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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

 Numero 173  -  Ottobre 2009

Da’mon    Simpson

SOMMARIO:

    

 

1) Un muro di gomma difende la scelta di morte di Da’mon       

2) Un enigma il futuro dell’iniezione letale in Ohio                       

3) Il caso di Todd s’impaluda nella cultura e nella politica del Texas

4) Per Anthony Graves si intravede l’uscita dal tunnel                

5) Routine della pena di morte: l’ultimo viaggio di Steve 

6) Routine della pena di morte: l’ultima dichiarazione di Reginald         

7) In Russia la moratoria tiene, a fatica                                                   

8) Informazioni agghiaccianti riguardo alla situazione dei Rom             

9) Ospitiamo in noi stessi forme di odio di Fernando E. Caro                  

10) L’uomo che non c’è di Antonio Landino                                   

11) Notiziario                                                           

 

 

1) UN MURO DI GOMMA DIFENDE LA SCELTA DI MORTE DI DA’MON

 

Pubblichiamo l’ultima lettera collettiva che abbiamo mandato al nostro amico Danielle “Da’mon” Simpson, condannato a morte in Texas, ‘volontario’ per l’esecuzione fissata il 18 novembre p. v. Gli abbiamo scritto nel tentativo di confortarlo, farlo ragionare e possibilmente spingerlo riprendere gli appelli legali ed a chiedere la sospensione dell’esecuzione. Ci siamo molto impegnati per stabilire un colloquio con Da’mon in questo drammatico frangente, ma le autorità carcerarie del braccio della morte della Polunsky Unit ed anche l’avvocato di Da’mon non ci hanno aiutato, anzi ci sono stati avversi.

 

La data di esecuzione di Danielle Da’mon Simpson, divenuto amico del Comitato, rimane fissata in Texas per il 18 novembre p. v. (v. art. di Stefania nel n. 172). Una frenetica attività di alcuni di noi - fatta di decine di messaggi e-mail diretti in Italia e in Texas, di lettere (probabilmente mai arrivate) a Da’mon, di telefonate alle autorità del braccio della morte e all’avvocato di Da’mon - ha incontrato in Texas un muro di gomma che ha respinto i nostri tentativi di confortare Da’mon e di aiutarlo a chiarirsi le idee, soprattutto nella speranza di indurlo a riprendere gli appelli legali onde evitare l’ormai prossima esecuzione. L’avvocato di Da’mon, rassegnato all’esecuzione del suo cliente ed apparentemente tranquillo, non ci ha aiutato nel nostro sforzo. Le autorità del carcere hanno fatto in modo di vanificare il tentativo di uno di noi di andare a visitare Da’mon per parlarci direttamente. Questa è la lettera quasi disperata che abbiamo inviato a Damon il 30 ottobre, utilizzando tre canali diversi: la posta legale del suo avvocato, la posta normale, e il corriere di posta elettronica J-pay:

 

Roma, 30 ottobre 2009

 

Caro Da’mon,

vediamo che le tua esecuzione è tuttora fissata per il 18 novembre e questo ci angoscia profondamente.

Come già sai, abbiamo cercato di organizzare il viaggio di uno di noi che ti venisse a visitare in questi giorni, non solo per darti un po’ di sostegno ma anche nella speranza di aiutarti a fare chiarezza nei tuoi pensieri e nei tuoi sentimenti. Sfortunatamente ciò non è stato possibile: le autorità del TDCJ ci hanno detto che i detenuti del braccio della morte non possono ricevere visite da coloro che non  siano già compresi nell’apposita lista. E questo anche pochi giorni prima dell’esecuzione!

Così siamo costretti a scriverti le parole che avremmo voluto dirti faccia a faccia. Siamo perfettamente convinti che non è la stessa cosa, ma non c’è altro da fare ora.

Stiamo scrivendo questa lettera perché, da quello che hai scritto recentemente a Stefania, capiamo che la tua scelta di rinunciare agli appelli non l’hai fatta serenamente e in pace con te stesso. Non hai nessuno vicino a te per aiutarti a prendere una decisione del tutto consapevole in una situazione logorante che rende tutto più difficile.

Per noi è molto difficile capire quali sono esattamente i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti. In sintesi, tu hai scritto che: sei stanco di combattere questa battaglia, dal momento che è una battaglia in cui sei solo contro tutti; ti senti solo, nessuno si interessa a te;  tu non sei un animale che merita di vivere in queste condizioni, e quindi non ha alcun senso aspettare, se devono ucciderti che lo facciano il più presto possibile.

Orbene, se questi sono realmente i tuoi pensieri, ti stai sbagliando almeno su un punto: per noi – ed anche per tutti i tuoi amici – la tua vita è preziosa; se non ce ne importasse di te non staremmo a scrivere sforzandoci di confortarti. Potremmo voltarti le spalle dicendo: “sia fatto come vuole” e occuparci d’altro. Potremo rimanere con la coscienza tranquilla senza agitarci per il tuo destino, per le tue condizioni.

Vorremmo che sentissi almeno il conforto che deriva dalla consapevolezza che ci sono persone fuori di lì che SI PREOCCUPANO per te,  che alzano la loro voce per parlare in tuo favore.

Ci sentiamo angosciati pensando a quali possono essere i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri. Abbiamo cercato di rassicuraci pensando “Da’mon adesso è sereno nella sua scelta”, ma rileggendo le tue lettere non siamo riusciti a trovarvi nulla che dimostri serenità, pace interiore; ci sembra invece che tu stia in uno stato d’ansia tremendo, che ti senta tremendamente solo, abbandonato anche dai tuoi familiari.

Caro  Da’mon, noi tutti ci domandiamo se hai fatto una scelta razionale, perché non hai più speranze a cui aggrapparti, oppure sei un uomo che non sopporta più di vivere perché fa una vita di schifo e si sente abbandonato dai parenti e dagli amici.

In altre parole, la tua è una scelta dettata dalla ragione, o ti sei rassegnato per frustrazione, disinteressandoti di quello che significa la tua scelta?

Ci sono alcuni che pensano che tu abbia scelto di morire per mostrare che puoi ancora scegliere qualcosa, tra le poche cose che ti sono rimaste, decidendo sulla tua vita. In altre parole, la dignità che tu vuoi preservare è quella di dire: voglio almeno scegliere quando morire.

Altri ritengono che tu ti senta impegnato in una estrema battaglia per denunciare al mondo le inumane condizioni in cui vivete.

Per altri ancora il tuo è un modo di chiedere attenzione. Come lanciare un disperato segnale: ci sono!

Il tempo stringe, e ogni giorno che passa diventa più difficile trovare l’occasione per discutere quali sono le tue motivazioni, le tue ragioni e le scelte che hai fatto. Per questo ti chiediamo DI RIPRENDERE I TUOI APPELLI. Non sprecare del tempo prezioso, devi agire fintanto che puoi.

Ti stimo dicendo questo perché ci importa di te, siamo tuoi amici. Qualsiasi scelta tu faccia nei prossimi giorni, sappi che il solo regalo che possiamo farti ora sono queste parole di autentica preoccupazione: la preoccupazione che ti vogliamo comunicare come amici fedeli.

Tienilo bene in mente: hai parecchi amici qui in Italia. Quelli che hai conosciuto attraverso le loro lettere e molti altri che ti hanno conosciuto attraverso coloro che ti hanno scritto. Ci sono alcuni amici che avrebbero voluto comunicare con te ma non sanno scrivere in Inglese.

Per favore scrivici, vogliamo sapere di te.

 

 

2) UN ENIGMA IL FUTURO DELL’INIEZIONE LETALE IN OHIO

 

Il 15 settembre il governatore del’Ohio Ted Strickland intervenne per bloccare la procedura dell’iniezione letale al termine di due ore di inutili tentativi di trovare nel corpo di Romell Broom  una vena utilizzabile per l’introduzione delle sostanze venefiche. Le esecuzioni capitali in Ohio sono sospese almeno fino al prossimo anno, dopo il fallimento dell’esecuzione di Broom. Nel frattempo vengono studiate variazioni nel protocollo dell’iniezione letale onde evitare il ripetersi di inconvenienti. Così facendo l’Ohio sembra essersi cacciato in un ginepraio da cui risulta tutt’altro che facile districarsi.

 

Il giudice federale Gregory Frost ha sospeso, almeno a fino dopo un’udienza concessa per il 9 dicembre, la ripetizione dell’esecuzione di Romell Broom che fu bloccata in Ohio dal governatore Ted Strickland il 15 settembre, dopo due ore di inutili tentativi di trovare nel suo corpo una vena utilizzabile per l’iniezione letale (v. n. 172).

