FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 252 - Settembre 2018
Zeinab Sekaanvand impiccata in Iran
SOMMARIO:
1) 26 settembre: il Texas uccide Troy Clark
2) 27 settembre: il Texas uccide Daniel Acker
3) È morto Clarence Brandley ex condannato a morte in Texas
4) Attivissimo Graves uscito dal braccio della morte del Texas
5) Sununu vanifica ancora una volta l’abolizione in New Hampshire
6) Matrimonio nel braccio della morte dell’Oklahoma
7) L’esecuzione di Billy Irick in Tennessee è stata una tortura
8) In un processo di massa in Egitto emesse 75 sentenze capitali
9) Condannato a morte in Iraq il vice capo dell’ISIS
10) Impiccata in Iran Zeinab Sekaanvand
11) Impiccato in Iran Ahmadnejad prigioniero politico curdo
12) Pena di morte: una punizione largamente accettata in Giappone
13) Assemblea Generale dell’ONU: il Vaticano chiede l’abolizione
14) Aung San Suu Kyi indegna del Premio Nobel per la pace
15) Notiziario: Egitto, Filippine, Florida, Indiana, Pakistan
1) 26 SETTEMBRE: IL TEXAS UCCIDE TROY CLARK
Inutili le richieste di clemenza di note personalità statunitensi e l’impegno in extremis del famoso avvocato David Dow: il Texas ha messo a morte come programmato Troy Clark che fu condannato alla pena capitale in base ad una testimonianza interessata, tutt’altro che chiara e univoca.
Il 51-enne Troy Clark è stato messo a morte in Texas il 26 settembre scorso. La sua esecuzione è stata la prima di due che il Texas ha effettuato in due giorni consecutivi.
Clark era accusato dell'omicidio di Christina Muse, una sua coabitante, avvenuto nel 1998. La colpevolezza di Troy era però dubbia, in quanto basata sulla testimonianza della sua donna di allora, Tory Bush, che era stata accusata di complicità nell'omicidio. La donna, in cambio di uno sconto di pena (a 30 anni di carcere, poi ridotti a 20… recentemente è stata scarcerata), testimoniò che Troy, lei stessa e la vittima spacciavano droga. Secondo le affermazioni della Bush, Troy temeva che Christina Muse li avrebbe traditi e consegnati alla polizia. Allora la colpì con una pistola taser, facendole perdere i sensi, poi le legò mani e piedi con nastro adesivo, la uccise affogandola nella vasca da bagno e infine occultò il cadavere in un barile pieno di cemento. Alcuni conoscenti di Clark dichiararono al processo che, il giorno della scomparsa di Christina, Clark aveva chiesto loro di aiutarlo a caricare un pesante barile su un furgone e ad abbandonarlo in un luogo isolato. Quando la polizia rinvenne il corpo della Muse, qualche mese dopo, trovò pure, in una fossa biologica nelle vicinanze, il cadavere di un uomo. L'accusa sostenne che Clark aveva ucciso anche lui.
Gli avvocati di Troy Clark hanno cercato di ottenere una commutazione della pena capitale, in quanto nessuna prova fisica lo collegava al crimine e alle giurie fu tenuto nascosto che egli soffriva della sindrome alcoolico fetale (1), senza contare che la Bush nel corso degli anni ritrattò e modificò più volte la sua testimonianza, arrivando persino a dichiarare di essere stata lei l’autrice del crimine e che in realtà Clark non era neppure in casa il giorno dell’omicidio e dopo aveva solo voluto aiutarla e proteggerla per amore.
Il famoso avvocato David Dow, ultimo difensore di Clark, ha scritto nella richiesta di clemenza inoltrata in extremis alla Commissione per le Grazie del Texas: “La condanna a morte di Clark è il prodotto della testimonianza totalmente inaffidabile di una coimputata che fu incentivata a rilasciarla e da una difesa terribilmente carente al processo iniziale”.
Alcune personalità, tra cui l’attrice Susan Sarandon e suor Helen Prejean, hanno chiesto la grazia per Clark. Suor Helen ha lanciato un messaggio in internet, asserendo: “Il Texas ha deciso di uccidere Troy Clark mercoledì prossimo ma ci sono alcuni seri problemi legati al suo caso. Troy ha sempre dichiarato di essere innocente. Qualcun altro ha rilasciato una confessione dettagliata e poi ha completamente modificato il suo racconto in cambio di una riduzione della pena”.
La richiesta di Dow e le dichiarazioni delle personalità non sono però servite: la Commissione per le Grazie ha votato all’unanimità per respingere la richiesta di clemenza e il Governatore ha permesso che l’esecuzione avesse luogo.
Clark, legato sul lettino e con gli aghi in vena, ha ridacchiato e si è rivolto ad alcuni amici presenti nella sala dei testimoni, dicendo di voler loro bene e che tutto andava bene. “Non sono la persona che ha ucciso Christina, ma, ok, va bene lo stesso, purché questo vi renda felici”.
Mentre il pentobarbitale fluiva nelle sue vene, Troy si è messo a ridere e ha detto di sentirlo bruciare. Poi ha cominciato ad ansimare e a russare. 21 minuti più tardi è stato dichiarato morto.
Tra i testimoni dell'esecuzione, oltre ai parenti di Troy Clark c’era anche la zia di Christina, Margaret Bouman. Costei ha dichiarato ai giornalisti che assistere all’esecuzione è stata un’esperienza dura: “Sono cristiana e accettare la pena di morte è stato molto difficile per me, ma ritengo anche che sia importante rispettare la legge”. Ha aggiunto che il comportamento di Clark durante l’esecuzione è stato “inquietante”. (Grazia)
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(1) Si tratta di una grave patologia del feto prodotta dal consumo di alcool da parte della madre durante la gravidanza.
2) 27 SETTEMBRE: IL TEXAS UCCIDE DANIEL ACKER
Subito dopo Troy Clark il Texas ha ucciso Daniel Acker riconosciuto colpevole dell’uccisione della sua donna, Marquetta George. Su ciò che avvenne esattamente tra Daniel e Marquetta 18 anni fa e sulle precise responsabilità del condannato rimangono vari dubbi.
Senza neppur lasciare che il lettino “si raffreddasse” nella camera della morte dopo l’esecuzione di Troy Clark, lo stato del Texas l’ha riutilizzato 24 ore dopo per uccidere il 46-enne Daniel Acker.
