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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 288  -  Novembre 2021

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30 Novembre: il Colosseo illuminato contro la pena di morte

SOMMARIO:

1) Mississippi: giustiziato David Neal Cox volontario per l’esecuzione

2) Graziato, non sarà libero: meglio che essere ucciso, ma è vita?

3) Trovato senza vita nel braccio della morte del Texas

4) In Texas negato un nuovo processo a Rodney Reed

5) Metodi di esecuzione autorizzati negli Stati Uniti

6) In Giappone i condannati a morte non sanno quando verranno giustiziati

7) Un caso assurdo di pena di morte a Singapore

8) Messo a morte in Iran un minorenne all’epoca dei fatti

9) Celebrata la 19-esima Giornata mondiale contro la pena di morte

10) Notiziario: Iran

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David Neal Cox

1) MISSISSIPPI: GIUSTIZIATO DAVID NEAL COX VOLONTARIO PER L’ESECUZIONE

 

Il 50-enne David Neal Cox, che si dichiarò colpevole di aver ucciso la sua ex moglie e di aver aggredito sessualmente la di lei giovane figlia mentre la madre giaceva morente, è stato messo a morte in Mississippi. Si è trattato del primo detenuto giustiziato nel Mississippi dopo 9 anni.

Cox ha rinunciato a tutti gli appelli e si è definito “degno di morte” negli atti processuali ancor prima che la Corte Suprema dello stato fissasse la data dell’esecuzione.

Il condannato è apparso calmo mentre riceveva l’iniezione letale nel Penitenziario di Stato di Parchman. Un medico legale lo ha dichiarato morto alle 18:12’ del 17 novembre.

Nel processo subìto nel 2012 David Neal Cox si dichiarò colpevole di aver ucciso con un’arma da fuoco la sua ex moglie Kim Kirk Cox nel maggio del 2010. Si dichiarò anche colpevole di molteplici altri capi d’accusa, tra cui violenza sessuale. E fu condannato a morte.

Durante l’esecuzione David Neal Cox indossava una tuta carceraria rossa ed era coperto da un lenzuolo bianco. Larghe cinghie di cuoio lo legavano ad una barella.

“Voglio che i miei figli sappiano che li amo molto e che un tempo ero un brav’uomo”, ha detto Cox poco prima dell'inizio dell’iniezione. “Non leggete mai nient’altro che la Bibbia di Re Giacomo (1).”

Cox ha ringraziato il commissario delle prigioni di stato, Burl Cain, per “essere stato molto gentile con me. E questo è tutto ciò che ho da dire”. Ha poi fatto diversi respiri profondi dopo che le sostanze letali hanno iniziato a fluire attraverso un tubo di plastica trasparente nel suo corpo. La sua bocca si è mossa un po’. È stato dichiarato morto nel giro di pochi minuti.

Tra coloro che hanno assistito all'esecuzione c'era la figliastra ora 23-enne di Cox. Aveva 12 anni quando lui l’aggredì sessualmente tre volte davanti alla madre ferita a morte, mentre teneva in ostaggio loro e uno dei suoi fratelli più piccoli nella notte tra il 14 e il 15 maggio 2010, nella piccola città di Sherman.

Gli Stati hanno difficoltà a trovare farmaci per le iniezioni letali perché le aziende farmaceutiche bloccano la vendita dei loro prodotti per eseguire condanne a morte.

All’inizio di quest’anno il Dipartimento delle Prigioni del Mississippi ha rivelato di aver acquisito 3 farmaci per l’iniezione letale: il midazolam, che è un sedativo, il bromuro di vecuronio, che paralizza i muscoli e il cloruro di potassio, che ferma il cuore.

Martedì 16 novembre il funzionario carcerario Burl Cain ha dichiarato all’Associated Press che tali farmaci sarebbero stati usati per uccidere Cox, senza rivelare dove lo stato li aveva acquistati.

Burl Cain, un tempo capo del penitenziario statale della Louisiana, che ha assistito a diverse esecuzioni nello stato confinante prima di assumere il suo ruolo in Mississippi, era al fianco di Cox durante l'esecuzione.

“Non si potrebbe rendere una scena più perfetta di quella che abbiamo avuto stasera”, Cain ha detto poi ai giornalisti.

Il Death Penalty Action, un gruppo che si oppone alla pena di morte, aveva affermato in precedenza che uccidere un detenuto che ha rinunciato a tutti gli appelli equivarrebbe a un “suicidio sponsorizzato dallo stato”. Il gruppo aveva chiesto al Governatore Repubblicano Tate Reeves di bloccare l'esecuzione di Cox, ma la portavoce di Reeves aveva fatto sapere che il governatore si rifiutava di intervenire perché Cox aveva ammesso di essere colpevole di “crimini orribili”.

