gesto che ho commesso e che mi ha fatto finire qui non fu soltanto odioso, fu insensato. Ma la persona che lo commise non è più qui – io sono qui.
Non intendo lottare fisicamente. Non intendo gridare, dire volgarità o fare assurde minacce. Capite però che non sono soltanto agitato, sono rattristato da ciò che sta accadendo qui questa notte. Non sono solo rattristato ma sono contrariato dal fatto che un sistema che dovrebbe proteggere e sostenere ciò che è giusto e onesto possa esser così simile a come ero io quando commisi il medesimo vergognoso errore.
Se chiunque cercasse di sbarazzarsi qui di tutti coloro che stanno partecipando a questa uccisione, urlerei un sonoro “No”. Gli chiederei di dare loro il dono che non hanno dato a me... e cioè di dare loro una seconda possibilità.
Mi dispiace essere qui, Mi dispiace che tutti voi siate qui. Mi dispiace che John Luttig sia morto. E mi dispiace che ci fosse qualcosa in me che provocò tutto questo.
Questa notte stiamo dicendo al mondo che non c’è una seconda possibilità agli occhi della giustizia... Questa notte diciamo ai nostri figli che in alcune occasioni, in alcune situazioni, uccidere è giusto.
Il conflitto danneggia tutti noi, non ci sono due parti. Le persone che sono favorevoli a questo procedimento pensano che si tratti di giustizia. Le persone che pensano che io dovrei vivere ritengono che quella sia giustizia. Per quanto possa sembrare difficile, questo è uno scontro di ideali, con entrambe le parti dedite a sostenere ciò che ritengono giusto. Ma chi ha torto se alla fine siamo tutti vittime?
Nel mio cuore ritengo che ci possa essere un confronto pacifico tra i due ideali. Non me ne importa se non ci sarà per me, mi basta ci sia per quelli che ancora devono venire. Ci sono moltissimi condannati come me nel braccio della morte – buone persone – che sono state vittime delle stesse emozioni travianti, ma che possono non esserne guariti come è successo a me.
Date a quelle persone la possibilità di fare ciò che è giusto. Date loro la possibilità di disfare ciò che hanno fatto di sbagliato. Moltissimi di loro vorrebbero rimediare al guaio che hanno combinato, ma non sanno come fare. Il problema non è nelle persone che non vogliono aiutarli a scoprire il modo, ma nel sistema che dice che comunque ciò non ha alcuna importanza. Nessuno vince questa notte. Nessuno ottiene chiusura al proprio dolore. Nessuno esce di qui vincitore.
Ultima dichiarazione di Luis Ramirez:
Per prima cosa vorrei rivolgermi a voi. Non ho ucciso il vostro caro, ma spero che un giorno scoprirete chi fu. Vorrei potervi dire la ragione per cui accadde, o darvi un qualche genere di conforto; avete perso qualcuno che amate moltissimo. La stessa cosa che sta per accadere tra pochi minuti ai miei cari e ai miei amici. Sono sciuro che il vostro caro è morto ingiustamente, proprio come sta per accadere a me. Io non lo uccisi, non ebbi nulla a che fare con la sua morte. E a voi, miei parenti e miei amici, dico che vi amo teneramente. Anche se io muoio, vi dico che il mio amore per voi non morirà mai. Nelle Tue mani, Signore, affido il mio spirito. Grazie. Grazie a tutti voi.
7) PIÙ CONSAPEVOLEZZA E MINOR CONSENSO PER LA PENA DI MORTE
Una ricerca condotta da Craig Haney, professore di Psicologia nell’Università della California di Santa Cruz, resa nota all’inizio di settembre, mostra che il sostegno per la pena di morte nella popolazione californiana è nettamente calato in vent’anni. Nel complesso sembrano aver influito sull’opinione pubblica una maggiore conoscenza della questione e un approccio più articolato ad essa. I risultati di tale ricerca sono coerenti con quelli trovati in altri stati ed a livello nazionale sicché “i Californiani appaiono cambiare il loro approccio alla pena di morte parallelamente alla tendenza nazionale”
Una dettagliata ricerca condotta da Craig Haney, professore di Psicologia nell’Università della California di Santa Cruz, resa nota all’inizio di settembre, fornisce incoraggianti risultati e preziose indicazioni agli abolizionisti.