Il 19 ottobre Frost ha ordinato una sospensione a tempo indeterminato dell’esecuzione di Kenneth Biros, che era sta fissata in Ohio per l’8 dicembre.

In precedenza il governatore Strickland aveva spostato al 9 marzo e al 20 aprile, le esecuzioni di  Lawrence R. Reynolds Jr. e di Darryl Durr che dovevano avvenire in ottobre e in novembre.

Nel frattempo il metodo dell’iniezione letale è sotto revisione in Ohio. Si vocifera di cambiamenti rivoluzionari nella procedura: il passaggio all’uso di una sola sostanza letale, al posto delle tre attualmente previste, e un diverso tipo di accesso al corpo dei condannati nel caso di indisponibilità di vene utilizzabili (iniezioni nelle ossa o nei muscoli?).

“Stiamo guardando a diversi mezzi alternativi e a backup delle procedure dell’iniezione” ha dichiarato in modo sibillino la portavoce del Dipartimento delle Carceri dell’Ohio, Julie Walburn. “Prevediamo che ogni revisione e ogni cambiamento siano completati entro la fine dell’anno.”

Tali affermazioni sono fin troppo ‘ottimiste’. Difatti cambiamenti sostanziali della procedura dell’iniezione letale in uso, sospettata di essere un metodo di uccidere crudele ed inusuale e quindi incostituzionale, furono studiati a lungo nel corso della moratoria nazionale di sette mesi a cavallo tra il 2007 e il 2008 ma non si arrivò a capo di nulla. Se non altro per il fatto che una procedura più ‘umana’ avrebbe allungato i tempi dell’esecuzione creando grossi problemi ‘estetici’ e organizzativi.

Siamo veramente interessati di vedere come evolverà la situazione apparentemente senza sbocco che si è creata in Ohio dopo l’esecuzione botched di Rommel Broom. Anche perché un cambiamento sostanziale della procedura in Ohio motiverebbe un ripensamento dell’iniezione letale negli altri stati.

 

 

3) IL CASO DI TODD S’IMPALUDA NELLA CULTURA E NELLA POLITICA DEL TEXAS

 

La confusa e spasmodica reazione degli ambienti più conservatori del Texas ha allontanato e forse definitivamente annullato la prospettiva del riconoscimento dell’innocenza di Cameron Todd Willingham ‘giustiziato’ con un’iniezione letale il 17 febbraio 2004. La ridda di ‘rivelazioni’ sulla personalità deviante di Todd, sulle prove in base alle quali fu incriminato e condannato, e su una sua ipotetica confessione di colpevolezza all’ex moglie Stacy Kuykendall, non aggiunge nulla a ciò che si sapeva e non può nascondere il fatto che la prova cardine dell’accusa contro Todd, la perizia del vice capo dei vigili del fuoco Manuel Vasquez, è stata giudicata insostenibile da nove esperti di incendi.

 

In questo momento si parla moltissimo, in Texas e non solo, di Cameron Todd Willingam - uno tra le centinaia di ‘giustiziati’ nello ‘stato della morte’ nell’ultimo decennio.

Come abbiamo raccontato nei numeri precedenti, nessuno avrebbe mai più parlato di lui dopo il 17 febbraio 2004, giorno in cui fu messo a morte, se del suo caso non si fossero caparbiamente occupati al di fuori del Texas, il Chicago Tribune e l’Innocence Project (v. nn. 124, 166).

Un’approfondita inchiesta del grande giornale dell’Illinois, poi un’indagine del famoso studio legale newyorchese, hanno concordemente squalificato la testimonianza resa al processo di Willingham dal vice capo dei pompieri Manuel Vasquez (questi asserì che vi erano sicure prove scientifiche che Cameron Todd Willingham l’antivigilia di Natale del 1991 appiccò intenzionalmente il fuoco alla propria casa allo scopo di uccidere le sue tre figliolette).

Uno dopo l’altro un totale di otto esperti di incendi hanno contestato, definendole affermazioni folcloristiche senza fondamento scientifico, idee puramente soggettive, le ‘prove’ portate da Vasquez  contro l’imputato, e così il caso sembrava viaggiare lungo una traiettoria che puntava sempre più chiaramente al riconoscimento dell’innocenza di Todd.

Il riesame filava liscio, senza scossoni, prima che il caso ritornasse in Texas. Vi è rientrato nel 2008 quando la Commissione per le Scienze forensi del Texas ha accettato di sottoporre a verifica la perizia di Manuel Vasquez (v. n. 166). Tale commissione ha chiesto ad un famoso esperto di  incendi del Maryland,  Craig  Beyler, di compiere l’ennesimo esame sul lavoro di Vasquez (v. n. 171).

Con la conclusione del rapporto di Beyler, che giunge a risultati coerenti a quelli dei precedenti otto esperti, si è concretizzata la possibilità che un organo ufficiale ed indipendente invalidasse la prova cardinale contro Todd, aprendo la porta ad un doveroso riconoscimento dell’innocenza del condannato già giustiziato.

A questo punto  sono saltati nervi al governatore del Texas Rick Perry.

Perry, interpretando la cultura forcaiola della maggioranza silenziosa del Texas, e temendo per la sua posizione politica, ha reagito prima della conclusione dei lavori della Commissione. Ha riaffermato la colpevolezza di Willingham il 19 settembre. Ha sostituito il presidente e gli altri tre membri di sua nomina nella Commissione per le Scienze forensi a partire dal 30 settembre (1). Ha inveito contro Todd il 14 ottobre chiamandolo un ‘mostro’. Ha suscitato un vespaio nella stampa.

In un primo momento l’imprevista e improvvida uscita non è stata pagante per Perry (v. n. 172). Tuttavia con l’emergere nei media di una serie di informazioni tese a screditare la personalità del condannato e ad affermarne la colpevolezza nonostante tutto, la posizione del governatore ha ripreso quota (lo dimostra un apprezzabile cambiamento nel tono dei commenti fatti dai lettori agli articoli dei giornali). 

In effetti Todd non era una persona lineare, né un cittadino modello. A Todd – un forestiero che veniva dall’Oklahoma - piaceva bere e divertirsi, poco studiare e lavorare. A 16 anni egli aveva già collezionato diversi arresti per crimini di minore entità, come guida in stato di ebbrezza e piccoli furti. Anche da maggiorenne portò le manette.

Sia Todd, sia la sua giovane compagna Stacy, avevano vissuto l’infanzia e l’adolescenza in difficili condizioni economiche e sociali. Per dirne solo una: la mamma di Stacy era morta, strangolata dal patrigno, quando lei aveva quattro anni.

Poco più che ventenni, nel 1988 Todd e Stacy si erano uniti mettendo insieme i rispettivi disagi, tra amore e ostilità, litigi e botte. E mettendo insieme… tre deliziose figliolette.

Stacy, già sul punto di allontanarsi da Todd nel momento in cui accadde la tragedia in cui morì tutta la prole della giovane coppia, troncò ogni contatto col marito condannato a morte e si rifece una vita con un altro uomo. Man mano, negli anni si convinse della colpevolezza di Todd anche per le pressioni che ricevette dall’ambiente. Oggi ne è perfettamente convinta.

Il quotidiano Star-Telegram di Fort Worth il 25 ottobre ha dato molto rilevo ad una ‘dichiarazione-bomba’ di Stacy Kuykendall che porta acqua al mulino del governatore Perry. Secondo il quotidiano, l’ex moglie di Willingham, avrebbe affermato che, quando lei lo andò a trovare in carcere circa due settimane prima del’esecuzione, dopo 12 anni che non lo vedeva, Todd le confessò di aver appiccato il fuoco alla propria casa.   

“Todd appiccò il fuoco alla nostra casa e rimase fuori a guardare mentre bruciava. Sapeva che le nostre tre figlie stavano esalando l’ultimo respiro dentro la casa. Le ha guardate morire,” ha dichiarato fra l’altro Stacy. “Il Governatore Rick Perry ha chiamato Cameron Todd Willingham un ‘mostro’ e realmente lo fu.”[…] (2)

Dovete sapere che la dichiarazione di Stacy del 25 ottobre è stata pubblicata per smentire un’affermazione del giornalista David Grann (3) di una settimana prima. Grann il giorno 18 aveva scritto: “Ieri la città di Corsicana in Texas, in cui si verificò l’incendio, ha sostenuto l’accusa portata contro Willingham  diffondendo una dichiarazione che fu resa dal cognato [di Todd] Ronnie Kuykendall […]. Kuykendall  riferì che sua sorella Stacy, ex moglie di Willingham,  disse a lui e ad altri familiari che Willingham le confessò [il delitto] in occasione della sua visita in carcere diverse settimane prima dell’esecuzione. […] La veridicità della dichiarazione di Kuykendall fu messa in questione cinque anni fa nel dicembre 2004, dieci mesi dopo l’esecuzione di Willingham. I reporter del Chicago Tribune Steve Mills e Maurice Possley rintracciarono Stacy e le chiesero se Willingham avesse realmente confessato. Ella disse, fermamente, che Willingham non aveva mai fatto ciò.

