FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 153 - Ottobre 2007
SOMMARIO:
1) Avviata alle Nazioni Unite l'iniziativa per la moratoria
2) L'Italia è ora abolizionista totale anche nella Costituzione
3) Iniezione crudele e inusuale? Forse una moratoria nazionale
4) La corte chiude alle 17 in punto e lascia uccidere Michael Richard
5) Trattato di Vienna: udienza alla Corte Suprema sul caso Medellin
6) Kenneth spera di non essere scordato ora che è fuori dal braccio
7) Paula Cooper intervistata nel nuovo carcere dove lavora e spera
8) Quando i familiari delle vittime non cercano vendetta
9) Nessuna giustizia ad un anno dall'uccisione di Anna Politkovskaya
10) Un libro interessante: "La mia voce dal braccio della morte"
11) Condannato a morte della Pennsylvania cerca corrispondenti
12) Condannato a morte del Texas cerca corrispondenti
13) Condannato a morte del Texas cerca sostenitori
14) Notiziario: Afghanistan, Argentina, Iraq, Italia, Usa
1) AVVIATA ALLE NAZIONI UNITE L'INIZIATIVA PER LA MORATORIA
L'iniziativa per ottenere dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite l'approvazione di una risoluzione che chieda una moratoria universale delle esecuzioni capitali, è partita a fine settembre. Siamo ormai oltre il punto di non ritorno: è necessario vincere, una sconfitta sarebbe estremamente dannosa per il movimento abolizionista che deve agire compatto in modo determinato per raggiungere l'obiettivo.
A New York il 25 settembre il Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi ha dichiarato solennemente nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rivolgendosi ai leader mondiali, che la campagna per la moratoria delle esecuzioni capitali ha raggiunto 'un momento decisivo' e che l'approvazione della risoluzione sulla moratoria "proverà che gli esseri umani oggi sono migliori che in passato dal punto di vista morale". (*)
Con ciò l'Italia - varcando il punto di non ritorno - ha avviato, insieme all'Unione Europea, la difficile battaglia per far passare in Assemblea Generale una risoluzione che tenda alla moratoria universale delle esecuzioni capitali, nella prospettiva dell'abolizione globale della pena di morte. Lo stesso giorno, in una lettera al quotidiano La Repubblica, ripresa da altri giornali europei, Prodi ha definito la pena capitale "un atto estremo contrario ai più basilari principi di convivenza civile che si è alimentato nei secoli grazie alla logica della violenza che chiama violenza in una catena senza fine", ma ha anche scritto: "Sappiamo che non possiamo farci illusioni. Quella contro la pena capitale è una battaglia difficile perché molti paesi ancora la praticano. Noi siamo disposti ad assumerci i nostri rischi per tentare di vincerla.".
In effetti un'opposizione strisciante all'iniziativa è subito galleggiata nei media in ambito internazionale. Uno degli argomenti su cui si basa è che il sostegno popolare per la pena di morte sarebbe molto forte perfino nell'Unione Europea, i cui organi rappresentativi dichiarano invece che l'opposizione alla pena capitale è un 'valore europeo'. Ciò anche se in realtà il favore per la pena di morte è limitato e in decrescita in Europa (**)
"Ritengo che ci sia un cambiamento nell'umore della pubblica opinione" ha dichiarato il 27 settembre il Ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema, notando anche che 130 paesi hanno abolito la pena di morte. "Nel corso degli anni abbiamo fatto alcuni grandi passi in avanti, ciò significa che è possibile [il successo alle Nazioni Unite]. C'è pressione internazionale, una maturazione dell'opinione pubblica. Le cose stanno cambiando".
Per avere la sua piena efficacia la risoluzione dovrà essere votata dalla maggioranza qualificata dei due terzi dei membri dell'ONU che sono 192. Per ottenere l'approvazione di 128 membri l'Italia ed altri paesi europei stanno facendo un intenso lavoro diplomatico.
All'inizio di quest'anno, una bozza di risoluzione per la moratoria proposta dall'Italia era stata sottoscritta da 85 paesi e successivamente da altri 10. Ora si ricomincia da capo.
L'iniziativa per la moratoria ha avuto una sorta di preambolo nella Giornata mondiale contro la pena di morte indetta dalla Coalizione Mondiale, celebratasi il 10 ottobre, e dedicata proprio alla moratoria. Con la sola nota stonata della Polonia che ha rotto l'unanimità dell' U. E. (v. n. 152, Notiziario), gli organi europei si sono compattamente schierati per l'indizione della Giornata Mondiale. Lo hanno fatto i 47 paesi membri del Consiglio d'Europa, supportati da una risoluzione del Parlamento Europeo del 27 settembre (la terza in materia in questi mesi) votata con la maggioranza di 504 voti contro 45.
Notando con soddisfazione che rappresentanti di 101 paesi avevano partecipato ad una riunione a New York - organizzata e fortemente voluta dall'Italia e dal Portogallo - accettando di formare una task force per stendere la bozza della risoluzione, il 28 settembre D'Alema ha avvertito che "questo è un segno positivo ma non è la soluzione" dal momento che potenti paesi che applicano la pena di morte, tra cui la Cina, gli Stati Uniti e Singapore, faranno probabilmente lobbying contro di essa. "Una cosa è partecipare ad un evento, un'altra cosa è votare a favore, perché ci aspettiamo che [tali paesi] possano anche svolgere un'azione forte contro [la risoluzione], e questi sono paesi che hanno una grande influenza."
Richard A. Grenell, portavoce della missione americana all'ONU, si è rifiutato di prevedere come voteranno gli Stati Uniti, dicendo però che una decisione riguardo alla pena di morte negli USA è meglio lasciarla ai singoli stati e al Governo federale. "I popoli dei diversi stati che permettono la pena di morte hanno scelto di non abolire tale pena per mezzo del processo democratico", ha dichiarato Grenell alla stampa.
Il lavorio diplomatico per arrivare ad un testo della moratoria soddisfacente ed ampiamente condiviso si svolge per lo più in maniera riservata. Non senza qualche scossone. Ad esempio il dilemma: accentuare particolarmente la richiesta dell'abolizione ovvero puntare in primis alla moratoria, ha prodotto forti dissensi anche tra i paesi europei.
Il 22 ottobre l'agenzia Reuters ha potuto consultare una bozza della risoluzione ed ha parlato - in condizioni di anonimato - con un diplomatico al corrente dello stato di avanzamento dei lavori. La bozza di risoluzione, che (a nostro avviso saggiamente) pone in primo piano la moratoria e sullo sfondo l'abolizione, chiede a tutti i paesi che ancora applicano la pena capitale di "stabilire una moratoria delle esecuzioni nella prospettiva dell'abolizione della pena di morte." La risoluzione definisce la pena di morte "una negazione della dignità e dell'integrità umana" che "non aggiunge nulla in termini di deterrenza" e rende "ogni errore giudiziario o assenza di equità nella sua applicazione irreversibile e irreparabile". La bozza è stata elaborata dai 27 paesi dell'Unione Europea ai quali si sono uniti altri nove paesi. Il ruolo principale è stato svolto dall'Italia e dal Portogallo che ha la presidenza dell'Unione Europea. Secondo le informazioni raccolte dalla Reuters la risoluzione verrebbe presentata in Assemblea Generale per l'approvazione a metà novembre. Si conta di raggiungere come minimo la maggioranza semplice di voti a favore.
