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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

Numero 134  -  Dicembre 2005

SOMMARIO:

 

1) Inviamo le petizioni per orso direttamente a Schwarzenegger

2) Abbiamo bisogno di voi perché protestiate con noi     

3) Nel caotico processo a Saddam si parla di uccisioni e torture

4) Spiare tutti: esigenza di sicurezza o delirio di onnipotenza?  

5) Prigioni segrete della C.I.A. e torture               

6) ‘Terroristi’ perseguiti ‘per errore’: il caso Masri         

7) Olimpiadi e violazioni dei diritti umani in Cina 

8) Drammatica e silenziosa morte di Stanley Tookie Williams   

9) Caso Cantu: ora l’accusa si accanisce contro la vittima          

10) Tre giorni della Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte     

11) Video di Katia Rabacchi per Anthony Haynes

12) Ricordo di Ivan Ray Murphy                             

13) Il ragionamento si basa su una semplice equazione  

14) Stabile al 64% il favore per la pena di morte negli Usa        

15) Notiziario: Iran, Libia, Ohio, Pennsylvania,Texas, Usa

 

 

1) INVIAMO LE PETIZIONI PER ORSO DIRETTAMENTE A SCHWARZENEGGER

 

La data di esecuzione per Clarence Ray Allen (Orso-che-corre) rimane fissata al 17 gennaio nonostante sia stata inoltrata il 13 u. s. dai suoi avvocati una richiesta ufficiale di clemenza al governatore della California Arnold Schwarzenegger. Il governatore non ha fatto sapere se prenderà in considerazione la domanda di grazia e neanche se terrà un’udienza in merito con tutte le parti in causa (difesa, accusa, parenti delle vittime ecc.) come fece per Tookie Williams. Può darsi che Schwarzenegger faccia conoscere solo all’ultimo momento, cioè a poche ore dall’esecuzione, la sua decisione pro o contro il condannato.

La richiesta ufficiale di grazia si basa essenzialmente sui motivi umanitari efficacemente espressi nella petizione preparata da Marco Cinque, amico italiano di Orso, e pubblicata nel numero scorso. Petizione che riproduciamo qui sotto. Marco prega tutti lettori che non lo hanno già fatto di inoltrare la propria richiesta di clemenza in favore di Orso riproducendo il testo sottostante, completandolo con i propri dati e spedendolo per posta prioritaria (affrancatura 0,80 euro fino a tre fogli) direttamente al destinatario. Fatelo subito e comunque non oltre l’11 gennaio p. v. Chi è collegato ad Internet può far giungere immediatamente il messaggio al governatore copiandolo e incollandolo nello spazio grande alla pagina web: http://www.govmail.ca.gov  (dopo aver inserito nell’ordine: nome, cognome, indirizzo e-mail, e OTHER nella casella Please choose your subject)

Traduzione della petizione, ad uso del lettore: Caro Governatore Schwarzenegger, noi, cittadini italiani e del genere umano, Le chiediamo di prendere atto della vicenda di un cittadino americano condannato a morte nel Suo Stato. Si tratta del nativo Cherokee/Choctaw, Clarence Ray Allen, rinchiuso in prigione da quasi 30 anni e in attesa dell’esecuzione capitale fissa­tagli per il 17 Gennaio 2006, giorno successivo al suo 76esimo compleanno. Noi sappiamo che il signor Allen è stato difeso da avvocati d’ufficio demotivati e impreparati, a cui Lei stesso certamente non si sarebbe mai affidato; ma non vogliamo entrare nel merito del caso giudiziario. Vogliamo solo dire che Lei, in quanto Governatore della California, ha il potere di salvare la vita di quest’uomo. Per quanto sia stato cattivo o per quanti reati abbia commesso, il signor Allen ha già scontato il dolore e l’umiliazione di una lunghissima pena detentiva, oltre ad avere subito, con quest’ultima, ben 4 date di esecuzione. Quest’uomo è vecchio e malato, colpito per due volte da infarto e affetto da diabete che lo ha reso quasi cieco e incapace di deambulare correttamente. Noi Le chiediamo di risparmiare la vita a una persona così anziana, ormai totalmente innocua e indifesa. Le chiediamo di impedire che il signor Allen venga premeditatamente ucciso con una iniezione letale. Ci appelliamo all’Ottavo Emendamento della Costituzione americana. Ci appelliamo alla Sua sensibilità e compassione e Le chiediamo di di­mostrare al Suo Paese e al mondo che la giustizia degli Stati Uniti è in grado di essere un modello di umanità e di civiltà per noi tutti. Rispettosamente.

 

 

The Hon. Arnold Schwarzenegger

Governor of California

State Capitol Building

Sacramento, California 95814 - USA

 

Dear Governor Schwarzenegger

We, as citizens of Italy and of the world, want to bring to your attention the case of an American citizen condemned to death in your state of California.

His name is Clarence Ray Allen. He is a native Cherokee/Choctaw, and has been incarcerated for almost thirty years. His execution is set for January 17, 2006, the day after his 76th birthday.

Mr. Allen was defended by unprepared and unwilling court-appointed lawyers, attorneys whom no one, including yourself, would ever hire, if there were a choice. But we don't want to discuss the merits of the case. We only want to remind you that as Governor of California, you have the power to save this man's life. This is not a question of Mr. Allen's guilt or innocence, or his history of criminal offenses. He has already suffered the punishment of an extremely long imprisonment. He has faced execution dates four times, including this last one. This man is old and ill. He has had two heart attacks and suffers from diabetes. He is almost blind, and he cannot walk properly.

We beg you to spare such an old man's life, a defenseless man who is no longer a threat to anyone. We beg you to stop Mr. Allen's killing by lethal injection. We appeal to the Eighth Amendment to the United States Constitution, which prohibits cruel and unusual punishment. We appeal to your sensitivity and compassion, and we request you to show the world that American justice is capable of being a model of humanity and civilization for us all.

