FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 254 - Novembre / Dicembre 2018
Il principe ereditario Mohammed bin Salman, l'uomo più potente dell'Arabia Saudita
SOMMARIO :
1) Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
2) Messo a morte in Texas il messicano Roberto Moreno Ramos
3) Garcia non uccise il poliziotto, ma il Texas lo ha ucciso
4) Sulla sedia elettrica del Tennessee dopo 36 anni dalla condanna
5) Il forcaiolo Donald Trump contestato in Pennsylvania
6) Bin Salman vuole vendicare Khashoggi, ma è stato lui ad ucciderlo
7) Diminuzione delle condanne capitali e delle esecuzioni in Texas
8) Tommy Zeigler, nel braccio della morte della Florida da 42 anni
9) Esecuzioni in Bielorussia, unico stato europeo mantenitore
10) Pena di morte per i cittadini palestinesi in Israele?
11) Impiccata in Iran la giovane Sharareh
12) La Malaysia sta per abolire la pena di morte
13) Amnesty sostanzialmente ottimista dopo il voto per la moratoria
14) Dal verbale dell’assemblea del Comitato Paul Rougeau del 1°/12/2018
15) Nuova edizione de “Il Tritacarne” a vent’anni dalla sua uscita
16) Notiziario: Arabia Saudita, Florida, Iran, Pakistan, Zambia, Zimbabwe
Il 10 dicembre la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha compiuto 70 anni. Fu proclamata il 10 dicembre 1948 a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, la più grave calamità collettiva patita dall’umanità. Se tale dichiarazione venisse integralmente rispettata nella lettera e nello spirito, le tragedie provocate dagli uomini che affliggono il genere umano in ogni continente (guerre, uccisioni, pena di morte … ) sarebbero scomparse dalla faccia della terra.
Riportiamo qui di seguito i primi 15 fondamentali articoli dei 30 che compongono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, rimandando al testo completo pubblicato dalle Nazioni Unite, vedi: https://www.ohchr.org/en/udhr/pages/Language.aspx?LangID=itn
1) DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI
Preambolo
Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;
Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo;
Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione;
Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;
Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;
Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l'osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali;
Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;
L'ASSEMBLEA GENERALE
proclama la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.
Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.
Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.
Articolo 6
Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.
Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.
Articolo 8
Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.
Articolo 9
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.
Articolo 10
Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.
Articolo 11
1. Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.
2. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetuato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.
Articolo 12
Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.
Articolo 13
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.
Articolo 14
1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.
Articolo 15
1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza. […]
2) MESSO A MORTE IN TEXAS IL MESSICANO ROBERTO MORENO RAMOS
Il Messico non è riuscito a salvare il messicano Roberto Moreno Ramos dall’iniezione letale in Texas.
Il 14 novembre nella sua ultima dichiarazione fatta sul lettino dell'iniezione letale, il messicano Roberto Moreno Ramos ha ringraziato il consolato del Messico per averlo aiutato a presentare i suoi appelli e ha detto di essere grato per "l'umanità con cui è stato trattato durante la sua carcerazione in Texas". Ha concluso dicendo: "Grazie Dio. Signore manda un carrozza a prelevarmi. Sono pronto".
Il 64-enne Ramos è morto nel giro di 11 minuti dopo l'inizio dell'iniezione letale, alle 21 e 36'.
Era stato condannato a morte nel 1993 per aver ucciso l'anno prima sua moglie Leticia di 42 anni, la figlia Abigail di 7 anni, e il figlio Jonathan di 3 anni. Aveva ucciso per poter sposare una donna con cui aveva cominciato una relazione.
Nessuno dei parenti di Ramos o delle sue vittime ha presenziato all'esecuzione.
Inutili tutti gli ultimi appelli. Inutilmente le autorità messicane avevano cercato di bloccare l'esecuzione argomentando che i suoi diritti consolari erano stati violati per non aver detto a Ramos al momento dell'arresto che poteva giovasi dell'aiuto del governo messicano (1).
Fino ad ora 6 messicani sono stati messi a morte negli USA, tutti e 6 in Texas.
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(1) Ricordiamo che nel 2004 la Corte di Giustizia Internazionale dell'Aia aveva affermato che i 52 condannati a morte messicani negli USA, tra cui Ramos, erano stati ingiustamente privati dei loro diritti perché al momento dell'arresto non gli era stato detto che potevano giovarsi dell'aiuto del proprio consolato in base al Trattato di Vienna sulle Relazioni Consolari del 1963. Il presidente George W. Bush ordinò di riaprire tali casi ma la Corte Suprema degli Stati Uniti nel 2008 lasciò infine agli stati la possibilità di violare il Trattato (v. nn. 211 e i 13 nn. ivi citati, 214, 243).
3) GARCIA NON UCCISE IL POLIZIOTTO, MA IL TEXAS LO HA UCCISO
In Texas si può essere condannati a morte per omicidio anche se non si è ucciso nessuno.
Un membro della famigerata banda “dei 7 del Texas” è stato ‘giustiziato’ il 4 dicembre u. s.
Il 47-enne Joseph Garcia ha ricevuto l'iniezione letale nella camera della morte situata nel vecchio carcere texano di Huntsville. Era stato condannato alla pena capitale in seguito all’uccisione di Aubrey Hawkins, un poliziotto di 29 anni, avvenuta la vigilia di Natale del 2000.
Era stato condannato in base all'ingiusta Law of Parties (legge sulle complicità) vigente in Texas (1) secondo la quale chi partecipa ad un'azione delittuosa compiuta da più persone può essere ritenuto responsabile dei reati compiuti dai complici.
Il direttore del carcere gli ha chiesto se avesse un'ultima dichiarazione da fare e Garcia ha risposto: "Sì, signore".
"Caro Padre celeste, ti prego di perdonarli, perché non sanno quello che fanno", ha cominciato Garcia.
Si è fermato quindi per circa un minuto, mentre il rombo delle motociclette guidate da un gruppo di motociclisti sostenitori della polizia poteva essere udito all'interno della camera della morte.
"Per alcuni di voi…", ha detto Garcia, fermandosi di nuovo quando l'iniezione di pentobarbitale era già iniziata.
"Hanno già cominciato e non ho ancora finito", ha esclamato.
Josef ha boccheggiato 3 volte e russato due volte prima che ogni movimento si fermasse. È stato dichiarato morto alle 18 e 43'.
Dopo l'esecuzione, Toby Shook, accusatore nel processo contro Joseph Garcia, ha dichiarato che, non potendosi stabilire quale pistola fosse stata utilizzata per sparare ad Hawkins, i detenuti sono stati considerati come gruppo organizzato che ha agito insieme per commettere la rapina e l’ omicidio. Shook ha detto che il caso di Garcia è un chiaro esempio del perché la legge sulle complicità sia in alcuni casi necessaria.
La vicenda che ha portato all'esecuzione di Garcia cominciò mentre lui stava scontando una condanna a 50 anni per un omicidio (che lui sosteneva di aver commesso per legittima difesa) in un carcere di massima sicurezza nei pressi di San Antonio e decise di partecipare ad un'evasione di massa che avvenne il 13 dicembre del 2000. Lui ed altri 6 detenuti presero alcuni ostaggi, irruppero nell'armeria della prigione, si armarono e fuggirono a bordo di un furgone del carcere. Dopo aver commesso due rapine nei pressi di Houston, si diressero verso Dallas sfuggendo ad una massiccia caccia all'uomo condotta con elicotteri e cani.
Il 24 dicembre, dopo una rapina compiuta in un negozio, furono affrontati dal poliziotto Aubrey Hawkins. Iniziò una sparatoria tra il poliziotto e i complici. Hawkins fu colpito 11 volte e trascinato per alcuni metri da un SUV mentre gli evasi fuggivano in preda al panico.
Per la cattura dei 7 fuggitivi fu promessa una taglia milionaria. Gli evasi furono infine catturati in un parcheggio di caravan in Colorado il cui vivevano dicendosi pellegrini cristiani. In realtà di evasi ne furono catturati 6, perché uno di loro si uccise per evitare la cattura. I 6 arrestati sono stati tutti condannati a morte. Anche Joseph Garcia che probabilmente non aveva sparato al poliziotto.