La riuscita dell'iniziativa richiede un'azione saggia, robusta e concorde dei soggetti istituzionali, appoggiati dalle associazioni per i diritti umani, come Amnesty International, la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, la Comunità di Sant'Egidio e Nessuno Tocchi Caino, e da tutto il movimento abolizionista.
Se anche l'obiettivo minimale di un'approvazione a maggioranza semplice fallisse, il movimento abolizionista ne ricaverebbe un enorme danno. Siamo ormai ben oltre il punto di non ritorno. La necessità di un successo è assoluta: anche se la risoluzione per la moratoria, al pari di ogni risoluzione dell'Assemblea Generale, non costringerebbe gli stati membri ad rispettarla, come afferma Amnesty International "essa avrebbe il grande peso morale e politico di una pressione internazionale unitaria."
Occorre vincere, altrimenti la questione della pena di morte sparirà per un lungo periodo dalle priorità internazionali.
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(*) In questo articolo alcune dichiarazioni dei nostri uomini politici sono retrotradotte dall'inglese e, come tali, non contengono esattamente le parole originali.
(**) Vedi ad es. n. 150, "Per l'Italia statistiche..."
2) L'ITALIA E' ORA ABOLIZIONISTA TOTALE ANCHE NELLA COSTITUZIONE
Si è concluso, con una votazione al Senato del 25 settembre, il cammino abolizionista iniziato dal nostro paese con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana nel 1948 che proibiva la pena di morte "se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra." Tale votazione al Senato ha prodotto infatti, al termine di un lungo e complesso iter parlamentare, l'annullamento dell'eccezione contenuta nell'articolo 27 della nostra carta costituzionale.
La Sezione Italiana di Amnesty International ha espresso grande soddisfazione per il voto con cui il 25 settembre il Parlamento ha finalmente eliminato dalla Costituzione italiana la possibilità di reintrodurre la pena di morte in Italia per reati punibili dal codice militare di guerra.
Si tratta di un traguardo di civiltà, da lungo tempo atteso nella patria di Cesare Beccaria, che ha grande significato in sé indipendentemente dal suo valore pratico: la modifica dell'articolo 27 della Costituzione completa il cammino abolizionista del nostro paese durato sessant'anni, impedendo una reintroduzione della pena di morte mediante una legge ordinaria. Questa possibilità infatti era ancora ammessa dalla Costituzione, anche se limitatamente alle leggi militari di guerra.
Per ottenere la modifica della Costituzione, la Sezione Italiana di Amnesty International ha fatto pressioni sul Parlamento per anni, seguendo i progetti di legge presentati e mai approvati nel corso delle passate Legislature.
La legge approvata in via definitiva dal Senato il 25 settembre, con 231 voti a favore, 1 contrario e 4 astenuti, realizza una modifica costituzionale, ed è stata pertanto votata per due volte nei due rami del Parlamento. Il testo approvato è basato su progetti di legge presentati nel 2006.
Il nuovo articolo 27 della Costituzione stabilisce ora che "Non è ammessa la pena di morte." Senza eccezioni, dal momento che è stata cassata la frase successiva che compariva nel testo andato in vigore il 1° gennaio 1948: "se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra."
Ricordiamo che l'Italia diventò un paese abolizionista totale nell'ottobre del 1994 con l'approvazione della legge 589 che eliminò tutte le previsioni della pena di morte contenute nel codice militare di guerra.
3) INIEZIONE CRUDELE E INUSUALE? FORSE UNA MORATORIA NAZIONALE
Mai prima d'ora la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva deciso di entrare nel merito di un ricorso di un condannato a morte che contesta la costituzionalità del metodo dell'iniezione letale utilizzato per eseguire le sentenze capitali. A fine settembre la decisione della massima corte americana di esaminare il ricorso Baze v. Rees sembra aver dato luogo ad una moratoria delle esecuzioni in tutta la nazione.
Il 25 settembre la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annunciato che discuterà l'anno venturo i ricorsi di due condannati a morte, Ralph Baze e Thomas Clyde Bowling Jr., i quali nel 2004 citarono il Kentucky affermando che il metodo di esecuzione in vigore in quello stato, l'iniezione letale, è contrario all'Ottavo emendamento della Costituzione americana che proibisce le punizioni crudeli ed inusuali.
La Corte Suprema del Kentucky rigettando il ricorso contro l'iniezione letale lo scorso anno, aveva sostenuto che la proibizione delle punizioni crudeli ed inusuali non richiede che sia eliminato ogni tipo di sofferenza nel corso delle esecuzioni. Appellandosi alla Corte Suprema federale, Baze e Bowling avevano obiettato che la corte del Kentucky ha omesso di considerare che il rischio di sofferenza insito nell'attuale procedura è "non necessario", dal momento che è possibile evitare il rischio che il condannato rimanga cosciente durante l'esecuzione. Pertanto richiesero che fosse inserito il "rischio di dolore e sofferenza non necessario" negli standard di valutazione del metodo dell'iniezione letale operato dalle corti.
Il fatto che la Corte Suprema USA abbia deciso di entrare in merito al ricorso Baze v. Rees può comportare, per la prima volta, una moratoria nazionale delle esecuzioni correlata alla sospetta incostituzionalità del metodo di esecuzione in uso. Un'udienza pubblica per ascoltare le argomentazioni dei ricorrenti si terrà il 7 gennaio p. v. La relativa sentenza potrebbe essere pubblicata nei mesi successivi.
La Corte suprema federale a gennaio del 2006 aveva riconosciuto ai condannati a morte la facoltà di contestare l'iniezione letale accogliendo il ricorso di Clarence Hill della Florida (v. nn. 135, 136, 139, 140) ma finora non aveva mai accettato di occuparsi direttamente della questione fondamentale: se l'impiego dei tre farmaci utilizzati per le esecuzioni in 37 stati (*) sia da considerare un modo di uccidere crudele ed inusuale (**) e perciò proibito dalla Costituzione. Anzi - se si eccettua la disponibilità ad esaminare la liceità dell'esecuzione con la sedia elettrica in Florida nel 1999 - da oltre un secolo la massima corte degli USA non aveva mai accettato di discutere la liceità di un qualsivoglia metodo di esecuzione (***).
"Questo è probabilmente il più importante caso capitale degli ultimi decenni," ha affermato l'avvocato David Barron che difende Baze e Bowling, dopo che la Corte Suprema ha accettato di considerare al ricorso Baze v. Rees (****)
Noi non siamo così ottimisti ma dobbiamo ammettere che gli effetti a breve termine dell'annunciato esame del ricorso Baze v. Rees sono rilevanti. In un mese si è verificata una sola esecuzione, portata a termine in Texas lo stesso giorno 25 (v. articolo seguente); poi più nessuna esecuzione in tutti gli Stati Uniti, nonostante il fatto che Texas, Alabama, Arizona, Arkansas, Nevada, Virginia e Georgia fossero intenzionati a portare comunque a termine quelle programmate.
Le corti, con decisioni adottate caso per caso, hanno sempre sospeso le esecuzioni, a volte all'ultimo momento. La stessa Corte Suprema federale ha sospeso due esecuzioni alle quali le corti inferiori avevano dato via libera in Texas e in Virginia.
