FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 241 - Settembre 2017
A Las Vegas immane strage per il gusto di uccidere
SOMMARIO:
1) Las Vegas: violenza insensata verso gli altri e verso se stesso
2) Ci riprovano con Romell Broom: la pena di morte è sadica tortura
3) Giustizia americana clemente con un nero famoso: O. J. Simpson
4) Passata la Proposition 66: riavvierà la pena di morte in California?
5) Iraq: processi sommari per migliaia di sospetti appartenenti all’ISIS
6) L’ONU denuncia: in un solo giorno 42 impiccati in Iraq
7) Già cento esecuzioni quest'anno in Arabia Saudita
8) Ancora condanne a morte per blasfemia in Pakistan
9) Due giovani assassine agli ordini del dittatore nord coreano
10) Notiziario: Florida, Iran, Italia, Virginia
1) LAS VEGAS: VIOLENZA INSENSATA VERSO GLI ALTRI E VERSO SE STESSO
Utilizzando il proprio arsenale di armi leggere, un anonimo cittadino del Nevada è riuscito ad assurgere agli onori delle cronache ammazzando 58 persone prima di suicidarsi.
Per dare un’idea della terribile strage compiuta durante un affollato concerto a Las Vegas alla 10 di sera di domenica 1° ottobre, traduciamo un brano apparso sul New York Times il giorno 2.
“In principio sembrava si trattasse di fuochi d’artificio – un forte scoppiettio. Poi la terribile realtà degli avvenimenti ha cominciato ad essere compresa qua e là, tra la grande folla.
La gente si è resa conto di ciò che accadeva udendo le urla, vedendo vittime insanguinate tutt’attorno. Si è creato un fuggi fuggi, con quelli che scappavano che investivano altri nella fuga.
Molti degli spettatori del concerto, obbedendo all’istinto, si sono stesi a terra, non realizzando che così rimanevano esposti allo sparatore situato molto in alto rispetto a loro. Altri si sono freneticamente riversati nelle strade e negli edifici vicini, lasciando dietro di loro una quantità di oggetti persi nel panico: bottiglie di bibite, scarpe, cellulari che hanno continuato a squillare per ore. Parenti ed amici cercavano i loro cari per accertarsi che fossero in salvo.
All’aurora di lunedì, la sconvolgente trasformazione di un concerto all’aperto in una notte fredda apparve chiaramente: almeno 59 morti, a detta della polizia, e 527 feriti, in conseguenza dei colpi d’arma da fuoco o del fuggi fuggi.
Un unico sparatore installatosi al 32-esimo piano del Mandalay Bay Resort and Casino (1) aveva spaccato con un martello le finestre della suite in cui alloggiava, aveva mirato ad una folla di 22.000 persone ed aveva portato a termine una delle più sanguinose stragi della storia americana. Nella tarda giornata di lunedì la polizia affermava di non aver ancora nessuna idea sul motivo della strage.
La polizia ha detto di aver trovato 23 armi da fuoco nella suite. E, secondo lo sceriffo Joseph Lombardo della polizia di Las Vegas, perquisendo la casa dell’attentatore sono saltate fuori altre 19 armi da fuoco, alcuni esplosivi e migliaia di munizioni. […]”
Fin qui la cronaca del New York Times. Aggiungiamo che lo sparatore, che si è suicidato sul posto, era il pensionato 64-enne Stephen Paddok, senza precedenti penali.
Non si è trattato dell’ISIS, come il moribondo gruppo terrorista dell’Iraq e della Siria ha tentato di accreditare. Si è trattato di lucida insensata follia tutta americana.
Non serve certamente la pena di morte per prevenire eventi del genere. Semmai potrebbe servire una seria limitazione del diritto costituzionale degli Americani di possedere armi personali.
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(1) Si tratta di un famoso albergo di lusso dotato di casinò.
2) CI RIPROVANO CON ROMELL BROOM: LA PENA DI MORTE È SADICA TORTURA
È stata fissata la data di esecuzione per Romell Broom, il detenuto che i boia dell’Ohio non riuscirono ad ammazzare 8 anni fa in due ore di inutili cruenti tentativi di praticargli l’iniezione letale.
