FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 154 - Novembre 2007
SOMMARIO:
1) Risoluzione per la moratoria, prima vittoria
2) Si parla di deterrenza, tra moratoria nazionale ed universale
3) Reticente sulla tortura Mukasey nuovo Attorney General
4) Gli Americani non consegnano ancora Alì il Chimico agli Iracheni
5) 'Cities for Life' quest'anno è una festa per la moratoria
6) State vicino a Deryl Madison
7) Richiesta di corrispondenza dal braccio della morte della Florida 8) Condannato a morte della California cerca amici
9) Notiziario: Arabia Saudita, Argentina, Cambogia, Corea del Nord, Georgia, Iran, Massachusetts, New Jersey, New York, Russia, Usa
1) RISOLUZIONE PER LA MORATORIA, PRIMA VITTORIA
La risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali è stata approvata il 15 novembre dal Terzo Comitato dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con 99 voti a favore, 52 contro e 33 astensioni. Ci auguriamo che, dopo aver conseguito questo primo importante successo, la risoluzione ottenga l'approvazione definitiva in seduta plenaria dell'Assemblea Generale. Se, come possiamo sperare, si concluderà positivamente entro l'anno anche la seconda tornata della difficile battaglia di principio contro la pena di morte cominciata in settembre, si tratterà di un successo a favore di tutto il genere umano. Il peso reale di questa vittoria potrà essere valutato successivamente, dal modo in cui contribuirà ad avvicinare i paesi che attualmente mantengono la pena di morte a quelli che l'hanno abolita.
Il testo della risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali, scarno, ridotto all'essenziale (*), su cui si era appena raggiunto un largo consenso tra i paesi promotori dell'iniziativa, è arrivato il 1° novembre in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, recato da Angola, Albania, Brasile, Croazia, Gabon, Messico, Filippine, Portogallo (rappresentante l'Unione Europea) e Nuova Zelanda. La bozza della risoluzione è stata depositata presso il Terzo Comitato dell'Assemblea Generale, quello che si occupa della questioni sociali, umanitarie e culturali.
Il giorno dopo, una delegazione di abolizionisti di tutto il mondo, guidata da Mario Marazziti, della Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte, da suor Helen Prejean e da Yvonne Terlingen, capo dell'ufficio di Amnesty International presso la sede ONU di New York - si è incontrata col Presidente dell'Assemblea Generale Srgian Kerim per consegnargli la famosa petizione di privati cittadini che chiedono alle Nazioni Unite la moratoria delle esecuzioni. La petizione - promossa dalla Comunità di Sant'Egidio e da altri soggetti europei ed americani - nell'arco di sette anni ha raccolto oltre 5 milioni di sottoscrizioni in 153 paesi.
I paesi sponsor della risoluzione, che erano inizialmente 74, sono aumentati fino ad arrivare ad 87 all'inizio del dibattito in seno al Terzo Comitato. La discussione è stata accesa; diversi paesi, tra cui Singapore, Egitto, le Barbados, gli Stati Uniti e il Botswana, hanno opposto un forte ostruzionismo, presentando 14 proposte di emendamento scritte e 4 orali, tendenti a snaturare la risoluzione. E' stata avanzata con intento dirompente perfino la proposta di inserirvi la protezione del diritto alla vita dei bambini non ancora nati. A differenza di come avvenne nel 1999 - quando la risoluzione si impantanò tra gli emendamenti nel Terzo Comitato e fu ritirata prima del voto - questa volta i paesi che promuovono la moratoria erano pronti a fronteggiare l'ostruzionismo: gli emendamenti sono stati tutti respinti e - almeno in questa fase - non hanno messo in crisi la risoluzione.
Sul fronte abolizionista - superati i tentennamenti della Polonia (v. n. 152, Notiziario) - c'è da notare un'inquietante presa di distanze del Canada, attualmente governato dai conservatori, che si è rifiutato di sponsorizzare la risoluzione, anche se poi ha votato a favore. Il Canada, il 1° novembre, in coincidenza della presentazione della risoluzione, ha anche annunciato che da ora in poi non chiederà più la commutazione delle condanne a morte pronunciate all'estero nei riguardi di cittadini canadesi, purché i relativi processi siano stati regolari (il primo Canadese condannato a morte a cui è stato negato l'aiuto della madre patria è tale Ronald Allen Smith, che rischia di essere messo a morte in Montana nei prossimi mesi, non appena terminerà la moratoria attualmente vigente negli USA).
Facendo tirare un grosso sospiro di sollevo agli abolizionisti, la risoluzione è stata approvata il 15 novembre nell'ambito del Terzo Comitato così come era stata presentata, da 99 membri delle Nazioni Unite, con 52 voti contrari e 33 astensioni (8 paesi membri erano assenti). In essa l'Assemblea Generale considera che "l'uso della pena di morte mina la dignità umana" convinta che "una moratoria sulla pena di morte contribuisca al miglioramento e al progressivo sviluppo dei diritti umani; che non esiste alcuna prova decisiva che dimostri il valore deterrente della pena di morte; che qualunque assenza di equità o errore giudiziario nell'applicazione della pena di morte è irreversibile e irreparabile"; invita quindi gli stati che ancora hanno la pena di morte a diminuirne progressivamente l'uso, rispettando tutte le garanzie previste nei trattati internazionali, e a "stabilire una moratoria delle esecuzioni in vista dell'abolizione della pena di morte."
"Siamo felici per la sostanziale maggioranza di paesi che ha votato per la risoluzione. E' più di quanto ci aspettassimo." Ha dichiarato per Amnesty International Yvonne Terlingen. "Riteniamo che ciò incoraggerà molti altri paesi ad abolire la pena capitale o almeno a rivedere le leggi che la riguardano."
Benita Ferrero-Waldner, commissario dell'U. E. per le relazioni esterne, ha dichiarato: "Questo è un bel giorno per i diritti umani e per l'impegno europeo di arrivare all'abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Basandoci su tale larga coalizione, continueremo i nostri sforzi per raggiungere l'obiettivo nell'interesse dell'umanità."
L'ambasciatore italiano alla Nazioni Unite, Marcello Spatafora, visibilmente emozionato dopo il passaggio della risoluzione, ha detto: "Spero fortemente che, approvando questa risoluzione, si dia inizio ad un processo nel quale lavoreremo tutti insieme e cammineremo tutti insieme sulla stessa via, con uguale dignità, in pieno mutuo rispetto."
E' vero, qualsiasi reale e stabile progresso in tema di diritti umani passa per l'esercizio della ragione, per la discussione costruttiva, fino al raggiungimento di un sentire e di un etica condivisi. Ciò dovrà avvenire anche per il superamento della pena di morte. Il reale valore della risoluzione per la moratoria sarà misurato da quanto contribuirà ad avvicinare i paesi mantenitori a quelli abolizionisti.