Acker era stato condannato a morte con l'accusa di aver ucciso nel 2000, scaraventandola dal suo furgone in corsa, la sua donna, Marquetta George di 32 anni, in un impeto di gelosia. Il corpo della ragazza fu trovato sul ciglio della strada a diversi chilometri di distanza dalla loro casa, dopo che alcuni vicini avevano visto Daniel afferrarla e caricarla a forza sul suo furgone.
Rimangono però dei dubbi su ciò che accadde esattamente da quando Acker rapì la donna a quando il suo cadavere fu rinvenuto coperto di ferite. Al processo l’accusa sostenne che Daniel strangolò Marquetta George mentre era ancora sul furgone, uccidendola o quasi, poi la gettò dal veicolo e la travolse. Durante un successivo appello, però, un perito assunto dall’accusa affermò che le ferite riportate dalla donna non avvaloravano la teoria di uno strangolamento e quindi l’accusa mutò la sua tesi dicendo che Acker aveva gettato la ragazza fuori dal camion e poi l’aveva volontariamente travolta. Il giudice scrisse che la ragazza era incosciente o resa incapace di difendersi quando fu gettata dal veicolo e che, anche se non fu strangolata, come sostenuto nell’arringa finale al primo processo, l’omicidio sussisteva.
Richard Ellis, ultimo avvocato difensore di Daniel Acker, aveva dichiarato in un documento diretto alla Corte criminale d’Appello del Texas: “Ci sono adesso seri dubbi che si tratti davvero di omicidio. Il Sig. Acker fu processato e condannato sulla base della teoria che avesse rapito la vittima Marquetta George e poi l’avesse strangolata mentre guidava, una teoria che adesso lo Stato ha sconfessato a livello federale”.
Immediatamente dopo la morte della George, Acker si era consegnato alla giustizia, fermando un’autopattuglia che passava vicino a casa sua. Aveva ammesso il rapimento di Marquetta George esprimendo rimorso, ma aveva affermato fin dall’inizio che la sua morte era stata “un tragico incidente”.
Al processo Acker sostenne di aver costretto la ragazza a salire sul camion con la sola intenzione di portarla dal suo amante e sottoporli a un confronto, e che invece la ragazza era balzata fuori dal veicolo in corsa ed era rimasta travolta accidentalmente. Non fu creduto e la condanna a morte fu confermata in tutti gli appelli.
Anche per Daniel Acker la Commissione per le Grazie ha votato in extremis all’unanimità per negare clemenza.
Daniel Acker non è stato confortato prima dell’esecuzione dalla visita di parenti o amici. Solo il fratello di Marquetta George ha assistito alla sua morte. Daniel non ha fatto nessuna dichiarazione finale sul lettino dell'esecuzione. Ha chiuso gli occhi, ha respirato rumorosamente quando il veleno ha iniziato a far effetto ed è stato dichiarato morto 18 minuti dopo l’inizio dell'iniezione letale. (Grazia)
3) È MORTO CLARENCE BRANDLEY EX CONDANNATO A MORTE IN TEXAS
Il nero Clarence Brandley, fu riconosciuto innocente e liberato dal braccio della morte del Texas, dopo aver sfiorato l’esecuzione. Ora è morto di malattia in ospedale… guadagnando 30 anni di vita.
Il Texas però non ha fatto in tempo a concedergli un indennizzo per l’ingiusta condanna del 1981.
Clarence Brandley fu condannato a morte in Texas nel 1981 dopo essere stato accusato dello stupro e dell’uccisione della studentessa 16-enne Cheryl Fergeson avvenuta nel 1980.
Tra i 5 bidelli sospettati dell’uccisione della Fergeson, solo Brandley era nero. Ciò bastò a concentrare i sospetti su di lui. “Dal momento che tu sei un negro, sei stato scelto tu”, disse una guardia a Brandley. Dopo che un primo processo fu annullato, in un secondo processo Clarence Brandley fu condannato a morte da una giuria composta solo da bianchi.
Negli oltre nove anni passati nel braccio della morte, una volta il condannato giunse vicino all’esecuzione, sospesa con qualche giorno di anticipo sulla data stabilita.
Cadute tutte le prove a carico, anche per merito dei suoi avvocati e dei suoi sostenitori, Clarence Brandley fu messo in libertà nel 1990, diventando così il terzo condannato a morte ad uscire vivo dall’affollato braccio della morte del Texas.
Egli trovò una sistemazione, fondò una chiesa, fece vari lavoretti e… invecchiò.
Il 2 settembre scorso, Clarence Brandley è morto di morte naturale ricoverato in ospedale per una polmonite. Aveva 66 anni. Possiamo dire che ha guadagnato 30 anni di vita.
Ma per il Texas è morto troppo presto, prima che si concludesse l’iter, cominciato alcuni mesi fa, per riconoscerlo ufficialmente innocente e corrispondergli un indennizzo in denaro.
"La sua fu una delle prime esonerazioni. - ha detto Robert Dunham, direttore del Death Penalty Information Center." Si era nel momento in cui cominciava ad esser chiaro che se c'è la pena di morte vi è un rischio significativo di mandare degli innocenti nel braccio della morte."
La vicenda di Clarence Brandley ebbe una certa risonanza, ad essa si ispirarono un libro e un film. Il clamore intorno al suo caso aiutò a gettare luce sul problema delle condanne capitali errate.
4) ATTIVISSIMO GRAVES USCITO DAL BRACCIO DELLA MORTE DEL TEXAS
Anthony Graves, condannato a morte in Texas, riconosciuto innocente e liberato nel 2010, è diventato un infaticabile attivista per la riforma del sistema giudiziario. A differenza di Clarence Brandley ha avuto un congruo indennizzo dallo stato per la sua ingiusta condanna: 1.400.000 dollari.
Clarence Brandley, di cui all'articolo precedente, fu il 3° condannato ad uscire vivo dal braccio della morte del Texas. Ad oggi gli esonerati dal braccio della morte del Texas sono in tutto 13. Il 12° esonerato, forse il più fortunato, fu Anthony Graves che fu liberato nel 2010 (1).
Graves è stato carcerato per 18 anni (6.640 giorni) per 12 dei quali nel braccio della morte.