Scorrendo il lungo elenco delle esecuzioni capitali programmate in Ohio, ci siamo accorti che per il 17 giugno 2020 è stata fissata l'esecuzione del nero Romell Broom, un detenuto ben conosciuto nel mondo a partire dal 2009 (1)
Ci stupisce che possa avvenire una cosa genere perché Broom entrò nella camera della morte 8 anni fa ed ha già patito tutte le sofferenze fisiche e psichiche a cui era stato condannato.
A differenza di quanto avviene per gli altri condannati a morte, la fine della procedura di esecuzione di Romell Broom, iniziata alle 14 del 15 settembre 2009, fu ordinata dal Governatore Ted Strickland invece che da un medico che ne avesse accertato il decesso.
Strickland fu costretto ad intervenire perché il detenuto, che sarebbe dovuto morire entro un quarto d'ora dall'inizio dell'iniezione letale, dopo oltre due ore era ancora vivo anche se fortemente traumatizzato. I due infermieri-boia, un uomo e una donna, e un medico sopraggiunto, che, in 18 tentativi, non erano riusciti a trovare la vena giusta, erano esausti.
L'esecuzione di Romell Broom subì nell'immediato alcuni rinvii e poi gli avvocati difensori - discutendo la liceità costituzionale di sottoporre due volte alla medesima pena il condannato (2) – riuscirono ad adire le varie corti. Ma furono sconfitti (3).
Il 12 dicembre 2016 la Corte Suprema degli Stati, con una votazione 6 a 2, negò alla difesa del condannato la possibilità di argomentare che un’altra esecuzione costituirebbe ‘una punizione crudele e inusuale’ proibita dalla Costituzione USA.
I due giudici più progressisti, Stephen Breyer ed Elena Kagan, sostennero apertamente che l’appello di Broom doveva essere accolto.
La Corte Suprema dell’Ohio aveva in precedenza respinto un analogo ricorso di Romell Broom.
Da notare che nel 2013 è stato pubblicato un libro scritto da Romell Broom, Survivor on Death Row (Sopravvissuto nel braccio della morte), in cui lui dice di essere innocente e chiede l'effettuazione di ulteriori test del DNA che, sostiene, potrebbero scagionarlo dall'accusa di aver violentato ed ucciso una quattordicenne (4). Tra l'altro sono passati ben 33 anni dall'epoca dei fatti ed egli - che ha raggiunto i 61 anni di età - è profondamante cambiato.
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(1) V. nn. 172, 173, 201.
(2) Nella storia moderna della pena di morte negli Usa vi è un solo caso di un detenuto sopravvissuto alla sua esecuzione. Il 3 maggio 1946 il nero Willie Francis, minorenne all’epoca del reato, fu messo sulla sedia elettrica in Louisiana ma non morì. Allora la Corte Suprema federale - sentenziando a stretta maggioranza ( 5 a 4) - si rifiutò di dichiarare ‘crudele ed inusuale’ la ripetizione di un’esecuzione conseguita ad ‘un incidente imprevedibile’. Un anno dopo, il 9 maggio 1947, Willie Francis fu di nuovo messo sulla sedia elettrica e ucciso.
(3) V. nn. 215, 233. (4) V. https://www.smashwords.com/books/view/380992
3) GIUSTIZIA AMERICANA CLEMENTE CON UN NERO FAMOSO: O. J. SIMPSON
O. J. Simpson che nel 1995 fu assolto dall’accusa di aver commesso un duplice omicidio in Florida, il 1° ottobre scorso è uscito da una prigione del Nevada dopo aver scontato solo 9 anni di reclusione dei 33 inflittigli per aver partecipato ad una rapina a mano armata nel 2007.
L’ex star del football americano, ed ex attore, Orenthal James (detto O. J.) Simpson (1) è stato liberato sulla parola da una prigione del Nevada la mattina del 1° ottobre dopo aver passato 9 anni in carcere. Nel 2008 era stato condannato a 33 anni di reclusione per aver partecipato ad una rapina a mano armata avvenuta nel 2007 in un albergo di Las Vegas.
Un funzionario della prigione ha confermato che Simpson è stato rilasciato pochi minuti dopo essere diventato passibile di liberazione.
Orenthal James Simpson nel momento della liberazione
Ci sembra che la giustizia nel caso del nero O. J. Simpson - che era uscito indenne da un processo per duplice omicidio a Los Angeles nel 1995 - sia stata assai clemente.