Purtroppo diversi paesi - soprattutto nel terzo mondo e dell'universo islamico - vedono ancora l'avanzata del movimento abolizionista come un tentativo di imporre una cultura estranea a paesi terzi. Secondo Vanu Gopala Menon, ambasciatore di Singapore alle Nazioni Unite, "il voto sulla risoluzione" dimostrerebbe "che non vi è un consenso internazionale in merito alla questione della pena di morte. Circa la metà dei membri dell'ONU non ha votato in favore della risoluzione. Molte delegazioni si trovavano ovviamente a disagio con essa. Questo è un problema di giustizia criminale, non una questione riguardante i diritti umani." Secondo l'ambasciatore Menon i principali sponsor della risoluzione hanno esacerbato le divisioni cercando di imporre il loro punto di vista. "Singapore non cambierà il suo sistema di giustizia criminale in conseguenza di questo voto." Ha avvertito. " E' nostro diritto sovrano decidere in base al nostro sistema di giustizia criminale."
Non ci sono rilevati differenze tra la posizione della piccola città-stato di Singapore e quella delle grandi potenze che si ostinano a mantenere la pena di morte ma che hanno preferito tenere un basso profilo in questa occasione. La signora Zhang Dan, membro secondario della delegazione cinese all'ONU, ha rilasciato una dichiarazione criticando l'iniziativa come "una grave interferenza" nella sovranità dei paesi. "Discutere una questione complessa come la pena di morte in un consesso così alto e politicizzato come l'Assemblea Generale porterà solo ad ulteriori complicazioni. Non esiste un consenso internazionale sulla pena di morte e cercare di far passare una risoluzione alla Nazioni Unite per la moratoria non cambia le differenze nelle opinioni che i vari paesi hanno sulla questione."
Appena si sarà conclusa, speriamo positivamente, l'operazione in corso, si dovrà pertanto compiere un lavoro intenso, sommesso e paziente di ricucitura tra i due opposti schieramenti, per convincere tutti che il superamento della pena di morte è una vittoria per l'intera umanità e una sconfitta per nessuno.
Siamo ottimisti sulla conclusione della vicenda a metà dicembre perché, nella seduta plenaria dell'Assemblea Generale, i singoli paesi dovrebbero votare così come hanno fatto nell'ambito del Terzo Comitato, facendo passare la risoluzione con un'ampia maggioranza; anche se la votazione non sarà identica a quella del 15 novembre, per il possibile spostamento di qualche voto, soprattutto dei 33 paesi testé astenutisi, e per la partecipazione degli otto membri che erano assenti in Comitato (sei dei quali sono abolizionisti per legge o di fatto.)
Tuttavia, come avverte il ministro Emma Bonino - la quale è fortemente impegnata per il successo dell'operazione moratoria - occorre mantenere alta la guardia perché la votazione di dicembre non verterà solo sul testo approvato dal Comitato in novembre. Essendo stati riaperti i termini per la presentazione degli emendamenti respinti in Comitato e per la presentazione di nuovi emendamenti e pregiudiziali, si rischia ancora, se non la sconfitta in uno scontro frontale, la morte per asfissia della risoluzione nelle spire di emendamenti inammissibili.
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(*) La risoluzione redatta, in una vivace discussione, da 36 paesi recita:
"Moratoria nell'uso della pena di morte.
L'Assemblea Generale,
Guidata dagli obiettivi e dai principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite;
Richiamando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e la Convenzione sui Diritti del Fanciullo;
Richiamando le risoluzioni sulla "questione della pena di morte" adottate nel decennio passato dalla Commissione dei Diritti Umani in tutti le sue sessioni, [...] che chiedeva agli Stati che ancora hanno la pena di morte di abolirla completamente e, nel frattempo, di stabilire una moratoria delle esecuzioni;
[...]
Considerando che l'uso della pena di morte mina la dignità umana e convinti del fatto che una moratoria sulla pena di morte contribuisca al miglioramento e al progressivo sviluppo dei diritti umani; che non esiste alcuna prova decisiva che dimostri il valore deterrente della pena di morte; che qualunque assenza di equità o errore giudiziario nell'applicazione della pena di morte è irreversibile e irreparabile;
Accogliendo con favore le decisioni prese da un crescente numero di paesi di applicare una moratoria delle esecuzioni, in molti casi seguite dall'abolizione della pena di morte;
[...]
1. Esprime la sua profonda preoccupazione circa la continua applicazione della pena di morte;
2. Invita tutti gli Stati che ancora hanno la pena di morte a:
(a) rispettare gli standard internazionali che prevedono le garanzie che consentono la protezione dei diritti di chi è condannato a morte, in particolare gli standard minimi, stabiliti dall'annesso alla risoluzione del Consiglio Economico e Sociale, 1984/50;
(b) fornire al Segretario Generale le informazioni relative all'uso della pena capitale e il rispetto delle garanzie che consentono la protezione dei diritti dei condannati a morte;
(c) limitarne progressivamente l'uso e ridurre il numero dei reati per i quali la pena di morte può essere comminata;
(d) stabilire una moratoria delle esecuzioni in vista dall'abolizione della pena di morte;
3. Invita gli Stati che hanno abolito la pena di morte a non re-introdurla;
4. Chiede al Segretario Generale di riferire sull'applicazione di questa risoluzione alla 63ma sessione;
5. Decide di continuare la discussione sulla questione durante la 63ma sessione allo stesso punto all'o. d. g."
(**) Hanno votato:
In favore: Albania, Algeria, Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Benin, Bolivia, Bosnia e Erzegovina, Brasile, Bulgaria, Burkina Faso, Burundi, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cile, Cipro, Colombia, Costa d'Avorio, Costa Rica, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Estonia, Finlandia, Francia, Gabon, Georgia, Germania, Grecia, Guatemala, Haiti, Honduras, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Mali, Malta, Isole Marshall, Mauritius, Messico, Micronesia, Moldavia, Monaco, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nepal, New Zealand, Nicaragua, Norway, Olanda, Panama, Paraguay, Philippines, Poland, Portugal, Regno Unito, Romania, Federazione Russa, Ruanda, Samoa, San Marino, San Tomé e Principe, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Tajikistan, Timor Est, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguai, Uzbekistan, Vanuatu, Venezuela.
Contro: Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Bahamas, Bahrain, Bangladesh, Barbados, Belize, Botswana, Brunei Darussalam, Cina, Comore, Corea del Nord, Dominica, Egitto, Etiopia, Grenada, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Jamaica, Giappone, Giordania, Kuwait, Libia, Malawi, Malaysia, Maldive, Mauritania, Mongolia, Myanmar, Nigeria, Oman, Pakistan, Papua Nuova Guinea, Qatar, San Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincent e Grenadine, Singapore, Siria, Stati Uniti, Sudan, Suriname, Tailandia, Tonga, Trinidad e Tobago, Uganda, Yemen, Zimbabwe.
Astenuti: Bielorussia, Bhutan, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Corea del Sud, Cuba, Gibuti, Guinea Equatoriale, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Figi, Gambia, Ghana, Guinea, Kenya, Laos, Lesoto, Libano, Liberia, Madagascar, Marocco, Nauru, Niger, Palau, Sierra Leone, Isole Solomon, Swaziland, Togo, Tanzania, Vietnam, Zambia.