A causa dei problemi suscitati dall'iniezione letale - per precedenti decisioni delle corti o dei governatori - le esecuzioni sono inoltre ferme in California, Delaware, Florida, Maryland, Missouri, New Jersey, North Carolina, Ohio e Tennessee.
Molti prevedono che non vi saranno più esecuzioni quest'anno, dato che tutte le esecuzioni ancora in programma dovrebbero essere effettuate con l'iniezione letale e dato che una risposta della Corte Suprema riguardo al ricorso di Blaze e Bowling arriverà solo nella prossima primavera. In tale evenienza, con le 42 uccisioni legali portate a termine finora, si avrà il più piccolo numero di esecuzioni in un anno da oltre un decennio (nel 1994 vi furono 31 esecuzioni, dal 1995 iniziò una crescita repentina).
Non è facile prevedere quali potrebbe essere le conseguenze positive di un accoglimento del ricorso Baze v. Rees, è chiaro invece che un suo rigetto potrebbe portare ad un rapido 'recupero' delle esecuzioni mancate nel 2007, con un picco abnorme di uccisioni di stato nel 2008.
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(*) L'iniezione letale è prevista in tutti gli stati che hanno la pena di morte, ad eccezione del Nebraska, e nelle due giurisdizioni federali, civile e militare.
(**) Ricordiamo che il metodo dell'iniezione letale in uso consiste nella somministrazione di tre sostanze in successione: il pentotal, un anestetico ad effetto ultra rapido, il bromuro di pancuronio, che paralizza il condannato impedendogli di respirare, e il cloruro di potassio destinato ad arrestare il battito cardiaco. Studi autorevoli hanno scoperto che la prima sostanza può fallire il suo scopo lasciando il condannato cosciente ed incapace di manifestare le atroci sofferenze causate dagli altri due farmaci (v. nn. 128, 149).
(***) I metodi più utilizzati per uccidere i condannati a morte nella storia degli Stati Uniti, sono ancora tutti in vigore almeno in qualche stato. Si tratta di: impiccagione, fucilazione, sedia elettrica, camera a gas, iniezione letale. Nel 1878 la Corte Suprema federale aveva confermato la liceità della fucilazione. La Florida ha abbandonato l'uso della sedia elettrica nel 1999 per prevenire la discussione di tale metodo in seno alla Corte Suprema federale.
(****) E' un ricorso di 'writ of certiorari', cioè una richiesta alla Corte Suprema di controllare la regolarità costituzionale dell'operato di una corte inferiore. La massima corte ha notificato un 'grant of certiorari', cioè ha accolto la richiesta di intervenire.
4) LA CORTE CHIUDE ALLE 17 IN PUNTO, E LASCIA UCCIDERE MICHAEL RICHARD
Il 25 settembre la giudice Sharon Keller, presidente della Corte Criminale d'Appello del Texas, ha negato all'avvocato difensore di Michael Richard, un condannato che doveva essere messo a morte di lì a poco, una proroga di venti minuti della chiusura degli uffici (che avviene normalmente alle 17) per consentirgli di presentare un ricorso che avrebbe portato quasi certamente alla sospensione dell'esecuzione. Per l'intransigenza della giudice Keller, Richard è stato 'giustiziato' tre ore dopo.
Subito dopo la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di discutere il ricorso Baze v. Rees (v. articolo precedente), resa nota alle 9 del mattino del 25 settembre, il Governatore Rick Perry ha fatto sapere che l'esecuzione di Michael Richard sarebbe andata avanti regolarmente.
Se era scontato il pollice verso del Governatore, a Richard - che doveva essere ucciso tramite iniezione letale la sera dello stesso giorno - rimaneva la possibilità di ottenere dalle corti una sospensione dell'esecuzione. Egli aveva in sostanza il diritto di vivere ancora, almeno per diversi mesi, fino a che la Corte Suprema non si fosse pronunciata sulla liceità costituzionale dell'iniezione letale in merito al ricorso Baze v. Rees.
Le corti che avevano facoltà di decidere la sospensione erano, in prima istanza, la Corte Criminale d'Appello del Texas (TCCA) e, in seconda istanza, nel caso di una risposta negativa di tale corte, la stessa Corte Suprema federale.
Agli avvocati di Richard rimaneva meno di una giornata lavorativa per preparare un ricorso di un centinaio di pagine, per stamparlo in 11 copie e inoltrarlo materialmente alla TCCA (il regolamento vigente non permette di inoltrare gli appelli tramite posta elettronica).
Gli avvocati avevano quasi finito di preparare l'appello quando si è verificato un malfunzionamento del loro computer. Allora hanno chiesto alla TCCA di prorogare di 20 minuti la chiusura dell'ufficio per poter presentare l'appello. La giudice presidente Sharon Keller - senza consultare i colleghi - ha imposto al cancelliere di chiudere puntualmente l'ufficio alle 17, rifiutandosi di concedere un solo minuto in più dal momento che gli avvocati difensori avevano avuto una intera giornata a disposizione.
Un ricorso per Richard è stato comunque presentato dagli avvocati alla corte distrettuale competente ed infine uno alla Corte Suprema federale. La massima corte, alle 20, ha fatto sapere che non lo avrebbe considerato (in effetti le corti federali hanno la facoltà di intervenire solo dopo un eventuale rifiuto della TCCA).
Alle 20 e 22' Micheal Richard era morto. La sua è stata l'ultima esecuzione prima che si stabilisse una moratoria di fatto sia in Texas che in tutti gli Stati Uniti in conseguenza della decisione della Corte Suprema federale di discutere il ricorso Baze v. Rees (v. articolo precedente). Carlton Turner Jr. e Heliberto Chi, che dovevano seguire Richard nella camera della morte del Texas rispettivamente il 27 settembre e il 3 ottobre, hanno ottenuto una sospensione a tempo indeterminato.
"Penso che Michael Richard sia stato giustiziato perché la Corte Criminale d'Appello non ha potuto sopportare la seccatura di rimanere aperta 20 minuti in più di modo che potessimo inoltrare tutte le nostre carte" ha dichiarato David Dow, avvocato difensore di Richard.
Anche tra i giudici colleghi della Keller - tenuti all'oscuro - non si è nascosta la riprovazione per il suo comportamento.
Ampia e profonda è stata la condanna, non solo tra gli abolizionisti ma anche tra gli avvocati, della condotta della giudice Keller, nota per il suo sostegno alla pena di morte e per la sua ricorrente opposizione all'accoglimento dei ricorsi dei condannati alla pena capitale.
Il 10 ottobre, decine di avvocati del Texas, tra i quali figurano note personalità, hanno inoltrato alla Commissione Statale sulla Condotta del Sistema Giudiziario una richiesta di censura nel riguardi di Sharon Keller, che potrebbe portare in teoria anche alla irrogazione di sanzioni nei suoi riguardi. Ciò costituirebbe per lei un grave incidente di percorso, con largo anticipo sulle elezioni del 2012, anno in cui lei dovrà essere confermata o sostituita.
Inoltre il 24 ottobre circa 300 avvocati penalisti hanno chiesto alla TCCA di modificare le modalità di accettazione di ricorsi e mozioni nei casi capitali, consentendo l'inoltro dei documenti anche per posta elettronica, come avviene nelle altre corti, in modo da evitare altre "esecuzioni non necessarie". Come abbiamo detto, attualmente un ricorso deve essere redatto su carta e portato materialmente alla Corte insieme ad 11 copie dello stesso.