Dei 6 condannati a morte, 4 sono già stati uccisi. All'esecuzione di Garcia seguirà quella del complice Patrick Murphy già programmata per il prossimo 28 marzo. (Pupa)
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(1) Ricordiamo che il texano Kenneth Elyasi Foster Jr., un condannato a morte da noi adottato, fu processato in base alla Law of Parties per essere stato alla guida di un’auto da cui scese un compagno che uccise un automobilista dopo un tentativo di rapina e un alterco. Kenneth arrivò a poche ore dall’esecuzione il 30 agosto 2007 quando fu graziato dal governatore Rick Perry (unica grazia concessa liberamente di propria iniziativa da Perry). V. n. 152.
4) SULLA SEDIA ELETTRICA DEL TENNESSEE DOPO 36 ANNI DALLA CONDANNA
La mitica sedia elettrica funziona ancora in uno degli Stati Uniti d’America, il Tennessee.
Il 6 dicembre è stato ucciso sulla sedia elettrica del Tennessee il 61-enne David Earl Miller.
Il condannato non ha fatto alcuna dichiarazione finale, se si eccettua un borbottio che il suo avvocato ha interpretato come "stare nel braccio della morte ti sfinisce".
I giornalisti presenti hanno annotato che Miller era vestito con una tuta color crema, che dell'acqua gocciolava dalle spugne applicate sulla sua testa, che Miller guardava verso il basso, che la sua faccia è stata coperta con un panno, che Miller ha subìto due scariche a 1750 volt di 15 secondi l'una separate da 15 secondi, che è stato dichiarato morto alle 19:25', dopo 10 minuti dall'inizio dell'esecuzione (1).
David Miller era stato condannato a morte tanti anni fa, nel 1982, e, dopo l'annullamento del processo del 1982, di nuovo nel 1987.
Il 20 maggio del 1981 aveva ucciso la 23-enne Lee Standifer, ritardata mentale, colpendola con un attizzatoio da caminetto e poi accoltellandola.
Inutili gli appelli presentati dai sui suoi avvocati ai vari livelli, tutti respinti fino all'ultimo appello respinto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti poche ore prima dell'esecuzione.
Dopo di ciò Governatore del Tennesse, Bill Haslam ha fatto sapere che non avrebbe concesso la grazia, nonostante il fatto che nella domanda di grazia gli avvocati di Miller avessero descritto dettagliatamente la terribile storia di malattia mentale e di abusi a livello psichico e fisico che egli subì nell'infanzia. Da giovane Miller sarebbe stato violentato da sua madre in molte occasioni, e brutalmente picchiato dal patrigno. Gli avvocati di Miller hanno scritto che egli a 10 anni di età tentò due volte il suicidio ed era già alcolizzato. Gli abusi sessuali subiti e compiuti, la malattia mentale e l'alcolismo hanno costellato la vita di David Miller fino al giorno in cui uccise Lee Standifer.
Notiamo che il rifiuto dell'appello da parte della Corte Suprema USA non è avvenuto all'unanimità. La giudice Sonia Sotomayor ha dissentito vigorosamente dai colleghi - come avvenne per Edmund Zagorski (1) - scrivendo: "Questa follia non deve continuare. Rispettosamente, io dissento."
La madre di Lee Standifer, che ora ha 84 anni e vive in Arizona, non si è recata ad assistere all'esecuzione dell'assassino della figlia.
"Non sono vendicativa a tal punto", ha detto in un'intervista telefonica rilasciata la settimana prima dell'esecuzione, aggiungendo che la sua presenza "non aiuterebbe per nulla mia figlia."
I documenti legali non dicono molto riguardo alla vittima 23-enne di Donald Miller se non che "aveva riportato un danno cerebrale alla nascita" ed era "alquanto ritardata".
Ma la memoria della madre è più dettagliata. Essa ha detto nell'intervista telefonica che sua figlia era brava in certe cose, come la lettura, ma non in altre. Ad esempio se le si diceva che un evento sarebbe avvenuto la prossima settimana non capiva quanto doveva aspettarselo.
A causa delle sue condizioni non aveva potuto frequentare regolarmente la scuola né prendere la patente di guida.
I suoi genitori le avevano trovato alloggio in una struttura protetta da cui poteva raggiungere facilmente con l'autobus un impianto di trasformazione agro-alimentare.
"Il suo era un lavoro ripetitivo e noioso che avrebbe fatto uscire di testa molti di noi" ha detto Helen Standifer. Ma la madre dice che alla figlia tale lavoro piaceva e che lei non si assentava mai e non arrivava mai in ritardo.
Miller era un senzatetto che andò a vivere a casa di un uomo che gli aveva dato un passaggio in auto. Lee Standifer se ne era innamorata. I due furono visti insieme a passeggio la sera del 20 maggio 1981. Il corpo della Standifer fu trovato il giorno dopo nel cortile della casa in cui Miller viveva. Donald Miller ha dichiarato in seguito che quella sera si era drogato e non ricordava ciò che era successo.
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(1) V. nel n. 253 il dettagliato l'articolo sull'esecuzione di Edmund Zagorski, ucciso nello stesso modo di Miller ma che si comportò come un protagonista anziché come un oggetto.
5) IL FORCAIOLO DONALD TRUMP CONTESTATO IN PENNSYLVANIA
Bill Peduto sindaco in Pennsylvania, uno stato che si avvia ad abolire la pena capitale, non si è peritato di contestare apertamente il presidente degli USA Donald Trump che ha invocato la pena di morte dopo un sanguinoso attentato antiebraico avvenuto in una sinagoga della sua città.
La Pennsylvania è uno degli stati USA più avanzati sul cammino della civiltà: ha usato pochissimo la pena di morte negli ultimi decenni (solo tre esecuzioni a partire dal 1972: due nel 1995 e una nel 1999). In Pennsylvania è in atto un processo verso l'abolizione.
Nonostante ciò il Presidente Donald Trump ha auspicato la ripresa delle esecuzioni in Pennsylvania. Lo ha fatto parlando al telefono con Bill Peduto, sindaco di Pittsburgh, subito dopo che un attentatore antiebraico aveva aperto il fuoco nella sinagoga Tree of Life il 20 ottobre scorso colpendo molte persone, 11 delle quali morirono.
Il 3 novembre Peduto ha rivelato che mentre si trovava davanti alla sinagoga dopo l'attentato ha ricevuto una telefonata di Donald Trump che esprimeva la sua solidarietà promettendo preghiere, dicendosi disponibile a dare ogni possibile aiuto ed offrendo anche una linea diretta con la Casa Bianca.
Il Presidente improvvisamente cambiò tono e argomento parlando della necessità di inasprire le norme riguardanti la pena di morte per scoraggiare gli omicidi di massa. Al ché Peduto ammutolì e non riuscì a rispondere alle osservazioni di Trump. Avrebbe voluto dire che parlare di pena di morte non avrebbe fatto tornare indietro chi se ne era andato e non sarebbe servito a impedire ciò che era accaduto.
La conversazione tra Peduto e Trump durò pochissimo, circa 3 minuti.
Ciò che ha rivelato Peduto collima con le dichiarazioni fatte alla stampa da Trump in Illinois poche ore dopo l'attentato. "Chiunque fa una cosa simile nei riguardi di persone innocenti ... deve veramente pagare con la vita", aveva detto Trump definendo l'attentatore "un pazzo".
Donald Trump ha inoltre affermato che la presenza di guardie armate nella sinagoga avrebbe evitato la strage.
Peduto non ha voluto incontrare Trump quando costui è andato alla sinagoga Tree of Life alla fine di ottobre. In quella occasione il pubblico ha fortemente contestato il presidente USA.