Assenti: Repubblica Democratica del Congo, Guinea-Bissau, Kiribati, Peru, Senegal, Seychelles, Somalia, Tunisia.
2) SI PARLA DI DETERRENZA, TRA MORATORIA NAZIONALE ED UNIVERSALE
Crediamo che il governo americano, pur continuando a difendere la pena di morte, abbia rinunciato non solo ad una efficace opposizione manifesta alla risoluzione per la moratoria alle Nazioni Unite, ma anche alla tradizionale pressione diplomatica informale sugli interlocutori europei. Nel contempo all'interno degli Stati Uniti - mentre si prolunga la moratoria di fatto delle esecuzioni - le forze più conservatrici tentano di arginare lo scivolamento dei media su posizioni sempre più critiche nei riguardi della pena di morte e di prevenire la diminuzione del consenso del pubblico per la "massima sanzione". Tornano di nuovo in auge gli studi fatti dagli economisti che dimostrerebbero un effetto deterrente della pena di morte nei riguardi degli omicidi negli Stati Uniti d'America.
Gli Stati Uniti hanno sempre difeso l'uso della pena di morte nelle sedi internazionali esponendosi il meno possibile, nel tentativo di limitare il danno di immagine che deriva dal sostegno ad una pratica crudele ed obsoleta, e dalle inevitabili ripetute sconfitte cui va incontro l'istituzione della pena capitale. Si ritiene però che il limitato impegno palese, sia stato compensato fino ad ora da un intenso lavorio diplomatico teso ad evitare o quantomeno a ritardare ogni singolo spostamento in avanti del fronte abolizionista.
Secondo indiscrezioni trapelate alla fine di gennaio, gli Stati Uniti hanno di nuovo agito in via riservata sugli alleati occidentali per bloccare all'origine la ripresa dell'iniziativa per la moratoria universale della pena di morte all'indomani della barbara esecuzione di Saddam Hussein (v. n. 146). La reazione molto determinata di alcuni paesi europei, a cominciare dall'Italia, è riuscita però a ricompattare l'Unione Europea alla guida del fronte abolizionista che in settembre si è presentato in Assemblea Generale delle Nazioni Unite con voce unanime per avviare l'iter della risoluzione per la moratoria universale (v. n. 153).
Questo risultato deve aver scoraggiato il governo statunitense che ha rinunciato non solo ad un'opposizione frontale alla risoluzione per la moratoria alle Nazioni Unite, ma, con tutta evidenza, anche alla tradizionale pressione diplomatica su determinati interlocutori europei.
Per limitare il danno d'immagine dovuto al successo dell'operazione in corso all'ONU, la tattica tacitamente scelta dagli Stati Uniti è quella di ignorare tout court ciò che avviene a New York.
Abbiamo cercato la notizia dell'approvazione del risoluzione per la moratoria nelle edizioni on line dei principali quotidiani americani. Non l'abbiamo trovata. Che i giornali si vergognino della magra figura fatta dagli USA insieme agli altri paesi che sostengono la pena capitale? Solo un editoriale nel Los Angeles Times del giorno 17 vi accenna, in maniera indiretta e sfumata, proprio per stigmatizzare il comportamento degli Stati Uniti: "Un dibattito sui diritti umani al massimo livello alle Nazioni Unite ha visto questa settimana l'Unione Europea, l'Australia, il Brasile e le Filippine scontrarsi con paesi quali la Cina, l'Iran e il Sudan. Indovinate da che parte stavano gli Stati Uniti? Bene, quando si tratta della pena di morte, l'usuale configurazione delle Nazioni Unite - con le democrazie secolarizzate che premono per una maggiore libertà e per il rispetto dei diritti umani, mentre le dittature e le teocrazie li accusano di cercar di istillare ideologie colonialiste nelle proprie nazioni sovrane - viene meno. Questo perché gli Stati Uniti [...] ancora praticano quel genere di omicidio sponsorizzato dallo stato che è popolare in regimi come quelli del Myanmar o della Costa d'Avorio. [...] Tutto ciò ci induce a domandarci perché anche stati 'progressisti' come i nostri continuino a tollerare una pratica obsoleta che le nazioni più sviluppate hanno da tempo abbandonato come inefficace ed inumana. La pena di morte è un relitto del passato oscurantista. Gli Stati Uniti, o almeno la California, devono aggiungersi alla lista dei paesi che se ne sono allontanati."
Questa ed altre autocritiche brucianti, giungono in un periodo molto sofferto per i sostenitori della pena di morte, con la macchina delle esecuzioni che si è bloccata repentinamente a fine settembre. Una moratoria di fatto si è infatti stabilita dopo la decisione della Corte Suprema federale di discutere il ricorso Baze v. Rees che contesta la costituzionalità dell'uso del metodo di esecuzione tramite iniezione letale (v. n. 152).
In media negli Stati Uniti vengono eseguite 4 condanne a morte al mese ma dal 25 settembre in poi, per oltre due mesi, non si sono più verificate esecuzioni in tutta la nazione. La moratoria dunque regge e si rafforza. Quando non intervengono le corti inferiori, è la stessa Corte Suprema che sospende all'ultimo momento le esecuzioni, come è avvenuto il 15 novembre per Mark Dean Schwab che doveva essere ucciso in Florida.
Quest'anno sarà l'anno con minor numero di esecuzioni negli USA dopo il 1994.
Ci troviamo certamente in un momento di crisi per la pena di morte negli Stati Uniti, oggetto di un eccezionale attivismo degli oppositori e screditata da un insolito fiorire nei media di articoli e di servizi fortemente critici (v. n. 148) (*).
I sostenitori della pena di morte - timorosi soprattutto di un'erosione del forte sostegno popolare alla pena capitale - reagiscono con il loro argomento migliore: la pena di morte non è un fine ma un mezzo, sia pure sgradevole, giustificato per il fatto che salva delle vite umane, delle vite umane innocenti.
Tra gli argomenti a sostegno della pena di morte, 'il fine che giustifica i mezzi' è quello che a loro appare più forte e civile (argomento del resto invocato, anche da esperti di strategia, per giustificare l'uso della tortura: la tortura salverebbe delle vite umane innocenti). Ed ecco ricomparire la storia della presunta deterrenza che avrebbe la pena capitale nei riguardi dei potenziali omicidi. Si tirano di nuovo un ballo una dozzina di studi fatti con metodi 'econometrici' per dimostrare che in America ogni esecuzione salva N vite umane (con N compreso, a seconda degli autori, tra 3 e 18, o anche 74) (**)
Il 2 novembre, giorno seguente a quello del deposito della bozza della risoluzione per la moratoria universale alle Nazione Unite, è apparso sul Wall Street Journal un articolo dei professori Roy D. Adler e Michael Summers. Costoro ci fanno sapere che dalle loro ricerche emerge che ogni esecuzione capitale evita ben 74 omicidi nell'anno seguente. Non vogliamo prendere troppo sul serio questo articolo dal titolo perentorio: "La pena di morte funziona" e parecchi altri articoli, di scarso spessore, che ripetono le stesse cose, usciti in novembre.