Ricordiamo che O. J. Simpson – difeso dai migliori avvocati statunitensi - uscì indenne dal processo subìto per l’uccisione della moglie separata, la bianca Nicole Brown e del di lei amante, Ronald Goldman (2). I due furono accoltellati il 12 giugno 1994 a Los Angeles e O. J. Simpson si dette alla fuga ma fu arrestato quattro giorni dopo.
Da notare che, assolto in sede penale, Simpson fu condannato in sede civile a risarcire i parenti degli uccisi.
Brooke Keats, una portavoce dell’Istituto Correzionale del Nevada ha detto che O. J. Simpson ha lasciato il carcere di Lovelock a nordest di Reno alle 12:08’ del 1° ottobre in compagnia di un autista non identificato.
“E’ fuori”, ha detto la Keats aggiungendo che i funzionari del carcere hanno cercato di condurre il rilascio con discrezione, evitando l’attenzione da parte del pubblico e dei media.
Non ci sono stati incidenti, nessuno lo ha seguito, tutto si è svolto proprio come avevamo sperato per la sicurezza pubblica” ha affermato Keats.
Brooke Keast ha dichiarato di non avere informazioni sulla destinazione di Simpson. "Non so dove stia andando. Ad essere onesti, non lo voglio sapere”, ha detto.
L'avvocato di Simpson, Malcolm LaVergne, intervistato prima del rilascio del suo cliente, non ha rivelato alcunché, ma ha detto che Simpson era “euforico” di lasciare la prigione: “Posso dire che dalla sua voce al telefono la notte scorsa si capiva che non vedeva l’ora di essere libero e di riabbracciare i familiari fuori dal carcere”.
Si pensa che la destinazione del prigioniero appena liberato fosse la Florida. A questo proposito ci sono state vibrate proteste da parte della Procuratrice Generale di quello stato, Pam Bondi.
I funzionari del Dipartimento di Giustizia della Florida hanno affermato di non aver ricevuto alcun documento riguardante gli spostamenti di Simpson. Pam Bondi, ha detto di non volerlo nel suo stato.
La Bondi ha scritto una lettera di tre pagine al Dipartimento di Giustizia chiedendo di respingere qualsiasi richiesta di Simpson di risiedere in Florida.
"I cittadini della Florida sono ben consapevoli del passato del Signor Simpson, della sua indifferenza per la vita altrui” e “degli atti disgustosi per di cui egli è stato trovato colpevole in sede civile”. Ella ha scritto. “Il nostro stato non deve diventare un circolo sportivo per questo criminale”. (Pupa)
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(1) Qui si può trovare una dettagliata biografia di O. J. Simpson: www.biography.com/people/oj-simpson-9484729#!
(2) L’accusa, forse per non osare troppo, decise di non chiedere la pena di morte per O. J. Simpson ma l’ergastolo senza possibilità di liberazione.
4 ) PASSATA LA PROPOSITION 66: RIAVVIERÀ LA PENA DI MORTE IN CALIFORNIA?
Un anno fa in California vinse di misura la Proposition 66 , un referendum teso a rimettere in moto la macchina delle esecuzioni ferma da 10 anni. L’implementazione delle norme contenute nel referedum fu subito bloccata dalla Corte Suprema dello stato. Il 24 agosto la medesima Corte Suprema ha confermato la validità di buona parte della Proposition 66 ma con tutto ciò speriamo che la ripresa delle esecuzioni in California non avvenga in tempi brevi – o non avvenga affatto.
L’ 8 novembre 2016 in California vinse di misura il referendum, denominato Proposition 66, teso a rimettere in moto la macchina della pena di morte ferma dal 2006, mentre il referendum opposto (Proposition 62) sull’abolizione della pena capitale perse per poco (1)
La vittoria della Proposition 66 però non ebbe effetti pratici perché fu subito messa in mora dalla Corte Suprema della California che ne contestò molteplici aspetti, soprattutto l’imposizione di un termine di 5 anni per la conclusione degli appelli contro le sentenze capitali. (2)
Il 6 giugno scorso vi sono stati gli interventi pro e contro la Proposition 66 e il 24 agosto è finito il periodo di incertezza: la Corte Suprema della California ha confermato in buona parte la validità della Proposition 66 pur stabilendo che essa stessa Corte non può essere forzata ad affrettarsi nei casi capitali: le parti della Proposition 66 che “sembrano imporre rigide scadenze per la conclusione dei procedimenti giudiziari, devono essere intese come esortative e non tassative”. Altrimenti, come era apparso subito, la Corte Suprema della California si sarebbe dovuta occupare affannosamente soltanto di casi capitali.