Ora Graves tiene conferenze sulla pena capitale e sulla propria vicenda personale. Il 12 settembre è andato a parlare in un'università di San Antonio nel Texas (University of the Incarnate Word).
Roger Barnes, professore di sociologia in detta università, gli ha domandato. "Come hai fatto a sopravvivere ad un simile calvario?”, riferendosi alla detenzione in isolamento, alla disperazione e alla depressione cui sono soggetti i condannati a morte.
Anthony Graves non solo è sopravvissuto al suo calvario ma è addirittura diventato un attivista per la riforma del sistema giudiziario. Ha anche scritto un libro di memorie, uscito all'inizio di quest'anno con il titolo Infinite hope (Speranza infinita) e il sottotitolo: How Wrongful Conviction, Solitary Con-finement, and 12 Years on Death Row Failed to Kill My Soul (Come una condanna errata, la detenzione in isolamento e 12 anni nel braccio della morte non sono riusciti ad uccidere la mia anima).
Graves dice che dopo il suo arresto, per un po' di giorni per lui fu come vivere al rallentatore. "Era una cosa surreale ma si dimostrò una cosa che sapevo affrontare."
"Divenni cosciente del fatto che potevo farcela, che potevo uscire di lì e combattere per ottenere un migliore sistema di giustizia penale, in modo che in futuro non ci fossero più Anthony Graves."
Graves combatte contro un sistema di giustizia penale che ritiene sia diventato "il peggiore criminale nel nostro paese" e che lo ha fatto molto soffrire.
Ad un certo momento nel 2000 erano stati assegnati al suo caso due avvocati d'ufficio ed era stata fissata per lui la data dell'esecuzione. In quei giorni - ha scritto in Infinite hope, - era come se "la pistola proverbiale fosse stata puntata alla mia testa. Ma non era come nel proverbio, quello che mi accadeva era molto reale e disgustoso... tutto quello che potevo udire era una voce che diceva: Anthony Graves, hai un appuntamento con la morte in Texas".
Quando finalmente emersero le prove che esonerarono Graves, ed egli fu liberato, il suo accusatore Cherles Sebasta fu giudicato reo di numerosi atti di scorrettezza procedurale, avendo alterato le prove, fuorviato i giurati, e sollecitato false testimonianze. (2)
Occorre dire che, a differenza di Clarence Brandley, Anthony Graves ha ottenuto un risarcimento dallo stato del Texas, pari a 1,4 milioni di dollari.
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(1) Sulla vicenda di Anthony Graves v. ad es. v. n. 189, nonché nn. 98, 100, 122, 144, 173, 184, 190.
(2) Cherles Sebasta nel 2015, dopo essere andato in pensione, è stato espulso dall’Ordine degli avvocati del Texas per le scorrettezze commesse (v. n. 222, Notiziario)
5) SUNUNU VANIFICA ANCORA UNA VOLTA L’ABOLIZIONE IN NEW HAMPSHIRE
Il Governatore del New Hampshire, Chris Sununu, è riuscito, impegnandosi al massimo, ad evitare l’abolizione della pena di morte nel suo stato, unico stato del nord-est che ancora la mantiene.
In primavera il Parlamento del New Hampshire ha votato una legge che prevedeva l’abolizione della pena di morte lasciando come pena massima nello stato l’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola. (1)
Alla Camera dei Rappresentanti la legge è stata votata il 26 aprile con 223 voti favorevoli e 116 contrari. La legge proveniva dal Senato dove il 16 marzo era stata approvata con 14 voti contro 10. (2)
Dunque la legge è passata con una larga maggioranza ma non con una maggioranza dei 2/3 sia al Senato che alla Camera, cosa che avrebbe impedito al Governatore Chris Sununu di apporre il suo veto.
Il veto di Sununu è arrivato il 22 giugno u. s.
Il Parlamento non si è dato per vinto e ha di nuovo votato sulla legge abolizionista il 13 settembre. Purtroppo in tale data si è ripetuta in Senato la votazione di 14 favorevoli all’abolizione e 10 contrari, cosa che non ha permesso di evitare il veto governatoriale.
In New Hampshire la pena di morte è prevista solo per alcuni delitti ritenuti gravissimi: l’uccisione di un poliziotto in servizio o di un giudice, l’omicidio su commissione, l’omicidio durante una violenza carnale, l’omicidio nel corso di reati di droga, l’omicidio durante una violazione di domicilio, l’omicidio commesso da un condannato all’ergastolo senza possibilità di liberazione sulla parola.
Il New Hampshire (unico stato del nord-est degli USA con la pena capitale) non ha messo a morte nessuno dopo il 1939 ed ha un solo condannato a morte, tale Michael Addison.
In questa situazione è sconcertante l’ostinazione del Governatore Chris Sununu che ha dichiarato: “Abolire la pena di morte in New Hampshire manderebbe un segnale sbagliato a coloro che commettono i peggiori delitti dentro i nostri confini: il New Hampshire è un luogo in cui è assicurata clemenza a chi commette crimini di gravità inimmaginabile”
Kristina Roth di Amnesty International USA ha dichiarato: “La pena di morte è la peggiore negazione dei diritti umani. Essa è una punizione crudele, inumana e degradante. Ponendo il veto a questa legge, che ha un largo sostegno sia nella maggioranza che nell’opposizione, il Governatore difende una pratica che non ha nessun legittimo interesse pubblico, che non è un deterrente per il crimine e non aumenta la sicurezza. Amnesty International e i cittadini del New Hampshire che sostengono l’illegittimità della pena di morte, continueranno la loro lotta per abolire tale pena nel proprio stato.”
È già stata programmata per l’anno prossimo una nuova presentazione della legge abolizionista. Speriamo che sia la volta buona.
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(1) V. nn. 248, 250.
(2) Era la terza volta che si votava una tale legge. In precedenza il Senato, votando 12 a 12 la legge abolizionista, aveva vanificato l'abolizione sia nel 2014 che nel 2016.
Richard e Leigha
6) MATRIMONIO NEL BRACCIO DELLA MORTE DELL’OKLAHOMA
Richard Glossip, un condannato a morte dell’Oklahoma molto noto, ha sposato una giovanissima sua corrispondente. Per l’occasione gli è stata concessa una ‘visita a contatto’ di 30 minuti.