Meritevole di un'attenta lettura è invece un pezzo comparso sul New York Times il 18 novembre, tre giorni dopo l'approvazione della risoluzione per la moratoria universale alle Nazioni Unite. Si tratta di un articolo complesso (molto discusso anche al di fuori degli USA) dal titolo: "La pena di morte salva delle vite? Un nuovo dibattito."
In realtà il dibattito cui ci si riferisce non è affatto nuovo perché risale almeno agli anni Settanta (***)
L'articolo richiama innanzitutto le ricerche fatte con metodi econometrici negli ultimi decenni (e in particolare gli studi più recenti e sofisticati) che confrontano il numero delle esecuzioni nel tempo con il tasso di omicidi in diverse giurisdizioni, tentando di eliminare effetti spuri dovuti all'andamento generale del crimine, al tasso di incarcerazione ecc. Da tali studi emergerebbe che dove e quando il numero delle esecuzioni aumenta, diminuisce il numero degli omicidi.
Nell'articolo si riportano dei dati (ogni esecuzione salverebbe da 3 a 18 vite umane, a seconda degli autori) e anche pareri di studiosi che pur professandosi in principio contrari alla pena di morte ne affermano l'efficacia. "Personalmente mi oppongo alla pena di morte, ma le mie ricerche mostrano che c'è un effetto deterrente." Ha affermato H. Naci Mocan, che ha fatto una ricerca nell'Università statale della Louisiana da cui emerge che ogni esecuzione salverebbe cinque vite.
"L'evidenza che [la pena capitale] abbia un significativo effetto deterrente sembra sufficientemente plausibile e la questione morale diventa difficile" dice il professor Cass E. Sunstein, docente di legge all'Universita' di Chicago. "Sono cambiato, ero contrario alla pena di morte ma ora penso che se ha un effetto deterrente è probabilmente giustificata."
La riproposizione massiccia degli studi econometrici - tra l'altro presentati come se si trattasse di una novità - ha insospettito alcuni esperti e commentatori: il New York Times avrebbe fatto un'operazione di cattiva informazione, fornendo una sponda ai sostenitori della pena di morte in un momento assai delicato per loro.
E' vero però che lo stesso articolo riporta anche, doverosamente, gli argomenti che contestano la validità delle ricerche econometriche, avanzati soprattutto da studiosi di legge (ma anche da esperti di statistica che rilevano la debolezza intrinseca di calcoli basati su un numero molto piccolo di esecuzioni). Perfino il professor Gary S. Beker, Nobel per l'economia, riconosce che le prove empiriche della deterrenza disponibili sono troppo deboli, "certamente non decisive", pur ostinandosi ad attribuire alla pena di morte una deterrenza almeno a livello ontologico, che ne giustificherebbe l'uso.
Siamo convinti che gli studi econometrici americani effettuati fino ad ora non giungono ad alcune conclusione persuasiva sulla deterrenza (**). Come difensori dei diritti umani dobbiamo tuttavia affermare in modo molto chiaro che una ipotetica futura dimostrazione di un potere deterrente della pena di morte non potrebbe comunque giustificala: non si può uccidere deliberatamente Tizio allo scopo di salvare probabilmente, domani, un Caio e un Sempronio.
Gli esseri umani non sono intercambiabili: l'unicità e la dignità di ciascun essere umano ne postulano il diritto alla vita.
Altrimenti, il prevalere della difesa semplicemente quantitativa del massimo numero di vite umane, potrebbe rendere accettabile non solo la pena di morte ma anche il ripristino dei supplizi più raccapriccianti del passato, come lo squartamento in pubblico (****).
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(*) Anche se il favore del pubblico per la 'sanzione ultimativa' si mantiene alto v. n. 153, Notiziario.
(**) V. art. di Claudio Giusti nel n. 134, "Il ragionamento si basa su una semplice equazione" e n. 94.
(***) I primi studi sulla deterrenza della pena di morte, poi largamente screditati, furono discussi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti al momento di ripristinare l'uso della pena capitale nel 1976 dopo una sospensione di alcuni anni. Il giudice Potter Stewart scrisse, anche per conto di altri due giudici della maggioranza, che tali studi non potevano dirsi conclusivi ma nonostante questo sentenziò che "la pena di morte indubbiamente è un significativo deterrente."
(****) Nell'articolo del New York Times del 18 novembre si riportano le opinioni di alcuni studiosi persuasi che se le esecuzioni negli USA fossero molte di più, ad es. un migliaio all'anno, l'effetto deterrente sarebbe evidente e dimostrabile senza ombra di dubbio. Il medesimo articolo cita anche uno studio econometrico del 2003 dei professori Lawrence Katz, Steven D. Levitt e Ellen Shustorovich, pubblicato nella Rivista Americana di Legge ed Economia, che avrebbe misurato "una forte e robusta correlazione negativa" tra la qualità delle condizioni di detenzione, determinata attraverso il numero di decessi in prigione per qualsiasi causa, e il tasso di criminalità. L'effetto, secondo gli autori, sarebbe "molto grande: da 30 a 100 crimini violenti oltre a un numero simile di delitti contro la proprietà" sarebbero stati scongiurati da ogni morte in prigione.
3) RETICENTE SULLA TORTURA MUKASEY NUOVO ATTORNEY GENERAL
L'ex giudice federale Michael Mukasey, indicato dal presidente Bush quale successore dello squalificato e dimissionario Alberto Gonzales nell'incarico di Attorney General degli Stati Uniti, è stato confermato dal Senato l'8 novembre nonostante le grandi perplessità suscitate dal suo rifiuto di dire se condanna in quanto tortura la pratica del 'sottomarino'.
Nel novembre del 2004 Alberto Gonzales fu nominato Attorney General (Ministro della Giustizia) degli Stati Uniti, al posto John Ashcroft, da George W. Bush che gli doveva grande riconoscenza per i favori personali resigli per decenni (v. nn. 123,125).
Come era prevedibile, Gonzales, oltre a rendere pessimi servigi al proprio dicastero, si è caricato di gravi responsabilità morali sostenendo la tortura e lo spionaggio delle comunicazioni. Reo di abuso di potere nel licenziare otto Attorney federali (restii a piegarsi alle direttive governative ed a chiedere condanne a morte), si è infine attirato le antipatie del Congresso a tal punto da essere indotto a presentare le dimissioni; cosa che ha fatto, nel momento più opportuno per Bush, nell'agosto scorso.
Al posto di Gonzales, George Bush ha nominato Michael B. Mukasey, un ex giudice federale di New York di 66 anni, repubblicano e di idee sicuramente conservatrici, assai favorevole alla politica della 'guerra al terrore'.
Il fatto che si trattasse di un personaggio senza legami personali con il Presidente, con fama di onestà e indipendenza, gli aveva attirato larghe simpatie.
