FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 208 – Settembre 2013
Aasia Bibi
SOMMARIO:
1) Firmate la petizione in favore di Aasia Bibi!
2) Ucciso Robert Garza condannato dalla ‘Legge sulla Complicità’
3) ‘Direct Appeal’ di Warren Hill alla Corte Suprema federale
4) Un altro impiccato nel giro di un mese in un carcere dell’Ohio 5) Ancora su Billy Slagle suicidatosi in Ohio prima dell’esecuzione
6) A due anni dall’esecuzione di Troy Davis
7) Per diminuire il pericolo di ‘giustiziare’ innocenti in Florida
8) Meno conflitti nel 2012, ma con un maggior numero di vittime
9) Incredibile: di nuovo la storia della tortura ripetuta!
10) Dopo Romano, anche Lady chiede la grazia a Napolitano!
11) Definitiva la condanna per l’ex presidente liberiano Taylor
12) Il braccio, un luogo di abbandono e di violenzadi Fernando E. Caro
13) Notiziario: Brasile, Cile, Iraq, Paesi Bassi, Pakistan, Roma, Texas, Usa
1) FIRMATE LA PETIZIONE IN FAVORE DI AASIA BIBI!
Sembrava impossibile, ma Aasia Bibi, condannata a morte per blasfemia, rischia l’esecuzione.
Dell’evoluzione del caso della cristiana Aasia Bibi (nel mondo conosciuta come Asia Bibi) ci siamo occupati più volte negli ultimi anni (cfr. nn. 185,187,188). Ricordiamo che Aasia, madre di cinque figli, fu condannata a morte per blasfemia. Era stata arrestata nel giugno del 2009 nella provincia pakistana del Punjab. Allora lavorava in una fattoria come bracciante. Alcune contadine musulmane rifiutarono di bere dal recipiente portato da lei, dicendo che era sacrilego e ‘sporco’ accettare acqua da Aasia, una non musulmana. Ne scaturì un litigio e le donne islamiche andarono a dire al chierico locale che Aasia aveva fatto apprezzamenti offensivi riguardo al Profeta Maometto. La polizia procedette all’arresto di Aasia, anche per evitare il rischio di un linciaggio.
La donna, che nega le accuse, è stata condannata a morte in seguito all’incidente ed è detenuta in isolamento dal giugno 2009.
Subito dopo la condanna, il presidente pakistano Asif Ali Zardari aveva rassicurato l’opinione pubblica mondiale preannunciando un provvedimento di grazia in favore di Aasia. Poi - anche in conseguenza dell’assassinio del governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer, che si era schierato nettamente in favore di Aasia, seguito a breve dall’omicidio del cattolico Shahbaz Bhatti, Ministro per le minoranze, che pure si era espresso contro la condanna di Aasia – ha ritenuto prudente lasciare in essere la sentenza di morte della donna. Avendo però Zardari instaurato una moratoria su tutte le esecuzioni, anche Aasia, seppure prigioniera, finora non è stata ‘giustiziata’.
Adesso però il mandato del presidente Zardari è giunto al termine (v. n. 207), e Aasia si trova a rischio di esecuzione. Nel tentativo di salvarla, un’organizzazione inglese per i diritti umani, la Global Minorities Alliance (GMA) ha lanciato una campagna mondiale per ottenere la sua liberazione. Il GMA intende raccogliere 500 mila firme da inviare alle autorità pakistane per ottenere clemenza. Invitiamo i lettori a firmare la petizione [SIGN THE PETITION] all’indirizzo:
http://www.globalminorities.co.uk/FreeAasia
Inserite: Nome (First Name), Cognome (Last Name), indirizzo e-amil e Codice postale
(Smarcate la seconda richiesta sotto i vostri dati. NON è necessario mandare soldi a Change. Org)
Il GMA ha diffuso su Youtube una canzone intitolata "Free Aasia Bibi": è un messaggio diretto al mondo che denuncia la legge discriminatoria pakistana sulla blasfemia(1)
E’ molto importante cercare di fermare questa esecuzione! E non solo per salvare la vita di una persona colpevole unicamente di non essere musulmana, ma anche per arginare un fenomeno che, se lasciato dilagare, metterà a rischio la vita di altre persone che, come Aasia, non professano la religione musulmana in Pakistan, un paese in balia dell’ottuso fondamentalismo della maggioranza islamica. (Grazia)
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(1) Il videoclip della canzone “Free Aasia Bibi” si trova all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=nV17GI_j_2s&feature=youtu.be
Per scaricare la canzone: https://itunes.apple.com/gb/album/free-aasia-bibi-single/id700915773
2) UCCISO ROBERT GARZA CONDANNATO DALLA ‘LEGGE SULLA COMPLICITÀ’
Per ottenere l’esecuzione dell’ispanico Robert Garza in Texas, l’accusa non ha dovuto sostenere che egli uccise qualcuno, ma solo che egli partecipò ad un’azione criminosa sfociata in 4 omicidi.
“Quando un giovane di razza ispanica viene accusato di appartenere ad una gang nella vallata del Rio Grande – striscia poverissima nell’estremo sud del Texas – la questione di chi effettivamente tirò il grilletto non influisce sul funzionamento della ben oliata macchina della morte texana”, afferma senza mezzi termini un articolo del 12 settembre di Waging Nonviolence, parlando dell’imminente esecuzione di Robert Garza.
In effetti la notevole mobilitazione per evitare l’esecuzione di Robert Gene Garza e i numerosi appelli inviati al Governatore del Texas Rick Perry (1), non sono serviti a nulla. Il condannato è stato ‘regolarmente’ ucciso il giorno stabilito, 19 settembre, sia pure con 2 ore e 41 minuti di ritardo. La sua forte fibra non ha permesso al medico di dichiararne il decesso prima di 26 minuti dall’inizio dell’iniezione letale. Un tempo record.