6) BIN SALMAN VUOLE VENDICARE KHASHOGGI, MA È STATO LUI AD UCCIDERLO
Il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman, di fatto la massima autorità del paese, ha ordinato l’uccisione del noto giornalista Jamal Khashoggi, suo avversario politico, ed ha tentato in tutti i modi di far ricadere la colpa dell’omicidio su altri chiedendo per loro la pena di morte.
ll 15 novembre Saud al-Mojeb, pubblico ministero in Arabia Saudita, ha dichiarato in conferenza stampa a Riyadh di aver incriminato 11 dei 21 sospettati dell'omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi avvenuto il 2 ottobre all'interno del consolato saudita ad Istanbul. Per 5 dei quali chiede la pena di morte. Khashoggi, saudita, era entrato nel consolato, temendo per la propria incolumità, per chiedere il nulla osta per sposarsi con la sua fidanzata turca Hatice Cengiz (1)
Saud al-Mojeb ha dichiarato che “il generale Ahmed al-Assiri, ex vice capo dell'intelligence saudita, aveva solo ordinato a una squadra di 15 uomini in missione ad Istanbul di costringere Khashoggi a tornare in Arabia Saudita”.
“La squadra è stata divisa in tre gruppi: un gruppo di negoziatori, un gruppo di intelligence e un gruppo di logistica”, ha aggiunto.
Sarebbe stato il capo della squadra dei negoziatori ad ordinare l'omicidio del giornalista del Washington Post.
Il 17 novembre la Cia è arrivata ad una conclusione che smentisce il governo di Riad e mette in imbarazzo il presidente Trump fortemente legato al governo saudita: ad ordinare l'uccisione di Jamal Khashoggi nel consolato di Riad a Istanbul è stato proprio il principe ereditario Mohammed bin Salman (di fatto la massima autorità nel paese). Lo scrive il Washington Post. La valutazione dell'agenzia di intelligence Usa è la più autorevole tra quelle che legano il principe Salman al delitto e complica gli sforzi dell'amministrazione Trump di salvare le relazioni con il suo stretto alleato in Medio Oriente.
Donald Trump, consapevole delle critiche che piovono sugli Stati Uniti, assicura di aspettarsi che si giunga alla verità e che il segretario di Stato Mike Pompeo gli fornirà un rapporto completo al suo ritorno dagli incontri avuti in Arabia Saudita e in Turchia. Il Washington Post, giornale per il quale Khashoggi scriveva, lo accusa di compiere un’ “operazione di ripulitura diplomatica” per coprire Mohammed bin Salman. (Pupa)
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(1) Vedi n. 253
7) DIMINUZIONE DELLE CONDANNE CAPITALI E DELLE ESECUZIONI IN TEXAS
Pur essendo lo stato nordamericano che più usa la pena di morte, il Texas vede diminuire nel corso degli anni il numero delle esecuzioni capitali e, soprattutto, delle nuove condanne a morte.
Il numero di sentenze capitali emesse in Texas nel 2018 si è mantenuto al livello molto basso raggiunto negli anni precedenti anche se si sono confermati, in negativo, i pregiudizi razziali, le disparità geografiche, e la fondamentale ingiustizia nella sua gestione da parte dello stato del Texas.
Le nuove sentenze capitali si sono limitate a poche unità per la nona volta in 10 anni. Tutti e sette gli uomini condannati a morte in Texas nel 2018 sono individui di colore.
Le giurie hanno rifiutato la pena di morte in due processi capitali. Due altri processi capitali sono stati finiti senza una sentenza per il disaccordo tra i giurati e dovranno essere ripetuti.
“Il quadro della pena capitale in Texas è cambiato sensibilmente negli ultimi 20 anni - ha detto Kristin Houlè, direttrice esecutiva della Coalizione Texana Contro la Pena di Morte (TCADP) - Non solo il numero e le esecuzioni delle sentenze capitali si sono ridotte a percentuali incredibili, ma il coro delle voci che si levano riguardo all’applicazione della pena capitale cresce, in modo più vario, ogni giorno".
Mentre l’uso della pena di morte diminuisce, esso resta geograficamente isolato. Soltanto quattro contee nel Texas hanno irrogato più di una sentenza capitale negli ultimi cinque anni. Le due contee che irrogano il maggior numero di sentenze capitali dal 1974 – di Harris e di Dallas – insieme hanno emesso soltanto 2 sentenze capitali dopo il 2015.
Il Texas è uno degli 8 stati che hanno eseguito condanne a morte nel 2018: le sue 13 esecuzioni sono più della metà di tutte le esecuzioni negli USA (25) ed eguagliano quelle portate a termine nel 2015, mentre sia nel 2016 che nel 2017 le esecuzioni in Texas sono state 7.
La pena capitale continua anche ad essere irrogata sproporzionatamente nei riguardi delle persone di colore.
I casi dei condannati messi a morte nel Texas nel 2018 hanno comportato, tra le altre questioni, rivendicazioni di innocenza, assistenza inefficace della difesa, discriminazione religiosa, e falsa testimonianza.
Nel 2018, la Corte criminale d’Appello del Texas ha sospeso metà delle esecuzioni rispetto al 2017 ed ha commutato le sentenze capitali di 3 individui per la disabilità intellettiva dei condannati o la loro incapacità di comprendere che essi venivano messi a morte.
Vi è stata una concessione di clemenza da parte del Governatore Greg Abbott, evento più unico che raro: il 22 febbraio 2018, meno di un’ora prima che l’esecuzione di Thomas “Bart” Whitaker stesse per iniziare, il Governatore ha commutato la sentenza di morte di Whitaker in detenzione a vita accettando una proposta unanime della Commissione per le Grazie del Texas (Texas Board of Pardons and Paroles). E’ stata la prima concessione di clemenza nel Texas in più di una decade e soltanto la terza dalla ripresa delle esecuzioni nel 1982 (1).
La sentenza “Moore v. Texas” del 2017 della Corte Suprema USA ha inciso su alcuni casi di pena capitale del Texas. Quella sentenza stabiliva che lo stato del Texas deve usare gli standard medici correnti per determinare se una persona è intellettualmente disabile e perciò esentata dalla esecuzione.
Ci sono stati quest’anno anche significativi sviluppi di casi riguardanti prove scientifiche superate o false. Ad Ottobre, Rigoberto “Robert” Avila è diventato il primo condannato a ricevere una risposta favorevole da una Corte distrettuale del Texas per essere stato condannato in base a 'prove scientifiche' fallaci.
Il giudice del 41° Distretto Perez El Paso ha raccomandato che Avila fosse sottoposto ad un nuovo processo, dopo aver concluso che, se fosse stata disponibile per il suo processo una prova scientifica recente utilizzabile, la giuria probabilmente avrebbe dichiarato Avila non colpevole. Il caso ora torna al Corte Criminale d'Appello del Texas.
“È chiaro che i pubblici ministeri e la pubblica opinione si stanno allontanando dalla pena di morte,” ha detto Kristin Houlè. “In questo momento critico della nostra esperienza di pena capitale di stato, i cittadini interessati e i pubblici ufficiali dovrebbero osservare più da vicino le realtà di questa punizione irreversibile, arbitraria e costosa, e cercare mezzi alternativi di esercizio della giustizia.” (Anna Maria)
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(1) Vedi n. 246
8) TOMMY ZEIGLER, NEL BRACCIO DELLA MORTE DELLA FLORIDA DA 42 ANNI
Può accadere di essere condannati a morte innocenti e invecchiare nel braccio della morte?
Il 25 novembre il quotidiano Tampa Bay Times ha pubblicato un lungo e dettagliato editoriale, scritto da Leonora LaPeter Anton, sul caso di William “Tommy” Zeigler, nel braccio della morte della Florida dal 1976, caso di cui ci siamo occupati molte volte a partire dal 2001 mobilitandoci anche in favore di Tommy (1).
Tra le persone che sono state intervistate per la realizzazione dell’articolo c’è il nostro amico Dale Recinella, che da 25 anni assiste spiritualmente i condannati a morte della Florida ed è convintissimo dell’innocenza di Tommy.