5) TRATTATO DI VIENNA: UDIENZA ALLA CORTE SUPREMA SUL CASO MEDELLIN
E' in corso un braccio di ferro tra il governo degli Stati Uniti, che ha ordinato alle corti del Texas di rivedere il caso di José Medellin, un messicano condannato a morte in violazione del Trattato di Vienna sulle relazioni consolari, e lo stato del Texas, che non vuole interferenze nell'operato dei propri giudici. La corte Suprema, che deve dirimere la questione, ha tenuto il 10 ottobre un'udienza pubblica in proposito.
José Ernesto Medellin, di nazionalità messicana, fu arrestato, fatto confessare in assenza di un avvocato difensore, detenuto, processato e condannato a morte nel 1994 senza potersi giovare dell'assistenza del proprio consolato, in violazione del Trattato internazionale di Vienna sulle Relazioni consolari.
La Corte Suprema degli Stati Uniti, che deve dirimere il contenzioso sorto tra il Governo federale e lo stato del Texas sul caso di Josè Medellin, ha tenuto il 10 ottobre un'udienza aperta al pubblico.
Il contenzioso deriva da una sentenza emessa nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia, su ricorso del Messico, che condannò gli Stati Uniti per aver violato il Trattato di Vienna ai danni di Medellin e di altri 50 condannati a morte di nazionalità messicana, affermando che costoro hanno diritto ad una revisione dei rispettivi casi. Nel 2005 il Governo federale, pur trovando ingiusta la condanna inflitta dalla Corte Internazionale agli Stati Uniti, disse di voler ottemperare alla sentenza (ritirandosi contemporaneamente da una parte sostanziale del Trattato di Vienna, v. n. 127) e il presidente Bush ordinò alle corti del Texas di consentire a Medellin di presentare dei ricorsi di habeas corpus che contestassero la regolarità della sua condanna.
Il Texas si rifiutò di obbedire al Presidente, definendo l'ordine di Bush una indebita interferenza nell'autonomia giudiziaria di uno stato. Dopo una serie di ricorsi e di sentenze presso le corti inferiori, che hanno dato ragione al Texas, la questione è ora arrivata all'istanza finale, quella della Corte Suprema degli Stati Uniti. Il Texas ora è appoggiato da altri 28 stati.
Il fatto che il presidente Bush si trovi in questo frangente a difendere la tesi più favorevole per un condannato a morte, ha fatto addirittura scrivere ad alcuni cronisti superficiali che egli sia diventato un oppositore della pena capitale.
Durante l'udienza del 10 ottobre i giudici della Corte Suprema sono apparsi piuttosto sbilanciati in favore del Texas a cominciare dai più conservatori
"E' una stranissima affermazione del potere presidenziale," ha sostenuto Ted Cruz, l'avvocato che rappresenta il Texas, dal momento che il capo dell'esecutivo non ha autorità legale per dire ai giudici del Texas quel che devono fare. Solo la Corte Suprema "ha l'autorità ultima di determinare in che cosa consista la legge federale," ha aggiunto.
Con questa tesi sono apparsi concordare almeno il giudice Antonin Scalia e il giudice presidente John Roberts. Scalia ha affermato che la stessa Corte Suprema - e non la Corte Internazionale o il Presidente - ha il potere ultimativo di decidere se i termini dei trattati costituiscono una legge cogente entro gli Stati Uniti. "Sono abbastanza geloso di tale potere - ha detto Scalia - "appartiene a questa corte".
I giudici più liberali, che di solito sono scettici sui poteri che il Presidente si attribuisce, è sembrato che questa volta sostenessero l'ordine di Bush.
Il giudici Ruth Bader Ginsburg e Stephen G. Breyer hanno detto che quando gli Stati Uniti entrano a far pare di trattati internazionali accettano di essere obbligati dai termini di tali patti. Ad un certo punto Breyer ha letto un passo della Costituzione che dice: "Tutti i Trattati fatti... sotto l'autorità degli Stati Uniti devono essere legge suprema per il paese, e i giudici in ogni stato rimangono pertanto obbligati." Quando è arrivato a leggere "in ogni stato", si è fermato e ha detto: "Io credo che significhi: anche il Texas."
La decisione sul caso Medellin v. Taxas è attesa per la prossima estate.
6) KENNETH SPERA DI NON ESSERE SCORDATO ORA CHE E' FUORI DAL BRACCIO
Il nostro caro amico Kenneth Foster ci scrive, dopo essere uscito dal braccio della morte ed essere stato inserito in un carcere normale, chiedendo di non essere dimenticato. Anche se Kenneth si trova in un regime di forte restrizione, i vantaggi della sua nuova condizione sono evidenti. Pubblichiamo volentieri ampi stralci della lettera di Kenneth, che è indirizzata alla nostra presidente Grazia Guaschino la quale ha costantemente intrattenuto i rapporti con lui a nome del Comitato in questi anni.
7 ottobre 2007
Ciao mia carissima amica!!
E' stata una gioia ricevere la tua lettera. Sì è una benedizione per noi avere questa possibilità. [...] CE L'ABBIAMO FATTA e FAREMO ANCORA MOLTO DI PIU'!
Un po' alla volta ho messo insieme la storia di ciò che è successo. Per le prime due settimane mi hanno continuamente spostato, per cui ci ho messo un po' di tempo a ricevere notizie. Ho lasciato Polunsky il giorno stesso della commutazione. Non hanno voluto che il profumo della LIBERAZIONE riempisse l'aria laggiù! Sono arrivato in questa prigione il 12 (settembre) e adesso mi sono sistemato.
Prima di tutto - sì il denaro inviatomi dal Comitato Paul Rougeau mi è stato consegnato. Tutto il mio denaro è stato trasferito sul mio nuovo conto. E circa una settimana fa tutte le mie cose sono state mandate qui. [...]
Non ho ancora visto la mia famiglia, perché non ho ancora attivato la mia lista dei visitatori. Sto aspettando di sapere chi vuole venire a trovarmi, perché una volta redatta, la lista deve durare per sei mesi. Vedrò i miei cari questo fine settimana o il prossimo. Intanto ho visto il mia avvocatessa civilista Mary Felps. Ho potuto avere due visite con semi-contatto, in cui abbiamo potuto abbracciarci e prenderci la mano. [...]
Ho finito di scrivere a Stefania ieri. Vuole continuare a lavorare per me, così potremo spingere per la mia COMPLETA liberazione. Sì, mi rendo conto di quanto ha fatto. Tutto è iniziato con Nadine, quando mi ha presentato allo staff televisivo italiano e mi hanno intervistato. Da allora, appena conosciuto il mio caso, è come se si fossero innamorati di me e non si sono più fermati! :) Da lì è iniziato tutto. Gli Italiani sono stati dei campioni. [...]
Tutto ciò che mi hai scritto riguardo alla mia vittoria è vero. Sebbene questa macchina omicida stia continuando a lavorare, ora lo fa con un ingranaggio inceppato. E adesso abbiamo in atto questa moratoria di fatto e chi sa a cosa potrà portare. So che il mio caso ha aperto gli occhi a molte persone. Ci sono state perfino persone a favore della pena di morte che mi hanno scritto dicendomi che non approvavano la mia esecuzione.