Tutto ‘regolare’ anche il comportamento del morituro che ha sorriso e mandato un bacio agli amici e ai parenti appena entrati nella camera della morte. In una breve dichiarazione finale ha detto loro di amarli dopo averli ringraziati uno ad uno di essere venuti. “… Ringrazio Dio di avervi mandati. So che è duro per voi … Non è facile. E’ una liberazione. Tutti voi potrete finalmente andare avanti nelle vostre vite … Abbiate cura dei miei figli e siate forti ... Aiutatevi e amatevi l’un l’altro, non litigate tra voi. Vi amo.”
Garza non fu condannato per aver sparato ma solo per il coinvolgimento in una azione malavitosa portata a termine 11 anni fa, il 5 settembre del 2002: una sparatoria che causò la morte di quattro immigrate ispaniche irregolari e il ferimento di altre due (tra l’altro: le 6 donne furono prese di mira per errore). (2)
Gli omicidi vennero commessi con lo scopo di contrastare una testimonianza a carico di un membro della banda responsabile di un precedente omicidio (tale membro, dopo un patteggiamento, è stato poi condannato a 20 anni di carcere).
Indipendentemente dal fatto che abbia sparato o no, Robert Garza è stato condannato a morte in base alla controversa legge chiamata “Law of Parties” (Legge sulle complicità). In molti casi capitali questa legge semplifica enormemente il lavoro dell’accusa che non deve dimostrare che l’imputato ha commesso personalmente un omicidio ma soltanto che ha partecipato ad un’azione criminosa in cui si è verificato un omicidio.
Garza aveva recentemente dichiarato: “Sono stato condannato a morte secondo la Law of Parties ma nel mio caso anche l’Accusa ammette di non sapere chi commise gli assassini. Io non li ho commessi ma sono nel braccio della morte a causa della Law of Parties. Dobbiamo domandarci: “Chi è e dov’è un Complice? Sono il solo condannato in questo caso di Law of Parties. Lo sanno sia l’Accusa che il Giudice. I miei avvocati non hanno mai avanzato questo argomento nel mio processo o nel corso degli appelli”.
In effetti meraviglia che per la terribile mattanza sia stato perseguito un solo uomo, per di più per aver partecipato all’azione e non per aver ucciso personalmente.
Durante l’interrogatorio della polizia, il giovane detenuto - maltrattato, sfinito dopo due giorni ininterrotti di pressione, senza la presenza di un avvocato come da lui richiesto - ammise: “l’attacco fu organizzato da noi.” Aggiungendo: “[chi ordinò l’attacco] si mostrò palesemente infuriato perché le cose non erano state fatte bene,” (con l’uccisione delle persone sbagliate).
Tra le questioni sollevate nel corso degli appelli dagli avvocati di Garza, vi sono l’inadeguatezza della difesa ricevuta durante il processo, non solo perché i difensori non contestarono la dichiarazione di colpevolezza strappata illegalmente dalla polizia, ma anche perché omisero di far valere le attenuanti che potevano evitare una sentenza di morte: era disponibile una quantità di informazioni sul fatto che il ventenne Robert Garza, abbandonato da entrambi i suoi genitori, era cresciuto in un ambiente violento senza alcun riferimento etico al di fuori della morale di banda.
Ricordiamo che il condannato a morte da noi adottato, Kenneth Foster Jr., fu processato in base alla Law of Parties per essere stato alla guida di un’auto da cui discese un compagno che uccise un automobilista dopo un tentativo di rapina e un alterco. Kenneth arrivò a poche ore dall’esecuzione nel 2007 quando fu graziato dal governatore Rick Perry (unica grazia concessa liberamente di propria iniziativa dal governatore attualmente in carica).
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(1) Ringraziamo i lettori del Foglio di Collegamento che hanno partecipato alla petizione in favore di Robert Garza dal noi proposta nel n. 207.
(2) Robert Garza era stato pure incriminato, ma mai processato, per una strage di 6 persone compiuta dalla banda cui apparteneva a gennaio del 2003 (poco prima del suo arresto).
3) ‘DIRECT APPEAL’ DI WARREN HILL ALLA CORTE SUPREMA FEDERALE
Warren Hill non dovrebbe essere messo a morte perché è un ritardato mentale, ma per sottrarlo ai boia della Georgia i suoi avvocati sono stati costretti a tentare una strada del tutto eccezionale.
Una famosa decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2002 proibisce la pena di morte per i ritardati mentali. Come abbiamo detto nel n. 207, Warren Hill è chiaramente un ‘ritardato mentale’ ma fino ad ora i suoi avvocati non sono riusciti a far valere questa sua condizione per evitare che egli venga messo a morte in Georgia. Anche se l’anno scorso tutti e 7 gli esperti che lo hanno valutato si sono messi d’accordo nell’affermare che egli è un ritardato mentale (prima riconoscevano tale condizione solo 4 di loro), ciò non è bastato per consentirgli di uscire dal braccio della morte.
La vita di Hill, che è giunto a mezz’ora dall’iniezione letale il 19 febbraio scorso, è ancora in pericolo da una parte per l’interpretazione restrittiva che la Georgia dà al concetto di ritardo mentale, dall’altra per una serie di questioni procedurali che consentono alle corti di non prendere in considerazione la decisione unanime raggiunta dai 7 esperti.