Tommy Zeigler ieri ed oggi
Nell'editoriale (2) leggiamo che Dale Recinella nelle sue visite nel braccio della morte si sentiva a suo agio con Tommy Zeigler, sempre gentile ed allegro. A differenza della maggioranza dei detenuti, Tommy si informava ogni volta della vita di Dale. “Che cosa ci fai qui dentro?” gli chiese Recinella nel 1999, circa sei mesi dopo la sua prima visita ai condannati a morte. Fino a quel momento Zeigler non aveva parlato del suo caso, e Recinella non gli aveva fatto domande. “Sai che sono innocente, vero?”
Prima di allora Recinella non aveva mai immaginato che potessero esserci innocenti nel braccio della morte, considerati tutti gli appelli a loro disposizione. Zeigler disse che il suo caso era stato studiato in un libro pubblicato nel 1992, ‘Errore fatale: una storia vera di malvagità e omicidio in una cittadina del sud’. L’autore del libro, Phillip Finch, concludeva che Zeigler non poteva aver assassinato i suoi.
Qualche mese dopo Recinella andò dagli avvocati di Tommy Zeigler, trascorse molti giorni consultando migliaia di pagine del suo caso e scoprì che l’ufficio del Procuratore Distrettuale non aveva consegnato alla difesa alcuni rapporti della polizia e alcune dichiarazioni di testimoni che comprovavano la versione di Zeigler sui fatti di quella notte tragica. Recinella osservò che vi era stata malvagia intenzionalità da parte di alcuni, anche se non di tutti, nel commettere errori giudiziari.
Gli avvocati di Zeigler hanno chiesto per ben sei volte allo stato di poter effettuare dei test del DNA sul materiale trovato nel luogo del crimine. La seconda volta che lo chiesero, nel 2001, a Zeigler fu consentito un test parziale, che sembrò confermare la sua tesi di essere stato anche lui la vittima di una rapina nel suo negozio di mobili, durante la quale rimasero uccisi sua moglie, i suoi suoceri e un commesso che lavorava nel negozio e Zeigler stesso fu ferito al ventre. Ma gli è stato negato un test più approfondito sugli abiti macchiati di sangue, sui graffi lasciati dalle unghie e sulle armi.
Zeigler ha adesso 73 anni ed è nel braccio della morte da 42. Lo stato della Florida ha impedito finora a 19 condannati di avere accesso ai test avanzati sul DNA, mentre ad altri 9, incluso Zeigler, furono concessi test molto parziali, quando ancora la tecnologia di queste analisi era ai suoi inizi. Otto di questi uomini sono stati messi a morte senza aver ottenuto il test. Tre uomini, tra cui Zeigler, che furono condannati dallo stesso giudice nella Contea di Orange, hanno trascorso oltre 40 anni nel braccio della morte. Molti giudici degli appelli non autorizzano test del DNA se sono personalmente convinti della colpevolezza del condannato e quindi fanno affidamento sulle prove raccolte in origine, prove che adesso si sa essere inaffidabili.
Seth Miller, direttore esecutivo dell’organizzazione floridiana ‘Innocence Project’, ha dichiarato: “C’è una lacuna da parte delle corti e dell’accusa nel rendersi conto che il test del DNA è adesso differente”. Si è ora venuti a sapere che, all’epoca, un investigatore alle sue prime armi, appena uscito da un corso sull’analisi delle macchie di sangue (durato una settimana) decise in poche ore che Zeigler era colpevole. Il giudice, durante il processo, fece chiamare un medico per soccorrere uno dei giurati e il dottore somministrò del Valium al giurato sconvolto durante la seduta in camera di consiglio. Successivamente il giudice, respingendo la richiesta della giuria di condannare Zeigler all’ergastolo, emise la sentenza di morte.
Si può affermare l'innocenza di Zeigler? Gli scienziati dicono che c’è un modo per farlo, per far sì che lo stato non uccida la persona sbagliata, ma la Florida si rifiuta di accettarlo.
Rifiuta di ammettere l'innocenza di Tommy Zeigler l'ex accusatore della contea di Orange Robert Egan, ora 92-enne. Ha vinto quasi tutti i suoi casi di omicidio ed è orgoglioso di aver incriminato dozzine di poliziotti per corruzione ed estorsione. Ma il caso di Zeigler incombe minaccioso su di lui. Almeno sette poliziotti, un direttore adesso in pensione dell’Orlando Sentinel e la famosa attivista Bianca Jagger hanno sollevato questioni sulla colpevolezza di Zeigler. Oltre 2.300 persone hanno firmato una petizione al Governatore per ottenere i test del DNA. Gli avvocati di Zeigler si sono perfino offerti di pagare i test. Egan però è contento che le corti non li autorizzino. Ha dichiarato: ‘Il fatto che tutta questa storia stia andando avanti all’infinito, ti fa domandare, dove andrà a parare? Mettiamo una fine a tutto ciò’.
Quando nello scorso mese di luglio Zeigler è stato scortato da due guardie, incatenato, nella sala delle visite, esso appariva scheletrico, si era preso l’influenza all’inizio dell’anno e adesso pesava meno di 65 chili, pochissimo per un uomo alto quasi un metro e novanta. Le sue ginocchia sono affette da artrite. La temperatura e l’umidità nella sala visite erano assai elevate, ma nulla in confronto a quelle della sua cella, dove l’aria buttata dentro dalle ventole arriva a superare i 40°.
Nelle celle singole i condannati trascorrono le loro giornate, tranne che per una doccia di dieci minuti tre volte la settimana, qualche ora di ricreazione in cortile due volte la settimana e una visita settimanale con parenti o amici. Ricevono tre pasti al giorno, il primo alle 5 del mattino, e devono mangiare tutto con un cucchiaio di plastica. Gli uomini in cella non possono vedersi tra loro. Zeigler era solito giocare a scacchi con il suo vicino di cella, Ted Bundy. Non potendo vedersi, si comunicavano a voce le mosse. Poi, 30 anni fa, Bundy fu ‘giustiziato’ e Zeigler dice che adesso è troppo stanco e troppo vecchio per rimettersi a giocare con un altro. Un tempo lavorava a maglia, ma le guardie, che lo chiamano ‘Ziggy’, gli hanno tolto i ferri di plastica che usava. Era solito muoversi nella sua cella per tenersi in esercizio, facendo due passi in una direzione e due nell’altra, ma adesso ha le ginocchia rovinate e allora fa flessioni per tre ore al giorno, tranne la domenica. Nel resto del tempo legge, scrive lettere, ascolta i notiziari, guarda un po’ di eventi sportivi (ha un piccolissimo televisore di 13 pollici) e fissa il muro davanti a sé. Ha rischiato in questi anni di essere messo a morte già due volte. Dice: “Le corti non vogliono ammettere di essersi sbagliate” ma si aggrappa ancora alla speranza. Afferma: “Sono stato educato a credere che se dici la verità, questa prima o poi ti salverà. E non posso credere che Dio mi abbia sottoposto a tutto questo e non stia per raddrizzare il torto. Non posso crederci”.
Le prove fisiche dei delitti sono conservate ad Orlando, in buste di carta, in un locale con umidità controllata, alcune di esse possono chiarire la dinamica di un crimine che sconvolse una cittadina la sera della vigilia di Natale del 1975. (Grazia)
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(1) Vedi nn.: 83, 88, 98, 105, 109, 111, 124, 149 Notiziario, 176, 185, 213, 230, 237 Notiziario, 238, 242, 245.
9) ESECUZIONI IN BIELORUSSIA, UNICO STATO EUROPEO MANTENITORE
L’Europa sarebbe un continente libero dalla pena di morte se il presidente della Bielorussia Alexander Grigoryevich Lukashenko non si intestardisse a mantenerla nel suo paese.
Il 28 novembre la madre di Ihar Hershankou ha reso noto di aver ricevuto la comunicazione ufficiale dell'avvenuta fucilazione del proprio figlio. Il giorno prima i parenti di Syamyon Berazhny avevano annunciato che anche costui è stato messo a morte.
I due giustiziati furono dichiarati colpevoli di omicidio e di sequestro di persona nel luglio 2017. Appartenevano a una banda che uccideva anziane casalinghe per impossessarsi dei loro beni. Altri due componenti della banda erano stati condannati a 22 e a 24 anni di reclusione.