In realtà, se leggiamo con pazienza l’attuale lunga dichiarazione di Stacy, scopriamo che Todd non le aveva confessato esplicitamente nulla: aveva solo detto di essere addolorato e le aveva chiesto di perdonarlo: “[Durante la mia visita Todd ricordò che nel 1991 mi] disse ‘se se non posso avere le mie bambine tu non te ne puoi andare’ e che non avrei mai avuto Amber o le gemelle se non assieme a lui. Mi disse di essere addolorato e che sperava che un giorno lo avrei perdonato.”

Ma perdonato di che cosa?

Todd aveva parlato di Stacy con Fabrizio De Rosso quattro giorni prima dell’esecuzione ed aveva anche raccontato della famosa visita di Stacy. E’ del massimo interesse rileggere a questo proposito il diario del nostro amico Fabrizio (abbiamo aggiunto una sottolineatura):

“[Todd] parla delle tre figlie, Amber ( 30 mesi ) e le twins, Kameron e Karmen ( 12 mesi ), della moglie Stacy. Stacy che dice: You have fucked up my life, mi hai completamente rovinato la vita. Stacy che non vuole saperne di stare con le bambine, prendersi cura di loro. Todd che ammette: I was mean to her, sono stato meschino con lei. […] Guardami, Fabrizio, non mi sono lasciato andare, ho conservato il rispetto di me stesso, sono stato contento di avere detto a Stacy quindici giorni fa (la moglie gli aveva fatto inaspettatamente visita, la prima volta in dodici anni) che mi dispiaceva non essere stato un buon marito. Lei non se lo aspettava e si aspettava di vedere un uomo sconfitto, con la testa affondata tra le spalle e lo sguardo abbassato. Invece io l’ho guardata negli occhi e gliel’ho detto. Avresti dovuto vederla, Fab. Lei sì che è diventata un’altra persona. Si è imbruttita, lei che è stata fuori in questi dodici anni. Io invece sono stato qui e sono quello di dodici anni fa.”  (4)

Povera Stacy! A dispetto dei titoli con i quali è stata citata dai giornali, nella sua dichiarazione del 25 ottobre - una vera e propria ‘requisitoria’, ordinata e precisa, evidentemente ricostruita, che non può essere tutta farina del suo sacco, che contiene pressoché tutti gli argomenti già noti usati contro Todd - non ha potuto affermare a chiare lettere che l’ex marito le confessò il delitto.

Povera Stacy! Di certo Cameron Todd Willingham non digerì il fatto che lei alla fine non si sia messa dalla sua parte e non abbia scritto, come da lui desiderato, una lettera a sostegno della sua domanda di grazia al governatore Perry. E che infine - convintasi della sua colpevolezza - sia andata a vederlo morire, mettendosi non tra i testimoni a favore del condannato ma tra quelli a favore delle vittime. Tanto è vero che - in un ultimo disperato sforzo di ferire Stacy - Todd ha rovinato il suo proposito di morire con dignità.

Dopo le sue ultime nobili parole riportate dai media e dall’amministrazione carceraria (“L’unica dichiarazione che voglio fare è che sono un uomo innocente condannato per un crimine che non ho commesso. Sono stato perseguito per 12 anni per una cosa che non ho fatto. Vengo dalla polvere plasmata da Dio e ritorno nella polvere in modo che la Terra divenga il mio trono. Devo andare Cane Randagio. Ti voglio bene Gabby,”) Todd ha tentato un gestaccio ed ha proferito parole oscene all’indirizzo di Stacy (“Desidero che tu marcisca all’inferno, cagna. Sei una cagna […]”), parole che sono rimaste coperte da una pietosa censura fino ad ora, cioè fino al momento in cui è diventato imperativo per l’establishment conservatore del Texas svilire la figura di Todd e convincere tutti della sua colpevolezza. Lo richiedono la cultura tradizionale e la politica del Texas, a cominciare dalla politica del governatore Perry.

Oltre a colui che fu l’accusatore al processo, persino l’avvocato difensore di Cameron Todd Willingham, ha rotto il silenzio contribuendo a smantellare la tesi dell’innocenza di Todd (ed a rialzare le azioni del Governatore Rick Perry).

Era abbastanza prevedibile che l’accusatore John H. Jackson dichiarasse: “Sono completamente convinto che si trattò sia di un assassinio sia di un incendio doloso. Penso che gli oppositori della pena di morte si siano fatti veramente un brutto servizio identificando costui come un caso emblematico. Ci sono molti buoni argomenti contro la pena di morte, ma questo non é uno di essi.”

Ma l’avvocato è stato più drastico, sorprendendo perfino il giornalista della CNN che lo intervistava il 15 ottobre. “Ha appiccato il fuoco e ha ucciso le sue bimbe,” ha detto senza mezzi termini David Martin, avvocato d’ufficio di Willingham. “La sua condotta fu veramente auto incriminante e le sue dichiarazioni erano assolutamente contraddittorie.” Martin ha ricordato di aver invano chiesto al proprio cliente di patteggiare con l’accusa il carcere a vita in luogo del pena di morte, in cambio di una dichiarazione di colpevolezza.

Il bello è che David Martin si è ritenuto anche in grado di liquidare con qualche battuta il rapporto dello scienziato Craig Beyler. A suo parere si tratta di “uno dei rapporti meno obiettivi” che abbia mai letto. “Ma davvero pensano che sia un rapporto scientifico?” Ha aggiunto. Tant’è che l’intervistatore  Anderson Cooper lo ha apostrofato: “Lei parla come uno sceriffo”. “Non mi sembra un avvocato difensore!”

A proposito di sceriffi, il capo del dipartimento investigativo della polizia di Corsicana, Jimmie Hensley, ha valutato il lavoro del dottor Beyler alla stregua delle “analisi dei tifosi di football fatte il lunedì mattina.” E i pompieri texani hanno redatto un documento di 21 pagine riaffermando la validità del rapporto originale di Manuel Vasquez.

Se in Texas è tanto chiara e lampante la colpevolezza di Cameron Todd Willingham, come mai il Governatore Rick Perry è intervenuto con la mano pesante, sconvolto dalla prospettiva che la Commissione per le Scienze Forensi del Texas completasse regolarmente il suo lavoro sul rapporto del dottor Beyler?

Il quotidiano Dallas Morning New osserva saggiamente in un editoriale del 26 ottobre: “Quello che conta di più non è la sofferenza emotiva di una madre, o le speranze degli oppositori della pena di morte, o il carattere di Willingham, o il futuro politico del Governatore. Quello che conta di più è la verità, indipendentemente da quale sarà la conclusione finale. Se il Governatore Perry è così fiducioso nella giustizia del Texas, non dovrebbe aver paura che essa venga posta sotto il microscopio.”

 

 

4) PER ANTHONY GRAVES SI INTRAVEDE L’USCITA DAL TUNNEL

 

L’interminabile odissea di Anthony Graves condannato a morte in Texas nel 1994 sulla base di una testimonianza sospetta e più volte ritrattata, potrebbe finire dopo 18 anni di detenzione per lo più passati nel braccio della morte. Il processo originale di Graves è stato annullato nel 2006 per il comportamento scorretto dell’accusatore Charles Sebasta, ma l’accusa si è opposta la rilascio del prigioniero e ha chiesto un nuovo processo. Nelle fasi preliminari del nuovo processo, che non riesce a decollare dopo tre anni, l’accusa sta chiedendo di accreditare prove screditate o pseudo-scientifiche, dimostrando l’estrema debolezza dei propri argomenti ed autorizzando il detenuto, i suoi avvocati e i suoi sostenitori a nutrire fondate speranze in una conclusione positiva dell’allucinante vicenda di Graves entro il 2010.

 

Come avviene spesso in Texas, l’accusa riuscì a far condannare alla pena capitale Anthony Graves nel 1994 facendo pressioni su Robert Carter, reo confesso che si trovava già nel braccio della morte, affinché questi lo chiamasse in correità nell’uccisione di sei persone, quattro delle quali bambini, avvenuta il 18 agosto 1992.