L’indagine, fatta mediante interviste su un campione su 800 soggetti adulti, ha utilizzato gli stessi strumenti di una precedente indagine del 1989 così da rendere omogenei e comparabili i risultati ottenuti oggi con quelli acquisiti 20 anni fa.
La ricerca rileva che il sostegno per la pena di morte è nettamente calato in vent’anni. Nel complesso sembrano aver influito sull’opinione pubblica una maggiore conoscenza della questione e un approccio più articolato ad essa.
Vediamo per sommi capi i principali risultati dell’indagine condotta dal prof. Haney.
Attualmente il 66% dei Californiani è favorevole alla pena di morte, mentre nel 1989 i favorevoli erano 1l 79% .
Sono di meno coloro che sostengono seccamente e dogmaticamente la pena di morte, cioè coloro che si definiscono ‘forti’ sostenitori della pena capitale. La percentuale di adulti che si definiscono ‘forti’ sostenitori della pena capitale è infatti scesa dal 50% al 38%. Nel contempo i ‘forti’ oppositori della pena capitale sono più che raddoppiati, passando dal 9% al 21%.
Quest’anno hanno manifestato preoccupazione per l’esecuzione di innocenti il 44% degli intervistati in confronto al 23% del 1989.
Notevole è la diminuzione di coloro che ritengono che la pena di morte costituisca un deterrente nei riguardi degli omicidi: passano dal 74% al 44%.
Prospettando l’alternativa tra la pena di morte e la condanna a vita più il lavoro per indennizzare la famiglia della vittima, solo il 26% sceglie la pena di morte. Si ha una minoranza di favorevoli per il patibolo anche prospettando in alternativa il solo carcere a vita (senza risarcimento mediante il lavoro): 38%.
Il numero di coloro che non credono che i prigionieri condannati al carcere a vita senza possibilità di uscita sulla parola rimangano effettivamente in carcere fino alla morte è sceso, dal 66% al 44%.
E’ scesa anche se di poco (dal 54% al 50%) la percentuale di coloro che ritengono (erroneamente) che la pena di morte sia meno costosa del carcere a vita.
Un dato di grande importanza e attualità e l’opposizione del 64% della popolazione adulta alla pena di morte per i malati mentali gravi. Gli abolizionisti sostengono infatti che i tempi siano maturi per un sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che dichiari incostituzionale la pena di morte per i malati mentali.
Anche se la ricerca californiana si differenzia dalle altre per la sua articolazione essa ha avuto risultati coerenti con ricerche fatte in altri stati e in tutta la nazione sicché, come rileva lo stesso professor Haney, “i Californiani appaiono cambiare il loro approccio alla pena di morte parallelamente alla tendenza nazionale”.
Anche se per noi abolizionisti la pena di morte è immorale in sé, dobbiamo lavorare per far crescere nell’opinione pubblica la consapevolezza dei vari aspetti in cui si articola in pratica la questione della pena capitale, che appaiono alla popolazione via via meno accettabili. Infatti la pena di morte verrà abolita per quelli che Claudio Giusti chiama ‘motivi sbagliati’: esecuzione di innocenti, mancata deterrenza, alto costo della pena di morte rispetto al carcere a vita… (*) Per illuminarci sull’influenza di questi ‘motivi sbagliati’, sono preziose le ricerche del tipo di quella svolta dal professor Craig Hanley.
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(*) V. ad es. nn. 166; 171, “Legal Lynching”
8) DUE LINK ASSAI UTILI E IMPORTANTI
E’ possibile trovare in Internet notizie riguardanti ciascun condannato a morte degli Stati Uniti semplicemente entrando nel sito di Kobutsu Malone, un monaco zen noto abolizionista:
http://www.engaged-zen.org/DRtable.html
Si arriva immediatamente ai condannati che interessano (scrivetene il cognome o il nome nella casella “Search”); si può poi passare facilmente ai siti ufficiali delle relative amministrazioni carcerarie per ottenere ulteriori informazioni.
Un sito contenente approfonditi e brillanti commenti di attualità sulla pena di morte è quello di Claudio Giusti, uno dei maggiori esperti sulla pena capitale negli USA. Per la precisione si tratta di una sezione del sito dell’Osservatorio sulla legalità:
http://www.osservatoriosullalegalita.org/special/penam.htm
Abbiamo inserito i due precedenti link nel sito del Comitato Paul Rougeau in modo che siano sempre facilmente accessibili.