Le esecuzioni di Hershankou e di Berazhny programmate per il mese di giugno erano state bloccate dalla Corte Suprema in seguito alle pressioni delle organizzazioni per i diritti umani. Amnesty International allora aveva elogiato la Bielorussia.
Dopo le esecuzioni la portavoce di Federica Mogherini - responsabile dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza - ha detto che “l’Unione Europea riafferma la propria forte e inequivocabile opposizione alla pena capitale in qualsiasi circostanza”.
“La pena di morte viola l’inalienabile diritto alla vita inscritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed è una punizione crudele, inumana e degradante”, così si è espressa la portavoce Maja Kocijancic, che ha chiesto alle autorità bielorusse di “stabilire una moratoria sull’uso della pena capitale come primo passo verso l'abolizione”.
Le due esecuzioni effettuate a fine novembre fanno seguito a due esecuzioni portate a termine nel mese di maggio.
Più di quattrocento persone sono state condannate a morte in Bielorussia da quando il paese ha ottenuto l’indipendenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991.
La Bielorussia è il solo paese dell’Europa e dell’ex Unione Sovietica che mantiene la pena di morte, attirando critiche persistenti da parte degli attivisti per i diritti umani e delle nazioni europee. Il presidente Alexander Grigoryevich Lukashenko, al potere con piglio dittatoriale dal 1994, costituisce sicuramente il maggior ostacolo all’abolizione. (Francesco)
Benjamin Netanyahu
10) PENA DI MORTE PER I CITTADINI PALESTINESI IN ISRAELE?
Israele non ha la pena di morte per i crimini ordinati: l’unica esecuzione in quel paese è stata quella del criminale nazista Adolf Eichmann. Ora sembra che il primo ministro Benjamin Netanyahu sia ben intenzionato ad introdurla per perseguire i Palestinesi accusati di terrorismo.
Il 4 novembre u. s. il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dato via libera ad una proposta di legge che dovrebbe consentire ai tribunali israeliani di condannare a morte le persone accusate di ‘terrorismo’. Tale proposta sta giungendo a compimento solo ora ma era già stata avanzata in campagna elettorale nel 2015, quando a suggerirla fu l’ultra nazionalista Avigdor Liebman, leader del partito di estrema destra Israel Beiteinu.
Tre anni fa la proposta non trovò sostenitori e lo stesso Netanyahu non la caldeggiò, ma da allora il clima politico in Israele è molto cambiato. Mentre si irrobustiva la sua coalizione, Benjamin Netanyahu si univa sempre più al coro degli ultra nazionalisti. Liebman è adesso Ministro della Difesa. “È giunto il momento di cancellare il sorriso dalla faccia dei terroristi” ha dichiarato Netanyahu già a luglio del 2017.
Netanyahu è stato spesso criticato di essere troppo tenero nel contrastare la Resistenza palestinese a Gaza; ciò - unito al fatto che la polizia sta indagando su reati di corruzione commessi da lui e dei suoi familiari - lo ha indotto a martellare i Palestinesi per dimostrare il suo valore.
È da notare che Israele non ha la pena di morte per i crimini ordinari. La conserva solo per i crimini eccezionali come quelli commessi dai criminali nazisti (per esempio Adolf Eichmann fu processato e messo a morte nel 1962; dopo di lui in Israele non è stato 'giustiziato' nessun altro). Se però la nuova legge verrà definitivamente incorporata nella legislatura israeliana, verrà applicata quasi soltanto ai Palestinesi, perché in Israele sono definiti ‘terroristi’ solo gli Arabi e praticamente mai gli Ebrei.
Le guerre e le leggi razziste contro i Palestinesi sono spesso il risultato dei maneggi politici israeliani. Lo ha ben compreso Aida Touma-Suleiman, cittadina palestinese e una dei pochi membri arabi del Parlamento, che nel gennaio scorso dichiarò: “La proposta di legge ‘Pena di Morte’ prende di mira soprattutto il popolo palestinese, non sarà certamente applicata contro gli Ebrei che compiono attacchi terroristici contro i Palestinesi”, soprattutto visto che tale proposta è stata redatta e sostenuta dai rappresentanti dell’estrema destra del Paese.
Teniamo presente che, pur non avendo la pena di morte, Israele ha già messo a morte centinaia di Palestinesi con gli ‘assassinii mirati’. Quindi questa legge cambierà poco in termini quantitativi, ma il ‘giustiziare’ Palestinesi sottolineerà ulteriormente l’estremismo in crescita nella società israeliana e aumenterà la vulnerabilità dei Palestinesi. Dal momento che questa proposta di legge denuncia la natura razzista di Israele e il disprezzo delle leggi internazionali, la comunità internazionale dovrebbe subito intervenire per impedire che qualsiasi governo, incluso quello israeliano, violi apertamente i diritti umani senza renderne conto al resto del mondo.
Il palestinese SHAMS (Centro Mediatico per i Diritti Umani e la Democrazia) il 9 novembre ha rilasciato una dichiarazione in cui definisce la proposta di legge sulla pena di morte una legge razzista e un atto di terrorismo statale organizzato, chiedendo al Segretario Generale delle Nazioni Unite, António
Guterres, ai capi dell’Unione Europea, alla Croce Rossa ed a varie organizzazioni per i diritti umani, di opporsi a questa legge e di proteggere i cittadini palestinesi sulla base della Convenzione di Ginevra. (Grazia)
11) IMPICCATA IN IRAN LA GIOVANE SHARAREH
In Iran un omicida può avere salva la vita se risarcisce i familiari della sua vittima con una somma di denaro detta ‘prezzo del sangue’. Sharareh Elyasi non è stata in grado di pagare.
Il 13 novembre scorso la 27-enne Sharareh Elyasi (o Sharareh Almassi, secondo altre fonti) è stata impiccata in Iran per aver ucciso cinque anni fa il marito, Kaveh Gholam Veissi, nel corso di una lite. L’associazione Iran Human Rights (IHR) ha dichiarato che “numerosi attivisti per i diritti umani e i familiari della detenuta hanno cercato fino all’ultimo di ottenere il perdono da parte dei familiari della vittima, ma non ci sono riusciti.”
Nel codice penale iraniano la pena di morte non è prevista in modo specifico come punizione per l'omicidio, ma consegue dal principio della qisas (vendetta), che lascia ai familiari della vittima il potere di salvare l'assassino perdonandolo in cambio di un risarcimento economico detto ‘prezzo del sangue’.
Secondo IHR, 240 delle 517 esecuzioni effettuate nel 2017 sono attribuibili ad accuse di omicidio.
In Iran manca una classificazione riguardo alla gravità per gli omicidi (ad esempio colposo, involontario, ecc.), per cui la condanna a morte può essere inflitta per qualsiasi tipo di assassinio, indipendentemente dal contesto in cui si è verificato e dall’intenzionalità del perpetratore.
Sharareh è l’85° donna uccisa in Iran durante l’amministrazione di Hassan Rouhani, presidente dei mullah. Ricordiamo che il 2 ottobre u. s. è stata impiccata la giovane Zeinab Sekaanvand (1): in quell’occasione l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, rilasciò una dichiarazione di condanna dell’esecuzione, in cui affermava che la Commissione per i Diritti Umani si oppone all’uso della pena di morte in ogni caso, dal momento che nessun sistema giudiziario, in qualsiasi paese del mondo, è esente dal commettere errori.
L’Iran detiene il triste record del maggior numero di esecuzioni in proporzione alla sua popolazione, e del maggior numero di esecuzioni di donne e di minorenni. Ovviamente, le motivazioni più frequenti che portano alla condanna a morte delle donne sono gli omicidi conseguenti all’obbligo di sposarsi da giovanissime, alla privazione del diritto a divorziare, alla violenza domestica e alla povertà. (Grazia)
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(1) V. n. 252.
12) LA MALAYSIA STA PER ABOLIRE LA PENA DI MORTE
L’abolizione delle pena di morte inserita nel programma di governo delle coalizione che ha vinto le elezioni a maggio in Malaysia dovrebbe essere attuata nonostante le resistenze che incontra.