Pertanto i legali di Warren Hill hanno tentato la via del tutto eccezionale di un ‘direct appeal’ alla Corte Suprema federale in cui si chiede un chiarimento dell’intricata materia e l’ordine per le corti inferiori di considerare la situazione createsi con la raggiunta unanimità degli esperti. Nonostante il fatto che un ‘direct appeal’ venga considerato molto raramente (e che ancor più raramente produca un verdetto favorevole al condannato), gli avvocati difensori sperano che la massima corte degli USA decida esaminare il ‘direct appeal’ per Hill quando si riunirà il 30 settembre.
4) UN ALTRO IMPICCATO NEL GIRO DI UN MESE IN UN CARCERE DELL’OHIO
Violenza aberrante, sadismo e desiderio di vendetta seguiti da un’ulteriore morte in Ohio.
Si è verificato un secondo ‘incidente di alto profilo’ nel giro di un mese in un carcere dell’Ohio (1).
Il 53-enne Ariel Castro è stato trovato impiccato con un lenzuolo nella sua cella alle 9 e 20’ del 3 settembre. Era detenuto in un penitenziario presso Columbus, capitale dell’Ohio. È stato dichiarato morto alle 10 e 50’ in ospedale.
Castro era stato arrestato il 6 maggio scorso e il 1° agosto era uscito dal processo a suo carico patteggiando per evitare la pena di morte. Aveva ricevuto una condanna all’ergastolo più 1.000 anni di reclusione. I suoi reati: detenzione, maltrattamenti, percosse e violenze sessuali nei riguardi di 3 donne rapite tra il 2002 e il 2004: Michelle Knight che allora aveva 20 anni, Amanda Berry, di 16 anni, e Gina DeJesus, di 14 anni.
Ariel Castro era reo anche di procurato aborto ai danni della Knight.
Da Amanda Berry, detenuta con le altre due vittime nello scantinato della propria casa di Cleveland, Castro ha avuto una figlia che ora, a 6 anni di età, è stata liberata insieme alla madre.
Al processo Castro si è difeso affermando di essere posseduto di un irrefrenabile impulso alla violenza sessuale e che le sue vittime sono state in parte consenzienti alla sue avances. (2)
La prigionia delle tre sventurate donne era finita il 6 maggio, il giorno in cui Amanda Berry era riuscita a rompere il vetro di una finestra e a chiedere aiuto. Il 3 settembre, quando è morto, Ariel Castro era detenuto in ‘regime protettivo’ per prevenire azioni violente nei suoi confronti, e controllato ogni 30 minuti. Ma non più in ‘regime antisuicidio’ con annotazioni continue sul suo comportamento.
Al processo a carico di Castro ha partecipato in qualità di testimone una sola delle sue vittime, Michelle Knight. “Mi hai privato di 11 anni della mia vita, della vita che ora ho riavuto,” ha dichiarato Michelle in quella sede. “Ho passato 11 anni all’inferno. Ora il tuo inferno sta appena cominciando.”
Ariel Castro ha fatto in modo che il proprio ‘inferno’ durasse non più di un mese e 2 giorni (3)
Per quanto ci riguarda, vogliamo notare che la dichiarazione di Michelle Knight mette in luce ancora una volta il significato ‘retributivo’ che hanno le pene iperboliche previste negli USA.
Ovviamente, il desiderio di vendetta espresso da Michelle Knight non è condivisibile, anche se lei ha tutte le attenuanti.
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(1) V. articolo seguente.
(2) In una non trascurabile percentuale di casi si stabilisce un legame di solidarietà tra sequestratore e vittima (consulta ad es. la voce ‘sindrome di Stoccolma’ in Wikipedia).
(3)Deludendo i criminologi che volevano studiare la sua psiche.
5) ANCORA SU BILLY SLAGLE SUICIDATOSI IN OHIO PRIMA DELL’ESECUZIONE
Billy Slage voleva vivere, ma ritenendo erroneamente che non vi fossero più speranze per lui si è suicidato nel braccio della morte dell’Ohio 3 giorni prima dell’esecuzione.
I giornali americani hanno fatto notare che quello di Ariel Castro (v. articolo qui sopra) è il secondo suicidio ‘di alto profilo’ nelle carceri dell’Ohio nel giro di un mese. Parlando del caso di Castro, i media hanno ricordato il suicidio di Billy Slagle avvenuto 3 giorni prima dell’esecuzione ed hanno fornito aggiornamenti sulle circostanze e sulle conseguenze di quel tragico gesto (1).
Intanto si è saputo che Slagle si uccise, ritenendo che non ci fossero più speranze per lui, senza sapere che i suoi avvocati si preparavano a presentare un appello in extremis che aveva concrete possibilità di essere accolto.
Poi da un’inchiesta dell’amministrazione carceraria è risultato che i controlli su Slagle da parte delle guardie negli ultimi giorni di vita del condannato cominciarono in ritardo e furono ripetuti ogni ora, invece che ogni mezz’ora come prescritto, e che una guardia, o forse due guardie, falsificarono lo strumento che registra i controlli. Inoltre: tutti e 6 gli agenti in servizio nella notte del suicidio non avevano alcun addestramento specifico per il braccio della morte. Queste sono le cose che preoccupano le autorità dell’Ohio, però nessuno ha detto se la stretta osservanza della regole da parte del personale avrebbe potuto evitare il suicidio di Billy Slagle.
Ad ogni modo le autorità carcerarie dell’Ohio hanno fatto sapere che si rivolgeranno ad esperti in psichiatria per determinare se il periodo di osservazione di 3 giorni prima dell’esecuzione debba essere esteso per determinati detenuti.
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(1) Ricordiamo che Billy Slagle si è impiccato all’alba 4 agosto, poco prima che scattasse il periodo di 72 ore di strettissima sorveglianza precedente all’esecuzione, v. n. 207, Notiziario.