Nel primo giorno di udienze per la conferma davanti al Senato, Mukasey ha affermato che avrebbe dato le dimissioni piuttosto che obbedire a direttive illegali della Casa Bianca, guadagnandosi il plauso dei Democratici. Nel secondo giorno, però, si è rifiutato di dire se considera la pratica del 'sottomarino' (*) condannabile quale tortura; ha inoltre fatto intendere che i poteri costituzionali del Presidente prevalgono sulle leggi federali in determinati casi.
A rischio di non essere confermato per le vivaci proteste dei senatori democratici, Mukasey ha poi precisato: non si esprimeva sul 'sottomarino' solo perché non sapeva esattamente in che cosa consiste non essendo stato messo al corrente delle 'tecniche di interrogazione' federali (sic!).
Con una larga dose di ipocrisia distribuita (qualcuno, come la senatrice democratica Dianne Feinstein, ha perfino lodato Mukasey per il fatto di non essersi espresso su una materia non ben conosciuta), il Senato si è deciso a ratificare una nomina urgente e quasi inevitabile anche per la fortissima pressione esercitata dallo stesso presidente Bush che ha parlato pubblicamente in favore di Mukasey.
Così l'8 novembre il Senato statunitense ha confermato Mukasey come Attorney General con 53 voti contro 40. Sei Democratici e un senatore indipendente si sono aggiunti a 46 senatori repubblicani nel votare a favore. Alcuni hanno considerato la nomina di Mukasey come un male minore rispetto al prolungamento della vacanza della carica di Attorney General e alla probabile designazione in sua vece da parte di Bush di un personaggio peggiore di lui.
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(*) La tortura del 'sottomarino', descritta nei manuali classici degli aguzzini e praticata dagli Americani per lo meno nei confronti di 'detenuti di alto valore', consiste nel far affogare un individuo immergendolo nell'acqua - e spesso in liquami immondi o nel suo stesso vomito - fino anche a fagli perdere i sensi, per poi rianimarlo.
4) GLI AMERICANI NON CONSEGNANO ANCORA ALÌ IL CHIMICO AGLI IRACHENI
George Bush si rifiuta tuttora di consegnare al boia iracheno Alì il Chimico ed altri due esponenti del regime di Saddam Hussein condannati a morte perché rei di genocidio nell'ambito della campagna Anfal del 1988. I tre, secondo le norme draconiane del Tribunale speciale iracheno, dovevano essere impiccati entro e non oltre il 4 ottobre scorso.
La sentenza di morte per genocidio e crimini di guerra e contro l'umanità pronunciata il 24 giugno dal Tribunale speciale iracheno contro Ali Hassan al-Majid, detto Alì il Chimico - cugino e luogotenente di Saddam Hussein - e contro Sultan Hashim al-Tai e Hussein Rashid al-Tikriti, altri due esponenti del deposto regime iracheno coinvolti nella campagna Anfal contro i Curdi nel 1988 (v. n. 150), è stata ratificata il 4 settembre dalla speciale Commissione. A norma del regolamento del medesimo Tribunale speciale, doveva essere eseguita tassativamente entro un mese. Non vi era neanche la possibilità di chiedere la grazia né vi era la necessità di una ratifica sostanziale della sentenza di morte da parte del Presidente o del Governo.
I militari americani - che detengono i condannati - non si sono però affrettati a consegnare al-Majid e compagni al boia iracheno così come avevano fatto con Saddam Hussein il 30 dicembre 2006 (v. n. 145) e altri tre condannati eccellenti che sono stati subito tutti barbaramente impiccati, due il 15 gennaio e uno il 20 marzo di quest'anno (v. nn. 146, 147, 148) . Il rozzo Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliky si è infine arrabbiato e ha protestato vivacemente per l'enorme ritardo americano ma gli hanno detto che per la consegna deve arrivare un ordine di Bush che non arriva.
Il 12 novembre l'Ambasciata americana a Baghdad ha dichiarato pubblicamente che gli Americani non consegneranno i prigionieri prima che venga fatta un'accurata revisione della loro situazione da un punto di vista procedurale e legale.
In precedenza i motivi dichiarati dagli Americani e da alcuni esponenti iracheni a cominciare dal presidente Talabani, per ritardare l'impiccagione degli imputati sono stati vari. Prima si è voluto far passare il Ramadan, periodo di particolare significato religioso per gli Iracheni che terminava il 15 ottobre, poi si è fortemente insistito che il generale Hashim al-Tai, un galantuomo, non meritava la morte perché nel corso della Campagna Anfal aveva solo obbedito agli ordini dei superiori (e meritava riconoscenza per aver collaborato per anni con la CIA per destabilizzare Saddam Hussein). Si è detto anche che le responsabilità degli imputati erano molto differenziate, tra chi progettava e ordinava e chi eseguiva.
Noi vogliamo solo rimarcare il fatto incoraggiante che il presidente Bush - per propria iniziativa o per opportunità politiche nazionali o internazionali - in questa occasione non si affretti a mettersi entusiasticamente dal parte del boia. Questo è un guadagno per lui e per l'intera umanità.
5) 'CITIES FOR LIFE' QUEST'ANNO E' UNA FESTA PER LA MORATORIA
Si è celebrata in centinaia di città in tutto il mondo la sesta edizione della giornata mondiale contro la pena di morte Cities for Life (città per la vita) organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio. Questa importante e ormai tradizionale manifestazione che si tiene nell'anniversario della prima abolizione della pena di morte (avvenuta nel Granducato di Toscana il 30 novembre 1786) ha il grande merito di coinvolgere i cittadini e di far maturare nell'opinione pubblica l'idea abolizionista. Quest'anno la manifestazione ha avuto un accentuato carattere di festa in coincidenza con il successo della risoluzione per la moratoria universale della pena di morte alle Nazioni Unite.
Ci è impossibile fare un resoconto organico e dare una misura della manifestazione Cities fo Life - Città Contro la Pena di Morte di quest'anno, che non si è ancora conclusa ed ha toccato, secondo i dati diffusi dagli organizzatori, 727 città grandi o piccole in 55 paesi, un numero di città mai raggiunto nelle precedenti cinque edizioni (v. n. 144).
L'enorme sforzo fatto dalla Comunità di Sant'Egidio ha il grande valore di coinvolgere il più possibile i cittadini comuni e di far maturare nell'opinione pubblica l'idea abolizionista. Ogni passo in avanti, reale e irreversibile, sulla strada dei diritti umani è infatti garantito solo dalla maturazione di una cultura diffusa e profondamente condivisa. La pressione sui governi per ottenere l'abolizione della pena di morte, esercitata dalle organizzazioni non governative e dagli stati nelle Sedi internazionali, trova una preziosa sinergia nel lavoro fatto 'dal basso' sulla popolazione.
La giornata del 30 novembre, scelta dalla Comunità di Sant'Egidio come vertice delle attività abolizioniste nell'anno, coincide con l'anniversario della prima abolizione della pena di morte (avvenuta in Italia, nel Granducato di Toscana, il 30 novembre del 1786).