Liew Vui Keong, attuale responsabile della giustizia in Malaysia, è un avvocato penalista che ha salvato un suo cliente dalla pena di morte. Ora egli si sente in dovere di battesi per una sollecita abolizione della pena capitale. Ha un ampio consenso ma ha trovato delle opposizioni in un paese con un grande braccio della morte che continua a emettere sentenze capitali (anche se ha istituito una moratoria delle esecuzioni). Il 16 novembre Al Jazeera ha fornito i seguenti dati per la Malaysia:
- 1.279 condannati a morte
- 710 malaysiani, 569 stranieri (118 provenienti dalla Nigeria)
- 932 condannati a morte per reati di droga, 317 per omicidio
- 143 donne nel braccio della morte
Fino ad ora chi era trovato in possesso di 200 o più grammi di cannabis o di 15 o più grammi di eroina doveva essere obbligatoriamente condannato a morte. Recentissimi emendamenti hanno dato la possibilità ai giudici di condannare tali rei anche all'ergastolo più 15 colpi di frusta.
I condannati a morte in Malaysia sono tenuti in isolamento ed hanno la possibilità di lasciare la propria cella solo per un'ora al giorno. Mentre si susseguono gli appelli l'isolamento si prolunga per oltre un decennio.
La sentenze di morte vengono eseguite per impiccagione. Ai condannati viene notificata la data dell'esecuzione con due giorni di anticipo.
Liew Vui Keong si era proposto di presentare al parlamento la proposta di legge abolizionista nel corso del 2018. Poi ha dovuto rimandare la sua iniziativa al prossimo mese di marzo. Trova una certa opposizione ma, essendo stata inclusa l'abolizione nel programma del governo della coalizione che ha vinto le elezioni in maggio, cambiando la situazione politica in essere da sessanta anni, Liew deve impegnarsi al massimo per ottenere l'abolizione.
Fatti di cronaca, come l'uccisione di un bimbo di 11 mesi da parte della sua babysitter nella prima metà di novembre, attizzano la richiesta popolare della pena di morte. Pensiamo comunque che il progetto abolizionista del governo andrà avanti fino alla sua conclusione.
13) AMNESTY SOSTANZIALMENTE OTTIMISTA DOPO IL VOTO PER LA MORATORIA
Amnesty International, osservando l'andamento delle votazioni sulla moratoria delle esecuzioni, tenutesi alle Nazioni Unite nel dicembre del 2016 e il 17 dicembre di quest'anno, si mostra sostanzialmente ottimista. Riportiamo qui sotto il comunicato in proposito emesso il 17 dicembre.
"PENA DI MORTE: ABOLIZIONE PIÙ VICINA DOPO IL NUMERO RECORD DI STATI CHE HANNO VOTATO A FAVORE DELLA FINE DELLE ESECUZIONI"
Un numero record di stati membri delle Nazioni Unite ha votato, il 17 dicembre, a favore della risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni in vista dell'abolizione della pena di morte.
Dei 193 stati membri delle Nazioni Unite, 121 hanno votato a favore della settima risoluzione presentata dal Brasile e sponsorizzata da 83 stati alla sessione plenaria dell'Assemblea generale a New York; 35 hanno votato contro e 32 si sono astenuti.
Nel dicembre 2016 i voti a favore erano stati 117. Per la prima volta Dominica, Libia, Malaysia e Pakistan hanno votato a favore, mentre Antigua e Barbuda, Guyana e Sud Sudan sono passati dal voto contrario all'astensione.
Guinea Equatoriale, Gambia, Mauritius, Niger e Ruanda hanno ripreso la loro posizione abolizionista, a differenza di quanto fatto nel 2016. Nauru è passata dal voto favorevole al voto contrario, Bahrein e Zimbabwe dall'astensione al voto contrario e Congo e Guinea dal voto a favore all'astensione.
"Il fatto che un numero record abbia votato in favore della fine delle esecuzioni mostra che l'abolizione globale della pena di morte sta diventando un'inevitabile realtà. Un mondo libero dalla pena di morte è
più vicino che mai", ha dichiarato Chiara Sangiorgio, esperta sulla pena di morte di Amnesty International.
"Questo voto significa che un numero sempre maggiore di paesi vuole intraprendere passi per porre fine una volta per tutte a questa punizione crudele, inumana e degradante", ha aggiunto Sangiorgio.
"Il voto mostra anche il crescente isolamento dei 35 stati che hanno votato contro la risoluzione. Gli stati che ancora mantengono in vigore la pena capitale dovrebbero istituire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni, quale primo passo verso l'abolizione", ha concluso Sangiorgio.
Nel 1945, anno di fondazione delle Nazioni Unite, solo otto degli allora 51 stati membri avevano abolito la pena di morte. Nel 2017 le esecuzioni hanno avuto luogo in soli 22 stati membri, l'11 per cento del totale"
FINE DEL COMUNICATO Roma,18 dicembre 2018"
14) DAL VERBALE DELL’ASSEMBLEA DEL COMITATO PAUL ROUGEAU DEL 1°/12/2018
L’Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau/Ellis One Unit si è riunita il 1°/12/2018 alle ore 11 a Roma [...] Presiede il presidente del Consiglio Direttivo Giuseppe Lodoli, funge da segretaria Maria Grazia Guaschino per incarico del presidente. L'ordine del giorno è il seguente: 1) Relazioni sulle attività svolte dal Comitato Paul Rougeau dopo l'Assemblea del 18 giugno 2017. 2) Situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci. 3) Illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2017. 4) Ratifica di eventuali dimissioni dal Consiglio direttivo; elezione di membri del Consiglio direttivo. Breve sospensione dei lavori dell'Assemblea per consentire una riunione del nuovo Consiglio direttivo con il rinnovo delle cariche sociali. 5) Discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività in corso, inclusi: il sostegno ai detenuti Larry Swearingen, Gerald Marshall e William "Tommy" Zeigler e la pubblicizzazione e la vendita dei libri editi a cura del Comitato ancora in giacenza, nonché la prossima pubblicazione in Italia della traduzione del libro “When we visit Jesus in prison” di Dale Recinella. 6) Proposte di nuove attività nell'ambito del mandato del Comitato Paul Rougeau e approvazione delle stesse. 7) Varie ed eventuali. In apertura di seduta si affronta il punto 1. all’o. d. g., illustrando le principali attività svolte dal Comitato dopo l’Assemblea del 18 giugno 2017. Per cominciare Giuseppe ricorda che dopo la precedente assemblea è uscita la nuova edizione dell’Opuscolo del Comitato, datata settembre 2017, a quasi due anni dall’edizione precedente. L’Opuscolo di 60 pagine è sempre molto utile per far conosce la storia e le attuali attività del Comitato[...] viene dato gratuitamente in occasione di eventi nonché spedito ai simpatizzanti del Comitato che lo richiedono. Il Foglio di Collegamento del Comitato Paul Rougeau è uscito regolarmente con cadenza pressoché mensile dopo l’ultima assemblea. Nel 2017 ne sono usciti 11 numeri per complessive 158 pagine, e nei primi dieci mesi del 2018 ne sono usciti 9 numeri per complessive 123 pagine. La documentazione raccolta per la preparazione del Foglio di Collegamento (1.230 pagine nel 2017) proviene in buona parte dal professore universitario texano Rick Halperin che da molti decenni è il maggiore e più attivo esperto di pena di morte nel mondo. Il Foglio di Collegamento viene ora spedito per email a 505 destinatari (e in versione cartacea a 5 destinatari). Al momento della scorsa assemblea i destinatari della versione email erano 523. Il Foglio di Collegamento viene preparato da Giuseppe con apporti di Grazia e Maria Antonietta. Recentemente si è aggiunto al gruppo dei redattori Francesco Cardelli, acquisito da Maria Antonietta. Anna Maria Esposito si dice disposta a collaborare alla preparazione del Foglio di Collegamento. Le attività svolte da Grazia sono consistite: nella corrispondenza regolare con Thomas Rigterink un condannato a morte della Florida, nella conferenza sulla pena di morte tenuta a Pratovecchio nel convento delle Suore Domenicane con la presenza di una cinquantina di ascoltatori, nella traduzione in italiano del libro “When we visit Jesus in prison” scritto da Dale Recinalla, il nostro amico cappellano laico nelle carceri e nel braccio della morte della Florida. Tale ponderoso libro, che nella versione inglese arriva a 540 pagine, uscirà nei prossimi mesi in italiano per le Edizioni Domenicane (EDI). Grazia, la vigilia dell’assemblea, ha infine tenuto una conferenza sulla pena di morte per Amnesty International a Castelnuovo di Porto (RM). Le attività di Guido per il Comitato consistono nel monitoraggio