Dopo che la Corte Suprema del Mississippi ha fissato la data della sua esecuzione, Cox ha inviato una dichiarazione scritta a mano in cui si opponeva fermamente al prolungamento dell’attività dei sui avvocati difensori. Al che il direttore dell'ufficio dei pubblici difensori, Krissy C. Nobile, ha detto che dopo “una deliberazione considerevole e difficile, e per rispetto dell’autonomia e del desiderio dichiarato di David Cox”, l'ufficio non avrebbe inoltrato altri appelli per lui.

Il padre di Kim Kirk Cox, l'ufficiale delle forze dell'ordine in pensione Benny Kirk, ha detto che David Cox chiamò durante la notte dell'attacco e disse di aver sparato a Kim. Benny Kirk parlò al telefono con sua figlia e lei gli disse: "'Papà, sto morendo.'"

La polizia circondò la casa e cercò di convincere David Cox a rilasciare sua moglie e i due figli.

Kim Cox era morta quando il calvario si concluse dopo più di 8 ore.

L'Associated Press di solito non identifica le vittime di aggressioni sessuali, ma la figliastra di Cox, Lindsey Kirk, ha accettato di essere intervistata e parlare di quello che le era successo. Ha dichiarato all’Associated Press che David Cox l'aveva aggredita sessualmente per alcuni anni quando sua madre era fuori casa e che aveva minacciato di ucciderla se lo avesse detto a qualcuno.

Durante un soggiorno con i suoi nonni nell’estate del 2009, la Kirk rivelò a sua madre le aggressioni da parte del patrigno. Poco dopo, David Cox fu arrestato e accusato di stupro, percosse sessuali, abuso su minore e possesso di metanfetamina. Fu rilasciato nell’aprile 2010 senza essere processato.

Cox è stato il 22-esimo detenuto messo a morte in Mississippi da quando tale stato ha riattivato la pena capitale il 2 settembre 1983, il decimo messo a morte quest’anno negli Stati Uniti e il 1.539° da quando sono ricominciate le esecuzioni il 17 gennaio 1977. (Anna Maria)

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(1) La “Bibbia di Re Giacomo” è la traduzione in inglese della Bibbia fatta per la Chiesa d’Inghilterra, iniziata nel 1604 e completata nel 1611

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La Reverenda Cece Jones-Davis, leader della campagna a favore di Julius Jones, parla ai reporter subito dopo la comunicazione della grazia

2) GRAZIATO, NON SARÀ LIBERO: MEGLIO CHE ESSERE UCCISO, MA È VITA?

 

Del caso di Julius Jones, Afroamericano condannato a morte in Oklahoma nel 2002, ci siamo già occupati due volte quest’anno (1). Egli fu dichiarato colpevole dell'omicidio del bianco Paul Howell, che si trovava in auto nel vialetto della casa dei suoi genitori, quando fu sequestrato e ucciso a colpi di arma da fuoco nel 1999.

Jones, ora quarantunenne, ex giocatore di basket del liceo di Oklahoma City, aveva 19 anni al momento dell'omicidio di Paul Howell, e ha sempre sostenuto la sua totale estraneità al crimine, affermando tra l’altro che i suoi avvocati difensori lo hanno deluso durante il processo - per esempio, trascurando di interrogare i familiari secondo i quali egli stava cenando con loro al momento dell'uccisione di Howell - e che i pubblici ministeri fecero troppo affidamento sulla testimonianza di un coimputato, che dichiarò di aver visto Jones commettere il crimine. Il coimputato, un ex compagno di liceo di Julius e a quanto pare l’unico autore del delitto, per questa testimonianza fu condannato a soli 15 anni di carcere e ora è già libero.

“Non ho ucciso il signor Howell”, ha scritto Jones in una lettera alla Commissione per la libertà vigilata in aprile, dopo aver esaurito i suoi appelli. “Non ho partecipato in alcun modo al suo omicidio e la prima volta che ne ho sentito parlare è stato in televisione quando si è detto della sua morte”.

I sostenitori di Jones hanno anche dichiarato che il razzismo ha giocato un ruolo importante nel suo processo e nella sua condanna. Gli Afroamericani costituiscono un numero sproporzionato di prigionieri nel braccio della morte in Oklahoma e in generale negli Stati Uniti, e le ricerche hanno dimostrato che i neri incriminati per omicidio hanno molte più probabilità di essere condannati alla pena capitale se la loro vittima è un bianco.