Respectfully,       (nome, cognome, indirizzo postale completo)    (firma)

 

 

2) ABBIAMO BISOGNO DI VOI PERCHE’ PROTESTIATE CON NOI

 

Cari amici italiani, qui sono successe molte cose da quando ho scritto l’ultima volta. La lotta si è intensificata su diversi fronti e stiamo tenendo duro in previsione di un periodo di battaglia ancora molto lungo. Come aveva progettato, Tony Ford ha iniziato la sua protesta contro l’esecuzione a partire dal 2 novembre. Diversi amici di Tony, incluso io, si sono uniti a lui in solidarietà determinando una reazione da parte della direzione del carcere.

Due fatti hanno avuto luogo simultaneamente: 1) la protesta di Tony, e, grazie all’energia sollevata da questo fatto, 2) una protesta contro le mostruose condizioni di vita nel braccio della morte. Anche se le due cose sono separate, si alimentano l’un l’altra. La seconda protesta è stata denominata D.R.I.V.E. (Death Row Inner-communalist Vanguard Engagement – Impegno d’Avanguardia degli Affratellati interni nel Braccio della Morte) – un gruppo di detenuti che si sono ribellati alle terribili condizioni qui dentro. Vedete, agli occhi di questa gente (la direzione del carcere e il personale) noi non contiamo nulla. Essi dicono: “State aspettando di morire, perché dovremmo quindi darvi questa o quella cosa?”. “Questa o quella cosa” spesso sono la biancheria pulita, gli asciugamani, le tute e il materiale per l’igiene. Qualche volta, siamo così fortunati da ricevere questi articoli. L’atteggiamento del personale è andato oltre l’indifferenza e adesso si tratta di abbandono totale. Siamo convinti che se non ci ribellassimo non otterremmo nulla.

La protesta di Tony ha provocato molta rabbia nel personale qui dentro – al punto che gli hanno imposto le restrizioni estreme. Fedele alla sua protesta, ogni volta che usciva dalla cella Tony si sdraiava sul pavimento rifiutando di camminare. Il capo della guardie Hirch ha ordinato per rappresaglia che tutte le proprietà di Tony fossero confiscate, che non gli fosse concessa la doccia, la ricreazione e le visite (sia dei parenti che dei media). Il sergente Henderson e il luogotenente Richie hanno minacciato Tony. Hanno detto: “Si pentirà della sua protesta”. Io ho detto a queste guardie: “Se minacciate lui, minacciate anche noi”. Indipendentemente da ciò che fa Tony, anche se è tenuto al livello 3 ha diritto ad una doccia al giorno, alla ricreazione tre volte la settimana ad una visita al mese, ad una parte delle sue proprietà e ad avere accesso ai media. Hanno violato i diritti di Tony. Lo scopo di Hirch era di ridurre Tony al silenzio, ma non ci riuscirà dal momento che abbiamo già ricevuto copertura. Tony dovrebbe ricevere la visita di un giornalista. Sto aspettando di sapere se l’ha ottenuta.

Come fratello, sono stato al suo fianco e mi sono ribellato con lui. Il personale qui dentro dice: “Noi non abbiamo niente a che fare con i suoi appelli – perché ci fa questo?”. Queste persone non riescono a capire che esse rappresentano un importante anello della catena. Ciò che Tony sta facendo è una dichiarazione nei riguardi del sistema (nel senso più ampio) e verso il pubblico: “No, non va proprio bene!”. Le storie riportate dai media rendono evidenti le nostre azioni. Ho detto alle guardie: “Queste sono le cose in cui crediamo e abbiamo il dovere di sostenerle. Abbiamo un dovere verso i nostri amici e sostenitori”.

Qualcuno può non essere d’accordo con Tony o con la protesta che abbiamo avviato, ma tutti certo concordano che assassinare Tony, un uomo innocente, è ingiusto. A causa della nostra presa di posizione l’amministrazione del carcere ha scatenato la sua ira anche su di noi. Tuttavia anche se adesso sono rinchiuso in isolamento il mio spirito è sereno.

Non si può negare che lo spirito di Tony sia stato indomito. In quest’ultimo mese si è sacrificato per questa causa. Voglio che tutti pensiate a questa cosa. Ha rinunciato alle visite e alle comodità per gridare al sistema, al pubblico e al mondo che lui non è d’accordo con questo rituale di morte.

Non so cosa accadrà a Tony, ma so che lui sta facendo la storia. Quando leggerete questo articolo, consoceremo il destino di Tony. Prego che sia risparmiato. Prego anche che coloro che hanno una data fissata per l’esecuzione imitino la sua protesta. Tutti i condannati a morte devono dire che questo non va bene. Se avete dei corrispondenti in un altro stato, raccontate loro questi fatti.

L’umore di Tony è alto. Ho ricevuto notizie da lui. Continueremo a resistere e Tony e il D.R.I.V.E. andranno avanti. D.R.I.V.E. documenterà la protesta all’indirizzo  www.drivemovement.org

Io stesso scriverò ancora su questo e su ciò che stiamo cercando di ottenere. Inoltre, potete mandare lamentele contro il warden telefonando alla Unit. Il numero è 001-934-967-8082. Il warden Hirch deve essere allontanato da questa unità! E’ un tiranno!

Concludendo – il nostro spirito viene arricchito dal sacrificio di Tony. Tony si è sposato ad ottobre ed io prego che possa vivere insieme alla sua ‘lei’ una nuova vita. Si tratta di un uomo speciale e speriamo che dai suoi sacrifici scaturiscano rivoli di speranza.

Abbiamo bisogno di tutti voi perché protestiate con noi. Sollevate una voce per Tony come abbiamo fatto qui.

Unito a voi nella lotta,   Kenneth

 

 

3) NEL CAOTICO PROCESSO A SADDAM SI PARLA DI UCCISIONI E TORTURE

 

Il 5 dicembre (dopo una pausa di 7 giorni, v. n. 132)  è ripreso il processo a Saddam Hussein. Il 22 dicembre il processo, via via più turbolento, è stato di nuovo sospeso: fino al 24 di gennaio. Le sedute sono state caratterizzate da alcune testimonianze raccapriccianti, a volte imprecise e per sentito dire, sulla violenta repressione attuata dal governo iracheno nel villaggio di Dujail dal luglio del 1982 in poi. Ma anche da denunce, fatte da Saddam e da altri imputati, di maltrattamenti e pestaggi subiti in carcere.