Quest'anno la manifestazione Cities for Life si è collegata strettamente con l'evento della presentazione all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della risoluzione per la moratoria universale della pena di morte (v. articolo iniziale) e ha assunto il carattere di una festa per il primo significativo successo dell'operazione: il passaggio a larghissima maggioranza della risoluzione nell'ambito del Terzo Comitato dell'Assemblea Generale. A seconda dei luoghi, le manifestazioni programmate per il 30 novembre o per giorni contigui, sono consistite nell'illuminazione di monumenti simbolo, in sit-in, in convegni e conferenze con la presenza di testimoni direttamente toccati dalla pena di morte: ex condannati esonerati, parenti delle vittime del crimine che si battono contro l'esecuzione degli assassini dei loro cari, persone che hanno consacrato interamente la propria vita alla causa abolizionista.
A Roma - dove il Colosseo è illuminato con una luce speciale a sostegno del lavoro preparatorio che è in corso all'ONU onde conseguire la ratifica della risoluzione per la moratoria universale da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in seduta plenaria nella settimana prima di Natale - due manifestazioni importanti e gioiose si sono tenute nella più grande università e in un famoso auditorium. Le prestazioni di artisti popolarissimi quali Lorella Cuccarini, Giorgia e Nicola Piovani, hanno collegato commoventi testimonianze, interventi di sensibilizzazione e di approfondimento e le magistrali letture di Luigi Diberti, entusiasmando i giovani.
6) STATE VICINO A DERYL MADISON
Cari Amici del Comitato, vi scrivo per chiedervi un aiuto per il mio amico Deryl Madison detenuto nel braccio della morte del Texas dal 1989. Deryl è afroamericano, ha 49 anni, ama la storia, la musica, la geografia ed è davvero una brava persona, lo conosco ormai dal 1994.
E' un uomo molto solo, ha pochissimi amici di penna, e fino a gennaio scorso riusciva ad incontrare la madre una volta ogni 15 giorni grazie ad una vicina automunita che aveva un nipote nello stesso carcere, poi però quest'ultimo è stato giustiziato quindi Deryl non vede più sua madre da mesi, ed era solo da pochi anni che lui riusciva ad incontrarla dopo 11 anni di completa solitudine.
Io vado a trovarlo a Livingston ogni anno dal 1996 e da alcuni anni vado proprio nel periodo natalizio, che è quello più deprimente per i nostri amici detenuti, portando soldi e notizie dai pen pal italiani a tutti coloro che me lo chiedono.
Quest'anno sono io ad avere bisogno di voi!
Poiché aspetto un bambino, il mio medico mi ha proibito di viaggiare in fase così avanzata, per cui, Deryl sarà davvero SOLO, e poiché tra l'altro si trova in una fase molto delicata della sua situazione legale ha particolarmente bisogno di supporto.
La cortesia che chiedo a tutti voi quindi è di essergli vicino attraverso una lettera di auguri, l'invio di un libro, una piccola donazione per le spese postali etc... e soprattutto, se qualcuno di voi ha la possibilità di mettere in contatto i parenti e/o gli amici dei vostri pen pal nella Polunsky, che arrivano da Houston, con la famiglia di Deryl, è possibile che riusciamo insieme a far incontrare Deryl con i suoi genitori almeno a Natale.
Grazie a tutti da Michela Mancini
Mr. Deryl W. Madison
#000946 Polunsky Unit D/Row
3872 FM 350 South
Livingston, TX 77351 USA
L'indirizzo della madre di Deryl, Ms. Leola Madison, è:
5109 Los Angeles St
Houston, TX 77026 USA
7) RICHIESTA DI CORRISPONDENZA DAL BRACCIO DELA MORTE DELLA FLORIDA
Carmen Mantovan ci inoltra la seguente richiesta: Mi chiamo Anthony Neal Washington. Ho 48 anni. Sono alto. Ho gli occhi di nocciola ed una bella carnagione nera lucida. Ho vari interessi come gli sport e la musica per nominarne alcuni. Attualmente ho una condanna a morte. Sono onesto, dal cuore buono. Cerco realmente un buon amico o corrispondente. Dio ti benedica, ti ringrazio in anticipo
Mr. Anthony Washington
075465 P. 6103
Union Correctional Institution
7819 N.W. - 288th Street
RAIFORD 32026-4420 FLORIDA USA
8) CONDANNATO A MORTE DELLA CALIFORNIA CERCA AMICI
Scrivo da circa un anno ad un condannato a morte in California che ha circa quarant'anni ed è un uomo molto dolce e sensibile. Soffre tanto le sue condizioni di vita, così mi ha chiesto di inserire il suo indirizzo nel Foglio di Collegamento. Lui scrive: PAUL WATKINS VIVE MOMENTI MOLTO DIFFICILI NEL BRACCIO DELLA MORTE E DESIDEREREBBE AVERE AMICI SINCERI, CON I QUALI CONDIVIDERE UNA LUNGA AMICIZIA.
Mr. Paul Watkins
D87205 San Quentin Prison
San Quentin, CA 94964 USA
Aggiungo che talvolta la comunicazione con Paul può risultare difficile a causa di problemi che ha con le guardie, ma è davvero piacevole scrivergli.
Grazie mille da parte sua e mia Giulia Marengo
9) NOTIZIARIO
Arabia Saudita. Impennata di esecuzioni nel 2007. Il 2 novembre ha fatto un certo scalpore l'esecuzione a Riad di un Egiziano accusato di stregoneria: Mustafa Ibrahim è stato decapitato in pubblico con la spada perché reo confesso di aver commesso "adulterio con una donna" e di aver "insultato il Santo Corano" gettandone una copia nel cesso. La sua era la 141-esima esecuzione in Arabia Saudita verificatasi nel 2007. Il Ministro dell'Interno saudita ha reso noto il 24 novembre che Aslam Khan, un trafficante di droga pakistano, è stato decapitato nella regione della capitale. La sua è stata la 150-esima esecuzione verificatasi quest'anno nel paese, che applica strettamente la legge islamica, fortemente criticato dalle organizzazioni per i diritti umani per l'irregolarità dei processi e l'uso della tortura nei riguardi dei sospettati. L'anno scorso le esecuzioni in Arabia Saudita furono 37. Il precedente picco di 113 esecuzioni si registrò nel 2000.
Argentina. Il più famoso centro di tortura militare diventa un museo. L'attuale Presidente dell'Argentina Nestor Kirchner sembra intenzionato a favorire il decollo del processo di verità e giustizia nei riguardi dei crimini contro l'umanità commessi dalla dittatura militare tra il 1976 e il 1983 (v. nn . 149, 153, Notiziario). Kirchner ha annunciato il 20 novembre, durante una conferenza sui diritti umani, che il principale centro di tortura delle dittatura militare, l'Escuela de mecanica de la Armada (Esma), scuola di formazione della Marina di Buenos Aires, diventerà una "memoria vivente per il mondo e per l'America latina". Alla conferenza hanno preso parte anche molte 'Madri di Plaza de Mayo' (le madri dei desaparecidos). Durante la dittatura argentina più di 5.000 prigionieri furono segregati, torturati e in gran parte fatti 'sparire' dopo essere stati portati nei locali dell'Esma. Di lì molti partirono narcotizzati con voli senza ritorno per essere lasciati cadere in mare.