e nell’implementazione con cadenza settimanale della pagina Facebook del Comitato intitolata “Amici e sostenitori comitato Paul Rougeau contro la pena di morte”. Tale pagina conta oggi 254 followers. La pagina, composta di scritti per lo più in inglese, riporta in italiano soprattutto gli appelli in favore dei condannati. Guido si tiene in contatto con Roberta Aiello, una tra i 5 fondatori del Comitato nel 1994, che ora lavora per la stampa di Amnesty International. Si passa al punto 2 all’o. d. g. e Grazia illustra la situazione dei soci del Comitato: vi sono 68 soci in totale di cui 30 sono in regola col pagamento della quota sociale. Grazia, che invierà un sollecito ai soci morosi entro dicembre, suggerisce di depennare dall’elenco dei soci quelli che non pagano dal 2014. Punto 3 all’o. d. g.: Il Tesoriere del Comitato, Paolo Cifariello, che non è potuto essere presente in assemblea per gravi motivi personali, in collegamento audio fa alcuni commenti al bilancio del 2017 che ha redatto e inviato per email ai partecipanti: occorrerebbe ridurre o addirittura eliminare l’invio del Foglio di Collegamento su carta, dati gli aumentati costi postali. Attualmente nel conto corrente postale del Comitato sono depositati circa 1600 euro sufficienti per le spese correnti. I fondi in cassa e in arrivo dovrebbero consentire di far fronte alle spese per la pubblicazione in italiano del libro di Dale Recinella “When we visit Jesus in prison” e per contribuire alle spese per la possibile visita in Italia di Dale e Susan Recinella a giugno 2019. Il bilancio è approvato all’unanimità. Punto 4 all’o. d. g.: i membri del Consiglio Direttivo del Comitato Paul Rougeau si dichiarano tutti dimissionari ma disponibili ad essere rieletti. Paolo Cifariello lo fa per delega a rappresentarlo data a Giuseppe Lodoli. L’Assemblea elegge all’unanimità nel Consiglio Direttivo i soci: Anna Maria Esposito, Giuseppe Lodoli, Guido Grenni, Maria Antonietta Lodoli e Maria Grazia Guaschino. Alle 12:25’ l’Assemblea viene brevemente interrotta per consentire la riunione del rinnovato Consiglio Direttivo al fine di eleggere le cariche sociali. Tutti vengono confermati nei rispettivi ruoli: Giuseppe Lodoli, presidente; Maria Grazia Guaschino, vice presidente; Paolo Cifariello, tesoriere; Anna Maria Esposito, Guido Grenni, Maria Antonietta Lodoli, consiglieri. Alle 12:35’ termina la riunione del Consiglio Direttivo. Punto 5 all’o. d. g. Per quanto riguarda il prosieguo delle attività del Comitato, si decide di continuare per quanto possibile a sostenere i condannati Larry Swearingen, Gerald Marshall e William "Tommy" Zeigler, le cui situazioni sono molto diverse. In Texas Larry Swearingen è giunto al termine degli appelli e solo per merito del suo ottimo avvocato James Rytting non è ancora stata fissata per lui una nuova data di esecuzione. Tommy Zeigler, da oltre 40 anni nel braccio della morte, secondo Dale Recinella è sicuramente innocente. In effetti fu condannato a morte con accuse assurde. Abbiamo sollecitato, a più riprese nel corso degli ultimi mesi, l’invio di lettere in suo favore da parte dei nostri soci e simpatizzanti alla giovane accusatrice nera della Florida Aramis Ayala, dichiaratamente contraria alla pena di morte. La Ayala potrebbe autorizzare dei test del DNA richiesti dalla difesa di Zeigler. [...]. Di Gerald Marshall, il cui caso giudiziario rimane da anni fermo in Texas nelle fasi iniziali, il suo amico italiano Alfonso Santamaria nel 2016 ha fatto pubblicare, tradotto in varie lingue, il libro autobiografico intitolato “999489 Dall’affido al braccio della morte”. Un libro che merita veramente di essere letto e pubblicizzato. Ci si propone di pubblicizzare di nuovo tale libro sul nostro Foglio di Collegamento. Si parla dei libri in vendita da parte del Comitato: sono 30 copie de “Il Tritacarne” di Karl Guillen recentemente ristampato (acquistate con lo sconto da Giuseppe Lodoli); solo 3 copie del libro di Dale Recinella “Nel braccio della morte”; circa 30 copie del libro “Non smettete mai di sognare – Lettere dal braccio della morte della California” costruito da Grazia con la sua corrispondenza con Fernando Eros Caro. Grazia propone di acquistare altre 20 copie del libro di Dale Recinella da rivendere durante il progettato tour di Dale Recinella in Italia a giugno del 2019, non appena l’effettuazione di tale tour venga confermata. Punto 6 all’o. d. g. Per quanto riguarda le attività future del Comitato Paul Rougeau, Grazia propone oltre alla prosecuzione delle attività di routine, di riprendere le conferenze sulla pena di morte nelle scuole superiori e nelle parrocchie. Alle 13:05’ l’Assemblea termina con il proposito del farne una nuova presto, possibilmente a maggio come avveniva negli anni passati. Anna Maria e Giovanni suggeriscono di tenerla a Novara. [...]
15) NUOVA EDIZIONE DE “IL TRITACARNE” A VENT’ANNI DALLA SUA USCITA (*)
Recensione di Antonio Landino
Nel 2009 mi occupai della recensione del secondo libro di Karl Louis Guillen (un detenuto che, in Arizona, era in attesa di una probabile sentenza definitiva, quella finale ed irrimediabile): “Il sangue d’altri” e “Arma di controllo”, integrati insieme formavano il libro uscito in Italia.
Sì, stiamo parlando d’America e di pena di morte. Allora intitolai la recensione “L’uomo che non c’è” (1), poiché l’Autore trasmetteva da un altro universo, a spizzichi e bocconi (ma in maniera terribilmente esaustiva, lucida e coinvolgente), tutto quello che riusciva a far filtrare attraverso quella spugnosa e massificante attesa che accomuna uomini e cose e che di notte si nasconde, pudica ed accogliente come la vergine di Norimberga, sotto una coperta a stelle e strisce sempre più corta. E allora? O ti copri la faccia o ti copri il sedere.
Karl non ha mai fatto nessuna delle due cose, durante tutta la sua carcerazione. Ed il suo messaggio viene diffuso ancora, in modo vivido e attuale, nell’attuale seconda edizione de “Il tritacarne”. Coi suoi odori e rumori che ci fa ri-convivere ad occhi aperti in modo intenso e coinvolgente, altre volte come una cronaca tesa, cupa, spesso claustrofobica. Rituali imposti, soprusi, vessazioni, con tutto un umiliante corollario che ci lascia soltanto immaginare l’irriferibile, comparato al sottobosco emozionale, ai rimpianti ed i sospiri. Decisamente una delle migliori esposizioni orrorifiche mai così prima a portata di sdegno, persino per chi - come noi - da anni se ne occupa… ma, una volta tanto, se ne può parlare in altra maniera.
Da qualche tempo Karl è fuori (2), con 20 anni di galera espiata sul groppone, alquanto ammaccato e con qualche souvenir indelebile dentro e addosso, ma ancora con parecchio da dire e da dare in questa sua seconda vita. La nuova edizione de “Il tritacarne” contiene qualche nuova nota iniziale con la presentazione di Riccardo Noury (portavoce di Amnesty International). La vecchia prefazione di Massimo Carlotto non sgramma neanche adesso ed i tipi di Multimage si difendono bene ed hanno ancora voglia di ripetersi.