Ci auguriamo che la vicenda giudiziaria spaventosa di Anthony Graves finisca bene con la sua liberazione entro il 2010, dopo quasi una ventina d’anni passati in carcere, in gran parte nell’orribile braccio della morte del Texas (v. nn. 98, 100, 122, 137, notiziario, 140, 144).

E’ pacifico che, una volta libero, egli dovrà essere aiutato, oltre che da un punto di vista psicologico, anche a chiedere un congruo indennizzo per le sofferenze inenarrabili causategli non da un errore giudiziario ma piuttosto dalla cultura forcaiola ed ottusa del Texas.

Anthony Graves dovrebbe anche essere aiutato a scrivere un libro sulla sua drammatica vicenda, senz’altro più avvincente di una qualsiasi storia giudiziaria che esca dalla fantasia di un ottimo scrittore di libri gialli.

Tra gli avvenimenti stupefacenti da scrivere in quel libro vi sarebbe per esempio la singolare sconfitta legale subita da Graves presso la Corte Criminale d’Appello del Texas all’inizio del 2002, quando con una maggioranza di 6 a 3, tale corte sentenziò che non vi è diritto costituzionale ad avere un avvocato difensore efficiente in appello.

La Corte d’Appello, tristemente famosa per la sua inclinazione forcaiola, argomentò che la riforma dell’iter giudiziario nei casi capitali (voluta nel 1995 dal nuovo governatore George W. Bush per accelerare le esecuzioni) prevede sì che venga fornito ai condannati a morte un avvocato per gli appelli di habeas ma non prescrive che l’avvocato faccia un lavoro efficace.

Era avvenuto che l’avvocato difensore di Graves di allora – un novellino con soli tre anni di esperienza – nella richiesta di habeas statale omise niente meno che di far presente che la chiamata in correità di Robert Carter, l’unica prova a carico di Graves, era stata nel frattempo ritrattata.

In quella occasione la giudice Cathy Cochran ha scritto nel parere di maggioranza: “Ci deve essere un momento in cui una condanna capitale diventa definitiva, un momento in cui la necessità della deterrenza, della certezza e dell’immediatezza della pena diventano più importanti del diritto del prigioniero di avanzare appelli senza fine.”

Per fortuna di appelli Graves ne ha avanzati altri ed è ancora vivo al giorno d’oggi, dopo aver ottenuto l’annullamento del processo.

Prosciolto, non è però in libertà a causa dell’ostinazione dell’accusa che ha chiesto di processarlo di nuovo e di tenerlo in carcere nel frattempo.

E’ in gran parte merito del fresco ed entusiastico impegno degli studenti di giornalismo della St. Thomas University, che nel 2004 analizzarono nei dettagli una gran massa di documenti legali, se il caso di Graves ha subito recentemente una svolta. In tal modo si scoprì che l’accusatore Charles Sebasta  non aveva messo al corrente la difesa del fatto che negli interrogatori precedenti il processo, Robert Carter - reo confesso - aveva negato la partecipazione di Graves al delitto, ripetutamente e fino alla sera precedente il giorno in cui lo accusò in aula (vi è il sospetto fondato che Sebasta lo avesse ricattato minacciando di implicare sua moglie).

Era questo un motivo di per sé più che sufficiente per annullare il processo.

Nonostante ciò, e nonostante il fatto che Carter avesse ripetuto la ritrattazione in una dichiarazione giurata nel 2000 e fin sul lettino dell’esecuzione, il 31 maggio di quell’anno, l’accusa riuscì pervicacemente ad ottenere che 10 novembre del 2004 il giudice federale John Froeschner e poi il giudice federale Samuel Kent respingessero il ricorso di Graves.

L’impegno degli avvocati di Anthony Graves, dei suoi sostenitori e degli studenti di giornalismo è stato però infine premiato il 3 marzo del 2006 quando la Corte d’Appello federale del Quinto Circuito annullò il processo del 1994.

Dopo di ciò l’accusa non si è quietata e, oltre a ricorrere alla Corte Suprema federale, ha chiesto di riprocessare Graves opponendosi ostinatamente, nel frattempo, alla sua liberazione in attesa di giudizio.

Gli avvocati di Anthony Graves, volontari dell’Innocence Project che lavorano pro bono, cioè gratuitamente, a fatica sono riusciti ad ottenere dal giudice Samuel Kent la liberazione del loro cliente previo versamento di una cauzione di 50 mila dollari, liberazione che doveva avvenire il 17 novembre del 2006.

L’accusa però è ricorsa contro la decisione di Kent e si è riuscita per far arrivare la cauzione ad un ammontare proibitivo, dell’ordine del milioni di dollari, a motivo che… Graves in passato aveva subito una condanna a morte!

“E’ incredibile che gli accusatori si basino sul fatto che egli si sia beccato una condanna a morte per negargli la libertà, dal momento che tale condanna conseguì ad una loro condotta illegale”, ha osservato in quella occasione Michael Ware, avvocato di Graves.

Abbiamo più volte sottolineato la rituale perseveranza degli accusatori degli Stati Uniti nell’affermare la colpevolezza di coloro che fecero condannare ingiustamente, non solo quando si verifica la completa dissoluzione delle prove d’accusa (cosa che a volte non evita l’esecuzione), ma anche nei casi in cui vi è l’esonero ufficiale di un condannato, e anche dopo la sua liberazione e la sua completa riabilitazione.

Spesso gli accusatori perseverano nel loro atteggiamento anche dopo essere stati costretti dai propri superiori a presentare, obtorto collo, le proprie scuse a chi fu oggetto di un errore giudiziario.

In parte tali comportamenti si possono spiegare con il tornaconto politico, in parte con l’esigenza di salvare la propria reputazione, ma certamente molti accusatori sono in buona fede, prime vittime della radicata cultura forcola (*).

Sta di fatto che sono passati altri tre anni ed Anthony Graves si trova ancora in carcere! Ed è in attesa di un processo che non si sa bene quando potrà cominciare.

La giudice che presiederà al processo, Reva Towslee-Corbett (il cui padre presiedette il processo di Graves del 1994), nelle fasi preliminari ha già chiaramente palesato la sua ostilità nei riguardi dell’imputato, accettando di mettere agli atti dell’accusa la testimonianza resa da Robert Carter nel processo del 1994. Tra la costernazione dei difensori di Graves, la giudice ha accolto la richieste in tal senso avanzata dall’accusatore speciale Patrick  Batchelor (noto per aver collaborato per ottenere la condanna morte di Cameron Todd Willingham nel 1994).

Si tratta di una carta scritta, che non ha dietro di sé una faccia, dal momento che Carter è morto per iniezione letale nel 2004. Si tratta di una testimonianza, ripetutamente, e in tutti i modi, ritrattata. Tra l’alto, l’utilizzo di un tal genere di testimonianza impedirà alla difesa di esercitare il diritto costituzionale a contro-interrogare i testimoni.

In ottobre si è saputo che l’accusa – non avendo praticamente nulla a cui attaccarsi, vuole accreditare una ‘nuova’ prova contro Graves. Una ‘prova scientifica’.

Si tratta di un esperimento fatto da tale Keith  Pikett, un poliziotto che si vanta di essere in grado di riconoscere delle prove tramite il fiuto dei suoi cani, anche a distanza di anni dai fatti. Pikett avrebbe fatto annusare ai suoi animali, a 17 anni di distanza, sei campioni bruciacchiati prelevati dalla casa bruciata delle vittime  e questi avrebbero riconosciuto l’odore di

Graves su due di essi.

Katherine Scardino, uno degli attuali avvocati di Graves, ha dichiarato “Si tratta di scienza-spazzatura. Mi sento imbarazzate per i miei colleghi dell’accusa che sopportano di usare questo genere di prove in un caso in cui un uomo rischia la vita”.

Dato il precedente della testimonianza di Carter, la Scardino si è detta non del tutto sicura che la giudice Reva Towslee-Corbett rifiuterà di mettere agli atti la ‘perizia’ del sig. Pikett.

In tutto questo, adducendo motivi di salute, a metà ottobre l’accusatore Batchelor ha chiesto di essere rimosso dal caso.

Può darsi che i motivi di salute siano reali, può darsi che la sua decisione derivi dalla difficoltà dell’accusa di affrontare dignitosamente il processo. Quel che è certo, è che si tratta un motivo in più per far slittare il processo di Graves oltre il febbraio 2010.