Cambogia. Per la prima volta un esponente dei Khmer Rossi sotto processo. Sappiamo che Pol Pot - il sanguinario folle ex dittatore comunista della Cambogia negli anni Settanta, che fece morire tra il 1975 e il 1979 forse 1 milione 700 mila concittadini, una percentuale rilevante della popolazione del suo paese - sfruttando abilmente le rivalità tra i potenti della Terra, è riuscito concludere la sua esistenza in libertà, ed anzi a capo di un piccolo governo nella foresta sulle montagne cambogiane, il 15 aprile del 1998. Ora, per la prima volta, un suo collaboratore è finito sotto processo. Kaing Guek Eav è apparso davanti al Tribunale speciale di Phnom Penh il 20 novembre per essere formalmente incriminato della tortura di 14 mila persone - poche delle quali sopravvissero - nella prigione di Tuol Sleng, denominata con la sigla S-21, da lui diretta. I capi d'accusa comprendono atrocità indicibili e innumerevoli avvenute sotto la sua responsabilità: uccisioni di massa, detenzioni arbitrarie e torture. I suoi metodi comprendevano pestaggi, pugnalate, sospensione con corde, rimozione delle unghie e tortura del 'sottomarino'. Convertitosi al cristianesimo da missionari evangelici nel 1996, si disse pronto a confessare i suoi crimini. Fu arrestato nel 1999 dopo essere stato scovato da alcuni giornalisti. Nell'udienza del 20 novembre la difesa di Kaing Guek Eav ha protestato per la sua detenzione durata oltre otto anni senza accuse e senza processo. Altri quatto esponenti dei Khmer Rossi, tra cui l'ex presidente Khieu Samphan, sono stati arrestati nei mesi scorsi e verranno prevedibilmente processati nel 2008 dal Tribunale speciale di Phnom Penh, costituito con la consulenza delle Nazioni Unite (v. anche n. 116)
Corea del Nord. Riprendono le esecuzioni: fucilato per aver telefonato all'estero. Secondo una fonte russa, un uomo che aveva istallato in una fabbrica 13 linee per telefonare all'estero sarebbe stato fucilato nel mese di ottobre in uno stadio davanti a 150 mila persone nella provincia di Sud Pyongan. Alla maggioranza dei Coreani del Nord è vietato telefonare all'estero. In un fuggi fuggi prodottosi dopo l'esecuzione, 6 persone sarebbero morte schiacciate e 18 avrebbero riportato ferite. Le esecuzioni in Corea del Nord, in declino dal 2000 e in esaurimento, sarebbero ricominciate proprio in concomitanza con la presentazione della risoluzione per la moratoria alle Nazioni Unite alla quale il paese governato dal dittatore Kim Jong-il si oppone fieramente.
Georgia. Dichiarazione di Amnesty in favore di Troy Davis. Il 13 novembre si è tenuta un'udienza molto tesa davanti alla Corte Suprema della Georgia sul caso di Troy Davis, condannato a morte nel 1991 sulla base di testimonianze scadenti e probabilmente innocente, giunto a 23 ore dall'esecuzione il 16 luglio (del caso abbiamo parlato diffusamente nel n. 151). Il compito degli avvocati difensori si presentava molto difficile perché l'esame dell'appello di Davis era stato deciso a strettissima maggioranza: 3 dei 7 giudici della Corte Suprema votarono in agosto contro l'esame dell'appello (v. n. 152, Notiziario). In appoggio del condannato - ancora vivo soltanto per il fatto che c'è stata una enorme mobilitazione in suo favore - Amnesty International USA, per bocca di Jared Feuer, uno dei suoi direttori, ha rilasciato una forte dichiarazione: "Oggi la Corte Suprema della Georgia comincerà a considerare se concedere un nuovo processo a Troy Anthony Davis. E' essenziale che la Corte effettui la revisione, ma è una vergogna che essa sia dovuta intervenire. Più di 18 anni fa, Davis fu incriminato rapidamente e in dubbie circostanze. Quando poi alcuni testimoni ammisero di aver dichiarato il falso ed altri asserirono di essere stati oggetto di pratiche coercitive della polizia, le autorità avrebbero dovuto mettersi in allerta. Invece, esse ignorarono le prove in nome dell'Atto federale Antiterrorismo e per il Rafforzamento dell'efficacia della Pena di Morte [...] di conseguenza non è affatto certo che dietro alle sbarre ci sia la persona giusta. [...] Ora che 7 su 9 dei testimoni originali hanno ritrattato o cambiato la loro testimonianza, il caso non ha più gambe. Un nuovo processo può aiutare a fare in modo che [...] la Georgia non rischi di mettere a morte un innocente."
Iran. Pauroso picco di esecuzioni nel 2007. La notizia dell'impiccagione di due trafficanti di droga, diffusa il 24 novembre, porta a 269 il numero di esecuzioni capitali eseguite e rese note quest'anno in Iran. Molte impiccagioni, fortemente enfatizzate dalle autorità, si svolgono in pubblico e in modo particolarmente crudele. Non vengono risparmiati i minorenni all'epoca del crimine loro contestato: almeno sette di loro sono stati mesi a morte quest'anno. Si persegue la pena di morte perfino per ragazzi accusati di reati sessuali compiuti nella prima adolescenza. L'Iran fa parte del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici e della Convenzione dei Diritti del Fanciullo che proibiscono la pena capitale per i minorenni. La continua sfacciata violazione di tali trattati, così come l'uso sporadico dalla lapidazione, suscitano particolare orrore nel mondo nei riguardi del paese degli Ayatollah, preso da un delirio che lo separa sempre più dal contesto internazionale.
Massachusetts. Rigettata l'ennesima proposta di ripristinare la pena di morte. Il 7 novembre la Camera dei Rappresentanti del Massachusetts ha sonoramente respinto, con 106 voti contro 46, l'ennesima proposta di ripristinare la pena di morte nello stato. La legge respinta quest'anno è identica a quella presentata nel 2005 dal precedente governatore W. Mitt Romney che si era impegnato intensamente ma invano per rinverdire la 'sanzione ultimativa' durante il suo governatorato. L'attuale governatore Deval L. Patrick aveva invece avvertito di essere pronto ad apporre il suo veto caso mai la legge fosse passata. Ormai lo scarto tra deputati contrari e favorevoli alla pena di morte ha raggiunto un livello di assoluta tranquillità. Ma nel 1997 la pena di morte fu respinta dalla Camera dei Rappresentanti del Massachusetts fortunosamente e con due soli voti di scarto. Nel 1999 la Camera votò 80 a 73 contro la pena di morte. Nel 2005 i deputati rigettarono, con 99 voti contro 53, la proposta del governatore Romney.