9) AZIONI E NORME INUMANE NEI RIGUARDI DEGLI “ALTRI”
Abbiamo riunito in una sezione del nostro sito Web gli articoli da noi pubblicati sul fenomeno ‘sicuritario’ che produce in Italia violazioni dei diritti umani elementari di tanti individui considerati “altri” da noi. Nella medesima sezione sono compresi alcuni dei commenti più notevoli fatti dai lettori all’articolo “Un ‘pacchetto sicurezza’ contro i diritti umani essenziali”comparso nel numero 171.
L’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.” La “sicurezza” è dunque uno dei primi diritti ad essere affermati ma non deve diventare a sua volta un motivo – o soltanto un pretesto – per violare i diritti di chi è più debole di noi (v. art. 29, ultimo comma, e art. 30 della medesima Dichiarazione).
Quale diritto è più essenziale di quello di fruire di un tetto che ci ripari in pieno inverno insieme ai figli piccoli? Sia pure il tetto di una baracca sull’argine di un fiume, abbattuta da una ruspa scortata dalla polizia.
Siamo stati costretti più volte – dalla gravità dei fatti che accadono in Italia – ad esulare dal nostro specifico mandato e ad occuparci della miriade di comportamenti inumani e del coacervo di norme persecutorie che colpiscono, in uno spaventoso crescendo, gli immigrati, e in genere i gruppi minoritari e le fasce marginali della popolazione. Ci sembra pertanto opportuno ed utile cominciare a riunire nel nostro sito Web gli articoli in proposito comparsi nel Foglio di Collegamento, nonché alcuni dei commenti inviatici dai lettori dopo la pubblicazione dell’articolo intitolato “Un pacchetto sicurezza contro i diritti umani essenziali” nel numero 171 (v. http://www.paulrougeau.altervista.org/fenomenosicuritario.htm)
Come osserva Antonio Landino in un suo impegnativo intervento, pensiamo “gli altri come gli altri. Ma gli altri siamo noi, e dovremmo smetterla di far finta di non vederci con gli occhi degli altri.”
10) NOTIZIARIO
Cina. Tuttora massiccio il prelievo di organi dai condannati a morte. Il dato pacificamente accettato che gli organi trapiantati in Cina provengano per la maggior parte da condannati a morte è stato rinforzato da un rapporto pubblicato sull’importante quotidiano China Daily, secondo cui più del 65% degli organi utilizzati vengono espiantati dai corpi dei condannati a morte. L’8 settembre il portavoce del Ministero della Salute Mao Qun'an ha seccamente respinto le critiche internazionali in materia (vi è il diffuso sospetto che gli organi dei condannati a morte siano contrabbandati con fini speculativi). “Quegli organi devono essere donati su base volontaria e gratuitamente,” ha affermato Mao Qun'an aggiungendo che “nessuna organizzazione o individuo può usare costrizione o pressioni su alcuno affinché doni gli organi.” Anche il Vice ministro della Salute Huang Jiefu, che aveva pubblicamente ammesso che la maggioranza degli organi espiantati provengono dai condannati a morte, aveva sempre insistito che ciò avviene solo con l’assenso dei donatori. Nel mese di agosto è stato avviato in Cina un nuovo sistema di donazione di organi, con centri pilota in 10 province o città, che dovrebbe assicurare maggiore trasparenza nelle donazioni e diminuire la dipendenza dagli organi prelevati dai condannati a morte.
Idaho. Caotica situazione giudiziaria di Joseph Duncan volontario per l’esecuzione. Un anno dopo aver ricevuto tre condanne a morte per l’uccisione di un bambino in Idaho, il pluriomicida Joseph Duncan ha avvisato la Corte federale d’Appello del Nono Circuito che non intende ulteriormente appellarsi. Tuttavia i tre nuovi avvocati ‘standby’ nominati dalla Corte d’appello hanno presentato ugualmente un ricorso sostenendo che il loro cliente è mentalmente incapace di rinunciare agli appelli. La situazione si presenta estremamente complessa dal momento che l’anno scorso sono stati fatti due esami dello stato mentale di Duncan in base ai quali il giudice della competente Corte federale Distrettuale lo giudicò capace di agire; in un parallelo processo capitale che sta subendo Duncan in California – anche qui per l’uccisione di un bambino - dopo settimane di testimonianze di esperti egli è stato giudicato sano di mente e capace di difendersi da solo. Indipendentemente da tutto ciò, la Corte federale d’Appello del Nono Circuito sta aspettando che gli avvocati ‘standby’del condannato argomentino su due punti: 1) se dovrà essere considerato l’appello di Duncan, dal momento che l’interessato si è opposto alla sua presentazione e 2) se egli è mentalmente in grado di rinunciare ai suoi appelli.