Nel corso degli anni, un numero crescente di sostenitori si è unito nel proclamare l'innocenza di Jones e ha implorato il governatore dell’Oklahoma, Kevin Stitt, di concedere clemenza. Milioni di persone hanno firmato una petizione a sostegno di Jones dopo che la ABC nel 2018 trasmise un documentario su di lui in cui si sosteneva la sua innocenza.

Anche Baker Mayfield, quarterback dei Cleveland Browns della NFL, è intervenuto ed è stato tra i numerosi atleti e personaggi di alto profilo che si sono occupati del caso di Jones. “Sì, è dura, ad essere onesti”, ha detto Mayfield ai giornalisti il 17 novembre, facendo una pausa e con gli occhi pieni di lacrime. “Non è qualcosa di cui è facile parlare. È da un po' che cerco di dire che l’esecuzione di Jones era stata decisa a priori”.

Per contro, i pubblici ministeri hanno contestato le affermazioni di innocenza di Jones, sostenendo che il processo aveva mostrato chiare prove della sua colpevolezza e che la campagna per liberarlo si è basata sulla disinformazione.

Il Comitato per le Grazie e il Perdono agli inizi di novembre ha raccomandato per la seconda volta che la vita di Jones fosse risparmiata. Con 3 voti contro 1, ha consigliato la riduzione della pena di Jones all'ergastolo con possibilità di libertà condizionale.

Prima di prendere una decisione, il governatore Kevin Stitt ha incontrato gli avvocati di Jones e la famiglia di Howell.

La madre di Jones, Madeline Davis-Jones, che aveva cercato senza successo di incontrare il governatore il 15 novembre, ha parlato a circa 300 persone, tra cui molti studenti delle scuole superiori, che si sono riuniti il 17 novembre fuori dall'ufficio del governatore, cantando slogan e inni. "Non voglio assistere a un linciaggio domani", ha detto la madre di Jones. "Perché dovrei voler vedere qualcuno impiccato? Dovremmo farla finita. Vorreste che un vostro figlio, la vostra creatura, venisse impiccata?"

Il governatore Kevin Stitt aveva la possibilità di adottare, modificare o rifiutare la raccomandazione della Commissione. Avrebbe anche potuto decidere per una sospensione dell'esecuzione, che gli avrebbe dato più tempo per considerare la raccomandazione del Comitato per le Grazie e il perdono. Invece, alle 12:30’ del 18 novembre, ossia meno di 4 ore prima che l'Oklahoma mettesse a morte Julius Jones, il governatore ha annunciato di aver emesso un ordine esecutivo per commutare la condanna a morte, risparmiandogli la vita. La commutazione, buona notizia in sé, ha però come condizione che l’ergastolo di Jones sia senza possibilità di liberazione.

“Dopo un'attenta considerazione e una revisione dei materiali presentati da entrambe le parti di questo caso, ho deciso di commutare la condanna di Julius Jones in ergastolo senza possibilità di libertà condizionale”, ha detto il governatore Kevin Stitt in una dichiarazione.

Come clausola per concedere la grazia, Stitt ha ordinato che Jones non possa mai richiedere o essere preso in considerazione per una commutazione, un perdono o una liberazione condizionale per il resto della sua vita.

“Sicuramente è qualcosa che sta pesando su di me, ed è qualcosa che considero con grande attenzione”, aveva detto il governatore Stitt a settembre, dopo che la Commissione aveva raccomandato una prima volta la commutazione della sentenza di Jones. “Devo eseguire fedelmente il mio lavoro di governatore, e questo è qualcosa che non prendo alla leggera”.

In una dichiarazione, Amanda Bass, una tra gli avvocati di Jones, ha dichiarato che la decisione di Kevin Stitt ripristinerà “la fede del pubblico nel sistema di giustizia penale”.

“Mentre speravamo che il governatore avrebbe adottato integralmente la raccomandazione del Consiglio, commutando la condanna di Julius in ergastolo con la possibilità di libertà condizionale alla luce delle prove schiaccianti della sua innocenza, siamo grati che il governatore abbia impedito un errore irreparabile”, ha detto. I manifestanti che si erano radunati al Campidoglio sono scoppiati in applausi dopo che la dichiarazione di Kevin Stitt è stata rilasciata.

Io invece non avrei applaudito… mi chiedo se “la pena di morte a gocce” (come anni fa un nostro amico detenuto definì l’ergastolo), che dovrà subire Jones, sia da considerarsi una soluzione “umana”. Togliere a una persona in modo definitivo la possibilità di recuperare un giorno la libertà è di poco meno crudele che ucciderla. Se poi questa persona è anche innocente…

I parenti della vittima, la sorella e due figlie che avevano assistito alla sua uccisione, hanno invece accolto molto male la decisione del governatore, avendo sempre respinto le affermazioni di innocenza e sostenuto che gli sforzi per concedere clemenza a Jones hanno causato a loro dolore.