Su alcuni punti la Corte Suprema ha votato all’unanimità, su altri a maggioranza. In particolare vi è stato dissenso sull’interpretazione elastica della scadenza dei 5 anni per la conclusione degli appelli.
Molti esperti opinano che, pur così emendata, la Proposition 66 rimane assai confusa e non riuscirà a sveltire più di tanto i processi capitali. Ciò soprattutto per quanto concerne la designazione forzata degli avvocati difensori per gli imputati non abbienti in essa prevista.
Oltre a ciò rimane in piedi l’ordine di una corte federale di non procedere con le esecuzioni fino a che non sia stata risolta un’annosa disputa su chi debba scegliere i farmaci da impiegare per le iniezioni letali.
Attualmente ci sono più di 740 detenuti nel braccio della morte della California, per 15 dei quali si è esaurito l’iter degli appelli.
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(1) V. n. 232
(2) V. nn. 234, 239
5) IRAQ: PROCESSI SOMMARI PER MIGLIAIA DI SOSPETTI APPARTENENTI ALL’ISIS
L’ISIS ha compiuto – e compie ancora - stragi orrende ed insensate in Iraq, in Siria e nei paesi occidentali, ma ora migliaia di membri dello Stato Islamico in disgregazione vengono giudicati in maniera sommaria in Iraq e frequentemente condannati a morte.
Dopo la disfatta dell’ISIS (1) nel nord dell’Iraq nell’ottobre del 2016, sono state arrestate oltre 3000 persone sospette di terrorismo.
Queste persone vengono processate sommariamente. Si tengono una cinquantina di udienze ogni giorno in due tribunali della città di Qaraqosh. Le condanne a morte fioccano.
Attivisti per i diritti umani hanno denunciato tutto ciò, ma le autorità irachene affermano che i processi sono necessari per il rispristino della legge e dell’ordine.
La giornalista della BBC Yolande Knell è stata ammessa ad assistere ad alcuni di tali “processi”. Riportiamo qui di seguito due sue testimonianze pubblicate il 2 settembre scorso.
Un giovane uomo che indossa una logora divisa marrone sta in piedi davanti a tre giudici vestiti di nero all’interno di una piccola aula di tribunale, ed è agitatissimo. È accusato di aver combattuto per il cosiddetto Stato Islamico (IS). Dopo aver bevuto un po’ d’acqua, conferma di chiamarsi Abdullah Hussein. “La sentenza della corte è stata presa secondo gli articoli 2 e 3 della Legge Antiterrorismo del 2005”, dichiara il giudice. ‘Morte per impiccagione’. A quel punto Hussein, che come molti altri è stato catturato sulla linea del fronte di Mosul, scoppia in pianto.
Un altro giovane, il 21-enne Khalil Hamada, dice di aver aderito volontariamente allo Stato Islamico, prestando giuramento di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi e al Califfato, ma afferma di essere stato utilizzato solo come cuoco, pur ammettendo di aver fatto parte di un picchetto di guardia di 6 uomini armati di kalashnikov. Anche lui viene condannato a morte. Gli viene detto che potrà fare appello ad una corte superiore a Baghdad, ma dalla sua espressione si capisce che questo ragazzo è già rassegnato al suo destino.
L’associazione umanitaria HRW (Human Rights Watch) provò che nel corso della battaglia di Mosul nel nord dell’Iraq (2) soldati iracheni ‘giustiziavano’ sul posto membri dello Stato Islamico invece di arrestarli. Uomini e ragazzi in fuga dalla città venivano maltrattati, torturati e uccisi. Adesso la stessa organizzazione dichiara di avere serie ‘preoccupazioni’ sulla qualità della difesa nei processi di Qaraqosh. Ma il Giudice Salam Nouri – presidente del tribunale – sostiene che la sua corte agisce in modo professionale e svolge un compito importante. “Manda il messaggio che le corti hanno il massimo potere e che il governo iraniano ha ripreso il controllo della situazione”, ha dichiarato a Yolande Knell.