Vedi, te lo dicevo, amica mia. Io sapevo da molti anni che cosa il mio caso avrebbe prodotto. Non te lo dicevo? :) Dio aveva tutto nelle Sue mani, perché dal nulla tutto ciò si è riversato come un fiume. Ma il Comitato Paul Rougeau rimarrà per sempre il primo che ha dato una possibilità a Kenneth Foster! Quando racconterò la mia storia mi assicurerò di raccontare questa parte.
Sono un po' triste. Sebbene sappia che il Comitato non mi dimenticherà mai, mi dispiace che non sarà più come prima. So che è venuto il momento in cui devo passare il testimone. Avete già pensato a quale prigioniero aiuterete? Il Comitato ha fatto moltissimo per me e mi mancherà il suo aiuto. Mi ha accompagnato attraverso molti giorni duri. Ma so che non mi abbandonerete del tutto, vero? :) [...]
Sono ancora al livello di detenzione più basso. Vedremo cosa faranno nei prossimi tre mesi. Mi hanno detto che se mi comporto bene nei prossimi tre mesi sarò promosso ad un livello superiore. Sono un G5 e devo diventare almeno un G3 per avere le visite con contatto. Probabilmente prima passerò altri sei mesi al livello G4 per poi arrivare al G3. Non è molto, ma c'è il forte desiderio per me di arrivare al quel livello. Lascio la cella per sole 2 ore al giorno, ma avviene 7 giorni su 7. E non è un'uscita solitaria, la faccio con tutti gli altri di questo corridoio, ossia 70 persone. E' bello camminare tra la gente. Abbiamo un cortile dove possiamo giocare a basket o a pallamano, e molto spazio per camminare e correre. L'altro giorno ho giocato una partita a basket 5 contro 5, per la prima volta dal 1999. Inoltre non ci tengono molto a lungo ammanettati. Andiamo alla ricreazione e a volte usciamo anche per mangiare (altre volte ci danno da mangiare in cella). Visto che sono ancora in custodia punitiva devo essere ammanettato per andare alle visite, ma quando passerò di livello non lo sarò più. Inoltre ho un compagno di cella. [...] Ho incontrato un ragazzo di San Antonio che ha un fratello nel braccio della morte. Conosco suo fratello e suo fratello conosce mio padre. [...] Questo ragazzo ha circa la mia età e sembra voler fare qualcosa della sua vita (nel cuore e nella mente), e questo mi va bene, perché molti ragazzi qui dentro sono vuoti e sciocchi e non riesco a tollerarlo. Le cose come vedi sono nel complesso migliorate e continueranno a migliorare. [...]
Teniamo vivo il nostro ponte, ok? Trasmetti tutto il mio amore al Comitato Paul Rougeau. Che lo sappiate o no... tutti voi siete eroi per me. Ciao, amica mia.
Per sempre Kenneth
7) PAULA COOPER INTERVISTATA NEL NUOVO CARCERE DOVE LAVORA E SPERA
In favore di Paula Cooper, che fu condannata alla sedia elettrica negli Stati Uniti per un delitto commesso a 15 anni di età, si verificò una straordinaria mobilitazione popolare che dette inizio al forte impegno di massa contro la pena di morte del nostro Paese. Paula si salvò dalla sedia elettrica nel luglio del 1989 quando, in appello, la sua condanna a morte fu commutata nella massima pena detentiva. Il 19 ottobre scorso, passati 18 anni da quel giorno luminoso per il movimento abolizionista, nel clima della mobilitazione per la moratoria alle Nazioni Unite, Anna Guaita e Giampaolo Pioli, i due giornalisti italiani che più si impegnarono per salvare Paula, sono andati ad intervistarla nel carcere di Rockville.
Abbiamo parlato più volte su questo Foglio di Collegamento di Paula Cooper, la ragazza nera dell'Indiana che fu condannata a morte per un omicidio insensato commesso a quindici anni di età nel 1985 (v. nn. 86, 128, "Papa Wojtyla...", 133). In Italia, la più famosa condannata a morte statunitense di tutti i tempi è stata proprio Paula Cooper. La sua infanzia terribile, le violenze subite, la violenza esercitata, la sua condanna mostruosa, unite alla grande simpatia suscitata dall'esserino sparuto che sbocciava rapidamente in una donna bella e intelligente, commossero milioni di Italiani che si mobilitarono per salvarla.
Il 13 luglio 1989, in appello, la condanna a morte di Paula Cooper fu commutata dalla Corte Suprema dell'Indiana nella massima pena detentiva, consistente in 60 anni di carcere riducibili a 30 per buona condotta.
Dopo la positiva soluzione del caso di Paula Cooper, un gran numero di persone continuarono ad impegnarsi in Italia nella lotta contro la pena di morte e per sostenere i condannati alla pena capitale. Ma l'oblio scese inevitabilmente sul destino di Paula che, tra alti e bassi, trovò comunque la forza per riscattarsi, come aveva promesso alle persone che avevano creduto in lei, a cominciare dal "caro papa" Giovanni Paolo II, da don Germano Greganti, dai giornalisti Anna Guaita e Giampaolo Pioli.
Paula riuscì a concludere la scuola secondaria e perfino a laurearsi studiando per corrispondenza (v. n. 86). Ha addirittura tentato di ottenere un nuovo processo e uno sconto di pena preparando da sé il relativo ricorso (v. n. 133). Ora si è rassegnata ad aspettare il 2015, anno in cui potrà uscire dal carcere a 45 anni di età. Si sta preparando fin da ora ad affrontare quel passo lieto e difficile, imparando, lavorando e mettendo da parte la sua paghetta giornaliera di 1 dollaro e 75 centesimi.
Se volete scriverle, appuntatevi il suo attuale indirizzo:
Ms. Paula R. Cooper # 864800
Rockville Correctional Facility
811 W. 50 N
Rockville, IN 47872 - USA
Vogliamo qui riportare alcuni passi dell'articolo con l'intervista rilasciata da Paula Cooper ad Anna Guaita - la giornalista che negli anni Ottanta si prodigò per salvarla, con una penna precisa ed efficace e un cuore di mamma - pubblicata sul quotidiano Il Messaggero di Roma del 19 ottobre u. s. (*)
[...] Paula Cooper ha 39 anni, e non assomiglia più alla giovane assassina disadattata e spaventata che incontrammo per la prima volta venti anni fa, quando[...] ogni mattina si svegliava pensando "mi legheranno alla sedia elettrica, mi uccideranno, e tutti si dimenticheranno di me".
"Molti giovani che vivono nella violenza non sono stati e non saranno fortunati come me - ammette -. La società spesso si disinteressa di loro. Li rinchiude e butta via la chiave. Io ho vissuto tutta la mia infanzia nella violenza, e ho commesso un atto di grande violenza, ma ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada tanta gente che mi ha voluto aiutare. Se non sono impazzita, se non mi sono abbandonata alla disperazione, se ho cercato di trasformare la mia vita in qualcosa di positivo, lo devo a tutti loro".[...]