Abbiamo scritto molti articoli su Richard Glossip, condannato a morte in Oklahoma, il cui caso è diventato famoso in seguito ad una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. Si tratta della sentenza Glossip V. Gross emessa il 29 giugno 2015 con cui la Corte Suprema, con una decisione presa di stretta misura (5 voti contro 4), affermò che il metodo dell’iniezione letale con l’uso del farmaco midazolam adottato in Oklahoma non costituiva una ‘punizione inumana e degradante’ proibita dalla Costituzione degli Stati Uniti.
Perso il ricorso presso la Corte Suprema, per Glossip è stata fissata la data di esecuzione. Trasferito nella ‘casa della morte’ attigua alla sala attrezzata per l’iniezione letale, terribile è stata per lui l’attesa della morte protrattasi per 50 giorni. L’esecuzione è stata poi sospesa all’ultimo istante il 30 settembre 2015 per un motivo banale (1)
Ora, dopo tre anni arrivano altre notizie su Glossip. Riguardano il suo matrimonio, celebratosi il 27 settembre nel braccio della morte dell’Oklahoma. Glossip ha sposato Leigha Jurasik di 21 anni (34 anni più giovane di lui) di professione ‘apprendista becchina’. In occasione delle nozze è stato concesso agli sposi di rimanere in ‘visita a contatto’ per una mezz’ora, sempre controllati dalle guardie carcerarie. In precedenza Leigha, che si era fidanzata con Glossip nonostante la comprensibile disap-provazione della sua famiglia, aveva potuto visitare il fidanzato solo attraverso un vetro nella stanza dei colloqui .
Per Richard Glossip, ancora vivo per miracolo, che si dichiara innocente, potrebbe essere fissata a breve una nuova data di esecuzione.
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(1) V. nel n. 225: Glossip descrive la tortura dell’attesa nella casa della morte
7) L’ESECUZIONE DI BILLY IRICK IN TENNESSEE È STATA UNA TORTURA
Il protocollo di esecuzione mediante iniezione letale vigente in Tennessee causa terribili sofferenze.
Billy Ray Irick è stato il primo condannato ad essere messo a morte in Tennessee dopo nove anni di moratoria. Prima dell’esecuzione, portata a termine il 9 agosto, si è discusso della possibilità che Irick potesse soffrire molto a causa dei farmaci scelti dal Tennessee per l’iniezione letale. Ma l’ultimo ricorso del condannato era stato respinto a stretta maggioranza dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, provocando una dichiarazione indignata della giudice Sonya Sotomayor (1)
Il 6 settembre u. s. il Dott. David Lubarsky, in un ricorso presentato per gli altri condannati a morte, ha scritto: “[Irick] ha provato una sensazione di strangolamento, di affogare nei suoi stessi fluidi, di soffocare, di essere sepolto vivo, ed ha anche avvertito il bruciore provocato dall’iniezione del cloruro di potassio”.
Lubarsky aveva già testimoniato a luglio, nell’interesse di 32 condannati a morte, dicendo che il midazolam (la prima sostanza che viene iniettata e che dovrebbe addormentare il condannato) non funziona come lo stato vuol far credere: questo farmaco funge sì da sedativo, ma non impedisce di sentire gli effetti degli altri due farmaci che vengono iniettati subito dopo, il bromuro di vecuronio e il cloruro di potassio. Il bromuro di vecuronio è un acido che attacca i tessuti dei polmoni, determinando un’emorragia interna e il soffocamento del condannato nel suo sangue, mentre il cloruro di potassio ferma il cuore, provocando un’ustione chimica.
Nel ricorso si afferma anche che, per l’esecuzione di Irick, il Tennessee non aveva a disposizione una seconda dose di midazolam, come previsto dal protocollo, da usare nel caso si accerti che la prima dose non ha avuto abbastanza effetto. Dopo l’immissione del midazolam, infatti, il direttore del carcere, che è presente nella stanza dell’esecuzione, dovrebbe accertare se il detenuto è davvero incosciente prima di dare il via alla somministrazione degli altri due farmaci. Nel caso di Irick, le sue mani e addirittura le dita erano state fissate al lettino con nastri adesivi, impedendo così i movimenti che possono dimostrare la lucidità del prigioniero.
I testimoni dell’esecuzione di Billy Irick hanno dichiarato che durante la procedura il condannato tossiva, ansimava, e lottava alla ricerca di aria, oltre a sussultare e a tendere le cinghie che lo legavano al lettino.
La giudice di contea Ellen Hobbs Lyle ha ammesso che il dott. Lubarsky e gli altri esperti sono qualificati per stabilire quanto dichiarano, ma ha respinto le loro argomentazioni decidendo di non accogliere le istanze dei detenuti. Ha affermato che il dolore provato durante l’esecuzione, per quanto forte, non dura abbastanza a lungo da essere considerato una tortura anticostituzionale, andando contro quanto aveva dichiarato invece la Giudice della Corte Suprema Sonya Sotomayor ancora prima dell’esecuzione di Irik (1).
Il Tennessee si prepara quindi a uccidere l’11 ottobre un altro condannato, il 63-enne Edmund Zagorksi, nello stesso modo in cui ha ucciso Irik. (Grazia)
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(1) v. n. 251.
8) IN UN PROCESSO DI MASSA IN EGITTO EMESSE 75 SENTENZE CAPITALI
Dopo il colpo di stato compiuto in Egitto dal generale Abd al-Fattah al-Sisi il 3 luglio 2013 vengono emesse a raffica sentenze capitali contro gli oppositori dell’attuale regime.
L’8 settembre sono state condannate a morte 75 persone che presero parte alle manifestazioni di protesta indette dalla Fratellanza Musulmana contro il governo egiziano del generale Abd al-Fattah al-Sisi il 14 agosto 2013 in due piazze del Cairo, piazza Rabaa al-Adawiya e piazza al-Nahda.
Le manifestazioni erano illegali perché - dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013 del generale al-Sisi contro il governo eletto di Mohamed Morsi - la Fratellanza Musulmana era stata posta fuori legge.
Le manifestazioni furono represse nel sangue: 900 manifestanti furono uccisi dalle forze di sicurezza egiziane.
L’accusa durante il processo ha sostenuto che furono uccise dai manifestanti 17 persone, tra le quali 7 poliziotti.
Oltre alle 75 condanne capitali, sono stati inflitti 47 ergastoli e pesanti pene detentive a 612 persone per reati quali l’omicidio, la partecipazione a manifestazioni non autorizzate, l’incitamento a violare la legge e la partecipazione ad atti violenti.