Il giudice Younis Jameeli ricorda che lo Stato Islamico aveva preso di mira il sistema giudiziario di Mosul e che 15 suoi colleghi erano stati uccisi: “Tutti noi abbiamo perso dei familiari e le nostre case sono state distrutte, ma quando un sospettato viene portato davanti a noi, lo trattiamo secondo la legge.” Quando la giornalista gli chiede che prove abbia contro questi imputati, lui dice ammiccando: “Sa che lo Stato Islamico ci sta aiutando a incriminarli?” Prende un fascicolo di tabulati dello Stato Islamico in cui sono riportati in modo sistematico i dati di 196 suoi membri. Vi compaiono di ciascuno il nome completo e l’indirizzo, attività lavorativa e la foto tessera.
Alcuni cittadini iracheni sono seriamente preoccupati che i membri della Jihad riescano a confondersi col resto della popolazione e diano vita a nuove cellule terroristiche, mentre altri affermano che i propri cari sono stati arrestati ingiustamente. Un padre dice che suo figlio era un ragazzo normalissimo che vendeva verdura andando in giro con un carretto, e non faceva parte dell’IS. Parlando con queste persone, ci capisce benissimo che è molto difficile discriminare tra i collaborazionisti dello Stato Islamico e coloro che cercarono semplicemente di sopravvivere.
Al termine delle udienze della giornata, le guardie scortano una colonna di prigionieri, che lasciano a capo chino il tribunale e vengono condotti in carcere. Le strade sono quasi deserte. The anni fa decine di migliaia di residenti fuggirono da Qaraqosh, città prevalentemente cristiana, e pochissimi sono ritornati. Adesso questo luogo, con le sue chiese dissacrate, porta la testimonianza della barbarie dell’IS e di quanto sarà difficile per gli Iracheni ricostruire qui le loro vite. (Grazia)
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(1) La sigla ISIS sta per "Stato Islamico dell'Iraq e della Siria". All'incirca lo stesso significato hanno gli acronimi IS (Stato Islamico), ISIL (Stato Islamico dell'Iraq e del Levante) e Daesh. L’ISIS - che si definisce Califfato islamico – si è radicato tra l’Iraq e la Siria ma, soprattutto dopo la sconfitta in Iraq, compie attentati in giro per il mondo. Sull’ISIS vedi nn.: 217, Notizirio; 217; 219 Notiziario; 220, tre articoli più uno nel Notiziario; 226 due art. nel Notizirio; 227, “Amnesty sul quinquennio…”, “Isis a Bruxelles…”; 232, tre articoli nel Notiziario; 236, Notiziario; 237, Notiziario. All’ISIS vengono attribute migliaia di omicidi o esecuzioni sommarie - v. ad es. n. 226, Notiziario.
(2) Dopo la perdita di Mosul in Iraq, l’ISIS elesse sua capitale la città di al-Raqqa in Siria. Ed ora anche Raqqa, assediata da forze curde appoggiate dagli occidentali, sta per cadere.
6) L’ONU DENUNCIA: IN UN SOLO GIORNO 42 IMPICCATI IN IRAQ
L’Iraq infierisce senza remore sui membri dello Stato Islamico in rotta, suscitando la giusta protesta dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite Zeid Ra'ad Al Hussein.
Il 24 settembre è avvenuta un’esecuzione di massa nella prigione Al Hoot di Nassiriya in Iraq.
Le autorità irachene hanno dichiarato che le 42 persone impiccate erano appartenenti all’ISIL (1) o ad al-Qaeda, ed erano state condannate alla pena capitale a norma delle leggi antiterrorismo per delitti quali il sequestro di persona, l’uccisione di membri delle forze di sicurezza, rapine a mano armata, l’esplosione di ordigni artigianali. Tuttavia non sono state fornite ulteriori informazioni, quali i nomi delle persone impiccate e il loro luogo di residenza, né sono stati precisati i crimini da loro commessi, le date e i luoghi dei processi e degli appelli.
L’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra'ad Al Hussein, ha espresso forti dubbi sulla regolarità dei processi e sulla gravità dei crimini attribuiti ad ogni singolo condannato (2).