Saddam ha insistito che il suo processo ha motivazioni politiche, è ingiusto e mira alla sua esecuzione capitale. “L’America vuole giustiziare Saddam Hussein. E non è la prima volta.” Ha affermato lo stesso Saddam il 6 dicembre. Il giorno prima aveva esclamato: “Non ho paura dell’esecuzione,” e poi: “Volete il collo di Saddam. Potete averlo.”

Sette giorni di udienze sono state per lo più occupate dalle testimonianze di alcuni uomini, tra cui Ali Hassan al-Haideri, che aveva 14 anni nel 1982 quando fu arrestato insieme all’intera sua famiglia, e un ottantenne (che ha deposto in maniera anonima dietro ad un paravento e con la voce contraffatta.) Al-Haideri ha detto di aver avuto sette fratelli giustiziati senza processo nel corso della repressione; l’ottantenne ha riferito che uno dei suoi fratelli fu ucciso nel giorno dell’attentato a Saddam e altri quattro furono ‘giustiziati’ in seguito. A nessuno dei due furono mai comunicate le esecuzioni dei fratelli (che risultano dagli archivi iracheni trovati dagli Americani dopo l’invasione del 2003). Ha anche testimoniato Jawad Abdul Aziz Jawad, che aveva solo 10 anni all’epoca dei fatti, raccontando come enormi bulldozer spianassero campi e case a Dujail. I testimoni hanno parlato di detenzioni, per anni e senza processo, di centinaia di persone (uomini, donne e bambini) in drammatiche condizioni, per lo più in una zona desertica, nonché di torture. Tra le torture, particolarmente rivoltante la ‘tecnica’ di colpire sul torace i prigionieri con tubi di plastica incendiati.

Verso la fine dell’udienza del 21 dicembre Saddam ha accusato i carcerieri americani di maltrattamenti e di torture che sarebbero stati inflitti a lui e a tutti i coimputati: “Sono stato picchiato in ogni parte del corpo e i segni dei colpi sono ancora su di me – ha detto l’ex presidente iracheno alla corte – ciascuno di noi è stato percosso e torturato dagli Americani,” aggiungendo che un coimputato è stato colpito col calcio di un fucile nella schiena e un altro è stato picchiato così duramente che le ossa di un piede ne risultarono esposte.

In precedenza, interrompendo una testimonianza sulla detenzione delle vittime della repressione di Dujail, Barzan Ibrahim fratellastro di Saddam aveva parlato di truci condizione di detenzione per gli accusati di oggi. “Se parliamo di mancanza di cibo. Noi l’abbiamo ben sperimentata. Ho perso 18 chili,” ha detto Ibrahim. “Il cibo che ci danno è di pessima qualità. Per quanto riguarda la ricreazione, per nove mesi sono stato in isolamento in una cella di due metri per due metri. Senza finestre, senza elettricità, senza neanche una porta. Non potevo distingue la notte dal giorno. Non c’era doccia, niente acqua, niente tè, niente di niente.”

Dati i precedenti degli imputati, occorre considerare con molta prudenza le accuse di maltrattamenti e torture fatte da Saddam e compagni. Accuse peraltro plausibili nel clima della ‘guerra al terrore’ in quanto le asserite violazioni non sono considerate dagli Americani ‘tecnicamente come tortura’, ma anzi per lo più comprese nelle cosiddette ‘tecniche di interrogazione’.

La regia americana che sta dietro alla detenzione e al processo di Saddam Hussein è molto irritata per lo svolgimento del processo in cui il Giudice presidente Rizgar Mohammed Amin ha consentito a Saddam e agli altri di spezzettare i lavori contrattaccando, proferendo accuse contro gli Americani e contro i giudici, nonché di insultare i testimoni, gli avvocati della difesa ed anche gli spettatori ostili.  

Christopher Reid, avvocato del Ministero della Giustizia USA che soprintende allo sforzo degli Americani di guidare la Corte, ha dichiarato che alla riapertura dei lavori le cose dovranno cambiare. Reid ha scritto nel sito della Casa Bianca che il Giudice presidente “sa che la difesa ha preannunciato una strategia di rinvio e di frammentazione del processo e che deve fronteggiarla […] Perciò mi aspetto che, se nella prima parte del processo egli ha preferito sbilanciarsi nel lasciar parlare gli accusati, all’occorrenza ordinando delle sospensioni, quando la corte si riunirà di nuovo a gennaio tutti vengano messi in riga e i lavori recuperino il giusto ritmo.”

 

 

4) SPIARE TUTTI: ESIGENZA DI SICUREZZA O DELIRIO DI ONNIPOTENZA?

 

E’ più di una leggenda metropolitana la nozione comune che le comunicazioni di Amnesty International vengano spiate dagli Americani, da decenni. Questo fatto non sembra scandalizzare nessuno. Men che meno negli USA, paese in cui un diffuso senso di superiorità, anche morale, fa considerare un peccato veniale, se non una imprescindibile esigenza di sicurezza, violare i diritti civili nel ‘resto del mondo’.

Diverso è il discorso se ad essere violati sono i diritti civili dei cittadini americani. Allora si allarmano tutti, e può anche accendersi un’aspra discussione sulle prime pagine dei giornali.

Quando a metà dicembre il New York Times ha diffuso la notizia che telefonate ed e-mail di privati cittadini statunitensi vengono monitorati e memorizzati dal Pentagono, si è sollevato un vespaio. Tanto che il presidente Bush e i suoi più stretti collaboratori, in primis il Ministro della Giustizia Alberto Gonzales, si sono precipitati a fare dichiarazioni e conferenze stampa per minimizzare le asserite violazioni della privacy e per assicurare dell’assoluta necessità dei provvedimenti - decisi subito dopo gli attacchi dell’11 settembre - che danno al Presidente la facoltà di permettere le intercettazioni telefoniche a prescindere da un’autorizzazione giudiziaria.

Un programma di intercettazioni telefoniche messo a punto dalla National Security Agency è stato autorizzato da Bush poco dopo l’11 settembre 2001 con lo scopo di individuare i terroristi stranieri ed ha portato nel corso degli anni a spiare le conversazioni private di migliaia di utenti, con la collaborazione delle grandi compagnie di telecomunicazioni.