6) A DUE ANNI DALL’ESECUZIONE DI TROY DAVIS
“È difficile rendersi conto che sono passati due anni dall’esecuzione di Troy Davis. Ricordo quel giorno vividamente. Pensavo che la Georgia non avrebbe in alcun modo potuto ignorare il grido levatosi da tutto il mondo che le chiedeva di non mettere a morte una persona probabilmente innocente. Ricordo la speranza sorta nel momento in cui fu decisa una temporanea sospensione dell’esecuzione, e la devastazione di alcune ore più tardi quando al sospensione fu annullata. E, naturalmente, ricordo di essermi sentita scioccata, arrabbiata e incredibilmente triste quando arrivò l’annuncio che Troy Davis era stato ‘giustiziato’ dalla Georgia alle ore 23 e 11’ del 21 settembre 2011”. Dichiarazione di Chelsea Bond, attivista del Death Penalty Focus (V. n. 192)
7) PER DIMINUIRE IL PERICOLO DI ‘GIUSTIZIARE’ INNOCENTI IN FLORIDA
Soltanto in Florida una giuria può proporre un verdetto di morte con la maggioranza minima di 7 voti contro 5. Correggendo questa anomalia diminuirebbe la probabilità di ‘giustiziare’ innocenti.
Nessuno stato dovrebbe arrogarsi il diritto di uccidere i propri cittadini, ma, se lo fa, per lo meno dovrebbe garantire all’imputato tutte le possibili forme di protezione da errori giudiziari, per evitare che le esecuzioni diventino errori irreparabili.
Purtroppo sappiamo che qualsiasi sistema giudiziario può compiere errori in quanto gestito da esseri umani, compreso quello assai evoluto degli Stati uniti d’America. Ma vi sono alcune modalità che rendono la pena di morte particolarmente fallace in alcuni stati nordamericani, come le leggi che limitano nel tempo la possibilità di presentare prove di innocenza, o quelle che permettono le testimonianze a carico fornite da complici o altri criminali in cambio di riduzioni di pena.
C’è uno stato americano, fra tutti, che “brilla” per la mancanza di elementari garanzie di giustizia nei casi capitali: è lo stato della Florida. Una delle principali fonti di ingiustizia è il tipo di maggioranza richiesta per emettere sentenze capitali.
In quasi tutti gli altri stati, una giuria deve essere unanime per proporre un verdetto di morte. In Florida e solo in Florida, invece, è sufficiente la minima maggioranza di giurati (7 su 12) per chiedere al giudice di condannare una persona alla pena capitale. E si tratta proprio dello stato che è in testa alla classifica per il numero condanne capitali, riconosciute ‘ingiuste’ appena in tempo, di persone che sono state poi rilasciate.
Raoul Cantero, un ex giudice della Corte Suprema della Florida e Mark Schlakman del Centro per la Promozione dei Diritti Umani della Florida State University, stanno portando avanti una campagna per sollecitare il governo della Florida a introdurre l’obbligo dell’unanimità della giuria nei casi capitali per proporre una condanna a morte. Questa modifica ovviamente non eliminerebbe il problema degli errori giudiziari (ci sono state giurie unanimi nel condannare a morte innocenti), e tantomeno risolverebbe il problema fondamentale della profonda violazione dei diritti e della dignità umana insiti nell’esistenza stessa della pena di morte, ma certamente rappresenterebbe un passo di civiltà. Considerata la forte propensione ad accelerare le esecuzioni manifestata recentemente dal Parlamento e del Governatore della Florida, questa innovazione sarà difficile da ottenere, ma non impossibile con un adeguato impegno dei suoi promotori. (Grazia)
8) MENO CONFLITTI NEL 2012, MA CON UN MAGGIOR NUMERO DI VITTIME
Nel 2012, ultimo anno su cui si è fatto uno studio completo, i conflitti armati nel mondo sono diminuiti, ma il numero di morti nei conflitti è assai aumentato soprattutto a causa della guerra in Siria
Nel 2012 i conflitti armati nel mondo sono diminuiti, ma il numero di morti causati da questi conflitti è aumentato notevolmente soprattutto per il contributo della guerra in Siria. Dopo la fine della guerra fredda, in 24 anni si è verificato un numero di morti maggiore solo in 6 occasioni (1).
Delle 37.941 vittime conteggiate, 15.055 riguardano il conflitto in Siria. Gli altri conflitti più sanguinosi si sono avuti in Medio Oriente: in Siria, Afghanistan, Somalia, Pakistan,Yemen e Sudan.
Nel 2012 i conflitti armati nel mondo sono stati 32, 37 quelli registrati nell’anno precedente (2).
I conflitti attuali sono guerre interne agli stati, anziché guerre tra stati. Otto conflitti sono stati ‘internazionalizzati’ dall’intervento di forze esterne: in Afghanistan, Azerbaijan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Somalia, Stati Uniti (partecipazione della Francia alla lotta contro al-Qaeda) e Yemen.
Il 2012 è stato un anno terribile per il conflitto in Afghanistan, con almeno 7.400 vittime. Le violenze si sono concentrate attorno alle roccaforti talebane nel sud e nell’est del paese.
In Somalia il conflitto tra il governo e il gruppo Al-Shabaab, affiliato ad al-Qaeda, ha causato nel 2012 più di 2.600 morti, picco massimo per gli scontri nella regione. Un dato simile a quello della Somalia si registra in Pakistan, dove i conflitti interni, con la partecipazione dei Talebani, hanno causato più di 2.700 vittime.
Nello Yemen gli scontri tra governo e cellule di Al Qaeda hanno fatto 2.300 vittime.
Nel 2012 sono scoppiati tre nuovi conflitti, in India, Mali e Sudan.