“La nostra famiglia continua a essere vittima di Julius Jones e delle sue bugie”, ha detto il fratello di Howell nel corso di una conferenza stampa a settembre.

L'annuncio del governatore Stitt è arrivato subito dopo che i difensori avevano anche presentato una mozione di emergenza chiedendo a un giudice federale di sospendere l’esecuzione sulla base di “prove convincenti” che i farmaci usati nelle iniezioni letali “rappresentano un rischio serio e sostanziale di gravi sofferenze e dolore per i prigionieri”. Il 28 ottobre scorso, infatti, il sessantenne John Grant soffrì atrocemente durante la sua esecuzione: vomitò e tremò in preda a convulsioni per diversi minuti prima di morire (2). Ma i funzionari della prigione dichiararono, il giorno dopo l'esecuzione di Grant, che non avevano intenzione di apportare modifiche ai protocolli di iniezione letale dello stato. "Sono d'accordo che il rigurgito del detenuto Grant non è stato piacevole da guardare", ha detto Scott Crow, direttore del sistema carcerario dell'Oklahoma, in una conferenza stampa virtuale il 29 ottobre. "Ma non credo che sia stato inumano".

La mozione aveva esortato la corte a concedere un'ingiunzione per garantire che il signor Jones e altri tre condannati a morte non siano giustiziati prima di febbraio, quando è previsto l'inizio di un processo federale in merito al rischio che i farmaci usati nelle esecuzioni sottopongono i detenuti a una quantità incostituzionale di dolore e sofferenza. Adesso per Jones il problema è risolto, speriamo però che la corte accolga la richiesta per gli altri tre condannati. (Grazia)

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(1) Vedi nn. 281, 286

(2) Vedi n. 287

3) TROVATO SENZA VITA NEL BRACCIO DELLA MORTE DEL TEXAS

Le autorità stanno indagando sulle cause del decesso di Brandon Daniel, trovato senza vita nella sua cella nel braccio della morte del Texas.

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Brandon Daniel fotografato durante il processo nel 2014

Brandon Daniel, ingegnere informatico, era stato condannato alla pena capitale per l’omicidio del poliziotto Jaime Padron commesso il 6 aprile 2012 ad Austin in Texas.

Le autorità stanno indagando sulla causa del suo decesso avvenuto nel braccio della morte. Tuttavia, si ritiene che si tratti di una causa naturale.

Il portavoce del TDCJ (Dipartimento di Giustizia Criminale del Texas), Robert Hurst, ha reso noto che alle 4:25’ del 30 ottobre, una guardia carceraria in perlustrazione ha trovato Daniel “inerte sulla sua branda. Gli agenti sono entrati nella cella e hanno constatato che non respirava più”.

I medici sono arrivati poco dopo e Daniel è stato dichiarato morto alle 5:10’. Come nel caso di tutte le morti in prigione di una persona non sotto cure mediche, l’Ufficio dell’Ispettore Generale sta indagando e sarà fatta un’autopsia.

Daniel aveva sparato e ucciso Padron mentre i due lottavano sul pavimento di un Wal-Mart nella borgata di North Austin. Padron, un veterano dei marines e padre di due ragazze, era lì avendo risposto alle lamentele dei dipendenti del negozio a proposito di un taccheggiatore probabilmente tossicodipendente.

Daniel, arrestato quasi subito, è stato trovato dalla polizia con un caricatore contenente sei proiettili in tasca e con uno zaino pieno di cibo, alcol e altri articoli appena acquistati.

Al quartier generale della polizia Daniel ha detto ai detective della squadra omicidi che era entrato nel negozio con l’intenzione di rubare alcune verdure e che ha tentato di fuggire quando ha visto il poliziotto. Tre testimoni hanno dichiarato che lui aveva detto: “Ho ucciso un poliziotto”.

I giurati nel febbraio 2014 hanno discusso per un’ora prima di dichiarare Daniel colpevole di omicidio e poi sono bastate otto ore di discussione per condannare a morte l’ex ingegnere.

L'anno successivo, Brandon Daniel ha inviato alla giudice distrettuale Brenda Kennedy una lettera in cui chiedeva di rinunciare agli appelli.