Il 17 dicembre Bush ha dichiarato che tutto ciò è necessario per tutelare gli interessi degli Americani, in quanto preventivo di atti terroristici e cautelativo in una situazione di guerra come quella in cui si dichiarano impegnati a tempo indeterminato gli Stati Uniti. E’ stato precisato che si tratta comunque solo di registrazioni di telefonate tra residenti negli USA e persone al di fuori della nazione, mentre non verrebbero controllate senza autorizzazione giudiziaria le comunicazioni fra Americani. In seguito si è ammesso tuttavia che questa limitazione è stata superata almeno quando si è trattato di monitorare comunicazioni tra Americani e ‘sospetti terroristi’ in territorio statunitense.

Le informazioni emerse a fine anno, per l’incalzare di inchieste di stampa molto penetranti ed aggressive, dipingono un quadro inquietante per la vastità delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie riversate a piene mani in progetti segreti e in agenzie segrete direttamente per ordine presidenziale da quattro anni a questa parte. Sono emerse una quantità di sigle che si riferiscono ad una realtà oscura in cui non mancano disaccordi, aspre rivalità e gelosie. Una enorme agenzia, per ora nota solo tramite le iniziali GST, sovrintende a dozzine di programmi ‘antiterrorismo’ che comprendono non solo lo spionaggio ma vari tipi di azioni di ‘guerra segreta’ (vedi articolo seguente).

Bush ha palesato la sua irritazione verso tutti coloro che hanno sollevato obiezioni ed hanno chiesto chiarimenti facendo di conseguenza emergere informazioni che si preferiva mantenere riservate. Fra queste persone ci sono ovviamente esponenti del partito Democratico, ma per fortuna ad essi si sono unite le voci di alcuni Repubblicani che non vedono di buon occhio le violazioni dei diritti civili dei cittadini americani e che cominciano a criticare un governo che li mette sempre di più in imbarazzo agli occhi del mondo e degli stessi compatrioti.

Bush e dei suoi collaboratori sostengono l’assoluta necessità di mantenere un simile spionaggio, affermando che viene utilizzato solo a fini di difesa dal perfido nemico terrorista. I fatti che vengono anche parzialmente alla luce dicono però un’altra verità: un potere paranoico, sostanzialmente senza limiti e bilanciamenti, che può incorrere in errori ed abusi colossali, vuole controllare tutto e tutti.

Il 19 dicembre è scoppiato un altro scandalo per l’amministrazione americana quando l’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili) ha rivelato che lo spionaggio effettuato dall’F.B.I. ha per oggetto molti gruppi pacifisti, ecologisti o impegnati per i diritti civili ed altri ancora. I documenti resi noti dall’ACLU dimostrano che l’F.B.I. spia persino associazioni che si battono per la tutela degli animali, come PETA (People for the Ethical Treatment of Animals). Centinaia di pagine di registrazioni telefoniche sono state rese note dall’ACLU nell’atto di intentare una causa civile contro l’FBI. Da questi documenti risulta che l’FBI ha monitorato associazioni di ogni genere, in varie situazioni, per esempio quando hanno organizzato manifestazioni durante i convegni politici dello scorso anno.

Il governo ha risposto a queste evidenti accuse di violazione dei diritti civili, affermando che se un’organizzazione è collegata anche solo in modo indiretto a organizzazioni terroristiche o criminali, non deve stupirsi o indignarsi di divenire oggetto di spionaggio.

Non risulta che PETA sia coinvolto in attività criminose. Nonostante questo centinaia di pagine dell’FBI rivelano che l’organizzazione era spiata da anni (già prima del fatti dell’11 settembre 2001), usando informazioni segrete, e monitorando svariate attività come ad esempio una conferenza sui diritti degli animali tenuta a Washington nel giugno 2000, un incontro in un college dell’Indiana nella primavera del 2003 e una protesta progettata nel 2004 contro una famosa pellicceria.

Sembra inverosimile che i gruppi terroristici di al-Qaeda si occupino di lotta contro la vivisezione o la produzione di pellicce! I controlli nei riguardi di organizzazioni ecologiste si accompagnano invece all’insistente proposta, tutta dell’amministrazione Bush, di trivellare, devastandoli, i parchi nazionali dell’Alaska alla ricerca del petrolio. 

Che lo spionaggio, agevolato dal clima della ‘guerra al terrore’, tenda a debordare nel  contrasto dell’opposizione politica è dimostrato per esempio dal fatto che i controlli sulle organizzazioni per i diritti umani e civili registrino meticolosamente le proteste pacifiste contro la guerra in Afghanistan e in Iraq (come avveniva ai tempi della guerra in Vietnam). In ciò il governo dell’unica superpotenza attuale si avvicina alquanto alle fragili strutture governative dei paesi del terzo mondo in primo luogo preoccupate di conoscere e contrastare qualsiasi oppositore o attivista per i diritti civili, o alle potenze dittatoriali del passato e del presente basate su pervasive strutture di spionaggio dei cittadini. I capi degli Stati Uniti pretendono di controllare però non soltanto il proprio paese ma il mondo intero.

 

 

5) PRIGIONI SEGRETE DELLA C.I.A. E TORTURE

 

Grave allarme hanno suscitato in novembre le inchieste giornalistiche americane sulle prigioni segrete della C.I.A. dislocate anche in Europa (v. n. 133, Notiziario) che hanno permesso di accertare molte centinaia di voli segreti compiuti dagli agenti USA che spostano freneticamente prigionieri stranieri da una parte all’altra del globo (circa 800 voli dal 2001 ad oggi secondo Amnesty International). Il chiasso mediatico che ne è scaturito ha avuto come previsto un’eco negli incontri fatti dal 5 al 9 dicembre dal Segretario di Stato Condoleezza Rice con i governanti dei paesi europei. 