Nello stato indiano del Megahalaya, l’azione dei ribelli del GNLA (Garo National Liberation Army), che dal 2009 rivendicano la fondazione di una stato indipendente, nel 2012 ha dato luogo a scontri che hanno superato le 25 vittime, limite minimo per poter parlare di conflitto armato.
La situazione di instabilità in Mali si trascina dal 1990, con gruppi attivi uniti nel perseguire la fondazione dello stato indipendente di Azawad nel Nord del paese. Nel 2012, questo conflitto si è riproposto, e in più il Mali ha dovuto affrontare gli islamisti del gruppo ribelle Ansar Dine, che ha portato al colpo di stato del 22 marzo.
In Sudan, dopo che nel luglio del 2011 il Sudan del Sud ha ottenuto l’indipendenza dal resto del paese, si registrano tensioni alla frontiera legate alla delimitazione dei confini. Nel 2012 tali tensioni sono sfociate in veri e propri scontri armati.
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(1) Questi fenomeni vengono sottolineati dal PRIO ( International Peace Research Institute di Oslo) che cita un articolo dell’UCDP (Uppsala Conflict Data) pubblicato nel Journal of Peace Research. Vedi: http://www.prio.no/News/Item/?x=1751 ; http://jpr.sagepub.com/content/early/2013/06/28/0022343313494396.full.pdf+html
(2) Per conflitto armato si intende l’utilizzo di forze armate che provochi la morte di almeno 25 persone in un anno.
9) INCREDIBILE: DI NUOVO LA STORIA DELLA TORTURA RIPETUTA!
Da un quarto di secolo non si riesce ad introdurre nel Codice penale italiano il reato di tortura.
Il 14 giugno scorso la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha reso definitive le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Genova il 5 marzo 2010 per le violenze perpetrate dalle “forze dell’ordine” nella caserma di Bolzaneto, in occasione del G8 di Genova del 2001. Vi sono state 7 condanne, 33 prescrizioni del reato, 4 assoluzioni (1).
La Corte di Cassazione, ha definito le violenze commesse nella caserma di Bolzaneto: “Un mero pretesto, un’occasione per dare sfogo all’impulso criminale”. Non ci risulta però che qualcuno dei 7 condannati sia finito in carcere. Ciò dipende dalla lieve entità delle pene ricevute, conseguenza della mancanza del reato di tortura, e di relative adeguate sanzioni, nel nostro ordinamento.
L’Italia, nel lentissimo cammino per adeguarsi alla “Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, ha appena prodotto un progetto di legge per introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale. Amnesty International Italia ha rilevato ancora una volta l’enorme ritardo nell’adozione di tale trattato riguardante i diritti umani, messo a punto nel 1984 ed entrato in vigore il 26 giugno 1987, sottoscritto e mai ratificato dall'Italia.
Non solo, nel testo del disegno di legge unificato presentato dal relatore Nico D’Ascola il 17 settembre è stato inserito all’ultimo momento e quasi di soppiatto l’avverbio “PIÙ”. Un’operazione del genere fece fallire l’introduzione del reato di tortura nove anni fa!
“Secondo l'ultimo testo unificato del disegno di legge […] per esservi tortura vi sarebbe infatti bisogno che vengano commessi ‘più’ atti di violenza o di minaccia’. Un solo atto del genere potrebbe dunque consentire di evitare una condanna. Si tratta di una definizione che ricorda tristemente una formulazione proposta nel 2004 dalla parlamentare della Lega Nord Carolina Lussana”, si legge in un comunicato congiunto di Amnesty e di Antigone.
Amnesty e Antigone si appellano alla Commissione Giustizia per ottenere una revisione del progetto di legge in modo che contenga una definizione di tortura conforme a quella delle Nazioni Unite.
“Nel caso della proibizione legale della tortura il lavoro del parlamento può e deve essere facilitato dai testi internazionali. La definizione dell’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 non richiede sforzi di fantasia da parte del legislatore. E’ necessaria, piuttosto, una seria volontà politica, che purtroppo nell'ultimo quarto di secolo e’ mancata” hanno sottolineato Amnesty International Italia e Antigone.
Nel disegno di legge italiano – come ha rilevato Luigi Manconi presidente della Commissione Diritti Umani del Senato - vi è inoltre un’altra singolarità: la tortura è considerata un reato comune e non un abuso di potere delle istituzioni, togliendole una caratteristica peculiare menzionata in tutti gli enunciati riguardanti la tortura e, di conseguenza, la possibilità di mordere adeguatamente sulle istituzioni. (Grazia)
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(1) V. art. nel n. 206
10) DOPO ROMANO, ANCHE LADY CHIEDE LA GRAZIA A NAPOLITANO!
La condanna ‘platonica’ a 9 anni di carcere per il sequestro di Abu Omar non sta bene all’ex capo della C. I. A. in Italia, che ora chiede la grazia a Napolitano, in modo perentorio e un po’ arrogante.
Da una nota Ansa del 12 settembre (1) apprendiamo che Robert Seldom Lady, ex capo della C. I. A. a Milano, condannato a 9 anni di carcere per il sequestro dell'imam egiziano Abu Omar avvenuto nel capoluogo lombardo nel febbraio 2003 (2), ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere la grazia. Nella richiesta di grazia l'ex agente Cia si riferisce ad “alti membri del governo italiano” che hanno collaborato con gli Usa nel sequestro.
Scrivendo al nostro Presidente della Repubblica, Robert Lady vanta la sua azione antiterrorismo in collaborazione con gli agenti italiani e ricorda che “milioni di dollari” furono versati dagli Usa all'Italia per contrastare al-Qaeda. “L'attività”, sottolinea Lady, era “agli ordini dei funzionari Usa” ma “in collaborazione con alti membri del governo italiano”. Lady dice di essersi sottratto alla giustizia italiana fuggendo negli Usa, perché altrimenti sarebbe stato costretto a rivelare importanti segreti: “Ho avuto accesso a informazioni confidenziali del governo italiano a seguito della mia attività di collaborazione con i servizi. Per montare una difesa adeguata avrei dovuto violare sia le leggi degli Stati Uniti che quelle dell'Italia. Non ero allora e non sono adesso disposto a farlo”.