“Voglio che giustizia sia fatta, e sento che la punizione è appropriata per il mio crimine”, ha scritto. “Siamo entrambi interessati a risparmiare i soldi dei contribuenti, il tempo di tutte le persone coinvolte e a risparmiare alla mia famiglia e a quella della vittima altra angoscia. E infine, vorrei che il mio tempo in prigione fosse il più breve possibile”.

Ma i legali sono stati di un diverso parere e gli appelli in favore di Brandon Daniel sono continuati. Nel 2018, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto un appello senza commenti dopo che gli avvocati di Daniel avevano sostenuto tra l’altro che il giudice aveva comunicato impropriamente con i giurati.

Nell’appello è stato anche sostenuto che gli avvocati di Brandon Daniel durante il processo hanno lavorato male non presentando le prove che dimostravano che l’imputato era affetto da autismo. La diagnosi avrebbe potuto spiegare ciò che i procuratori hanno chiamato “mancanza di rimorso di Brandon Daniel e l’uso di droghe e di alcool per auto-medicarsi”, dando ai giurati motivi per scegliere l’ergastolo piuttosto che la pena capitale. (Pupa)

4) IN TEXAS NEGATO UN NUOVO PROCESSO A RODNEY REED

Il nero Rodney Reed, accusato di aver strangolato la 19-enne bianca Stacey Stites nel 1996, fu condannato a morte in Texas nel 1998. Rodney Reed si dichiara innocente e, insieme ai suoi sostenitori, afferma che ad uccidere Stacey Stites fu il poliziotto bianco Jimmy Fennell.

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Rodney Reed fotografato nel Tribunale di Bastrop nel 2017

Rimangono forti dubbi sulla colpevolezza del nero Rodney Reed condannato a morte in Texas nel 1998 dopo essere stato accusato dell’omicidio della 19-enne bianca Stacey Stites che morì strangolata a Bastrop il 23 aprile del 1996 (1).

La vicenda giudiziaria di Rodney Reed è andata avanti, tra alti e bassi, fino ad oggi. Il suo caso ha suscitato un grande interesse negli Stati Uniti e milioni di firme sono state apposte in calce alle petizioni in suo favore. Autorità americane ed internazionali sono intervenute chiedendo di annullare la sua condanna a morte.

Nel 2019 si arrivò a 5 giorni dall’esecuzione fissata per il 20 novembre di quell’anno. Allora, anche in seguito alla forte mobilitazione popolare, l’esecuzione fu sospesa per 120 giorni e poi a tempo indeterminato.

Il 1° novembre u. s., il giudice J.D. Langley, incaricato di riesaminare il suo caso, si è rifiutato di chiedere un nuovo processo per lui affermando che le nuove prove presentate in suo favore non sono sufficienti per concedere un nuovo processo.

La decisione del giudice Langley, resa nota dopo avere ascoltato per due settimane le richieste della difesa di Rodney Reed, verrà esaminata dalla Corte Criminale d’Appello del Texas che deciderà in maniera definitiva sul caso.

Rodney Reed, che ora ha 53 anni, ha sempre affermato la propria innocenza e insieme ai suoi sostenitori accusa dell’omicidio Jimmy Fennell, l’allora fidanzato di Stacey Stites. Jimmy Fennell era un poliziotto bianco.

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(1) Sul caso di Rodney Reed vedi nn.: 257; 265; 268; 285, Notiziario.

5)

 

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Authorized methods of execution = Metodi di esecuzione autorizzati (negli USA)

Lethal injection = Iniezione letale. Electrocution = Sedia elettrica. Lethal gas = Camera a Gas. Hanging = impiccagione. Firing squad = Fucilazione. Nitrogen hypoxia = Respirazione di azoto puro senza ossigeno.

The method of execution of federal prisoners is lethal injection = Il metodo di esecuzione dei prigionieri nel braccio della morte federale è l’iniezione letale.

6) IN GIAPPONE I CONDANNATI A MORTE NON SANNO QUANDO VERRANNO GIUSTIZIATI

È crudele ed inumano non comunicare ai condannati morte la data della loro esecuzione?


 

Il 4 novembre u. s. due Giapponesi condannati a morte hanno presentato un ricorso alla Corte Distrettuale di Osaka chiedendo che venga posto termine alla pratica di informare i condannati della loro esecuzione soltanto nel giorno in cui vengono messi a morte. I ricorrenti sostengono che tale pratica è ‘inumana’ e viola la Costituzione del paese.