Purtroppo dobbiamo ammettere il pieno successo della Rice impegnata a tacitare le critiche e  rassicurare gli alleati del Vecchio continente sulla correttezza delle operazione segrete ‘antiterrorismo’ condotte dagli Americani, rivendicando orgogliosamente il ruolo svolto dagli Stati Uniti nella ‘lotta al terrorismo’ e senza accennare a qualsiasi scusa o ripensamento. Tutt’altro che appagate e speriamo per nulla rassegnate, sono rimaste invece le organizzazioni umanitarie, a cominciare dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. I dati che sono trapelati negli ultimi due mesi descrivono infatti un insieme di violazioni dei diritti umani – nonché delle leggi interne e internazionali in Europa - più ampio di quanto fino ad ora si potesse supporre.

La Rice molto opportunamente si è fatta precedere da un’abile dichiarazione rilasciata il 5 dicembre al momento della partenza dagli USA in cui faceva capire chiaramente che ogni operazione segreta degli Stati Uniti in Europa era stata concordata con i governi, inclusa la pratica della ‘rendition’ con cui i prigionieri vengono trasferiti in paesi terzi senza alcun provvedimento giudiziario. Secondo lei tuttavia gli Stati Uniti non trasportano sospetti di terrorismo “col proposito di interrogarli sotto tortura” e “non trasportano qualcuno in paesi in cui ritengono che possa essere torturato,” precisando che “se necessario gli Stati Uniti chiedono assicurazioni che le persone trasferite non saranno torturate”. “Il Governo degli Stati Uniti non autorizza o condona la tortura dei detenuti,” ha affermato perentoriamente la Rice aggiungendo che qualsiasi violazione degli standard di detenzione degli USA viene investigato e punito, riferendosi agli abusi di Abu Ghraib “che hanno fatto star male tutti noi.”

Risulta inoltre che i prigionieri detenuti segretamente dagli Americani in Polonia e in Romania siano stati spostati in tutta fretta due settimane prima in Nord Africa.

L’atteggiamento accondiscendente e abbastanza ipocrita dei dirigenti europei, nessuno di quali ha posto direttamente il problema delle carceri segrete alla Rice (non così i giornalisti che l’hanno incalzata in ogni occasione con domande sulle ‘torture’), ha consentito al Segretario di Stato americano di stringere, tra cordialità e sorrisi, alcuni accordi che stavano molto a cuore dell’amministrazione Bush ed ha permesso al Washington Post di scrivere che “alla fine del viaggio […] i dirigenti europei si sono congratulati con lei e hanno trovato le sue spiegazioni soddisfacenti, permettendo alla Rice di ritornare in patria con un successo.”

Ipocrisia dunque dei governanti europei e naturalmente ipocrisia di Condoleezza Rice, sicuramente bene al corrente di quali abusi siano consentiti alla C.I.A. dagli ordini segreti di Bush impartiti poco dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, ordini che autorizzano “uno spettro di azioni segrete di ampiezza senza precedenti, includenti la licenza di uccidere e la rendition, le campagne di disinformazione e gli attacchi cibernetici,” come affermano fonti anonime della C.I.A. medesima. Una massa impressionante di informazioni trapelate su trattamenti crudeli, inumani e degradanti e torture di vario grado inflitti dagli Americani e dai loro alleati negli ultimi quattro anni non possono che confermare la serietà di tali direttive.

Dopo il passaggio della Rice, la strada per le inchieste ancora aperte in Europa nel campo delle rendition e delle torture è diventata più incerta e difficile. Ad esempio in Italia il Ministro delle Giustizia ora ostacola apertamente le indagini dei magistrati che hanno incriminato 22 membri della C.I.A. (gli agenti segreti nel marzo 2003 rapirono a Milano l’imam Abu Omar che subì una rendition in Egitto in cui fu sottoposto a tortura). Inoltre non ha vita facile l’investigatore dell’Unione Europea Dick Marty, lo svizzero incaricato di svolgere un’inchiesta in materia, deluso dalla scarsa collaborazione ricevuta dalla Rice (che si è limitata a passargli copia del suo discorso del 5 dicembre). Anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha manifestato la sua insoddisfazione dopo la visita della Rice chiedendo di nuovo di poter visitare i prigionieri detenuti in segreto, come previsto dalle norme internazionali.

6) ‘TERRORISTI’ PERSEGUITI ‘PER ERRORE’: IL CASO MASRI

 

Il modello di reazione agli attacchi dell’11 settembre 2005 messo in atto dagli Stati Uniti d’America si riferiva ad un’unica fantomatica organizzazione terroristica mondiale, al-Qaeda, ben strutturata ed agguerrita, governata da pochi capi intelligenti e diabolici. In realtà gli attacchi contro gli Stati Uniti e l’Occidente vengono sferrati sempre più da una galassia di organizzazioni informali, collegate tra loro solo ideologicamente ed emotivamente, che appaiono proliferare nel terreno fertile delle guerre scatenate dagli USA in Afghanistan e in Iraq.

La ricerca spasmodica di ‘terroristi’ di al-Qaeda ‘di grande valore’ da parte della C.I.A. (si ritiene che l’intelligence americana abbia arrestato, pescando ‘nel mucchio’, circa 3000 persone) e l’uso di mezzi molto spicci senza alcun controllo giudiziario, fa molte ‘vittime innocenti’. Secondo fonti anonime della C.I.A., la stessa agenzia si sarebbe accorta di aver compiuto dozzine di ‘rendition’erronee. Per non parlare delle oltre 180 persone che sono state rilasciate da Guantanamo – dopo aver subito per anni i noti trattamenti - perché giudicate ‘prigionieri privi di interesse.’ E senza contare i tantissimi prigionieri probabilmente innocenti detenuti in varie parti del globo di cui non si sa più nulla.

Vogliamo qui accennare soltanto al caso esemplare del cittadino tedesco Khaled Masri, miracolosamente vivo e libero, dopo aver subito ‘per errore’ (pare per una questione di omonimia) almeno la fase iniziale del trattamento riservato ai cittadini stranieri ‘sospetti terroristi’ dal Rendition Group del CTC (Centro Antiterrorismo della C.I.A.).