Ricordiamo che Napolitano, con una mossa a dir poco discutibile, il 5 aprile scorso ha già concesso la grazia al colonnello statunitense Joseph Romano III, annullandone la condanna a 5 anni di reclusione e alle pene accessorie per aver partecipato al sequestro di Abu Omar (3). Ovviamente, anche se non riceverà la grazia, Robert Seldom Lady non sconterà un solo giorno di carcere. Se la riceverà potrà girare tranquillamente per l’Italia (magari soltanto per ragioni turistiche).
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(1) Che riprende il Corriere della Sera on-line dell’11 settembre.
(2) Sul caso Abu Omar v. ad es. nn. 160, 174, 200, 204, 205.
(3) V. n. 205.
11) DEFINITIVA LA CONDANNA PER L’EX PRESIDENTE LIBERIANO TAYLOR
Charles Taylor, colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità, si riteneva ‘in pensione’ quando la sua fortuna fu interrotta dall’iniziativa del Tribunale per la Sierra Leone che riuscì a farlo arrestare in Nigeria nel 2006. Ora la sua condanna a 50 anni di reclusione è diventata definitiva.
Il 26 settembre la Corte di Appello del Tribunale speciale delle Nazioni Unite per la Sierra Leone ha confermato, rendendola definitiva, la condanna a 50 anni di reclusione per l’ex presidente della Liberia, Charles Taylor (Charles McArthur Ghankay Taylor).
Ricordiamo che detto tribunale con sede all’Aia (1) ha potuto giudicare Taylor, responsabile di ben altri crimini, solo per i crimini di guerra e contro l’umanità relativi al sostegno da lui offerto, in cambio di diamanti, al Fronte Unito Rivoluzionario che imperversò nello stato confinate della Sierra Leone tra il 1991 e il 2002 (2).
Divenuto molto ricco, Taylor dopo aver condotto una vita brillante – era amico di personaggi famosi come l’attrice Mia Farrow e la top model Naomi Campbell – si riteneva ‘in pensione’ quando la sua fortuna fu interrotta dall’iniziativa del Tribunale per la Sierra Leone che lo incriminò nel 2003 e riuscì a farlo arrestare in Nigeria nel 2006 (3).
Il giudice presidente della Corte d’Appello, George Gelaga King, ha letto una lunga sentenza, nel corso di 90 minuti, affermando che il principale scopo dei gruppi ribelli sostenuti da Taylor era quello di spargere terrore: “La violenza brutale fu scientemente scatenata contro i civili con l’intento di spaventarli, di incutere in loro il timore che un’ulteriore resistenza avrebbe causato ulteriore violenza.”
Charles Taylor, che ora ha 65 anni, dovrebbe scontare la sua pena in un carcere britannico, a meno che non venga accolta la sua richiesta di essere detenuto in Rwanda.
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(1) Il tribunale speciale della Nazioni Unite per la Sierra Leone, anche per l’esaurimento dei fondi, si appresta a chiudere la sua attività.
(2) V. nn. 197, 198 Notiziario
(3) Charles Taylor fu ‘tradito’ dal presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo di cui si fidava.
12) IL BRACCIO, UN LUOGO DI ABBANDONO E DI VIOLENZA di Fernando E. Caro
Oggi ho preso parte a un incontro con altri detenuti, per discutere alcune questioni riguardanti la nostra situazione nel braccio della morte. Ci sono davvero tanti problemi, e vengono presentate numerose lamentele, che devono essere sottoposte all’amministrazione del carcere. E’ previsto che il personale penitenziario presenzi a questi incontri, ma quasi mai qualcuno si fa vedere!
Oggi, pertanto, il nostro gruppo è rimasto ad aspettare, sperando che il Direttore e il personale amministrativo arrivassero. Invece, niente! Non sono venuti. Inutile dire che eravamo molto delusi. Anch’io speravo di vederli arrivare, ma non mi ha sorpreso il fatto che non si siano presentati. Mi sono detto che noi siamo “proprio” condannati a morte, e che questa amministrazione carceraria non sente alcun obbligo di mantenere la parola data. Il loro comportamento lo dimostra continuamente!
All’inizio mi faceva piacere far parte di un comitato di detenuti che poteva mitigare le divergenze tra i condannati a morte e l’amministrazione carceraria. Adesso, giudicando da come si comporta, ho l’impressione che il personale amministrativo ci consideri una sorta di “barzelletta”. Non è il caso di prenderci sul serio. E’ un pro-memoria per me, e mi ricorda che l’unico incarico effettivo del personale amministrativo è di tenerci in vita fino all’esecuzione! Ancora una volta, non mi stupisco dell’indifferenza di un cuore gelido e spietato, utilizzata dal personale per prenderci a calci sui denti, metaforicamente parlando!
Prima che finisse l’orario del nostro incontro, le sirene d’allarme dell’edificio hanno cominciato ad ululare. Era scoppiata una rivolta in uno dei cortili. Non riguardava il braccio della morte. Si trattava di una lite tra i detenuti non condannati a morte, in un altro settore del carcere. Probabilmente si è trattato di uno scontro violento tra membri di etnie diverse, come accade spesso.
Ecco quindi un altro evento che mi ricorda quanto le carceri siano luoghi di violenza, e quanto una persona debba restare vigile. La maggioranza dei detenuti non cresce mai, mentalmente! Non si evolve. Probabilmente non è colpa loro: un’infanzia vissuta nella violenza provoca comportamenti violenti e paranoici!