La rete radiotelevisiva NHK ha scritto nel suo sito che i ricorrenti sostengono che non informare in anticipo i prigionieri della loro esecuzione “è eccezionalmente crudele”, in quanto i condannati non hanno il tempo di prepararsi per la morte. Non permette loro di consultare i propri legali e di incontrare i familiari. Lo stato ha difeso la sua pratica dicendo che questa assicura ai prigionieri “la pace della mente” dal momento che l’informazione data in anticipo li terrorizzerebbe per tutto il tempo rimanente. I condannati a morte attualmente vengono informati della loro esecuzione con solo una o due ore di anticipo.

La NHK ha ricordato che la pratica attuale è cominciata nel 1975, prima di allora i condannati venivano informati della loro esecuzione con almeno un giorno di anticipo, avendo così il tempo di incontrare i familiari. Tali permessi non furono più concessi dopo che un condannato si suicidò apprendendo dell’esecuzione imminente.

Nel ricorso presentato alla Corte Distrettuale di Osaka i due condannati hanno argomentato che la ragione di quel suicidio fu che al condannato fu negata la possibilità di incontrare un ecclesiastico di sua scelta e che oggi è facile prevenire i suicidi dal momento che vi sono telecamere di sorveglianza nei bracci della morte.

Anche se la maggioranza dei Giapponesi è a favore della pena capitale, non sembra che sappia quale sia la procedura dell’esecuzione e quali siano i diritti dei condannati. Uno degli scopi del ricorso presentato il 4 novembre alla Corte Distrettuale di Osaka è quello di far conoscere la procedura in uso inducendo i media a parlarne.

L’avvocato dei due ricorrenti, Yutaka Ueda, ha osservato che negli Stati Uniti, l’unico altro paese membro del G7 che mantiene la pena di morte, ai condannati a morte viene comunicata con molto anticipo la data dell’esecuzione.

“I prigionieri nel braccio della morte vivono con la paura che ogni mattina sia la loro ultima mattina. È del tutto inumano” ha dichiarato Yutaka Ueda. “In altri paesi viene dato ai prigionieri il tempo di pensare alla fine della loro vita e di prepararsi mentalmente. È come se in Giappone ci si sforzi il più possibile per far in modo che nessuno lo sappia”.

Il Ministro della Giustizia del Giappone non ha rilasciato commenti dopo aver ricevuto il ricorso.

Amnesty International ha ripetutamente stigmatizzato le procedure segrete del Giappone. In un rapporto del 2009 Amnesty ha scritto che tali procedure costituiscono un trattamento “crudele, inumano e degradante” che causa nei prigionieri malattie mentali.

7) UN CASO ASSURDO DI PENA DI MORTE A SINGAPORE

Ritardato mentale, fu condannato a morte per aver trasportato 43 grammi di eroina.

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Nagaenthran Dharmalingam con il suo nipotino

Il caso di Nagaenthran Dharmalingam, un Malese condannato a morte a Singapore, sta sollevando un notevole scalpore.

Nel 2011, a 21 anni, Nagaenthran fu arrestato per aver trasportato 43 grammi di eroina a Singapore e fu condannato a morte per traffico di stupefacenti.

Singapore ha da tempo attuato una politica di tolleranza zero sulle droghe con condanne a morte imposte per il trasporto anche di modeste quantità di stupefacenti. Centinaia di trafficanti di droga sono stati messi a morte con pochissime proteste da parte dell’opinione pubblica. I sondaggi rivelano che il 70-90 percento della popolazione è favorevole alla pena capitale.

Tuttavia, Nagaenthran aveva solo 21 anni al momento del suo arresto. I suoi avvocati hanno anche rilevato che il giovane è mentalmente ritardato e il suo basso quoziente intellettivo di 69/100 significa che non era pienamente consapevole di ciò che stava facendo: povero e indebitato, gli era stato detto che gli sarebbero stati dati dei soldi per il trasporto del pacco di narcotici.

Essendo un giovane molto povero con scarsa capacità intellettiva, ovviamente Nagaenthran era una piccola pedina in qualunque operazione di contrabbando di droga di cui faceva parte, per cui anche i favorevoli alla pena capitale si sono posti domande sulla necessità di imporre la massima pena nel suo caso, tanto che una petizione, per sospendere la sua esecuzione, ha raccolto oltre 60.000 firme a Singapore. Anche il primo ministro malese Datuk Seri Ismail Sabri Yaakob ha scritto al governo di Singapore chiedendo una riduzione della pena.

I tribunali di Singapore hanno però respinto le richieste di clemenza, affermando che Nagaenthran capiva cosa stava facendo e che la pena di morte è quindi la punizione appropriata per lui.

Il giovane doveva essere messo a morte il 10 novembre, ma è risultato positivo al Covid-19, cosa che ironicamente gli allunga la vita, anche se per poco tempo, in quanto ora sarà prima curato e poi ucciso.