A meno che, con un saggio colpo di teatro, lo stato del Texas ci ripensi e rinunci ad sottoporre al nuovo processo Anthony Graves, magari dichiarando che sono passati troppi anni dai fatti e le prove si sono usurate nel tempo.

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(*) v. ad es. nn. 109, 114, 115 “Lezioni…”, 116,136 “Liberato…”, 151 “Innocenti…”,160

 

 

5) ROUTINE DELLA PENA DI MORTE: L’ULTIMO VIAGGIO DI STEVE

 

Robert “Rob” Will scrive con regolarità intense testimonianze su ciò che accade nel braccio della morte del Texas. Lucia Squillace ha tradotto per noi l’articolo“L’omicidio di Steve Moody”scritto da Rob il 16 settembre, uscito dalla Polunsky Unit e diffuso tra gli abolizionisti, un mese dopo, il 15 ottobre.

 

Come Hank Skinner (v. n.171) - e prima di lui Paul Colella e Robert Cartwright - Robert “Rob” Will fa uscire dal braccio della morte del Texas vivide testimonianze di umanità e di orrore. Lucia ha tradotto per noi una cronaca tratta dal nuovo blog di Rob Will “In Diretta dal Braccio della Morte del Texas”

 

L’omicidio di Steve Moody cronaca di Rob Will dalla Polunsky Unit

 

8:46 a. m.  Steve sarà ucciso oggi. Mi sono alzato da poco e ho deciso che scriverò periodicamente per tutto il giorno. Quasi non ne ho voglia. Una parte di me vorrebbe allontanare il pensiero di quel che so accadrà oggi, ma penso che scriverne servirà per le persone là fuori…

Le guardie non hanno fatto uscire nessuno per la “ricreazione”, nessuno ha potuto fare la doccia. Non so cosa stia succedendo. Forse ci hanno messo in segregazione per l’esecuzione di Steve. Mi metterò a leggere e scriverò un po’ di altri argomenti, poi tornerò a questo…

9:05 a. m.  Ho appena sentito per caso due guardie dire che si tratta di una perquisizione generale con segregazione permanente in cella conseguita all’ennesimo exploit del tipo “Odio ogni guardia e ogni detenuto e voglio distruggere il mondo” fatto dal pietoso sciagurato Tabler alcuni giorni fa [v. art. nel numero 172]. Ahimè!

10:37 a. m.  Steve è alla sua ultima visita. Oggi è l’ultimo giorno in cui vedrà i suoi amici e familiari. Fra meno di due ore Steve verrà strappato da loro, caricato sul furgone della morte e spedito fuori per essere assassinato dallo Stato del Texas.

E’ appena arrivato un mucchio di pezzi grossi. Sergenti, tenenti e oh, wow, un’intera squadra di gente vestita-da-mondo-libero, un mucchio di giacche e cravatte. Ci sono i direttori. Sembra quasi stiano facendo un qualche tipo di ispezione straordinaria, andando in giro e guardando dappertutto... Adesso se ne sono andati.

11:37 a. m.  Ho appena piegato in due il mio materasso e ci sono salito sopra, così da poter guardare fuori dalla mia finestrella alta tre pollici. Il furgone della morte è qui. Un gruppo di guardie sta intorno a ridere e a scherzare.

Un piccolo numero dei membri dello staff si diverte davvero alle esecuzioni. A questi piace stare fuori dal furgone a gustarsi la sadica gioia, dandosi pacche sulle spalle e ridendo sguaiatamente. 

La maggior parte, comunque, ride e scherza e racconta stronzate come fosse un modo per riuscire ad affrontare il fatto di essere così vicini – e prendere effettivamente parte - ad un omicidio. Lo humor è un meccanismo di difesa molto comune.

11:56 a. m. E’ stato appena aperto il cancello. C’è Steve che torna dalla sua ultima visita, circondato dalla truppa. E’ entrato in questo edificio per essere incatenato per il trasferimento alla Walls Unit di Huntsville… Sto ancora guardando fuori dalla mia finestrella. Altre sciocche risate.

12:03 p. m.  Steve non è ancora partito. Il furgone della morte è parcheggiato lì, con i portelloni posteriori aperti, ad aspettare Steve. Ad aspettare di condurlo alla sua esecuzione. E’ orribile. Credevo di non essere soggetto a reazioni psico-somatiche, suppongo di essermi sbagliato – sento il sudore sui palmi delle mani.

C’è qualcosa di tremendamente innaturale nel processo di cui sto dando testimonianza in questo istante. Tutto è così deliberato. Una lenta, metodica, dettagliatamente calcolata forma di omicidio. Ho avuto molte, molte conversazioni con persone che hanno commesso omicidio, quasi 9 anni di conversazioni. Una cosa che ho imparato è che c’è una grande differenza fra chi ha compiuto un omicidio pianificato e premeditato e chi ha ucciso d’impulso.

Steve è qui perché uccise uno spacciatore durante una rapina. Io e Steve abbiamo parlato del suo caso in passato, mi ha detto cos’è successo: Steve e un altro tizio andarono a casa di un noto spacciatore per rapinarlo. Entrarono. Steve impugnava una pistola e teneva l’uomo sotto tiro, mentre il compagno cercava la droga e i soldi. Lo spacciatore era per terra e continuava a cercare di muoversi. Steve ha detto che a un certo punto lo spacciatore sembrò volersi lanciare per afferrare una pistola, Steve si fece prendere dal panico e sparò.

La donna dello spacciatore era lì e Steve non le fece del male in alcun modo. Dopo aver sparato allo spacciatore, i due se la squagliarono. Non c’è alcun dubbio, l’omicidio commesso da Steve fu tragico e doloroso. Ma non fu premeditato. Questo è un omicidio sistematico, legittimato, promosso dallo Stato.

Si tratta di un omicidio pagato col denaro dei contribuenti. Un delitto di Stato.

12:09 p. m.  C’è Steve. E’ stato portato giù in catene, esce dall’edificio circondato dai secondini. E’ appena salito sul furgone e i portelloni si sono chiusi. Un altro giro di pacche sulla schiena e di strette di mano. Il furgone si sta allontanando. Steve è andato, andato verso la camera della morte di Huntsville, dove sarà ucciso fra 6 ore. Verrà legato ad un lettino e gli sarà iniettato del veleno nelle vene, finché non morrà. Un altro omicidio insensato e senza scopo…

Ho appena visto un mio amico venire spedito fuori ed imboccare la strada per la morte. Voglio scrivere di più su Steve, ma in questo momento penso che ho solo bisogno di rilassarmi, di calmarmi un po’.

Scritto in data: Mercoledì, 16 Settembre 2009.  (Trad. di Lucia Squillace)

6) ROUTINE DELLA PENA DI MORTE: L’ULTIMA DICHIARAZIONE DI REGINALD

 

Traduciamo dal sito ufficiale dell’Amministrazione carceraria del Texas (*):

 

Data di Esecuzione: 27 ottobre 2009

 

Criminale: Blanton, Reginald

 

Ultima Dichiarazione: Sì voglio parlare. So che tutti voi siete nel dolore; credetemi, anche io ho versato molte lacrime per Carlos. Carlos era mio amico. Non l’ho ucciso. Ciò che sta per accadere è un’ingiustizia. Non risolve nulla. Non riporta indietro Carlos. Tutti voi avete lottato duramente per provare la mia innocenza. Questo è solo l’inizio. Vi amo tutti e ciascuno caldamente. Dre, mia regina, ti amo. Yaws, Junie, vi amo. Rimanete forti, continuate la lotta. Si stanno preparando a introdurre nelle mie vene una sostanza letale che l’Associazione dei Veterinari Americani ha vietato di usare sui cani. Dico di essere in condizioni peggiori di un cane. Vogliono uccidermi per questo. Non sono l’uomo che commise quell’azione. Continuiamo a combattere. Vi vedrò tutti di nuovo. Questo è quanto.

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(*) http://www.tdcj.state.tx.us/stat/blantonreginaldlast.htm

 

 

7) IN RUSSIA LA MORATORIA TIENE, A FATICA

 

Nella Federazione Russa la moratoria delle sentenze capitali in atto scadrà a fine anno. E’ prevedibile che la Corte Costituzionale o il Governo si adoperino per assicurarne la prosecuzione, anche per evitare la rottura degli impegni internazionali presi alla fine dello scorso millennio dal presidente Boris Yelsin con l’entrata della Russia nel Consiglio d’Europa. Tuttavia il sostegno del pubblico per la pena di morte, ancora forte anche se in diminuzione, fa prevedere un rinvio sine die dell’abolizione per legge della pena capitale in Russia, uno dei paesi al mondo in cui fino al 1996 si verificavano più esecuzioni.