Najia Bounaim, responsabile di Amnesty International per l’Africa del Nord, ha dichiarato: “Tali sentenze sono state emesse in un disgraziato processo di massa contro più di 700 persone, noi deploriamo la sentenza di oggi nei termini più duri. La pena di morte non deve essere contemplata in nessuna circostanza. Il fatto che a nessun poliziotto sia stato chiesto di render conto dell’uccisione di almeno 900 partecipanti alle proteste tenutesi nelle piazze Rabaa e Nahda mostra la giustizia farsa di questi processi. Le autorità egiziane devono vergognarsi. Chiediamo un nuovo processo in una corte imparziale con il pieno rispetto del diritto ad un processo equo, senza ricorso alla pena di morte […]”
Anche da Michelle Bachelet, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, è giunta una ferma condanna delle autorità egiziane. La Bachelet ha espresso la sua ‘estrema preoccupazione’ per la sentenza che, se verrà eseguita, produrrà “un immensa e irreversibile violazione della giustizia”
“La conduzione del processo presso la Corte Penale del Cairo è stata largamente criticata” ha dichiarato Michelle Bachelet. “E giustamente. 739 persone sono state processate in massa, e non è stata consentita alcuna assistenza legale individuale. Per di più, agli accusati non è stato dato modo di presentare prove a difesa, e l’accusa non ha prodotto prove sufficienti della colpevolezza individuale. La evidente inosservanza dei diritti basilari degli accusati mette in forte dubbio la colpevolezza dei condannati. Speriamo che la Corte d’Appello egiziana voglia rivedere e annullare questa sentenza per assicurare che gli standard internazionali di giustizia vengano rispettati”.
Notiamo che non si tratta dell’unico processo di massa celebrato in Egitto contro gli oppositori dell’attuale regime. Ve ne sono stati altri come il processo conclusosi il 24 marzo 2014 con 529 condanne a morte di oppositori che manifestarono un anno prima nella città di Minya (1).
Aggiungiamo che il 24 settembre la Corte di Cassazione egiziana ha confermato 115 pene detentive e 20 condanne a morte inflitte in precedenza ad appartenenti alla Fratellanza Musulmana. I condannati compirono un sanguinoso attacco contro una caserma della polizia nel distretto di Kerdasa un mese dopo la rimozione di Morsi. Per tale evento, nel 2014, furono in prima istanza condannate a morte 188 persone.
Rispetto alle numerosissime condanne a morte pronunciate dopo la caduta di Morsi sono state relativamente poche quelle eseguite fino ad ora: 32. I detenuti hanno superato le 60 mila unità, tra di essi vi è lo stesso Mohamed Morsi che dovrà passare decenni in galera.
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(1) v. n. 213
9) CONDANNATO A MORTE IN IRAQ IL VICE CAPO DELL’ISIS
La vendetta dell’Iraq contro gli sconfitti membri dell’ISIS è terribile e indiscriminata. Ora è stato condannato a morte Ismail Alwan Salman al-Ithawi, ritenuto il vice del leader supremo Abu Bakr al-Baghdadi ancora latitante. Al-Ithawi fu catturato in febbraio in Turchia a conclusione di una complessa operazione congiunta dei servizi segreti turchi, iracheni e statunitensi.
Il 19 settembre in Iraq è stato condannato a morte Ismail Alwan Salman al-Ithawi ritenuto il luogotenente del capo dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi.
“La Corte Penale del settore occidentale di Baghdad ha condannato a morte per impiccagione uno dei più importanti leader dello Stato Islamico, il vice di al-Baghdadi,” ha dichiarato il portavoce del sistema giudiziario iracheno Abdel Sattar Bayraqdar.
Nel mese di febbraio al-Ithawi era stato estradato dalla Turchia.
Il governo iracheno ha reso noto che la cattura di al-Ithawi in Turchia è stata il frutto di una complessa operazione congiunta dai servizi segreti turchi, iracheni e statunitensi. La cattura di al-Ithawi è stata permessa dall’infiltrazione di agenti iracheni in seno all’ISIS.
Nato nella città irachena di Ramadi, Ismail Alwan Salman al-Ithawi ha avuto un ruolo importante in seno all’ISIS: fu incaricato di emanare gli editti religiosi, e fu a capo del comitato che assegnava i più alti incarichi in seno all’organizzazione terroristica.
Il suo capo e capo dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi è stato definito “l’uomo più ricercato del pianeta”. Su di lui pende una taglia di 25 milioni di dollari offerta dagli Stati Uniti. Al-Baghdadi è stato dato per morto in varie occasioni ma si ritiene che sia vivo e vegeto in Siria ai confini con l’Iraq.
L’Iraq ha condannato a morte centinaia di persone accusandole di essere appartenute all’ISIS. In questo paese si può essere condannati a morte per adesione all’ISIS anche se non si è compiuto alcun atto di violenza (1)
Ricordiamo che l’Iraq ha dichiarato la vittoria sull’ISIS, che controllava circa 1/3 del suo territorio, nel dicembre scorso dopo 3 anni di guerra sul campo. Ma rimangono qua e là sacche di resistenza e singoli terroristi compiono ancora attentati.
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(1) Sulla feroce indiscriminata vendetta dell’Iraq contro l’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) v. nn.: 244; 246 (Centinaia di sospetti appartenenti all’ISIS uccisi in Iraq in 7 giorni); 247, Notiziario; 248; 250.
10) IMPICCATA IN IRAN ZEINAB SEKAANVAND
Riportiamo il breve comunicato di Amnesty International del 2 ottobre u. s. in cui si annuncia l’esecuzione di Zeinab Sekaanvand, una giovane iraniana accusata di aver ucciso - quando era ancora minorenne - il marito violento. L’esecuzione di Zeinab ha suscitato sdegno in tutto il mondo e anche numerosi media italiani ne hanno parlato. Scorgiamo qualche analogia tra il caso di Zeinab e quello di Noura Hussein che fortunatamente si è salvata dal capestro in Sudan (v. nn. 249, 250).
Iran: messa a morte donna accusata di aver ucciso il marito sposato a 15 anni
Zeinab Sekaanvand, una curda iraniana di 24 anni, è stata messa a morte nella città di Urmia all’alba del 2 ottobre. Era stata arrestata nel 2011, appena diciassettenne, per l'omicidio del marito che era stata costretta a sposare all'età di 15 anni.