Come sempre non posso esimermi dall’esprimere un mio commento personale, di fronte a questo comportamento: la pratica, comune a tutti questi stati cosiddetti civili, di curare e salvare la vita di un condannato a morte, per poi inscenare lo spettacolo della sua esecuzione legale, ha per me un sapore di sadismo che non riesco e non voglio digerire.

Singapore è una delle poche nazioni civilizzate che ancora eseguono condanne a morte, insieme agli Stati Uniti e al Giappone. La Corea del Sud ha infatti sospeso le esecuzioni, e Hong Kong, nazione con una bassa criminalità, da tempo punto di riferimento per Singapore, ha abolito la pena di morte nel 1993.

La pena capitale è intrinsecamente sbagliata e non dovrebbe essere mai inflitta, ma davvero il caso di questo giovane è assurdo: lo si ucciderà senza risolvere minimamente il problema del traffico della droga, mentre sicuramente i personaggi di alto livello responsabili di questo turpe contrabbando, riusciranno a scampare condanne anche molto meno gravi.                                                                                                                          (Grazia)

8) MESSO A MORTE IN IRAN UN MINORENNE ALL’EPOCA DEI FATTI

Dopo una serie di tentennamenti le autorità iraniane hanno messo a morte Arman Abdolali impiccandolo la mattina del 24 novembre scorso.



L’esecuzione di Arman Abdolali, minorenne all’epoca dei fatti, è avvenuta nella prigione di Rajaei Shahr a Karaj, nei pressi di Teheran, senza che la famiglia del condannato avesse avuto la possibilità di fargli visita per l’ultima volta.

Per preparare la sua esecuzione Arman Abdolali era stato messo in isolamento domenica 21 novembre.

La condanna a morte è stata eseguita sebbene sussistessero dubbi sul suo caso e nonostante le proteste internazionali e nazionali.

Da notare che negli ultimi mesi, le autorità hanno messo Arman in isolamento 7 volte come se lo volessero giustiziare. Una pratica per torturare il prigioniero.

Lo scorso 11 ottobre, Amnesty International, avvertita dell’imminente esecuzione di Arman Abdolali, aveva chiesto al regime iraniano di sospendere la sentenza. Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa, aveva invitato le autorità a “fermare immediatamente tutti i piani” per l’esecuzione di Abdolali, ricordando che l’uso della pena di morte contro le persone che avevano meno di 18 anni al momento del crimine è proibito dal diritto internazionale e costituisce un “ripugnante attacco ai diritti dell'infanzia”.

La sentenza capitale di Arman Abdolali era stata resa definitiva dalla Corte suprema iraniana nel luglio 2016. I verdetti del processo e dell’appello hanno entrambi riportato le accuse di Arman Abdolali di essere stato tenuto in isolamento per 76 giorni e ripetutamente picchiato per indurlo a “confessare”. Tuttavia, non è stata ordinata alcuna indagine e le “confessioni” sono state definite dalla Corte “inequivocabili”.

Arman Abdolali era stato condannato a morte una prima volta nel dicembre 2015, accusato dell'omicidio della sua ragazza, Ghazaleh Shakour, scomparsa nel 2014.

Nato il 9 marzo 1996, Arman Abdolali aveva meno di 18 anni al momento del presunto crimine. “Ero un bambino all’epoca. Ho fatto molti errori, ma non ho commesso alcun omicidio”, ha detto il prigioniero, che ha trascorso 8 anni nel braccio della morte.

La Convenzione Internazionale sui Diritti dei Bambini, firmata dall’Iran, proibisce l’imposizione della pena di morte a coloro che hanno commesso crimini prima del 18° anno di età. Tuttavia, il regime iraniano continua a mettere a morte numerose persone che erano minorenni al tempo dei delitti loro imputati. (Pupa)

9) CELEBRATA LA 19-ESIMA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE

 

Mobilitazione di Sant'Egidio a Roma

Pena di morte, «il nemico è l'odio»

Il nuovo nemico da combattere sono le esecuzioni extragiudiziali e i linciaggi

 

Articolo di Matteo Marcelli pubblicato su Avvenire.it

La Comunità di Sant’Egidio rinnova il suo impegno nella lotta contro la pena di morte e riunisce a Roma i rappresentanti di 22 Paesi per il 12-esimo Congresso internazionale dei ministri della Giustizia. Una conferenza ospitata il 29 novembre nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati, occasione di dialogo e confronto non solo con gli Stati abolizionisti, ma anche con le delegazioni di alcuni Paesi mantenitori (come Ciad, Indonesia, Somalia e Sud Sudan).