Premettiamo che il Rendition Group – che dà impieghi molto remunerati ed ambìti - è formato da investigatori, paramilitari, analisti e psicologi. I suoi membri quando entrano fulmineamente in azione, vestiti dalla testa ai piedi di nero e incappucciati, bendano la preda e le tagliano via i vestiti , le praticano un clistere e la narcotizzano. La rivestono con un pannolone e con una tuta per renderla impermeabile per ventiquattr’ore, quanto può durare il viaggio di andata della rendition.

Masri, un disoccupato padre di cinque figli, viveva ad Ulm in Germania e la vigilia di capodanno del 2004 dopo un diverbio con la consorte decise di recarsi in pullman in Macedonia, per sbollire la rabbia. Fu arrestato alla frontiera, portato nella capitale Skopje e rinchiuso in una stanza oscurata di un motel. Gli agenti macedoni lo trattarono cordialmente domandandogli del passaporto, che secondo loro era contraffatto, di al-Qaeda e della sua moschea in Germania. Quando egli si irritò chiedendo di essere liberato, vennero fuori le pistole.

Nel frattempo la polizia aveva contattato la stazione della C.I.A. di Skopje. In mancanza del responsabile, il giovane vice – eccitato dall’opportunità di perseguire finalmente un terrorista – chiese subito l’intervento del CTC. Previa autorizzazione della dirigente responsabile per al-Qaeda, Masri fu immediatamente destinato alla rendition in Afghanistan. Era il 23-esimo giorno della sua detenzione nel motel. La polizia lo filmò, lo caricò come un pacco, incatenato e bendato, in un furgone e lo portò in un edificio isolato dell’aeroporto. Lì, in silenzio, gli tagliarono via i vestiti e gli cambiarono bendaggio. In quella occasione vide sette od otto individui vestiti completamente di nero e mascherati. Fu poi drogato e addormentato in preparazione ad un lungo viaggio.

Masri ha potuto raccontare che la sua cella in Afghanistan era fredda, sporca e sotterranea, senza luce e con una sola sudicia coperta per scaldarsi. La prima notte fu preso a pugni e calci da un ‘intervistatore’ che lo ammonì: “Sei ora in un paese in cui nessuno sa di te, in un paese senza legge. Se muori, verrai seppellito qui e nessuno chiederà di te.” 

Di giorno Masri era sorvegliato da Afgani, di notte spuntavano persone che parlavano un inglese con accento americano per interrogarlo. A volte un dottore, anch’esso incappucciato, prendeva foto e prelevava campioni di urina e di sangue.

In realtà i suoi aguzzini dubitavano che egli fosse un terrorista di al-Qaeda ma, per controllare l’autenticità del suo passaporto, la C.I.A. ci mise altri due mesi. Nel frattempo Masri, cui giungevano voci di un prigioniero morto sotto tortura, era disperato anche perché non era in grado di rispondere alle domande che gli venivano fatte.

Una volta chiarito l’equivoco, si decise di rimettere il malcapitato in libertà, ma un pasticcio diplomatico tra USA e Germania ne ritardò ulteriormente il rilascio che avvenne dopo un viaggio lungo e tortuoso. Masri, in precarie condizioni fisiche, si ricongiunse alla moglie e ai figli per mesi ignari di che fine avesse fatto. A tutt’oggi i sospetti destati dalla sua brutta avventura gli rendono difficili i rapporti umani ed anche trovare lavoro.

 

 

7) OLIMPIADI E VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN CINA

 

Il Vice Ministro della Salute della Cina, Huang Jiefu, ha ammesso la vendita di organi prelevati da condannati a morte a pazienti stranieri, affermando di voler porre un argine alle speculazioni in materia. “Vogliamo promuovere una regolamentazione dei trapianti per standardizzare la pratica del rifornimento di organi dai prigionieri giustiziati e mettere ordine nel mercato,” ha dichiarato Huang, come riferito dalla testata inglese Time on Line.

Si sa che ad esempio un fegato costa ad un paziente straniero circa 40 mila dollari. Il trapianto di un rene prelevato da un condannato a morte è pubblicizzato in Internet per 23 mila dollari, cifra che include la degenza di 30 giorni in un ospedale cinese.

Anche se le tradizioni religiose prescrivono che i corpi rimangano intatti per essere ammessi in paradiso, la Cina è seconda solo agli Stati Uniti per numero di trapianti praticati. Gli organi espiantati in Cina deriverebbero quasi esclusivamente dalle migliaia di persone giustiziate ogni anno.

Amnesty International denuncia che le condanne a morte in Cina conseguono a processi irregolari soprattutto per la carenza della difesa legale degli imputati e per le ‘confessioni’ ottenute sotto tortura.

Il 2 dicembre si è appreso da Manfred Nowak, primo ispettore dell’ONU ammesso dopo anni, con varie limitazioni, in nove strutture detentive cinesi, che: “La pratica della tortura, anche se in diminuzione specie nelle aree urbane, rimane largamente diffusa in Cina”.

All’uso abominevole della pena di morte e della tortura, si aggiungono in Cina la persecuzione delle religioni, il violento contrasto dei movimenti indipendentisti e la repressione del dissenso politico, che include l’uso di ‘ospedali psichiatrici’ gestiti dalla polizia, e di vasti ‘campi di rieducazione attraverso il lavoro’.

Non si conosce quante persone siano attualmente detenute in Cina ma il loro numero potrebbe essere enorme, comparabile a quello degli Stati Uniti, ufficialmente il più alto nel mondo.

Mentre mancano denunce internazionali convincenti dell’uso della pena di morte e della repressione del dissenso, la politica di violenta ‘pianificazione familiare’, attuata in Cina attraverso l’aborto forzato e le sanzioni alle famiglie, trova una sponda accondiscendente nel Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite.

In Cina si verificano le più vaste violazioni dei diritti umani in situazione ordinaria nel mondo, con il tacito consenso della comunità internazionale, nel periodo stesso in cui fervono spettacolari preparativi per le Olimpiadi che si svolgeranno a Pechino nel 2008.

 

 

8) DRAMMATICA E SILENZIOSA MORTE DI STANLEY TOOKIE WILLIAMS

 

Mezz’ora dopo la mezzanotte del 13 dicembre, Stanley Tookie Williams è stato dichiarato morto nel carcere di San Quentin in California. A nulla sono valsi i disperati appelli lanciati da autorità civili e religiose, da celebrità di Hollywood, da decine di migliaia di semplici cittadini e da ragazzi, convinti dai libri di Tookie ad abbandonare una vita pericolosa.