Non solo Zeinab era minorenne al momento del reato, ma il suo processo era stato gravemente irregolare. Aveva avuto assistenza legale solo nelle fasi finali del procedimento, nel 2014, quando aveva ritrattato la confessione, resa a suo dire dopo che agenti di polizia l'avevano picchiata su ogni parte del corpo.
Il 29 settembre la donna era stata trasferita nel reparto ospedaliero della prigione di Urmia per essere sottoposta a un test di gravidanza, risultato negativo il giorno dopo. Di conseguenza, la direzione della prigione aveva contattato la famiglia per segnalare che l'ultima visita era stata fissata per il 1° ottobre. Qui, i suoi parenti avevano appreso che l'esecuzione sarebbe avvenuta il giorno dopo.
L’Iran è rimasto l’unico paese al mondo a mettere a morte minorenni al momento del reato. Dal 2005 vi sono state circa 90 esecuzioni del genere, di cui almeno cinque nel 2018. Nei bracci della morte del paese restano in attesa dell’esecuzione almeno altri 80 minorenni al momento del reato.
11) IMPICCATO IN IRAN AHMADNEJAD PRIGIONIERO POLITICO CURDO
Kamal Ahmadnejad invano si è dichiarato disperatamente e credibilmente innocente.
Il 10 settembre è stato impiccato a Miandoab, nell’Iran nordoccidentale, il prigioniero politico Kamal Ahmadnejad. Era stato accusato di aver ucciso un membro delle Guardie della Rivoluzione e di appartenere ad un gruppo dissidente curdo. I suoi parenti sono stati avvertiti solo dopo l’esecuzione.
Kamal Ahmadnejad nel novembre 2017 aveva scritto una drammatica lettera alla signora Asma Jahangir, Relatrice Speciale presso le Nazioni Unite per i Diritti Umani in Iran (1), in cui raccontava dettagliatamente le torture subite per indurlo a rendere una falsa confessione in TV. Lettera che riportiamo in parte:
“Sono stato arrestato il 24 dicembre 2014 da agenti dei Servizi segreti e ho passato 24 ore nel Centro di Detenzione di Miandoab, dove sono stato continuamente torturato. Non sapevo neppure perché fossi stato arrestato. Mi hanno informato dell’accusa di omicidio, confezionata da chi mi interrogava per ordine dei Servizi Segreti. Sono stato trasferito nel Centro di Detenzione di Urmia con l’accusa di omicidio.
Sono stato interrogato e torturato per sei mesi e tenuto in isolamento. La cella incuteva orrore e paura. In effetti le celle sono progettate in modo da spezzare la volontà del prigioniero e farlo crollare, creando un’atmosfera di paura, terrore e disperazione. Queste celle solitarie trasformano chiunque in criminale.
Io non ho fatto eccezione alla regola. Sono stato sottoposto per sei mesi a torture fisiche, mentali e psicologiche. Torture e interrogatori cercavano di convincermi di essere un assassino.
Pian piano ho capito di essere tenuto in carcere assieme a cinque altri individui del villaggio di Gamishgoli, tre dei quali arrestati due mesi prima di me.
Centinaia di volte ho desiderato morire. Ero completamente impazzito! Perché io?”.
Tra le altre cose Kamal Ahmadnejad è stato preso a calci, a pugni, frustato con cavi e sottoposto a scosse elettriche. Ha anche parlato di minacce di arresto della propria moglie.
Ha detto di aver confessato sotto tortura un delitto che non aveva commesso. Era stato poi costretto a ripetere la confessione in TV dopo essere stato minacciato di morte.
“Il testo dell’intervista in TV era stato già preparato da chi interrogava e dai torturatori. Pochi giorni prima dell’intervista mi hanno torturato per farmi memorizzare il testo perché potessi leggerlo durante l’intervista”, ha scritto Ahmadnejad.
“Durante l’incarcerazione e l’interrogatorio non si è prestata la minima attenzione alle mie dichiarazioni di innocenza. Il giudice che presiedeva la Prima Sezione del Tribunale Penale di Mian-doab ha pronunciato una condanna a morte senza considerare le mie dichiarazioni e neppure le prove e i documenti da me prodotti.
Non hanno convocato in tribunale i testimoni disposti ad attestare che io ero a casa il giorno in cui è stato commesso il delitto. Pertanto dichiaro di essere innocente e di non aver commesso nessun delitto. I Servizi Segreti e gli altri enti di sicurezza stanno cercando di uccidermi".
Il prigioniero politico curdo ha scongiurato invano – oltre ad Asma Jahangir, Relatrice Speciale presso le Nazioni Unite per i Diritti Umani in Iran - Human Rights Watch, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani affinché si interessassero al suo caso e protestassero contro la sua ingiusta condanna. (Francesco)
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(1) La pakistana Asma Jahangir è morta l’11 febbraio scorso.
12) PENA DI MORTE: UNA PUNIZIONE LARGAMENTE ACCETTATA IN GIAPPONE
Le 13 esecuzioni compiute in Giappone nel mese di luglio hanno fatto discutere sulla pena capitale e sul modo particolarmente crudele, quasi ‘automatico’, con cui vengono uccisi i condannati.
Le esecuzioni compiute a raffica nel mese di luglio in diverse città (1), hanno riacceso in Giappone la discussione sulla pena di morte che in questo paese, oltre ad essere largamente accettata, ha particolari caratteristiche di crudeltà.
Dopo anni di attesa nel braccio della morte, i detenuti vengono avvisati dell'esecuzione con poche ore di anticipo, o senza alcun anticipo.
Le esecuzioni per impiccagione vengono portate a temine tramite un meccanismo automatico da alcune guardie che non hanno nessuna preparazione specifica e ricevono una paga di 20.000 yen equivalente a 160 Euro per ogni esecuzione. Si tratta di guardie che frequentano quotidianamente i detenuti.
Sebbene il Giappone sia annoverato tra i paesi più avanzati, molti aspetti della sua cultura rimangono per noi difficilmente comprensibili, come la condizione della donna sottomessa all’uomo in tutto, sia al lavoro che in famiglia, la realtà conservatrice del paese, la persistenza della pena capitale largamente accettata.