Dietro quel filo spinato, dopo aver imparato i complessi regolamenti e i puntigliosi e invalicabili divieti, alle detenute sono anche offerte molte opportunità. Tutte possono studiare, e le aule sono luminose, pulitissime, fornite di computer. Tutte possono frequentare la biblioteca, con le sue poltroncine fra gli scaffali e le grandi finestre che guardano sui prati. Tutte possono andare in palestra, dove spiccano strumenti di ogni tipo e sulla parete sono accese due televisioni a schermo piatto. Tutte possono scegliere di usare il tempo libero per andare in chiesa, o per giocare con i videogiochi, o per camminare nei prati che dividono i quattro grandi dormitori. [...] Tutte possono scegliere di lavorare e guadagnare qualcosa: "Ora lavoro in una fabbrica dove produciamo divise per tutte le prigioni dell'Indiana. Guadagno un dollaro e 75 al giorno. Non è tanto, ma metto da parte ogni centesimo. Quando uscirò di qui avrò bisogno di un po' di soldi per compiere i primi passi".
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(*) Vedi: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=11426&sez=HOME_PERSONE
Una intervista, con risposte quasi sovrapponibili a quelle date alla Guaita, è stata rilasciata da Paula Cooper a Giampaolo Pioli il medesimo giorno 19, v. http://qn.quotidiano.net/esteri/2007/10/24/42595-paula_ancora_viva_grazie.shtml
8) QUANDO I FAMILIARI DELLE VITTIME NON CERCANO VENDETTA
Il padre di una ragazza uccisa in Texas durante una rapina, ha partecipato al processo contro l'assassino della figlia dichiarando di perdonarlo e chiedendo clemenza. Il reo è stato tuttavia condannato a morte.
Quando i sostenitori della pena di morte affermano che gli abolizionisti vogliamo impedire ai familiari delle vittime dei crimini di trovare pace attraverso la vendetta, essi non tengono conto delle persone che invece perdonano gli assassini dei loro cari, iniziando da ciò un cammino di guarigione. Ecco un recente caso, che davvero merita di essere citato.
Joe Walker, padre di Sarah Anne Walker, una ragazza che l'8 luglio 2006 fu picchiata e pugnalata a morte, durante una rapina, dal ventisettenne Kosoul Chanthakoummane, ha dichiarato ripetutamente di perdonare l'autore del crimine. L'ha fatto al funerale della figlia prima ancora di sapere chi fosse l'assassino, e poi durante le varie fasi del processo contro Kosoul Chanthakoummane, che il 17 ottobre si è tuttavia concluso con la sua condanna a morte.
Negli anni Novanta, i parenti delle vittime dei crimini - costituendo delle associazioni - sono riusciti a far approvare in Texas delle leggi che permettono loro di partecipare attivamente ai processi capitali e di presenziare alle esecuzioni. Se l'accusa utilizza molto efficacemente il dolore dei familiari delle persone uccise per ottenere la condanna a morte dei colpevoli, non altrettanto efficaci sono le richieste di clemenza dei familiari che si oppongono alla condanna morte degli assassini dei loro cari. Ma certo la testimonianza dei familiari che perdonano, illumina la società molto più di quanto non la oscurino coloro che perseguono la vendetta (v. n. 135).
Joe Walker, dopo aver chiesto invano clemenza, ha anche scritto una lettera a Chanthakoummane, nella quale dice: "Sebbene non voglia passare sopra il delitto perpetrato ai danni di mia figlia, voglio che tu sappia che ti perdono sinceramente e completamente, senza serbare rancore di sorta."
Il signor Walker afferma che la sua fede in Dio non gli permetterebbe di sentirsi a posto con la coscienza se non perdonasse il colpevole. Ha ricordato che papa Giovanni Paolo II dichiarò che solo perdonando il colpevole si può iniziare a superare il dolore per la perdita della persona amata. Desidera che Chanthakoummane viva affinché possa riflettere su ciò che ha fatto e abbia il tempo di pentirsi. Ha dichiarato di aver provato un atroce dolore per la perdita della figlia, una sensazione che può sperimentare solo chi patisce una simile tragedia. Tuttavia, anzi proprio per questo, egli afferma di perdonare con tutto il cuore l'assassino.
Certo, a molte persone questo atteggiamento può sembrare incomprensibile, ma, a ben riflettere, è proprio ciò che il Vangelo insegna e quindi dovrebbe essere la norma almeno per coloro che si professano cristiani. (Grazia)
9) NESSUNA GIUSTIZIA AD UN ANNO DALL'UCCISIONE DI ANNA POLITKOVSKAYA
Ad un anno dall'assassinio di Anna Politkovskaya, la valorosa giornalista russa che aveva denunciato le violazioni dei diritti umani in Cecenia, la promessa del governo russo di collaborare alle indagini sul suo barbaro assassinio non ha prodotto la verità e la giustizia che tutto il mondo pretende. Inoltre il governo russo si è rifiutato di estradare in Inghilterra il presunto omicida dell'ex spia Alexander V. Litvinenko, che fu uccisa a Londra nel novembre del 2006 con una sostanza radioattiva, forse anche in conseguenza alle indagini che svolgeva sul caso Politkovskaya. Tutto ciò mentre in Russia proseguono intimidazioni e gravi minacce nei riguardi di giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani.
Abbiamo parlato diffusamente un anno fa della cinica uccisione a freddo, avvenuta a Mosca il 7 ottobre 2006, della giornalista russa Anna Politkovskaya, che si era scontrata frontalmente con il potere denunciando le violazioni dei diritti umani in Cecenia, e del successivo avvelenamento con il polonio 210 - una sostanza che emette micidiali particelle alfa - di Alexander V. Litvinenko, un complesso personaggio, ex spia, che aveva indagato sull'assassinio della Politkovskaya (v. n. 144, "Omicidi mirati e violazioni dei diritti umani nella Federazione Russa").
Pur senza essere in grado di accusare nessuno, avevamo riportato i plausibili sospetti diffusi in tutto il mondo di un coinvolgimento degli apparati governativi russi nelle due uccisioni. Allora il presidente Vladimir Putin, sia pure con un ritardo sospetto, aveva rigettato con sdegno le accuse esplicite mosse contro di lui da Litvinenko, subito prima della sua morte avvenuta a Londra il 23 novembre 2006. Putin aveva anzi promesso tutta la propria collaborazione per l'accertamento della verità sia sull'avvelenamento di Litvinenko sia sull'uccisione della Politkovskaya.
I risultati di questa 'collaborazione' sono sconcertanti.
Dopo approfondite indagini, il 22 maggio scorso le autorità del Regno Unito hanno formalmente chiesto alla Russia l'estradizione di Andrei Lugovoy, un ex agente del KGB sospettato di aver avvelenato Litvinenko. Nel giro di pochi minuti è arrivata la risposta dei Russi: negativa.
Purtroppo dobbiamo costatare che anche la verità e la giustizia dovute alla nobile figura della Politkovskaya non sono venute fuori dopo un anno di confuse indagini svoltesi in Russia.
Le investigazioni, condotte parallelamente dai giornalisti della Novaya Gazeta, il giornale della Politkovskaya, e dal procuratore Petros V. Garibyan, con un certo grado di collaborazione reciproca, hanno portato ad individuare una decina di sospetti, quali esecutori del crimine, per lo più appartenenti all'apparato russo. Il Procuratore Generale della Russia, Yuri Y. Chaika, aveva invece dichiarato in agosto, sostenendo le tesi governative, che l'omicidio della Politkovskaya era stato ordinato dall'estero con lo scopo di destabilizzare il paese.