L’esecuzione di Tookie è stata dolorosa. L’inserzione dell’ago nel suo braccio destro è stata facile ed è avvenuta con precisione secondo il macabro rituale, ma quando si è trattato di applicare un secondo catetere nella vena del braccio sinistro (la procedura vuole che in entrambe le braccia vengano infilati aghi, affinché il secondo ago sia di riserva nel caso in cui il primo non funzioni bene nel momento cruciale) il procedimento, cronometrico fino a quel momento, si è inceppato. Il personale ha dovuto armeggiare per oltre dieci minuti sul braccio sinistro di Tookie, sotto gli occhi inorriditi dei suoi parenti e amici, nel tentativo di trovare la vena. Tookie ha subito questa tortura senza lamentarsi, anzi girandosi più volte verso i suoi cari per rincuorarli del deplorevole spettacolo a cui stavano assistendo. Solo qualche smorfia di dolore gli è sfuggita. Tutti noi però sappiamo quanto possa essere dolorosa la maldestra ricerca di una vena da bucare in caso di esami del sangue o di donazioni o di fleboclisi. E qui si trattava di trovare una vena per uccidere.

Tookie non ha rilasciato alcuna dichiarazione finale, ma i suoi cari, uscendo dalla camera dei testimoni, dopo la sua morte, hanno gridato all’unisono: “Lo stato della California ha appena ucciso un uomo innocente!”, provocando un sussulto nei presenti.

Il governatore Schwarzenegger, che nei mesi precedenti l’esecuzione era stato inondato di richieste di grazia, ha rifiutato di usare clemenza. Ha dichiarato che i ricorsi di Williams erano stati esaminati a fondo durante i 24 anni di detenzione e che il segnale di un suo autentico ravvedimento avrebbe dovuto essere “la sua richiesta di perdono e la totale dimostrazione di pentimento per i suoi delitti insensati e brutali”. (Sappiamo che Tookie ha sempre dichiarato di essere innocente dei delitti per i quali era stato condannato a morte e quindi per questi non ha domandato perdono.)

Nella sua complicata dichiarazione di cinque pagine, corredata di fitte note e citazioni, resa nota il 12 dicembre, Arnold Schwarzenegger di assurdità ne ha scritte parecchie.

Secondo lui, la "continua e dilagante violenza delle gang porta a domandarsi quale sia la reale efficacia del messaggio di Williams”. Il seguente passaggio, tuttavia, è ancora più notevole: "La dedica del libro di William ‘Life in Prison’ lascia molti dubbi sul suo pentimento. Il libro venne pubblicato nel 1998, parecchi anni dopo la cosiddetta esperienza di ravvedimento di Williams. In particolare, il libro è dedicato a “Nelson Mandela, Angela Davis, Malcolm X, Assata Shakur, Geronimo Ji Jaga Pratt, Ramona Africa, John Africa, Leonard Peltier, Dhoruba Al-Mujahid, George Jackson, Mumia Abu-Jamal e gli innumerevoli altri uomini, donne e giovani che devono sopportare l'infernale oppressione di vivere dietro le sbarre". Schwarzenegger contesta che molti di questi uomini hanno un passato violento e altri sono stati condannati per crimini odiosi. In realtà tutte queste persone hanno in comune soprattutto la ‘colpa’ di essersi opposte ad un sistema politico e sociale razziata e repressivo.

Si è sperato che Schwarzenegger rinviasse l’esecuzione almeno in attesa della decisione su una proposta di moratoria delle esecuzioni in California, durante la quale una commissione dovrebbe verificare se l’applicazione della pena di morte sia “giusta, onesta e accurata”. La prima udienza su tale proposta si terrà il 10 gennaio. No, Schwarzenegger non ha ritenuto opportuno mostrare tanta pazienza. Si è detto che lo ha fatto per motivi politici. Egli, in effetti, in questo momento pre-elettorale è più che altro preoccupato a stendere un ponte con l’ala più conservatrice - e forcaiola - del suo partito, quello Repubblicano.

In una sua passata dichiarazione, il governatore che è originario di Graz, in Austria, aveva definito i suoi sentimenti riguardo alla pena di morte come un contrasto tra il suo “cervello austriaco”, che lo porterebbe a rifiutare la pena capitale, e il suo nuovo “cervello americano”.

Due cervelli? Forse. Ma non due cittadinanze: con la sua città natale Arnold Schwarzenegger ha preferito ‘rompere’ platealmente. Il suo nome che campeggiava sullo stadio di calcio della città, che gli era stato dedicato, è stato rimosso.     

Detto questo, non dobbiamo dimenticare che i motivi per i quali era stata richiesta la grazia - la riabilitazione del condannato e i dubbi sulla sua colpevolezza - per quanto forti e suscettibili di scuotere chi crede che la pena di morte sia giusta per gli individui peggiori, sono secondari al motivo principale per risparmiarlo, che è sfuggito un po’ a tutti, anche in Italia: un omicidio è un omicidio anche se si tratta di un’esecuzione capitale. E un omicidio è da evitare, sempre. Ciò vale per Tookie, ciò vale per tutti gli altri condannati a morte in America e nel mondo. (Grazia)

 

 

9) CASO CANTU: ORA L’ACCUSA SI ACCANISCE CONTRO LA VITTIMA

 

Sappiamo bene che negli Stati Uniti l’accusa  - pur di non ammettere di aver sbagliato - si rifiuta fino all’ultimo e contro ogni evidenza di riconoscere l’innocenza dei condannati a morte che di tanto in tanto vengono esonerati. Figuriamoci quando si tratta di riconosce l’innocenza di un detenuto già giustiziato, come nel caso eclatante di Ruben Cantu in Texas (vedi n. 133).