 

Amnesty International classifica la Federazione Russa tra i paesi ‘abolizionisti di fatto’, ma non è del tutto scongiurato il pericolo di un ritorno indietro della Russia, che fino al 1996 faceva parte della mezza dozzina di paesi in cui si facevano più esecuzioni capitali.

Il 29 ottobre la Corte Suprema della Federazione Russa ha chiesto alla Corte Costituzionale di esprimersi in merito alla prosecuzione o meno della moratoria delle sentenze capitali che scadrà alla fine di quest’anno. Infatti una sentenza della Corte Costituzionale del febbraio 1999 aveva proibito l’inflizione della pena di morte fintanto che in tutta la Federazione non si fosse passati a processi con le giurie popolari e il cambiamento sta per completarsi: il 1° gennaio la Cecenia sarà l’ultima repubblica a introdurre processi con le giurie.

Non è chiaro se la Corte Costituzionale possa dichiarare la fine della moratoria soprattutto perché la Russia è legata da trattati internazionali che proibiscono la pena capitale.

In ogni caso il governo russo sembra intenzionato a scongiurare una ripresa delle esecuzioni. E’ prevista in proposito una dichiarazione del Presidente Medvedev, il quale riterrebbe però ‘prematura’ ogni iniziativa abolizionista.

Purtroppo in Russia lo spaventoso livello della criminalità violenta (superiore perfino a quella degli Stati Uniti) e il sostegno del pubblico per la pena di morte, ancora forte sia pure in diminuzione, rendono molto prudenti i parlamentari della Duma che rimandano sine die il momento di sottoporre alla discussione proposte di leggi abolizioniste.

Un recente sondaggio condotto dal Centro Yuri Levada mostra che il 53% della popolazione russa è a favore della ripresa delle esecuzioni, il 20% è soddisfatta dell’attuale stato di moratoria e solo il 14% è contrario alla pena capitale. Periodicamente, qualche esponente politico si fa promotore di iniziative demagogiche per il ripristino della pena di morte.

Ricordiamo che in occasione dell’entrata della Federazione Russa nel Consiglio d’Europa nel febbraio del 1996, il Governo di Boris Yeltsin si impegnò ad imporre una moratoria delle esecuzioni capitali, ad avviare un iter legislativo che portasse all’abolizione della pena capitale e ad adottare entro tre anni il Sesto protocollo della Convenzione Europea dei Diritti Umani che proibisce la pena di morte. Le esecuzioni però continuarono per alcuni mesi nel 1966 (ve ne furono ben 140 quell’anno) e la moratoria divenne effettiva in Russia solo a partire dal mese di agosto, dopo un ri­chiamo del Consiglio d’Europa. La Russia ha sì firmato il Sesto Protocollo ma non l’ha ancora ratificato, unico paese a non averlo fatto tra i 47 che fanno parte del Consiglio d’Europa. Comunque, in base alla Convenzione di Vienna del 1969 sulle Leggi e i Trattati, di cui fa parte, la Russia non può far nulla che contraddica un trattato firmato, in attesa della ratifica. Quindi non può riprendere le esecuzioni capitali senza violare la legalità internazionale.

 

 

8) INFORMAZIONI AGGHIACCIANTI RIGUARDO ALLA SITUAZIONE DEI ROM

 

Ancora una volta la gravità dei fatti che accadono intorno a noi ci costringe a volgere lo sguardo elle violazioni dei diritti umani essenziali che si verificano in Italia su larga scala. Riportiamo una sintesi dell’articolo pubblicato nel sito del Gruppo EveryOne il 19 ottobre, dal quale si evince che, nella persecuzione in atto contro le fasce marginali della società, il gruppo etnico che subisce le peggiori offese è quello dei Rom, particolarmente vulnerabile e oggetto di scarsissima attenzione da parte dei media. Ci auguriamo che le valutazioni e le cifre spaventose qui esposte possano essere ridimensionate.

 

La condizione dei Rom in Italia è sempre più tragica

Una persecuzione che avviene nell’indifferenza e nel silenzio mediatico

del Gruppo EveryOne (*)

 

Milano, 18 ottobre 2009. A Milano, come in molte altre città di Italia, continuano le purghe etniche e la politica persecutoria contro Rom e Sinti. Nel capoluogo lombardo, un dipartimento di forza pubblica si dedica quotidianamente all’identificazione e all’evacuazione (senza alcuna alternativa sociale) di insediamenti abitati “abusivamente” da Rom e profughi. Quando si tratta di edifici abbandonati, dopo gli sgomberi e le denunce per occupazione abusiva, le autorità provvedono a murare le entrate per “mettere in sicurezza” tali edifici, evitando che altre persone senza casa possano ancora rifugiarvisi.

Il governo italiano ha destinato a tali operazioni di persecuzione ed evacuazione, solo per la città di Milano, circa 20 milioni di euro per il 2009 e il 2010. A Roma il budget dell’orrore è ancora più alto. Il rigetto istituzionale delle famiglie che appartengono al popolo Rom è sempre più sostenuto e le sue dinamiche disumane si esprimono ormai nell’indifferenza generale. 

[I Rom presenti in Italia si sono probabilmente ridotti a meno di un terzo del numero iniziale in tre anni] […]

A livello locale, non vi sono particolari differenze, in quanto ad efferatezza delle purghe etniche e degli allontanamenti - che costituiscono gravi violazioni della carta dei Diritti Fondamentali nell’Unione europea - fra comuni, province e regioni amministrati dalla destra o dalla sinistra. Non a caso, oltre ai sindaci della Lega Nord […], si segnalano per la metodicità degli sgomberi e della repressione amministrazioni del Pd, da Bologna a Firenze, da Torino a Rimini, da Padova a Pesaro. […]

I dati del Sindacato di polizia penitenziaria, diffusi in data odierna, mettono in rilevo un dato altrettanto allarmante, per chi si occupa di tutela dei Diritti Umani: attualmente sono detenuti nelle carceri italiane circa 3 mila Rom romeni, mentre centinaia di minori Rom - sempre romeni - sono internati in strutture correttive o case accoglienza. Se si considera che sul territorio italiano vivono attualmente in libertà (anche se spesso colpiti da denunce) dai 3 ai 4 mila Rom provenienti dalla Romania, risulta che oltre il 50% della popolazione Rom romena sul suolo italiano si trova in carcere o è comunque privata della libertà. E’ un dato che non ha uguali in alcuna parte del mondo. […] Il Gruppo EveryOne e la rete antirazzista hanno rilevato centinaia di casi di persecuzione poliziesca e di gravi errori giudiziari nei confronti dei Rom (oltre che di violenza istituzionale), evidenziando in studi, dossier e articoli come i cittadini Rom siano ormai il capro espiatorio delle politiche legate alla sicurezza.

Di fronte alla legge, i Rom - di maggiore o minore età - sono soggetti a condanne senza avere alcuna reale possibilità di difesa e in molti casi senza neppure comprendere (non essendo praticamente mai presente un interprete) la natura del reato di cui sono accusati. Le persone di etnia Rom che affrontano vicende giudiziarie si considerano fortunate quando hanno la possibilità di patteggiare una pena per ritrovare la libertà. Il Gruppo EveryOne […] sollecita ancora una volta le Istituzioni dell’Unione Europea e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ad attuare misure efficaci nei confronti delle Istituzioni centrali e locali italiane, affinché abbia fine questa persecuzione, che avviene nel silenzio mediatico […] ed è causa di sofferenze inaudite, divisione di famiglie, lutti e di una crisi spaventosa della democrazia e della civiltà in  Italia.

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(*) www.everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2009/10/19_La_condizione_dei_Rom_in_Italia_e_sempre_piu_tragica..html

 

 

9) OSPITIAMO IN NOI STESSI FORME DI ODIO di Fernando E. Caro

 

Una riflessione del nostro amico Fernando Eros Caro, corrispondente del Comitato Paul Rougeau dal carcere di San Quentin in California, sull’insidiosa penetrazione in noi di pericolose forme di odio.

 

L’odio prende di mira il carattere morale di una persona. Viene usato per demonizzare e distruggere un’altra persona, e tende a reclutare altri perché facciano altrettanto e creino un gruppo di forza.

Questo genere di odio è il maggior pericolo per una società, non sembra esserci fine alla sua sorgente, la paura. Non può essere fermato perché quelli che provano odio quasi sempre negano di provarlo, e nello stesso tempo insegnano ai loro figli ad odiare. Se una persona ammette di provare odio, lo fa attaccando il carattere immorale dell’altra persona e costruendo così il proprio pilastro morale. Si rassicura convincendosi che il proprio odio è un segno positivo della propria virtù.