Mi sveglierò domani mattina, mi preparerò un po’ di caffè, e non degnerò di un altro pensiero l’incidente di oggi. Prego solo che questa non sia la mia versione personale di “indifferenza di un cuore gelido e spietato”!
Continuate a sorridere, che il sole brilli sempre nei vostri cuori!
Fernando
San Quentin, il 3 settembre 2013
13) NOTIZIARIO
Brasile. Dilma Rousseff non vuole essere spiata da Obama. Il 17 settembre, Dilma Rousseff, Presidente del Brasile - rinviando a data da destinarsi la visita di stato negli Usa programmata per fine ottobre - ha rilasciato una tagliente dichiarazione nei riguardi dell’amministrazione Obama a proposito dello spionaggio effettuato nei suoi riguardi, nei riguardi dei suoi più stretti collaboratori e della più grande azienda brasiliana, la compagnia petrolifera Petrobras. La decisione di annullare la visita è stata presa nonostante un profluvio di scuse riversate sulla Rousseff da Obama e dai più alti esponenti del governo Usa. La dura reazione della presidente brasiliana [la ricordate sorridente in diretta TV, insieme a papa Francesco?] è una delle molteplici conseguenze delle rivelazioni di Edward J. Snowden, ex contractor dell’agenzia statunitense N.S.A (Agenzia per la Sicurezza Nazionale), sullo spionaggio pervasivo delle comunicazioni mondiali effettuato dal governo Usa (v. n. 207).
Cile. Dopo 40 anni ampia l’impunità dei golpisti di Pinochet. Alla vigilia del 40-esimo anniversario del colpo di stato ‘anticomunista’ del generale Augusto Pinochet in Cile, Amnesty International ha affermato, in un comunicato stampa diffuso il 10 settembre scorso, che a migliaia di sopravvissuti alla tortura e a migliaia di familiari delle persone scomparse durante il brutale regime dittatoriale di Pinochet vengono ancora negate verità, giustizia e riparazione. Ricordiamo che il regime nato dal colpo di stato di Pinochet, in cui trovò la morte il presidente democraticamente eletto Salvador Allende, finì con un referendum nel 1988. Pinochet si dimise dalla carica di presidente della repubblica del Cile nel 1990 e morì nel 2006 senza scontare alcuna pena. Secondo i dati ufficiali, tra il 1973 e il 1990 furono imprigionate e torturate oltre 38.250 persone, e oltre 3.200 furono uccise o fatte sparire. Con un decreto legge sull’amnistia andato in vigore nel 1978, e ancora valido, è stata esclusa la responsabilità penale dei rei di quelle atrocità. Il potere giudiziario ha avuto poi la meglio sul decreto sull’amnistia in parecchi casi e, anche grazie al costante impegno di molte delle vittime e dei loro familiari, 262 persone sono state finora giudicate per violazioni dei diritti umani e si hanno oltre 1100 procedimenti giudiziari in corso. Essendo l’impunità tuttora molto ampia, Amnesty ha chiesto alle autorità cilene, con una petizione che ha raccolto oltre 25.000 firme, di eliminare tutti gli ostacoli che proteggono i responsabili di violazioni dei diritti umani. Oltre che a perorare l’educazione ai diritti umani, con il ricordo dei tragici fatti occorsi durante la passata dittatura, Amnesty chiede di abolire il decreto legge sull’amnistia e di riformare il codice di giustizia militare in modo che i crimini commessi da esercito e polizia siano indagati dalla magistratura civile ed i rei siano sottoposti a processo nei tribunali ordinari e non nei tribunali militari. V. http://www.amnesty.it/cile-40-anniversario-golpe
Iraq. ‘Giustiziati’ oltre 50 rifugiati iraniani. Almeno 52 membri del gruppo di opposizione iraniano dei Mujahideen-e Khalq, sono stati ‘giustiziati’ nel week end del 1° settembre in Iraq a Camp Ashraf, il campo profughi a nord di Baghdad in cui si trovavano. Il gruppo, noto anche come gruppo dei MEK, un tempo alleato di Saddam Hussein, fu disarmato nel 2003 con garanzie di protezione da parte degli Americani. Dal momento del ritiro delle truppe americane dall’Iraq avvenuto nel 2011, i membri di questo gruppo sono stati tra i più bersagliati dalle rappresaglie degli sciiti iracheni. Il governo sciita dell’Iraq, che da sempre detesta i MEK, è fortemente sospettato di coinvolgimento negli attacchi e nelle esecuzioni, per le quali non sono stati mai trovati colpevoli. Gyorgy Busztin, inviato dalle Nazioni Unite a Baghdad, ha visitato Camp Ashraf il giorno successivo al massacro e ha parlato con alcuni superstiti. Ha visto foto di uomini uccisi, con le mani legate, a cui era stato sparato alla testa o nella schiena. Ha espresso il suo sdegno chiedendo al governo iracheno che disponga un’immediata attenta investigazione e che si assuma la responsabilità della sicurezza dei residenti nel campo. Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki ha ordinato un’indagine per trovare i responsabili del crimine. Così almeno ha dichiarato un suo portavoce. Alcuni hanno parlato di un diretto coinvolgimento di al-Maliki nello sterminio dei MEK.
L’ex governatore della Pennsylvania, Ed Rendell, che ha preso a cuore la sorte dei MEK, ha dichiarato con sdegno che gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per la sicurezza dei profughi Iraniani in Iraq, da quando i militari americani hanno lasciato il paese.