“La mancanza di informazioni precise sui casi legali è ulteriore motivo di perplessità”, ha dichiarato Zeid. Negli ultimi due anni il suo ufficio ha chiesto ripetutamente informazioni sull’uso della pena di morte in Iraq ma non ha avuto alcuna risposta né dal governo né dal sistema giudiziario.
L’ufficio per i Diritti Umani dell’ONU ricorda che le autorità irachene ammettano che dei 6.000 detenuti a Nassiriya, ben 1.200 sono condannati a morte.
Zeid Ra'ad Al Hussein ha notato che l’Iraq viola il dettato della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, trattato di cui fa parte da più di 40 anni.
“Esorto l’Iraq a desistere dalla sua politica di procedere ad esecuzioni affrettate o di massa,” ha detto
Zeid, chiedendo al governo iracheno di creare una commissione che sia in grado di fornire raccomandazioni riguardo alle riforme da attuare per avere processi giusti e controlli l’equità di ogni futuro processo capitale. “Io altresì chiedo alle autorità di fermare ogni esecuzione imminente e di stabilire una moratoria sulla pena capitale,” ha concluso Zeid.
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(1) V. n. (1) nell’articolo precedente. (2) V.: http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22166&LangID=E
7) GIÀ CENTO ESECUZIONI QUEST'ANNO IN ARABIA SAUDITA
Anche quest’anno l’Arabia Saudita si classifica tra i paesi con più esecuzioni nel mondo.
Amnesty International in un ampio documento diffuso il 2 ottobre ha reso noto che quello stesso giorno l’Arabia Saudita ha messo a morte un uomo portando a 100 il numero delle esecuzioni nel 2017, di cui 60 compiute negli ultimi tre mesi.
“Dal mese di luglio, il governo dell’Arabia Saudita ha intrapreso un frenetico ciclo di esecuzioni con una media di 5 persone messe a morte ogni settimana. Ciò conferma l’Arabia Saudita nel novero dei paesi con più esecuzioni,” ha dichiarato Lynn Maalouf, Direttrice di Ricerca di Amnesty International per il Medio Oriente. “Se le autorità saudite sono seriamente intenzionate a compiere delle riforme, esse devono stabilire immediatamente una moratoria ufficiale sulle esecuzioni come primo passo verso l’abolizione della pena di morte”, ha aggiunto Maalouf.
Il 40% delle esecuzioni portate a termine quest’anno ha inteso punire reati di droga, reati che non rientrano tra quelli più gravi. L’uso della pena di morte per questi crimini viola la legalità internazionale sui diritti umani.
Secondo Amnesty International le persone vengono spesso condannate a morte solo in base a ‘confessioni’ estratte con la tortura o con altri maltrattamenti, in assenza di una difesa legale, in processi segreti, e non vengono informate sull’andamento dei procedimenti legali a loro carico.
Per esempio – scrive Amnesty – il 13 settembre tale Said al-Sai’ari è stato messo a morte nella città di Najran nel sud-ovest dell’Arabia Saudita. Fu dichiarato colpevole dalla stessa corte che aveva ammesso di non aver abbastanza prove per condannarlo.
“Le autorità saudite hanno usato la pena di morte come mezzo per eliminare il dissenso e la applicano nella minoranze con brutale disprezzo della vita umana. Esse debbono immediatamente annullare tali condanne e assicurare che tutti i processi siano conformi agli standard internazionali senza ricorso alla pena di morte”, ha detto Lynn Maalouf.
8) ANCORA CONDANNE A MORTE PER BLASFEMIA IN PAKISTAN
In Pakistan ci sono almeno 19 condannati a morte per blasfemia, reato commesso anche via Internet, costoro non vengono messi a morte bensì avvengono decine di linciaggi di persone ritenute blasfeme.
Ritorniamo sulla quasi incredibile questione della pena di morte per blasfemia in Pakistan (1) dopo che il 19 settembre Human Rights Watch ha lanciato un nuovo allarme sulla persecuzione dei non musulmani in Pakistan elencando alcuni casi in cui sono state emesse o minacciate condanne a morte per ‘blasfemia via etere’ (2).
Il 14 settembre, una corte di Gujrat, nella provincia pakistana del Punjab, ha condannato a morte tale Nadeem James, un trentacinquenne cristiano, per aver inviato a un amico tramite WhatsApp una poesia ‘offensiva per l'Islam’.