L' 8 ottobre u. s. sia il direttore della Novaya Gazeta, Dimitri A. Muratov, sia il procuratore Garibyan, hanno dichiarato di conoscere il nome di colui che ha sparato numerosi colpi di pistola alla Politkovskaya sulla porta di casa, pur senza rivelarlo. Costui è a piede libero.
Nulla è stato accertato sui mandanti dell'omicidio della giornalista. Amnesty rileva che "dalla fine di agosto, sono state arrestate almeno 12 persone in relazione all'assassinio, ma diverse di esse sono state rilasciate quando è emerso che avevano un alibi. Tra coloro che sono stati indicati pubblicamente come sospetti, figurano funzionari del Ministero degli Interni, dei Servizi di sicurezza federali (FSB) e un ex dirigente dell'amministrazione locale cecena."
Se il clima non è favorevole per la ricerca delle verità sui crimini compiuti (oltre alla Politkosvskaya, sono numerosi i giornalisti assassinati recentemente in Russia), sembra essere ancora meno propizio per la vita di chiunque sia impegnato nella ricerca della verità e nella difesa dei diritti umani. Secondo Amnesty "oggi altri giornalisti, difensori dei diritti umani e avvocati della Federazione russa continuano a subire aggressioni, intimidazioni e minacce, anche di morte, da parte di agenti statali e di entità non statali. Molti preferiscono non parlarne in pubblico, ma Amnesty International sa per certo che vi sono stati numerosi tentativi per ridurli al silenzio."
10) UN LIBRO INTERESSANTE: "LA MIA VOCE DAL BRACCIO DELLA MORTE"
In Italia è uscito un nuovo libro scritto da un detenuto del braccio della morte del Texas: Gene Hathorn. Laura Silva lo ha trovato di grande interesse, per i motivi che leggerete in questa sua recensione. Dopo aver letto il libro, Laura ha anche stabilito un contatto con Gene, e con la sua corrispondente italiana.
Le Edizioni Clandestine di Massa Carrara hanno dato alle stampe il libro di un condannato a morte nel Texas: Gene Wilford Hathorn.
Nato nel 1960, Gene è stato condannato giovanissimo, e ha trascorso 23 anni nel braccio della morte.
Porta uno dei numeri di matricola più bassi: l'800.
Lo scritto di Hathorn è vario: racconta le condizioni attuali del braccio, espone le sue riflessioni sulle strategie abolizioniste, spesso in polemica con quelle adottate dalle principali Associazioni e percorre la sua memoria.
Una memoria lontana, sfatta, che confina con il sogno. La vita del detenuto, ci dice Gene, è una non-vita, segnata da non-esperienze, che si nutre di ricordi (sempre più lontani, sfumati e imperfetti), di fantasmagorie, di speranze.
E' una vita circondata da follia. Tanti racconti di compagni detenuti in pessime condizioni di salute (fisica o mentale), tanti episodi di maltrattamenti e abusi.
"I rumori della pazzia sono le distrazioni più tangibili. Gli uomini che hanno perso la battaglia con la propria salute mentale urlano e sferrano pugni contro le porte d'acciaio, emettendo suoni gutturali e lamentosi in cerca di un riconoscimento di ciò che credono essere i propri bisogni" (...) Quelli di noi che conservano un minimo di lucidità, per riuscire a penetrare nella coscienza degli altri devono rimuovere la cappa ovattante che ostruisce il motore delle nostre menti e riaccendere il regno dell'attenzione (...) I ricordi sono un'arma a doppio taglio perché pur capaci di rallegrare un detenuto possono anche perseguitarlo. Tramite questi riassapora la condivisione di un amore e altrettanto realizza quanto gli sia impossibile oggi o in futuro rinverdirla e se anche ci si abitua alla mancanza[sic], il non averne seppur lontana prospettiva provoca nelle viscere un dolore insopportabile, ritorcendolo nei suoi anni perduti e provocando la più intensa delle sue silenziose grida. [sic]"
I nostri amici condannati ci parlano spesso della fatica improba che fanno per non perdere il senno, per conservare la voglia di lottare e per non lasciarsi sopraffare. Il libro di Gene è tutto sul filo della follia.
Dalle sue parole si legge chiaramente la dimestichezza con questa dimensione della mente, le ore di solitudine, trascorse ad ascoltare i propri pensieri, a perdersi nei propri labirinti.
Gene questa fatica la conosce benissimo, e ce la racconta in un modo toccante, poetico:
"Spesso, mentre passeggia lungo gli argini del suo fiume interiore, vede il passato stendersi davanti agli occhi, un sentiero scivoloso di opportunità perdute che invece di essere portate via dall'acqua, gli ricordano di non aver sempre agito per il meglio così come le persone incontrate nel corso degli anni. La sua stanza spoglia rappresenta una spirale comandata dalla forza gravitazionale dell'abisso, verso il basso. Sempre più in basso".
Abbiamo scritto a Gene Hathorn e siamo in contatto con la sua corrispondente in Italia, Francesca Manca. Vi terremo aggiornati sulla sua vicenda giudiziaria e su eventuali campagne in suo favore
E' possibile ordinare on line il libro - di cui diamo qui sotto gli estremi completi - all'indirizzo:
http://www.edizioniclandestine.com/shop/customer/home.php
Gene Wilford Hathorn - "Dead man walking - La mia voce dal braccio della morte" - Edizioni Clandestine, Massa Carrara, 2007 - Euro 14,00, 246 pagine - info@edizioniclandestine.com
11) CONDANNATO A MORTE DELLA PENNSYLVANIA CERCA CORRISPONDENTI
Paolo Cifariello ci segnala un condannato a morte della Pennsylvania che desidera corrispondere:
Mr. RALPH STOKES
No. AY-9034
175 Progress Drive
WAYNESBURG, PA 15370-8090 USA
Ralph dice di essere molto solo, non avendo più nessun contatto da anni con familiari e parenti. Cerca corrispondenti in Italia.
12) CONDANNATO A MORTE DEL TEXAS CERCA CORRISPONDENTI
Mi chiamo Andre Thomas. Sono nel Braccio della morte. Il mio problema è molto semplice: non ho corrispondenti - e ciò mi duole! Cerco una persona per dividere un po' della mia vita. Sono un maschio nero, di 24 anni - e molto forte. Ho letto la mia Bibbia. (Segnalato da Carmen Mantovan)
Mr. Andre Thomas # 999493
Polunsky Unit
3872 FM 350 South
Livingston - TX 77351 USA
13) CONDANNATO A MORTE DEL TEXAS CERCA SOSTENITORI
Anna Rita Pani ci scrive: Un mio corrispondente dal Texas, Willie Tyrone Trottie, cerca un gruppo che voglia dargli voce. E' un bravo ragazzo (qualcuno potrebbe storcere il naso sentendo chiamare così un uomo condannato a morte, ma so che voi capite...), intelligente, comunicativo, purtroppo molto solo (un mese fa ha anche perso sua madre). Se potesse interessare, questo è il suo indirizzo:
Willie Tyrone Trottie #999085
Polunsky Unit
3872 FM 350 South
Livingston - TX 77351 USA
14) NOTIZIARIO
Afghanistan. Esecuzioni a raffica in un paese tutt'altro che democratico. Un comunicato dell'agenzia Agr del 20 ottobre riporta che Abdul Rasheed Rashid, un membro del Consiglio della Corte Suprema afgana, ha dichiarato che il presidente Hamid Karzai firmerà presto ordini di esecuzione per una trentina di condannati a morte. Dopo l'approvazione del Presidente, le sentenze verranno eseguite mediante fucilazione nella periferia orientale di Kabul. Questa notizia ci preoccupa e ci delude particolarmente anche perchè l'Italia ha avuto ufficialmente, dalla 'coalizione internazionale' che ha liberato il Paese dai Talebani, l'incarico di ricostruire il sistema legale dell'Afghanistan 'democratico'. Il cinico comunicato del governo Karzai giunge dopo le 15 esecuzioni compiute il 7 ottobre interrompendo tre anni di apparente moratoria. Tra i 15 fucilati a Kabul vi era tale Reza Khan presunto assassino della giornalista italiana Maria Grazia Cutuli, nobilmente perdonato dai familiari della Cutuli che si espressero contro la sua condanna a morte (v. n. 123). Il ruolo effettivo di Reza Khan, forse torturato e sottoposto ad un processo certamente iniquo, non fu mai chiarito. L'inviato delle Nazioni Unite in Afghanistan, Tom Koenigs, ha protestato vivacemente. Non ci risulta che il Governo italiano, abbia fatto altrettanto con l' 'alleato' Karzai.