Pakistan. Stupefacenti notizie: si prospetta un’iniziativa abolizionista del governo. Il ministro degli Interni pakistano, Rehman Malik, ha annunciato il 17 settembre di aver inoltrato alla sezione legale del suo ministero, per un parere, la bozza di una legge che commuta le sentenze di morte in carcere a vita, salvo che per i terroristi assassini di persone innocenti. Il giorno precedente si era diffusa la notizia che il presidente Asif Ali Zardari aveva chiesto ai governi provinciali un parere sulla proposta di abolire la pena di morte sostituendola con una pena detentiva compresa tra 24 e 30 anni di carcere. L’iniziativa abolizionista pakistana, tesa a creare le condizioni per la firma di trattati di estradizione con paesi che non hanno la pena di morte, come il Regno Unito, comporterebbe la commutazione di 7.000 condanne capitali già emesse. Stupisce lo scarso rilievo dato a notizie del genere – che si susseguono da parecchi mesi in modo per la verità confuso e contraddittorio - dalle organizzazioni che si battono contro la pena di morte, dal momento che il Pakistan è uno dei paesi che compiono più esecuzioni capitali.
Russia. Ordinata una nuova investigazione sull’assassinio di Anna Politkovskaya. Il 3 settembre la Corte Suprema russa ha ordinato agli accusatori di cominciare una nuova investigazione sull’uccisione della giornalista Anna Politkovskaya divenuta simbolo della denuncia dei misfatti compiuti dall’apparato russo e ceceno in questi anni. La Corte ha molto opportunamente cancellato la richiesta di un nuovo procedimento contro i quattro personaggi minori già assolti nel processo conclusosi il 19 febbraio di quest’anno (v. n. 167). Speriamo che questa volta si intenda ricercare i veri responsabili del vile assassinio che stroncò la vita della valorosa giornalista il 7 ottobre 2006, alla vigilia della pubblicazione di un rapporto sulle torture in Cecenia. Ricordiamo che 17 giornalisti sono stati uccisi nella Russia di Vladimir Putin in un clima di sostanziale impunità.
Texas. “Normale” esecuzione di Stephen Moody. “Capisco le conseguenze del mio crimine,” ha dichiarato Stephen Moody qualche giorno prima di morire. “Ho preso io la decisione che mi ha portato qui… non rimprovero nessuno per questa situazione all’infuori di me stesso.” “Pensavo che sarebbe stata una rapina,” ha detto. “Ma quando vai da qualche parte con una pistola carica, ti poni in questa situazione.” Moody ha precisato di non desiderare una condanna a vita senza possibilità di uscita sulla parola: “Preferisco essere morto”. Dietro insistenza di Moody – che mesi addietro aveva fatto domanda di essere ‘giustiziato’ al più presto - non sono stati presentati appelli in extremis per fermare l’esecuzione. “E’ la sua volontà, devo onorarla,” ha dichiarato uno dei suoi avvocati, Philip Hilder, che ha manifestato comunque rincrescimento per dover rimanere con le mani in mano. Non sappiamo se considerare Stephen Moody un ‘volontario’ per l’esecuzione: in fin dei conti è rimasto per oltre 15 anni nel braccio della morte mentre andava avanti il suo iter giudiziario. E’ stato ucciso il 16 settembre, 17-esimo texano ad essere messo a morte nell’anno. Tutto ‘normale’ per il Texas. Dimenticavamo: prima di morire Moody ha scagionato il suo presunto complice, Calvin Doby, che da 17 anni sta scontando una condanna a vita. Moody ha accusato un altro uomo sottoscrivendo una dichiarazione giurata.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 settembre 2009