New Jersey. Il Parlamento si appresta ad abolire la pena di morte. Si prevede che il Parlamento del New Jersey abolirà la pena di morte, non più sostenuta dall'opinione pubblica che le preferisce il carcere a vita, nel prossimo mese di gennaio. Nello stato, in cui non si fanno esecuzioni dal 1963, ci sono solo 8 condannati a morte. Dopo la pubblicazione nel gennaio scorso del rapporto di una speciale commissione che ha proposto, con 12 voti contro 1, di abolire la pena di morte, il governatore Jon S. Corzine si è entusiasticamente impegnato insieme ai presidenti dei due rami del parlamento, tutti democratici, a porre fuori legge nel New Jersey la pena capitale. La macabra istituzione è definita incompatibile con l'evolversi degli 'standard di decenza' dalla commissione, la quale osserva: "mettere a morte un piccolo numero di persone colpevoli di omicidio non è un motivo tanto forte da giustificare il rischio di commettere un errore irreversibile." Si ritiene che la Camera dei Rappresentanti voterà a larga maggioranza la cancellazione della pena di morte il 13 dicembre, mentre il Senato - nel quale la battaglia per l'abolizione sarà più accesa - dovrebbe votare prima della fine della legislatura che si concluderà l'8 gennaio. Iniziative parlamentari per abolire la pena di morte sono fallite per la mancanza di pochi voti in New Hampshire, Colorado, Nebraska e Nuovo Messico. L'abolizione della pena di morte nel New Jersey sarà la prima negli USA da quando è stata ripristinata la pena capitale trent'anni fa. Potrebbe essere come una palla di neve che scatena una valanga, si augura Richard C. Dieter, direttore del Centro di Documentazione sulla Pena di Morte, un'autorevole agenzia abolizionista con sede a Washington.
New York. Vuoto il braccio della morte. La condanna capitale di John Taylor, ultimo ospite del braccio della morte di New York è stata annullata in ottobre. Dopodiché l'accusa ha tentato di farlo di nuovo condannare a morte - per aver ucciso a freddo insieme ad un complice sette impiegate di un ristorante nel 2000 - nonostante il fatto che lo statuto della pena capitale di New York sia stato dichiarato incostituzionale nel 2004 dalla Corte d'Appello dello stato. Ovviamente, nonostante la gravità del crimine compiuto da Taylor, respinta l'eccezione invocata dall'accusa, la sentenza emessa il 29 novembre è stata quella del carcere a vita. John Taylor è stato trasferito lasciando così vuoto il braccio della morte. Ricordiamo che sia il potere legislativo che quello giudiziario del civile stato di New York si sono sempre rifiutati di perseguire un emendamento della legislazione vigente, dichiarata incostituzionale, per consentire la ripresa della pena di morte nello stato (v. nn. 124; 128, Notiziario). Finisce così nel nulla la tanto vantata reintroduzione della pena capitale da parte del governatore George Pataki, succeduto nel 1994 a Mario Cuomo che si era sempre opposto, con il suo veto, al ripristino della pena di morte. Nessuna esecuzione si è verificata nello stato di New York dagli anni Sessanta. Nonostante la sconfitta della pena di morte, il tasso di omicidi a New York City si mantiene basso da parecchi anni e quest'anno si è registrato un minimo record al di sotto dei 500 omicidi. Di questi solo il 35% sono stati commessi da estranei, cioè da persone al di fuori dell'ambito familiare e delle normali frequentazioni delle vittime. Ciò significa che questa città con oltre 8 milioni di abitanti è da considerarsi 'sicura' secondo gli standard americani.
Russia. Rimane la pena di morte, anche se Putin la deplora. La Duma, Camera bassa della Federazione Russa, ha concluso la legislatura di quattro anni senza compiere i passi necessari ad adeguare i codici agli standard europei in materia di pena di morte. Rimasta in fondo all'agenda dei lavori urgenti, la proposta di legge per la ratifica del Sesto Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea dei Diritti Umani con la conseguente abolizione della pena di morte, non è mai arrivata alla discussione anche perché molti parlamentari temono la reazione del pubblico ancora largamente favorevole alla pena capitale (v. n. 94, Notiziario). Eppure il presidente Vladimir Putin, che non è certo un modello per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, è decisamente orientato all'abolizione della pena di morte, quasi che questa incombenza facesse parte dell'eredità ricevuta, con l'investitura, del presidente Boris Yeltsin che impose la moratoria delle esecuzioni nel 1997. Putin, in un recente convegno tenutosi a Soci sul Mar Nero, ha dichiarato fra l'altro: "L'insensatezza della pena di morte è stata provata in migliaia di anni di storia del genere umano e nella moderna civiltà. Inasprire le punizioni fino alla pena capitale non è una panacea, non è il più efficiente strumento per combattere il crimine. L'arma più efficace contro il crimine è la certezza della pena - tutti lo sanno - e non la crudeltà della punizione. Questo è un primo motivo, il secondo di cui sono profondamente convito è che usando la pena di morte nei riguardi dei cittadini, anche se criminali, lo stato educa la gente alla crudeltà e suscita ulteriore crudeltà da parte dei cittadini." Gli attivisti per i diritti umani si augurano che la questione della pena di morte venga inserita tra le priorità della nuova Duma uscita dalle attuali elezioni. Ricordiamo che la pena di morte in Russia è stata resa praticamente inapplicabile da una sentenza della Corte Suprema.
Usa. L'Associazione degli avvocati chiede la moratoria delle esecuzioni. Un rapporto dell'A. B. A. - American Bar Association (associazione degli avvocati americani, che conta circa 400 mila iscritti) reso noto il 28 ottobre evidenzia i gravi problemi di cui è affetto il sistema della pena di morte negli USA e propone una moratoria delle esecuzioni. Il rapporto conclude una ricerca di tre anni fatta in otto stati. Alcuni dei gravi problemi denunciati nel rapporto sono: la raccolta e la conservazione poco accurate di campioni di DNA; gli errori di identificazione nelle testimonianze oculari; la false confessioni degli imputati; la disparità razziale nelle sentenze di morte che diventano più probabili quando la vittima è bianca. I gruppi di lavoro hanno rilevato i più gravi difetti in Alabama, Georgia, Indiana, Ohio, e Tennessee, meno problemi in Arizona, Florida e Pennsylvania. "Dopo aver studiato accuratamente il modo in cui gli stati [...] effettuano le esecuzioni, è risultato chiarissimo che il processo è profondamente difettoso," ha affermato Stephen F. Hanlon, presidente del Progetto dell'A. B. A. per la Moratoria. "Il sistema della pena di morte è pervaso da irregolarità." Naturalmente i pubblici accusatori hanno bollato il rapporto dell'A. B. A. definendolo di parte perché nei gruppi di lavoro sono stati inclusi molti oppositori della pena di morte. Joshua Marquis, procuratore distrettuale in Oregon, vice presidente dell'Associazione Nazionale dei Procuratori distrettuali, ha dichiarato: "Ritengo che l'A. B. A. dovrebbe rinunciare alla finzione di essere neutrale riguardo alla pena di morte [...] Sono poco sinceri nel chiedere semplicemente la moratoria. Chi ha potere nell'A. B. A. vuole che la pena di morte sia abolita."
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 novembre 2007