Argentina. Ergastolo ad un prete che collaborò ai crimini della dittatura militare. Con grande ritardo e grande fatica alcuni dei responsabili dei crimini contro l'umanità commessi tra il 1976 e il 1983 durante la dittatura militare in Argentina, vengono sottoposti a processo e condannati (v. ad es. nn. 148, 149, Notiziario). Finora una grande indulgenza è stata usata nei riguardi degli esponenti della gerarchia cattolica notoriamente legata ai militari. Ha fatto perciò scalpore a fine ottobre la condanna all'ergastolo per crimini contro l'umanità di padre Christian Federico von Wernich. Padre von Wernich lavorò come informatore della polizia sfruttando il suo ruolo di cappellano carcerario per raccogliere informazioni dai detenuti. E' stato condannato per concorso in 7 omicidi, 42 sequestri e 31 casi di tortura. Nell'imminenza della condanna di von Wernich la Chiesa argentina ha diffuso una dichiarazione in cui si esprime rincrescimento per la partecipazione del prete a "gravi crimini." Ma non ha accettato alcuna responsabilità istituzionale per quei crimini. Ha anzi chiesto ai cittadini di "dimenticare ogni impunità così come ogni odio e rancore." Molti sono stati delusi dal fatto che la Chiesa argentina abbia rifiutato di ammettere ogni implicazione nei crimini dell'imputato. Durante il processo a von Wernich un altro prete suo amico, Ruben Capitanio, aveva chiesto alla gerarchia di accettare la responsabilità del suo oscuro passato. "Eravamo complici," ha affermato Capitanio. "Perciò penso che sia giunto per noi il momento di chiedere perdono. La chiesa deve stare accanto al crocifisso e non dalla parte dei crocifissori."
Iraq. Si sfalda il procedimento per omicidio contro i marine autori della strage di Haditha. Il 4 ottobre le gerarchie militari americane, al termine della loro investigazione, hanno proposto di annullare l'accusa di omicidio per l'ultimo di una decina di marine indagati per il massacro di Haditha, il sergente Frank D. Wuterich, lasciando in piedi accuse minori. Per altri due sospetti, i soldati Justin Sharratt e Stephen Tatum, hanno raccomandato il completo proscioglimento. Il capo degli investigatori, colonnello Paul J. Ware ha motivato la proposta con la scarsità delle prove raccolte in un'inchiesta tradiva, con il fatto che il procedimento si è tenuto negli Stati Uniti lontano dai testimoni dell'accaduto e con il fatto che le truppe americane sono sottoposte in Iraq ad attacchi di un nemico spietato che spesso si fa scudo dei civili. Nonostante ciò il 19 ottobre è stato annunciato un processo per due militari. Si procederà dunque contro il Colonnello Jeffrey Chessani, ex comandante di battaglione - accusato di omissione di doveri di ufficio e disobbedienza ad un ordine diretto per non aver disposto un'inchiesta per verificare che l'episodio non costituisse un crimine di guerra - e contro il soldato Stephen Tatum per omicidio involontario, condotta incauta e attacco aggravato. Ricordiamo che nel 2005 ad Haditha in Iraq, dopo lo scoppio di un ordigno piazzato lungo la strada che investì una colonna americana comandata da Wuterich, uccidendo un marine, una reazione indiscriminata dei militari fece 24 vittime tra gli abitanti della cittadina, tra cui vecchi, donne e bambini, 19 dei quali si trovavano all'interno delle loro case (v. n. 140, "Addestramento etico..."). La misera conclusione di questo raro procedimento contro i protagonisti di una tra le tante storie di sangue ai danni della martoriata popolazione irachena non stupisce più di tanto anche perché sotto accusa sono stati messi dei militari mentre le guardie private (i famosi 'contractor'), coperte anche loro da immunità nei riguardi del sistema giudiziario iracheno, uccidono, quasi sempre impunemente, con grande facilità civili disarmati.
Italia. Rifiutata l'estrazione dagli USA: il detenuto sarebbe a rischio di tortura in Italia. L'11 settembre (ma la notizia si è risaputa il 15 ottobre) il giudice D.D. Sitgraves di Los Angeles ha negato l'estradizione in Italia di tale Rosario Gambino, in uscita da un carcere federale, richiesto dal nostro paese per essere sottoposto ad un procedimento per reati di droga. Riferendosi al (deprecato) regime di isolamento previsto per alcuni tipi di detenuti dall'articolo 41 bis del nostro Ordinamento penitenziario, il giudice ha argomentato che se mandato in Italia Gambino sarebbe stato sottoposto ad un regime designato a costringere fisicamente e psicologicamente criminali come lui a rivelare informazioni riguardanti la mafia. "Questa... coercizione non è correlata con nessuna legittima sanzione o punizione e quindi costituisce tortura." Potremmo definire ineccepibile il diniego del giudice Sitgraves, se non provenisse da un paese che detiene i condannati a morte nelle condizioni che ben conosciamo e che ha approvato "tecniche di interrogazione" che figurano - queste sì - pari pari nei manuali di tortura (il presidente Bush il 5 ottobre ha di nuovo rivendicato il diritto di applicare tali metodi). Da notare: l'anno scorso negli USA sono stati accettati solo 578 ricorsi, motivati dal rischio di tortura, contro l'espulsione, mentre ne sono stati negati 15.905.
Usa. Apprezzabile aumento del favore per la pena di morte. Un sondaggio dalla Gallup, effettuato tra il 4 e il 7 ottobre mediante interviste telefoniche a 1.010 Americani adulti, ha rilevato un apprezzabile aumento del favore per la pena di morte a livello nazionale. Alla domanda. "Sei favorevole alla pena di morte per una persona condannata per omicidio?" ha risposto affermativamente il 69% degli intervistati (con il 27% di contrari e il 4% di incerti). Un anno fa si ebbe il 65% di favorevoli (con il 28% di contrari e il 7% di incerti). L'errore attribuibile a queste percentuali secondo la Gallup è del 3%.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 24 ottobre 2007