I condannati, bendati, sono condotti sul posto con i piedi e le mani legate. Quindi, dopo che una corda gli viene messa collo, una botola si apre sotto di loro: il meccanismo è attivato da un pulsante in una stanza adiacente. Alcuni agenti premono simultaneamente i pulsanti loro assegnati, anche se a nessuno viene detto qual è il pulsante che causa la caduta del prigioniero.
"È orribile, il corpo rimbalza come un oggetto di 70 chili attaccato ad una corda di nylon", dice Toshio Sakamoto, che ha lavorato per 27 anni come guardia carceraria ed ha visto i detenuti precipitare verso la morte.
Le guardie incaricate di eseguire le esecuzioni "ricordano le temperature corporee dei condannati, il loro respiro, le loro parole ... E devono fare la maggior parte del lavoro", ha detto Sakamoto. "Esse non ricevono nessuna assistenza psicologica. Ci si aspetta che "digeriscano" l'esecuzione da soli - ha spiegato Sakamoto - Non c’è lavoro peggiore".
Le famiglie dei condannati vengono informate solo dopo l'esecuzione.
Il Giappone è l’unica democrazia industrializzata oltre agli Stati Uniti che prevede la pena di morte. Molto grave è il fatto che i processi si svolgono in segreto, basandosi sulle confessioni degli imputati, su accuse a volte infondate, con un tasso di condanne altissimo.
In Giappone ci sono attualmente 110 condannati in attesa dell'esecuzione senza sapere quando essa avverrà.
Toshio Sakamoto osserva che un alto affidamento sulle confessioni e un tasso di condanne superiore al 90% lascia spazio alla coercizione e alle false accuse.
Le autorità hanno concesso una sola volta ai media una visita di 30 minuti all'interno della sala dell'esecuzione con pareti di vetro nel carcere di Tokyo, probabilmente la più elegante tra le sette strutture del genere situate in 7 città del Giappone.
Il cambiamento dell'opinione pubblica riguardo alla pena di morte è molto lento.
Un uomo d'affari di 62 anni a Tokyo ha detto che sarebbe "folle" pensare di rottamare la pena capitale.
E Mika Koike, 29 anni, ingegnere informatico, ha dichiarato: "Considerando le vittime e le loro famiglie, penso che non ci sia un altro modo chiaro e assoluto per punire i colpevoli".
Kotaro Yamakami, 25 anni, studente di scienze politiche, ha detto che gli assassini devono pagare in natura: "C'è un detto: Occhio per occhio, dente per dente. Penso che sia inevitabile che coloro che hanno commesso reati atroci siano giustiziati". Ma ha riconosciuto che c'è un numero crescente di persone contrarie alla pena di morte e ha esortato le autorità a prendere in considerazione l'introduzione dell'ergastolo senza possibilità di liberazione.
Per ora, non vi è alcun segno che i leader giapponesi stiano pensando ad eventuali cambiamenti.
Il 5 luglio scorso, vigilia di 7 esecuzioni, un sorridente Primo Ministro Shinzo Abe è stato fotogra-fato, insieme alla Ministra della Giustizia, signora Yoko Kamikawa, ad una festa mentre teneva il pollice in su. (Pupa)
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(1) V. n. 251.
13) ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU: IL VATICANO CHIEDE L’ABOLIZIONE
Il Vaticano è uno stato piccolissimo ma ha una rappresentanza nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, dal massimo consesso internazionale, fa sentire al mondo la sua voce su questioni che riguardano la convivenza civile e la moralità. La recente presa di posizione di papa Francesco contro la pena di morte non poteva non avere un’amplificazione in Assemblea Generale.
Il 25 settembre, nel corso della 73-esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’arcivescovo Paul R. Gallagher, Ministro degli Esteri del Vaticano, ha chiesto l’abolizione universale della pena di morte.
Facendo sentire la sua voce nella più alta sede internazionale, il Vaticano ha ribadito che il crimine può essere combattuto senza ricorrere alla pena di morte e che ai criminali occorre dare la possibilità di redimersi.
“Il rispetto della dignità di ogni essere umano e il bene comune sono i due pilastri su cui la Santa Sede ha fondato la propria decisione” di chiedere l’abolizione della pena capitale, ha detto il l’arcivescovo Gallagher.
Parlando nell’ambito di un evento collaterale sul tema della pena di morte e della povertà, e del diritto ad una difesa legale, l’arcivescovo ha affermato che l’abolizione universale sarebbe una “coraggiosa riaffermazione” che l’umanità può affrontare con successo il problema della criminalità pur rifiutando “di arrendersi alla disperazione di fronte agli atti malvagi, offrendo ai criminali la possibilità di correggersi.”
L’arcivescovo Paul R. Gallagher ha citato la recente revisione del Catechismo della Chiesa Cattolica da parte di papa Francesco. Il Catechismo ora afferma che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona e la Chiesa si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo (1)
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(1) V. n. 251
14) AUNG SAN SUU KYI INDEGNA DEL PREMIO NOBEL PER LA PACE
Riportiamo il Comunicato di Amnesty International del 13 settembre che vuole togliere ogni dubbio sul mancato rispetto dei diritti umani da parte di Aung San Suu Kyi, ex perseguitata politica nel Myanmar (Birmania) che ricevette il premio Nobel per la pace nel 1991. Aggiungiamo che il 27 settembre, per gli stessi motivi, è stata tolta la cittadinanza onoraria canadese alla donna che ora ricopre un’alta carica nel governo del Myanmar. Vedi art. critico su Aung San Suu Kyi nel n. 244
Myanmar: Amnesty International giudica “vergognosa” la difesa da parte di Aung San Suu Kyi della condanna di due giornalisti della Reuters
Durante il Forum economico mondiale in corso in Vietnam, la consigliera di stato del Myanmar Aung San Suu Kyi ha difeso la recente condanna dei due giornalisti dell’agenzia Reuters Wa Lone e Kyaw Soe Oo.
“È un vergognoso tentativo di difendere l’indifendibile. Sostenere che questo caso non abbia ‘nulla a che vedere con la libertà di espressione’ e che i due giornalisti ‘non sono stati condannati in quanto giornalisti’ è un deludente travisamento dei fatti”, ha dichiarato Minar Pimple, direttore delle Ope-razioni globali di Amnesty International.