In realtà, le persone non odiano gli altri perché sono diversi da loro. Odiano gli altri a causa del loro cattivo carattere!  Questo fenomeno è vero a tutti i livelli sociali, anche in carcere.

Se si dà ad una persona potere ed autorità, quasi sempre questa persona ne abuserà. Verrà fuori il suo odio radicato in profondità nei confronti degli altri, specie se sa che potrà esercitarlo senza timore di conseguenze legali.

Il presidente Obama è un nero! E, a causa di ciò, c’è molto odio nei suoi confronti. Persino da parte dei membri del Congresso che dovrebbero essere costituiti della migliore fibra morale del Paese. L’odio nei suoi confronti, e la resistenza verso le sue politiche, non si fermeranno fino a che egli sarà presidente. Il presidente Obama costituisce la trave nell’occhio dello statu quo. Ed è questa la ragione per cui credo che vincerà di nuovo le prossime elezioni. Ovviamente, deve mettersi alla prova come presidente. Questo evento aprirà le porte alla possibilità che membri di altre minoranze divengano presidenti.

Devo ammetterlo, sono colpevole di ospitare in me stesso forme di odio. Invecchiando, tendiamo ad esprimerle in modi più sottili. Naturalmente, quando penso alle scorrettezze commesse riguardo al mio caso, protesto in modo molto sentito! In particolare, quando la mia vita dipende da ciò.

C’è un detto, “Non permettere che ciò che non riesci a controllare controlli te!” Sì, esprimere la tua frustrazione è un modo per liberare la paura e la tensione. Ma prima, prendi in esame le conseguenze. (Trad. di Grazia Guaschino)

 

 

10) L’UOMO CHE NON C’È di Antonio Landino

 

Recensione del libro“Il sangue d’altri” scritto da Karl Guillen detenuto in Arizona

 

Barack Obama non conosce Karl Louis Guillen. Non lo hanno conosciuto neanche i precedenti presidenti. E dopotutto, perché qualcuno dovrebbe conoscerlo? E’ una storia antica, quasi biblica che - senza voler essere irriverenti né nostalgici - si potrebbe modernamente confermare come Legge del taglione. Con buona pace di chi riposa in pace.

Ma Karl Louis Guillen attualmente non riposa bene. Anzi, vive poco e male. E senza pace. E allora? In fondo, è soltanto un uomo che è stato infilato nel Tritacarne. Vogliamo provare a saperne di più? La sua è una storia nor­male, anzi ordinaria, come infinite ce ne sono nel Grande Paese quando il malcapitato di turno incappa nel Sistema. Sistema Giudiziario, nella fattispecie. Che prevalentemente agisce (e re-agisce!) in maniera dozzi­nale, prevenuta e facinorosa a fronte di quelli che vengono definiti casi di “basso profilo”. E si parla di un uomo comune che - nell’acquisizione del dolore e della privazione coatta della libertà - attende la privazione della propria vita. Se “vita” si può ancora definire la permanenza nel braccio della morte, in attesa del “verde”, che in gergo significa dare l’ok per ammazzare qualcuno. E si attende, arrivando sino al punto di odiare il proprio stesso odore. Da soli, ma non abbastanza, perché a volte la solitudine è la peggiore compagnia che si possa desiderare, mischiata ai silenzi dell’anima ed ai rumori ovattati dei ricordi, in una sorta di Limbo, perché il Braccio è l’apoteosi del Nulla. Un deserto dove nessuno ti può sentire urlare.

Karl Louis Guillen ha visto tanto, e senza mai urlare. Anzi, ha visto... ma non vissuto, perché vivere è tutta un’altra cosa. Si è semplicemente limitato ad esistere, mentre la vita gli è scivolata davanti voltandogli le spalle. Ma nel frattempo si è migliorato, perorando se stesso e certamente nel modo più difficile, tra vessa­zioni e soprusi, con estrema lucidità. Un lungo penoso cammino percorso in punta di anni, forse più un trasci­namento, dove l’orrore è l’ordinario e la speranza è un privilegio proibito e indifendibile. E scatta così la necessità di comunicare, di divulgare, tentando di rimanere umano ma immerso nella mancanza di umanità, coi turgori dei lividi. Ma quelli si riassorbono. Rimane il Dolore, e per questo ci vuole più tempo. Specialmente perché viene corroborato con torture corporee e privazioni sensoriali. Quotidiane, perché è facile accanirsi contro l’Uomo che non c’è. Eppure, Karl esiste. E continua a farlo. E ce ne sono tanti - di uomini come lui - che non ci sono. Non da questa parte delle sbarre, non per il resto degli uomini che lo sono ancora. Liberi, s’intende. Vogliamo provare a capirne di più?

Dicono che, a volte, le tragedie tirino fuori il meglio da noi stessi. In questo caso, Karl emerge dal sottobosco del “basso profilo” e riesce a restituirci uno spaccato dell’abominevole percorso da lui affrontato, inciampando nel Tritacarne. Il Sistema, appunto. Che è anche il suo primo libro, e che riassume già nel titolo la spietata inef­ficienza della struttura in cui è stato inglobato. Ma, a differenza di altri, Karl non si lamenta. Non supplica, non si abbatte. Reagisce. E’ esattamente a questo punto che cambia: non è più vittima ma cronista. non più dete­nuto ma uomo libero. Nel pensiero, almeno. Per dispetto, forse. Per rabbia, magari. Scomodo, senza dub­bio. Perché non ha più nulla da perdere, direbbero i meno attenti. Ma quando c’è in ballo ciò che rimane della vita di un uomo, ciò che ne può venir fuori è quello che passa attraverso le spire del Tritacarne, che ma­cina corpo e vita. Ma l’Anima è un’altra cosa. Che pure quella ti manca... ma soltanto perché l’hai la­sciata fuori, al di là delle sbarre. E l’Anima vola libera. Libera, sopra un cielo di cemento che qualcuno ha deciso per te. E qui si può - magari - parlare di autocoscienza personale. Succede, a volte, quando la vita che non hai più diventa pensiero ed il pensiero diventa parola. Parola scritta. Anche per gli altri, per quelli che non riescono ad avere alcuna parola, neanche scritta. E ciò, purtroppo, vale per ogni uomo che non c’è. Tralasciando volutamente la cronaca e l’intera vicenda giudiziaria (“basso profilo”!), oltre la Legge che spesso non legge al­cun Diritto umano, ecco una testimonianza estremamente diretta e cruda che racconta di farse e teatrini, di disattenzioni e omissioni d’ufficio, di umiliazioni e percosse. Ed è tanta roba, elargitagli a profusione durante tanti altri anni di Nulla. Esce così il seguito de “II Tritacarne”: una confessione dura e descrittiva, che non le­sina dovizia di particolari. E stupisce anche l’ottimismo che a volte si mischia alla pena, in una - sotto certi versi - inconcepibile osmosi. E, sempre a beneficio dei meno attenti, si potrebbe osare affermare che in una situazione dove nulla c’è da perdere ed altrettanto nulla da guadagnare, tutti possono essere didascalici. E” esattamente quello che non sa fare Karl, dato che afferma che tutto va bene. Ed il seguito de “Il Tritacarne” si chiama “Il Sangue d’Altri”. Ed è di questo che vorrei suggerirne l’uso, perché è di questo che si stava parlando: un piccolo passo indietro era dovuto, a fronte di un grosso passo in avanti. Fatto senza paura, senza alcuna retorica, ed il cronista si trasforma in testimone, testimone di se stesso, elevandosi di “livello” così come sono vari i livelli dell’espiazione, e tutti quanti aggrappati in punta di vita al viscido bordo della tavoletta dell’abisso dell’abiezione. Ma mai a quella catena, la sua basta ed avanza.

Succede anche questo, a volte, quando un uomo ordinario si trova scaraventato in una situazione al limite, e smette di Essere. Di essere tale. E diventa suo malgrado stra-ordinario, diventa l’Uomo che non c’è. Quello che non mette le bombe, non dirotta, non narcotraffica, non attenta. E credo che il minimo che si possa fare è decidere che merita attenzione. Perché chi non c’è, alla fine, è sempre quello che ci manca. Stavolta, ciò può essere sicuramente un incentivo alla nostra autocoscienza.