Paesi Bassi. Lo stato olandese responsabile della morte di tre peacekeeper a Srebrenica. La massima Corte del paese ha giudicato lo stato olandese responsabile della morte di tre uomini nel corso del genocidio di Srebrenica in Bosnia, avvenuto nel luglio 1995. “Quasi due decenni dopo, questa sentenza per la prima volta chiama un governo a rispondere della condotta dei suoi peacekeeper sotto mandato Onu” – ha dichiarato Jezerca Tigani, di Amnesty International. Secondo la Corte, il 13 luglio 1995 i soldati olandesi di stanza a Srebrenica respinsero da una zona protetta tre uomini musulmani bosniaci, che svolgevano servizi per i peacekeeper olandesi a Srebrenica, di fatto consegnandoli alle forze serbo bosniache del generale Mladic, che nel corso della “pulizia etnica” si resero responsabili della morte di circa 8000 uomini, tra adulti e ragazzi (v. nn. 190, 198). I tre musulmani vennero respinti dal compound dei peacekeeper nonostante i soldati olandesi sapessero che in molti casi i serbo bosniaci avevano maltrattato o ucciso persone al di fuori della “zona protetta”. In un comunicato stampa rilasciato il 6 settembre scorso, Amnesty ha definito storica questa sentenza, che, oltre ad aprire la possibilità di risarcimento verso i familiari delle tre vittime e altre famiglie, è la prima sentenza che condanna uno Stato per crimini verso singoli individui, acquisendo pertanto un valore simbolico nei confronti dei milioni di vittime dei crimini.
Pakistan. Un’altra donna rischia l’esecuzione per blasfemia. Il 2 settembre la polizia di Lahore, capitale del Punjab pakistano, ha proceduto all’arresto di una donna accusata di blasfemia: Salma, una donna di 40 anni, avrebbe distribuito un opuscolo dicendosi profetessa della religione islamica. L’Islam non ammette infatti che vi siano profeti dopo Maometto. Le autorità hanno precisato che l’affermazione blasfema non si trova nell’opuscolo ma è stata riportata dal chierico locale Qari Iftikhar Ahmed Raza. “Ha detto di essere una profetessa e ciò comporta la pena di morte secondo la legge del Pakistan,” ha affermato Reza aggiungendo che Salma (detta anche Fatima) è sana di mente tanto è vero che insegna matematica in una scuola privata. La stampa ha ricordato un dissidio tra Reza e Salma precedente all’arresto, non per motivi religiosi ma riguardo alla distribuzione di cibo per beneficenza. (V. anche articolo su Aasia Bibi di cui sopra).
Roma. Per i Rom il sindaco Ignazio Marino è come il predecessore Alemanno. Riportiamo alcuni stralci da due allarmanti comunicatidiffusi 12 settembre scorso. “Alle prime ore del mattino, le forze dell'ordine di Roma Capitale hanno effettuato lo sgombero forzato di 35 famiglie rom nell'insediamento informale di via Salviati, nella periferia est della Capitale. Per Amnesty International Italia, Associazione 21 luglio e Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC), lo sgombero non rispetta standard e garanzie procedurali ponendosi in continuità con le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrati già dalla passata Amministrazione capitolina.” “Lo sgombero forzato al quale stiamo assistendo oggi – osservano le tre organizzazioni - oltre a rappresentare una grave violazione dei diritti umani, costituisce un innegabile passo indietro rispetto ai contenuti espressi all'interno della Strategia nazionale di inclusione dei rom, sinti e caminanti adottata dal governo italiano in attuazione della Comunicazione della Commissione europea n.173/2011 che sottolinea la necessità del superamento del modello ‘campo’ per combattere l'isolamento e favorire percorsi di interrelazione sociale.” V. www.flickr.com/photos/associazione21luglio/sets/72157635492951692
Texas. Malato mentale non può essere curato a forza in vista dell’esecuzione. L’11 settembre la Corte criminale d’Appello del Texas ha sentenziato che Steven Staley, un condannato a morte con una lunga storia di malattia mentale, non può essere curato a forza onde renderlo sufficientemente consapevole per poter eseguire la sentenza. Stanley a maggio del 2012 era arrivato a due giorni dall’iniezione letale quando la medesima Corte d’Appello annullò l’ordine di esecuzione perché era stato curato a forza con farmaci antipsicotici. Ricordiamo che una sentenza capitale può essere eseguita in Texas solo se il condannato si rende conto di essere messo a morte e per quale motivo.
Usa. Costante ridimensionamento del fenomeno pena di morte. L’ultimo rapporto sulla pena di morte della NAACP (Associazione Nazionale per l’Avanzamento della Gente di Colore) datato “Primavera 2013”, ora disponibile, mostra la continua diminuzione della popolazione dei bracci della morte. A parte l’incremento dei condannati a morte in California (in questo stato in cui non si fanno più esecuzioni, il 1° aprile i condannati a morte hanno raggiunto le 731 unità), gli altri stati con un alto numero di condannati alla pena capitale hanno visto una diminuzione. Al 1° aprile ce ne erano 412 in Florida, 298 in Texas, 198 in Pennsylvania, 197 in Alabama. Il numero totale di 3.108 ospiti dei bracci della morte rappresenta una diminuzione del 12% rispetto al 1° aprile di 10 anni fa, quando ce n’erano 3.525. Il rapporto di 64 pagine che contiene anche importanti riferimenti alle questioni dibattute dalla Corte Suprema federale e dati dettagliati sulla composizione nominativa, demografica e razziale di ciascun braccio della morte, nonché le informazioni essenziali su tutti i 1.325 condannati messi a morte dal 1977 fino al 1° aprile di quest’anno, è ora disponibile al seguente indirizzo:
http://www.deathpenaltyinfo.org/documents/DRUSASpring2013.pdf
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 settembre 2013