“Wa Lone e Kyaw Soe Oo sono stati condannati sulla base di una legge durissima e risalente al periodo coloniale che è stata impropriamente utilizzata per bloccare la loro inchiesta sulle agghiaccianti atrocità in corso dello stato di Rakhine. Dal loro arresto alla condanna, non si è trattato altro che di un palese attacco alla libertà di espressione e al giornalismo indipendente in Myanmar”, ha proseguito Pimple.
“Affermare che la legge sia stata seguita alla lettera vuol dire non rendersi conto di cosa significa la sua applicazione, che peraltro ricorda il comportamento tenuto dai militari di Myanmar quando era la stessa Aung San Suu Kyi a essere privata della libertà. La condanna internazionale nei confronti dell’atteggiamento di Aung San Suu Kyi è assolutamente comprensibile. Lei dovrebbe vergognarsi”, ha concluso Pimple.
Ulteriori informazioni
Wa Lone e Kyaw Soe Oo, sono stati condannati il 3 settembre 2018 a sette anni di carcere per aver violato la Legge sui segreti di stato, una delle norme più repressive in vigore in Myanmar. Erano stati arrestati il 12 dicembre 2017 a Yangon, l’ex capitale di Myanmar, mentre stavano indagando sui crimini di guerra e contro l'umanità commessi dalle forze armate nel nord del paese contro la mino-ranza rohingya V. https://www.amnesty.it/myanmar-crimini-lumanita-commessi-13-ufficiali-delle-forze-armate/
15) NOTIZIARIO
Egitto. Normali relazioni tra il dittatore al-Sisi e l’Italia, sulla pelle di Giulio Regeni. Da un comunicato di Amnesty International del 13 settembre: “Alla vigilia del 14 settembre, anniversario del ripristino di normali relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto attraverso il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo, il direttore generale di Amnesty International Italia Gianni Rufini ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro degli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi, chiedendo quali passi avanti, negli ultimi 12 mesi, siano stati chiesti e ottenuti per conoscere la verità sul sequestro, la sparizione, le torture e l’uccisione di Giulio Regeni [fatto sparire all’inizio del 2016]. “Dobbiamo constatare che a un anno di distanza, purtroppo, le indagini non hanno visto nessuno sviluppo significativo. Il materiale messo a disposizione - con grave ritardo - da parte della procura del Cairo alla procura di Roma non ha infatti consentito di identificare alcun elemento utile alle indagini, con la conseguenza che dopo due anni e mezzo non è stato compiuto nessun progresso”, si legge nella lettera. […]”
Filippine. Un'altra promessa di ripristino della pena di morte. Il Direttore Generale del sistema carcerario delle Filippine - Ronald, detto "Bato", Dela Rosa - ha dichiarato il 30 settembre che, se
verrà eletto al Senato nelle elezioni di medio termine del 2019, il suo primo impegno sarà quello di ripristinare la pena di morte. Chissà se Dela Rosa riuscirà ad ottenere quello che finora il pessimo Presidente Rodrigo Duterte non è riuscito ad ottenere nel paese con una forte presenza dei cattolici (v. nn. 229, 230, 231 - 2 articoli, 233, 236, 238, 239, 240. Su Duterte v. anche nn. 244, 247).
Florida. Aramis Ayala controlla che non vi siano state condanne errate. L’accusatrice della Florida Aramis Ayala, il 16 marzo del 2017 entrò in conflitto con il Governatore Rick Scott dopo aver dichiarato di non voler perseguire condanne capitali. Dal conflitto la Ayala uscì malconcia perdendo la competenza sui casi capitali o potenzialmente tali e vedendo ridurre drasticamente i finanziamenti concessi dallo stato al suo ufficio (v. ad. es. nn. 237, 240). Ora, all’inizio di settembre, l’On. Ayala ha cominciato a lavorare per mettere su un’unità che accerti che non vi siano condanne penali errate specificando che tale unità si occuperà dei casi di condannati che professano la loro innocenza nel suo Circuito (area di competenza), Circuito che comprende la maggior parte del territorio della città di Orlando. Ayala ha detto di sperare che non vi siano state condanne errate ma che le esonerazioni avvenute in passato nella nazione mostrano che le condanne errate possono esserci. Quest’anno la Ayala ha anche dichiarato di non voler chiedere cauzioni ai sospettati di crimini minori in libertà provvisoria.
Florida. Folle richiesta di pena di morte per una madre folle. L’accusa persiste nel voler chiedere la pena di morte per la trentenne Egypt Moneeck Robinson che a Callaway in Florida il 26 dicembre del 2015 uccise il suo figlioletto di 3 anni in un ‘sacrificio rituale’. La donna è stata portata in aula il 5 settembre per stabilire se sia capace di intendere e volere, nonostante il fatto che Egypt Robinson sia stata anche ricoverata in un ospedale psichiatrico e che abbia subito ammesso l’uccisione del figlioletto. "Mettetemi le manette", disse la donna alla polizia, "L'ho fatto ... Ho ucciso il mio bambino e l'ho messo dentro la valigia ... Sta galleggiando sull’acqua." La Robinson gettò la valigia nella palude che si trova dietro la sua casa a Callaway per… proteggerla da un'inondazione tipo "Arca di Noè". Una compagna di cella in seguito ha dichiarato agli investigatori che la Robinson la aveva detto di non credere che ciò che aveva fatto fosse sbagliato. Robinson le aveva confidato che suo figlio era malvagio e aveva "l'anima di Hitler".
Indiana. Pena di morte per un folle che mangiò la sua ex? L’accusa ha dichiarato che intende chiedere la pena di morte per Joseph Oberhansley che a settembre del 2014 violentò, uccise e mangiò in parte la sua ex Tammy Jo Blanton. Ricoverato in un ospedale psichiatrico Gallagher sarebbe nel frattempo divenuto capace di intendere e volere e, quindi, di partecipare ad un processo capitale. Un’udienza per stabilire se Oberhansley sia veramente capace di intendere e volere è stata fissata per il 16 no-vembre p. v.
Pakistan: Condannato a morte e al pagamento di una multa per blasfemia. Il 13 settembre, a Yousafwala nel Punjab pakistano, tale Arshad Sardar, reo di blasfemia, è stato condannato a morte e al pagamento di un’ammenda di 50.000 rupie pakistane (pari a 350 euro). Il reato fu commesso a maggio del 2015.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 3 ottobre u. s.