E occorre aggiungere che questo “diario di bordo” (libro, sarebbe quanto mai riduttivo) include una gra­ziosa appendice, una sorta di breviario, una specie di vademecum sul Sistema (d’ingiustizia) americano. Una guida agile e severa, con tutta una descrizione tipica e topica, spesso tra il grottesco e l’inconcepibile per chi mastica poco di abusi e soprusi ed a volte necessariamente asettica... per sopravvivere a se stessi ed a ciò che non si è e non si vuole diventare (ma che mai prende le distanze da se stessa!), a tratti cruda e amara, estemporanea ma assolutamente coinvolgente. Si partecipa, con Karl e di Karl. In fondo, chi più chi meno, tutti ci siamo mancati. qualche volta. Ergo, siamo tutti stati l’Uomo che non c’è. E qualcuno lo ri­mane ancora.

E stupisce, ancora, come Karl si stupisca di trovarsi ancora vivo. E lui lo ammette pacificamente, quasi come se neanche questo gli fosse più dovuto. Apertura mentale, quindi. Ma quella porta rimane chiusa. E riesce a pregiarci pure con qualche consiglio tecnico sui cavilli pseudo-tecnici, le procedure più o meno massificanti di sedicenti procedure forensi e le congrue mancanze di principi fondamentali della cosid­detta Giustizia made in USA. Karl, con una sicura cognizione di causa che speriamo di non assaporare mai sulla nostra pelle, ha chiamato questa guida “Arma di controllo”. Senza alcun volo pindarico, appunto.

I tipi di Multimage hanno avuto il coraggio di stamparlo “Il sangue d’altri”, e di metterlo persino in circolazione. Ad un prezzo d’acquisto di soli 10 euro.

Dedotte le spese, quello che noi uomini veramente Liberi decideremo di dare per comprare “Il sangue d’altri” andrà interamante a Karl. Che continua la sua battaglia legale per conseguire la libertà prima del 2013.

Potete ordinare “Il sangue d’altri” di Karl Guillen, Ed. Multimage, 2009, pagg. 200, scrivendo al nostro indirizzo postale o inviando un e-mail a: prougeau@tiscali.it ovvero a betta_nico@libero.it (Elisabetta Menini). Riceverete oltre al libro un modulo di c. c. postale per il pagamento (10 euro a copia, più 2,20 euro per spese di spedizione indipendentemente dal numero di copie ordinate).

In questo caso non si tratta solo di fare della beneficenza. “Il sangue d’altri” è un libro importante, interessante e avvincente, compratelo e soprattutto leggetelo!

 

 

11) NOTIZIARIO

 
Regno Unito. Ancora il 54% della popolazione sostiene la pena di morte. Anche se in netto declino dagli anni Novanta, il favore per la pena di morte è ancora alto nel Regno Unito. Un sondaggio fatto dalla Harris Interactive mostra che il 54% della popolazione tra i 16 e i 64 anni è a favore della pena capitale, mentre il 30% è contrario. Il sostegno per la pena di morte cresce con l’età degli intervistati: solo il 37% dei minori di 25 anni si dichiara a favore. Gli obblighi internazionali rendono comunque impossibile il ripristino in Inghilterra della pena capitale, abolita per i crimini ordinari nel 1969 e per tutti crimini nel 1998. L’abolizione della pena di morte è condizione indispensabile per far parte dell’Unione Europea.
 
Somalia. Esecuzioni e Kalashnikov per educare i giovani. Il 25 ottobre la BBC ha riferito che i miliziani di al-Shabaab hanno percorso la città di Merca ordinando alla gente tramite altoparlanti di andare ad assistere alla fucilazione di due uomini accusati di spionaggio. Anche le scuole sono state chiuse e gli alunni portati a vedere il triste spettacolo. Sembra che l’iniziativa si inquadri un disegno di al-Shabaab di abituare i giovani alla violenza. Recentemente nella città di Kisimayo è stato organizzato un concorso a quiz per ragazzi i cui premi erano costituiti da fucili d’assalto AK-47, bombe a mano e mine anticarro. Al-Shabaab ha dichiarato che è ora che i giovani la finiscano di dissipare il proprio tempo e si occupino di importanti questioni come la difesa del loro territorio e della loro religione (sulla spettacolarizzazione delle esecuzioni in Somalia v. anche n. 164).

 

Texas. Toney appena esonerato dalla condanna a morte muore in un incidente stradale. Dopo aver passato 10 anni nel braccio della morte del Texas, condannato per un omicidio plurimo che fu compiuto con una bomba nel 1985, Michael Roy Toney è stato esonerato a causa delle gravi irregolarità compiute dall’accusa per farlo condannare a morte nel 1999 nonostante la mancanza di valide prove a carico. La difficoltà dell’accusa derivò anche dal fatto che l’incriminazione di Toney era avvenuta ad oltre 12 anni dai fatti. Molto più fortunato di altri condannati a morte del Texas che conseguono l’annullamento del processo originale (v. ad es. il caso di Anthony Graves di cui sopra), Toney aveva riacquistato la libertà il 2 settembre perché l’accusa non aveva subito chiesto per lui un nuovo processo. La fortuna però, dopo aver baciato Michael, lo ha subito abbandonato: egli è morto il 3 ottobre in un incidente stradale quando il suo furgone è uscito fuori strada, si è rovesciato, lo ha espulso e lo ha schiacciato. Il beffardo destino di Michael Toney ricorda quello di un altro esonerato, il messicano Ricardo Aldape Guerra che rientrò in patria tra grandi festeggiamenti e morì in un incidente stradale nel 1997, quattro mesi dopo essere uscito dal braccio della morte del Texas in cui era rimasto per 14 anni. Per la cronaca aggiungiamo che  Micheal Toney è stato uno dei protagonisti dello ‘scandalo dei cellulari nel braccio della morte del Texas’ (v. ad es. n. 164) buscandosi un’incriminazione per possesso di materiale di contrabbando in una prigione statale.

 

Usa. Arrivato a 138 il numero degli esonerati dal braccio della morte. L’autorevole Death Penalty Information Center (DPIC) tiene rigorosamente il conto dei condannati a morte che vengono esonerati e tornano in libertà. Il 2 ottobre con la liberazione in Oklahoma di Yancy Douglas e di Paris Powell, che hanno passato circa 15 anni in prigione la maggior parte dei quali nel braccio della morte, arriva a 138 il numero degli esonerati dopo la reintroduzione della sanzione capitale negli USA. I criteri per l’inclusione di un esonerato nell’elenco del DPIC sono i seguenti:  1) la sua sentenza fu annullata e inoltre 1.1) è stato assolto in un nuovo processo o 1.2) tutte le sue incriminazioni vengono lasciate cadere dall’accusa, oppure 2) gli viene concesso il perdono totale dal governatore basato sulla scoperta di nuove prove di innocenza. I 138 esonerati devono perciò essere ritenuti innocenti da un punto di vista giuridico.

 

Usa. Stabile al 65% il favore per la pena di morte. I risultati di un’inchiesta della Gallup sulla pena di morte che si ripete ogni anno fin dal 1936, diffusi il 13 ottobre, mostrano che oggi negli Stati Uniti i favorevoli alla pena di morte costituiscono il 65% della popolazione. Coloro che si dichiarano contrari alla pena capitale sono il 31%. Si tratta di percentuali stabili, con piccole oscillazioni, da 6 anni a questa parte (dopo una discesa  considerevole della popolarità della pena di morte a partire dagli anni Novanta in cui i favorevoli hanno superato l’80% della popolazione). Il 49% degli Statunitensi non sono soddisfatti perché ritengono che la pena di morte non sia applicata abbastanza spesso, ed anche questa è una percentuale stabile. Tali cifre spiegano perché i politici siano piuttosto restii a promuovere leggi abolizioniste. Tuttavia la sostituzione della pena di morte con l’ergastolo  sarebbe un’alternativa da loro praticabile perché se si chiede agli Americani di scegliere tra la pena di morte e la prigione a vita “senza assolutamente la possibilità di uscita sulla parola” si ha una leggera prevalenza della scelta per l’ergastolo. In ogni caso occorre tener presente che la pena di morte non è una componente essenziale ed immutabile del DNA e neanche della cultura degli Statunitensi ma dipende fortemente dalle dinamiche sociali. Tanto è vero che in passato il favore per la pena di morte fu minore di quello che si ha attualmente. Il  periodo in cui fu più basso il favore dalla pena di morte negli USA va dalla metà degli anni Cinquanta ai primi anni Settanta, con un minimo che si attestò sul 42% della popolazione nel 1966, quando la pena capitale sembrava avviarsi all’abolizione in tutto il paese e cominciò una moratoria di circa 10 anni nelle esecuzioni.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 ottobre 2009

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