Obiettivo del convegno «la ricerca e la promozione di metodi per dare alle popolazioni più giustizia e sicurezza in un modo umano, senza mai distruggere la vita delle persone colpevoli», come messo in chiaro da Mario Marazziti, coordinatore della campagna mondiale contro la pena di morte della Comunità di Sant’Egidio. Un traguardo ancora lontano ma certamente alla portata e ogni anno più vicino: «Nel 1975 solo 16 Stati avevano abolito la pena di morte. Lo scorso anno la proporzione si è rovesciata: 23 Stati hanno condannato loro cittadini alla pena capitale e 53 soli, su 200, hanno emesso condanne a morte, mentre 30 di essi non l’hanno applicata». Senza contare i 30 sì registrati lo scorso anno all’Assemblea generale dell’Onu per una moratoria universale, un progresso di 117 unità in favore del voto finale rispetto ad appena due anni prima.

«Un mondo senza esecuzioni si sta avvicinando: dobbiamo decidere da che parte della storia vogliamo stare – ha avvertito il coordinatore della campagna di Sant’Egidio –. La domanda non è più se la pena di morte scomparirà. È solo questione di quando scomparirà definitivamente». Attualmente sono 142 i Paesi che hanno abolito la pena di morte. Di questi, 28 sono considerati abolizionisti de facto (non vi si registrano condanne a morte negli ultimi 10 anni o sono state adottate prassi per evitarne le esecuzioni), e altri 8 hanno mantenuto la pena capitale solo per reati specifici. I restanti 106 l’hanno abolita per legge e per ogni tipo di reato. I 56 Stati che invece la mantengono ancora in vigore richiamano Sant’Egidio alla necessità di un impegno costante nella campagna per la moratoria mondiale. Una sfida «che ha già dato molti frutti – come ha ricordato il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo – e che vede, a partire dai numeri, un avanzamento progressivo. Ma bisogna insistere: alla fine ci sarà una vittoria della cultura della vita». Il 30 pomeriggio la Comunità di Sant’Egidio ha guidato una manifestazione al Colosseo. Un modo per tenere alta l’attenzione sul tema, anche in considerazione di quello che Impagliazzo ha definito «un inasprimento generalizzato delle politiche poliziesche, giudiziarie e penitenziarie nella maggioranza dei Paesi del mondo da una decina di anni». Al quale va aggiunto il rischio alimentato da un dibattito pubblico sempre più violento e incline all’odio, che anche per quanto riguarda la pena di morte «soffre di tali eccessi che qualcuno ci prova a rievocarla. Succede in Italia, accade in Europa. Certo non siamo alla sua reintroduzione ma è sufficiente questo clima acceso per cambiare il quadro generale nel mondo»

10) NOTIZIARIO

 

Riportiamo tre dei tanti comunicati sulle esecuzioni emessi dagli oppositori iraniani in esilio.

 

IRAN. Heidar Ghaljayi giustiziato nella prigione centrale di Kerman. Il 25 novembre il baluco Heidar Ghaljayi accusato di reati di droga è stato messo a morte nella prigione centrale di Kerman. Heidar era stato arrestato a un posto di blocco a Kerman tre anni fa. Gli è stato negato il diritto di incontrare la sua famiglia per l'ultima volta. L’esecuzione di Heidar non è stata riportata dai media nazionali o dai funzionari iraniani. Si è saputo che nella stessa prigione in quel giorno sono stati messi a morte anche Abdolsattar Shehbakhsh e Khan Mohammad Rahmatzehi.

IRAN. Majid Sargolzayi giustiziato per reati di droga nella prigione centrale di Zahedan. Il baluco Majid Sargolzayi - che era stato arrestato nel 2017 con l'accusa di “possesso di droga” e condannato a morte dal tribunale rivoluzionario di Zahedan nel febbraio 2020 – è stato messo a morte il 27 novembre. Il giorno prima era stato messo in isolamento in preparazione della sua esecuzione.

IRAN. Ebrahim Narouyi messo a morte per reati di droga. Ebrahim Narouyi accusato di reati di droga è stato giustiziato il nella prigione centrale di Mashhad il 28 novembre u. s. Almeno 107 detenuti, tra cui due donne, sono stati giustiziati per accuse di droga nelle prigioni iraniane nel 2021, rispetto ai 25 del 2020. Il 3 maggio 2021, Iran Human Rights ha pubblicato un rapporto sulla pena di morte nei primi 4 mesi del 2021 in cui si esprime preoccupazione per il significativo aumento delle esecuzioni per reati di droga.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 novembre 2021

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