Gli States hanno fatto pagare a Karl un conto salatissimo per qualcosa a cui era estraneo, e lo hanno isolato dal resto del mondo; affetti, speranze, progetti, tutto separato da una cella lasciata fuori dalle sbarre, lui lasciato marcire ad incubare pensieri ora tetri ora slegati. Ma ora Karl è fuori. E non chiede nessuna rivalsa, perché non ha ottenuto lo scontrino per ciò che gli hanno fatto arbitrariamente pagare… e neanche di essere rimborsato per il Tempo che gli hanno rubato. Il suo “conto” da presentare non è un risarcimento in denaro ma sono le sue pagine, i momenti, lo spartire le privazioni… e lo presenta a tutti, lo illustra e lo perora nell’unico modo che ormai conosce, che ha dovuto imparare sulla sua pelle per salvarsela. E che lo ha portato a non essere più “L’uomo che non c’è”. Adesso si batte anche per quelli che ha lasciato dietro le sbarre. Potevamo essere noi. Forse siamo noi.
Un bentornato, quindi, a Karl. Col suo strascicante bagaglio emozionale, con la sua voglia sempre evolutiva, col suo amore negato e la sua fedele testardaggine di rinascita. Le allegorie sono migliori della coperta corta, ogni giorno che ci si sveglia sotto il cielo. E lui si sveglia… e ci sveglia, con addosso un futuro già presente. Grazie, Karl, per questo dono che hai deciso di farci. Hai reso la nostra vita più libera semplicemente sopravvivendo.
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(1) V. n. 173
(2) Dopo la sua liberazione Karl Guillen preferisce vivere in Italia, paese in cui spesso tiene conferenze in cui denuncia il sistema che ha tentato di stritolarlo riuscendoci solo in parte (v. n. 222).
(*) Potete acquistare Il Tritacarne in libreria o chiedendolo a noi all'indirizzo e-mail prougeau@tiscali.it (ve lo diamo scontato al prezzo di 10 euro mentre il suo prezzo di copertina è di 12 euro).
16) NOTIZIARIO
Arabia Saudita. Altissimo il 'prezzo del sangue'. In seguito allo sdegno suscitato dall'esecuzione compiuta il 29 ottobre senza preavviso in Arabia Saudita di Tuty Tursilawati - una giovane donna indonesiana che nel 2010 aveva ucciso il suo datore di lavoro che la stava violentando - le autorità dell'Indonesia si sono mobilitate per cercare di salvare Eti bint Toyib Anwar un'altra indonesiana condannata a morte in Arabia Saudita 16 ani fa per aver ucciso il suo datore di lavoro. Il governo dell'Indonesia ha fatto sapere che potrebbe salvare la donna solo pagando una cifra pari a 1.400.000 dollari quale ‘prezzo del sangue’ alla famiglia dell'ucciso. A tale cifra si è arrivati dopo un negoziato che ha consentito di ridurre una richiesta iniziale molto più alta (equivalente a 8.200.000 dollari), condotto da Agus Maftuh Abegebriel ambasciatore dell'Indonesia in Arabia Saudita. Agus, che ha preso veramente a cuore il caso di Eti bint Toyib Anwar, ha detto di aver ottenuto dal suo governo non più di 400.000 dollari e di aver raccolto di propria iniziativa altri 700.00 dollari. Mancano 300.000 dollari, da trovare entro il Ramadan che comincerà nel mese di maggio. Oltre ad Eti, vi sono nel braccio della morte dell'Arabia Saudita altri 12 dodici indonesiani.
Florida. Il 13 dicembre messo a morte Antonio Jimenez. Le autorità della Florida hanno precisato che il 55-enne Jose Antonio Jimenez è stato dichiarato morto alle 21 e 48' del 13 dicembre. Era stato condannato alla pena capitale per aver ucciso a coltellate nel 1992 Phyllis Minas, una donna 63 anni, mentre compiva un furto in un appartamento di Miami. La sua vittima aveva avuto la sfortuna di tornare a casa mente veniva compiuto il furto. Assistente spirituale di Jimenez è stato il nostro amico Dale Recinella. Il governatore Rick Scott, che non ha mai voluto concedere una grazia, includendo quello riguardante Jimenez ha firmato 28 ordini di esecuzione, più di qualsiasi altro governatore della Florida, dopo la reintroduzione della pena di morte nel 1976. Quella di Jose Antonio Jimenez è stata l'ultima esecuzione portata a termine negli USA nel 2018.
Iran. Non può pagare il "prezzo del sangue", ucciso. A Yazd nell'Iran centrale il 3 novembre è stato impiccato, il 45-enne omicida Samei Mohtarami, che era stato messo in isolamento 2 giorni prima. Gli era stata data la possibilità di salvarsi pagando il cosiddetto 'prezzo del sangue' ai familiari della sua vittima. Ma Mohtarami e la sua famiglia non hanno potuto pagare.
Pakistan. Quattro boia per uccidere 440 persone. Dopo la fine della moratoria della pena di morte durata oltre 4 anni, in seguito al terribile attentato compiuto in una scuola di Peshawar dai Talebani il 18 dicembre 2014, il Pakistan è diventato uno dei paesi che più usa la pena di morte. Detiene circa 5.000 condannati alla pena capitale. Dopo la fine della moratoria si calcola che in quel paese siano state messe a morte circa 440 persone. Un dato confortante: nel 2018 (fino al 20 dicembre) ci sono state solo 14 esecuzioni. Da notare che a compiere le esecuzioni, quasi tutte per impiccagione, sono solo 4 boia. 3 posti di boia sono vacanti.
V.: https://www.deathpenaltyworldwide.org/country-search-post.cfm?country=Pakistan
Zambia. Il ministro della giustizia auspica l'abolizione. Given Lubinda, ministro della giustizia dello Zambia, parlando nell'ambito dell'XI Congresso "Un mondo senza pena di morte" organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio e tenutosi a Roma presso la Camera dei Deputati il 28 e il 29 novembre, ha affermato che un mondo giusto non si può ottenere finché la pena di morte rimane in essere. Egli ha ricordato che il diritto alla vita è contemplato dalla Costituzione dello Zambia anche se la pena di morte è ancora prevista dalle leggi per l'omicidio, la rapina aggravata dall'uso di armi da fuoco e il tradimento. Lubinda ha detto che l'ultima esecuzione nel proprio paese è avvenuta nel 1997 e che da allora il Presidente dello Zambia, Edgar Lungu, ha commutato un numero di sentenze capitali maggiore di quanto ne abbiano commutate ciascuno dei suoi predecessori, e che perciò lo Zambia deve essere considerato un paese abolizionista in pratica. Il ministro Given Lubinda ha fatto presente che il suo governo vuole educare la popolazione in senso abolizionista e incoraggia le associazioni abolizioniste interne e internazionali a collaborare in quest’opera educativa.
Zimbabwe. Il ministro della giustizia dice che il suo paese è sulla strada dell'abolizione. Il 28 novembre Ziyambi Ziyambi, ministro della giustizia dello Zimbabwe, parlando nel corso dell' XI Congresso dei Ministri della Giustizia organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, ha annunciato che è in attesa di ricevere una proposta di abolizione nel suo paese. Ha sottolineando che la pena di morte non è solo una punizione crudele e degradante ma è anche un'offesa alla vita. Lo sviluppo positivo avviene nel momento in cui vi sono 81 prigionieri nel braccio della morte del paese africano. Ziyambi ha detto che l'approvazione delle nuova costituzione nel 2013 è stato un primo passo nella giusta direzione dal momento che restringe l'applicazione della pena di morte all'omicidio aggravato. Inoltre la nuova costituzione esenta dalla pena di morte le donne, i maschi di età inferiore ai 21 anni e gli anziani di più di 70 anni di età. Ziyambi Ziyambi ha sottolineato che dalle ricerche criminologiche risulta che la pena di morte non è una deterrente speciale per il crimine.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 dicembre 2018