James non è l'unica persona in Pakistan recentemente condannata a morte per un post sui social-media.
A giugno, Taimoor Raza, di 30 anni, è stato condannato a morte da un tribunale anti-terrorismo nel distretto di Bahawalpur perché sospettato di aver scritto testi blasfemi mentre era in chat su Facebook… con qualcuno che si è rivelato essere un agente dell’anti-terrorismo a caccia di facili prede.
Nell'aprile 2014, una coppia cristiana è stata condannata a morte per aver inviato un messaggio di testo blasfemo a un religioso locale.
Junaid Hafeez, un professore universitario, è stato imprigionato per quasi quattro anni, fronteggiando una possibile condanna a morte, accusato di condividere materiale blasfemo online. L'avvocato di Hafeez è stato assassinato nel maggio 2014.
Aggiungiamo che il caso del 18-enne Asif Massih, arrestato il 12 agosto nel Punjab con l’accusa di aver bruciato una copia del Corano, con tutta probabilità diventerà un caso capitale. Il ragazzo per ora è al sicuro in prigione dopo aver rischiato quel giorno il linciaggio da parte di una folla inferocita
Le condanne per la violazione della leggi che puniscono la blasfemia in Pakistan non sono una novità. Tuttavia vi è una pericolosa escalation nel ricorso a tali leggi.
Nel marzo scorso, l’allora Ministro degli Interni definì i blasfemi "nemici dell'umanità” e manifestò l'intenzione di portare la questione di bestemmiatori alla "logica conclusione". Anche se in questi anni nessuno è stato ancora giustiziato per blasfemia, il codice penale del Pakistan rende obbligatoria la pena di morte per i rei di tale crimine. Almeno 19 persone blasfeme rimangono nel braccio della morte.
Dal 1990, almeno 60 persone accusate di blasfemia sono state linciate.
Le minoranze sono significativamente sovra-rappresentate tra quanti affrontano accuse di blasfemia. (Pupa)
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(1) Sulla questione della pena di morte per blasfemia in Pakistan – e in particolare sul famoso caso di Aasia Bibi - v. ad es. nn. 208, 214, 217, 220, 223, 230. (2) V. anche http://www.aljazeera.com/news/2017/09/pakistan-sentences-christian-man-death-blasphemy-170916091856674.html
9) DUE GIOVANI ASSASSINE AGLI ORDINI DEL DITTATORE NORD COREANO
Il folle, intelligente e pericolosissimo dittatore nordcoreamo Kim Jong-un ha fatto uccidere il suo fratellastro Kim Jong-nam da due giovani donne da lui appositamente inviate in Malaysia. Ora la vietnamita Doan Thi Huong e l’indonesiana Siti Aisyah rischiano la pena di morte.
Doan Thi Huong
Siti Aisyah
Il 2 ottobre due giovani donne sono comparse davanti ad una corte a Shah Alam nei pressi di Kuala Lumpur in Malaysia accusate di aver ucciso Kim Jong-nam, fratellastro del dittatore nord coreano Kim Jong-un. Rischiano la pena di morte.
Sono arrivate protette da giubbotti antiproiettili, ammanettate e a capo chino. Hanno rapidamente attraversato lo stuolo di fotografi e di giornalisti in attesa.
All’inizio del processo, che si prevede di lunga durata con l’escussione di molti testimoni, la vietnamita Doan Thi Huong di 28 anni e l’indonesiana Siti Aisyah di 25 anni hanno riposto al giudice comunicando attraverso un interprete: si sono dichiarate non colpevoli dell’uccisione di Kim Jong-nam avvenuta il 13 febbraio scorso nell’aeroporto di Kuala Lumpur (1).
Esse sostengono di essere state ingannate da agenti nord coreani che avrebbero chiesto loro di recitare una scenetta per una TV spruzzando una sostanza innocua sulla faccia di Kim Jong-nam.
L’accusa sostiene invece che le due donne fossero consapevoli del loro gesto e pienamente d’accordo con agenti nordcoreani datisi alla fuga.
Sta di fatto che Kim Jong-nam, che aspettava di imbarcarsi, fu irrorato di VX, un terribile gas nervino, considerato arma di distruzione di massa dalle Nazioni Unite. E morì poco dopo. Inutili i tentativi di rianimazione in ospedale.
Ormai è chiaro che il mandante dell’assassinio fu il presidente della Corea del Nord e che parteciparono all’ardita azione, oltre alle due donne, almeno altre quattro persone, agenti nord coreani, che se ne ritornarono tranquillamente in patria.
L’assassinio di Kim Jong-nam ha causato la completa rottura dei rapporti diplomatici tra Malaysia e Corea del Nord – in precedenza ottimi - con l’espulsione dei rispettivi ambasciatori.
Sono state fatte molte ipotesi ma riteniamo sia inutile arrovellarsi per capire i motivi del mortale dissidio tra i due fratellastri. Può darsi che l’attuale dittatore vedesse nel suo congiunto una qualche minaccia al proprio potere. Certamente non ha avuto mai rispetto per la vita dei suoi avversari o presunti tali (2).
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(1) V. n. 235 Notiziario.
(2) Sulla furia omicida di Kim Jong-un v. n. 238, Notiziario; n. 239, Notiziario, e i numerosi articoli ivi citati.
10) NOTIZIARIO
Florida. Aramis Ayala nell’elenco dei più noti afro-americani. L’accusatrice della Florida Aramis Donell Ayala è stata inclusa nella lista dei 100 più importanti afro-americani negli Usa nel 2017. La Ayala è stata messa all’86-esimo posto da The Root, una rivista online che applica un complicato algoritmo per misurare la notorietà assunta dalle persone. La sua collocazione consegue sia dall’essere stata la prima donna nera eletta state attorney in Florida nelle elezioni dello scorso 8 novembre, sia dall’aver dichiarato di non voler perseguire in nessun caso le esecuzioni capitali. La sua notorietà deriva inoltre da uno spiacevole fatto di cronaca: nel mese di luglio fu fermata dalla polizia per un controllo mentre guidava e scaraventata fuori dall’auto senza troppi complimenti da due poliziotti bianchi. Come sappiamo, Aramis Ayala ha perduto scontrandosi sulla pena di morte con il Governatore Rick Scott (v. n. 240)
Iran. 50 detenuti costretti ad assistere all’impiccagione di un compagno di prigionia. Iran Human Rights ha reso noto che il 42-enne Shahin Parsajoo è stato impiccato il 18 settembre nella prigione centrale di Ardabil in Iran alla presenza di una cinquantina di detenuti costretti ad assistere. Il meschino era stato condannato a morte per aver commesso atti di sodomia nella prigione in cui era rinchiuso per furto fin dal 2012.
Italia. Ipocrita opportunistico rinvio del riconoscimento dello ius soli. In un Comuncato esemplare di Amesty Italia del 28 settembre, leggiamo: “Da giorni parlamentari e ministri si esprimono sull’inopportunità di procedere, in questa Legislatura, alla discussione sulla proposta di riforma della cittadinanza. Assistiamo con profondo rammarico a questo cedimento rispetto all’esigenza, davvero non più rinviabile, di riconoscere il diritto di avere la cittadinanza del paese i
e di cui si apprendono lingua e cultura”, ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia. “Non è la prima volta che, su questioni di diritti umani, le istituzioni italiane invece di assumere iniziative coraggiose, tentennano, adducendo di volta in volta ragioni legate a vantaggi e svantaggi elettorali o alla presunta impopolarità dell’argomento in discussione”, ha aggiunto Marchesi. “Non c’è mai un momento sbagliato quando sono in gioco i diritti umani. Di sbagliato, è il ragionamento basato sulla convenienza politica”, ha concluso Marchesi.
Virginia. Quasi svuotato il braccio della morte. Attualmente nel braccio della morte della Virginia sono rimasti soltanto 4 detenuti, dopo le esecuzioni di Ricky Gray e William Morva avvenute rispettivamente il 18 gennaio e il 6 luglio di quest’anno. Non vi sono stati nuovi ingressi negli ultimi 5 anni. Eppure la Virginia è seconda solo al Texas per numero di esecuzioni portate a termine dopo il ripristino della pena capitale negli USA. Nel Texas di esecuzioni se ne sono avute 543, in Virginia 113, in Oklahoma 112, in Florida 93, nel Missouri 88, in Georgia 70, in Alabama 60 (seguono altri stati con un numero minore di esecuzioni).
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 3 ottobre 2017