Dopo l’inchiesta dell’Houston Chronicle che ha smontato tutte le prove a carico di Cantu, Susan Reed, Procuratrice Distrettuale della Contea di Bexar, è stata costretta dalla pressione della stampa a esumare un polveroso dossier, dimenticato negli archivi dal 1993. La Reed ha detto che sì, riguarderà le carte ma che non sa quanto durerà la verifica, sicuramente alcuni mesi, e quale potrà esserne l’esito.

Con tutto ciò ella coltiva un sentimento chiaro e fortissimo. Non è un bisogno di giustizia e di verità il suo, ma il desiderio di farla pagare cara a Juan Moreno, testimone ed esso stesso vittima del delitto che costò la condanna a morte e la vita di Cantu. 

Come abbiamo scritto nel numero precedente, Moreno, sopravvissuto miracolosamente alle ferite prodotte da nove colpi di fucile, ancora convalescente fu indotto dalle inesorabili pressioni dalla polizia a ‘riconoscere’ in Cantu il rapinatore che aveva sparato uccidendo un uomo e ferendone gravemente  un altro: lui stesso. La sua coscienza fu tacitata dall’assicurazione verbale della polizia che l’assassino era senza dubbio proprio Ruben Cantu.

“Qualcuno ha commesso uno spergiuro? E’ un crimine,” ha detto la Reed il 30 novembre. “Il suo spergiuro ha portato ad un’esecuzione, ha causato la morte di qualcuno? Questa è materia criminale.”

Susan Reed, dal 1987 in poi, in qualità di giudice  ha avuto una parte nel procedimento giudiziario che ha portato all’ingiusta esecuzione di Ruben Cantu: è stata uno dei giudici che ha esaminato e respinto gli appelli del condannato senza neanche concedergli un’udienza ed ha infine fissato la data della sua esecuzione. Nonostante ciò non nutre nessuno scrupolo di coscienza bensì un chiaro risentimento contro Moreno quasi che la ritrattazione di costui fosse soltanto una gratuita e deliberata offesa al sistema penale del Texas e alla sua personale tranquillità.

Il 5 dicembre la Reed ha fatto sapere che sta considerando di incriminare Moreno non per spergiuro (infatti questo reato si prescrive in soli tre anni) ma per omicidio, crimine per il quale non esiste prescrizione. Forse spera che Moreno ritratti la ritrattazione: “Sta mentendo adesso o mentiva in passato?”, ha detto.

Gerald Goldstain, avvocato di Moreno, è indignato. “E’ una vergogna che il nostro accusatore distrettuale abbia il coraggio di indagare su una persona che fu vittima di un terribile crimine di fuoco e in seguito vittima di una polizia iperzelante. Ora lei lo vuole vittimizzare di nuovo.” Ha dichiarato Goldstein alla stampa. 

Il senatore Rodney Ellis - giustamente preoccupato dal pensiero che sia stato messo a morte un innocente - ha chiesto che il Consiglio di Consulenza Criminale del Governatore faccia un’approfondita indagine sulla vicenda di Ruben Cantu, ciò anche perché per Susan Reed si configura un evidentissimo conflitto di interessi (anche se lei lo nega.) Ma il governatore Rick Perry ha fatto subito sapere che la Commissione si deve occupare di questioni generali e non di casi individuali. In ogni caso: il governatore non assumerà nessuna iniziativa prima della conclusione dell’inchiesta di Susan Reed.

Bene ha scritto in un editoriale del 2 dicembre il quotidiano Austin American-Statesman: “… Il sistema penale del Texas è barbaro. Che cos’altro si può dire di un sistema che non riesce a discernere tra colpevoli e innocenti? Che altro si può dire di un sistema in cui le salvaguardie si riducono alla verifica che il procedimento giudiziario si svolga in tutte le sue fasi rispettando le scadenze, mentre si trascurano le esigenze più importanti – anche dal punto di vista morale – del riconoscimento dell’innocenza e del giusto processo? Non stiamo parlando di sporadiche carenze, ma piuttosto di profonde iniquità e difetti che privano l’accusato delle possibilità essenziali per essere giudicato equamente, come avvocati ed investigatori competenti ed accurati e rigorosi appelli…”

 

 

10) TRE GIORNI DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO CONTRO LA PENA DI MORTE

 

Quasi 400 città in tutto il mondo, tra cui trenta capitali, e l’intero stato del Messico, hanno condannato insieme la pena di morte in occasione della manifestazione “Cities for Life” organizzata come ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio nella giornata del 30 novembre. Le città partecipanti hanno illuminato i loro monumenti simbolo, ad esempio Roma il Colosseo, Bruxelles l’Atomium,  Santiago il Palazzo della Moneda. Una moltitudine di manifestazioni, testimonianze e interventi di personalità hanno animato l’evento in città piccole e grandi. Di particolare rilievo è stata la manifestazione tenutasi a Roma presso la Città della Musica che ha concluso un ciclo di tre giorni iniziato col colloquio "Africa for Life" svoltosi il 28 e 29 novembre, tra ministri e rappresentanti dei governi di numerosi paesi africani. Non si è trattato di un evento celebrativo, ma di un "workshop" operativo, sui problemi e le prospettive di sviluppo dei diritti umani nel continente africano, come hanno testimoniato i rappresentanti di paesi come Malawi, Benin, Niger. Tra le proposte di rilievo, quella avanzata dal ministro della giustizia della Liberia, che ha invitato Sant'Egidio e l'Unione Europea a contribuire alla stesura della nuova Costituzione liberiana.

 

 

11) VIDEO DI KATIA RABACCHI PER ANTHONY HAYNES

 

Ciao a tutti,  ho cercato di mettere insieme qualcosa per aiutare Anthony, il mio corrispondente nel braccio della morte del Texas... questa email è per chiedervi un favore. Andate nel sito di Hammer Radio TV http://www.hammertv.it  alla sezione Download e scaricate il file video "condemned to death". E' qualcosa che ho fatto per lui. Vi chiedo gentilmente di darmi un vostro parere... per me sarebbe davvero importante! E’ altrettanto importante aiutarmi a spargere la voce e cercare di far vedere questo video a quante più persone possibile!  Grazie mille a tutti,  Katia

12) RICORDO DI IVAN RAY MURPHY

 

Carissimi, due anni fa moriva, per mano dello Stato del Texas, il nostro amico Ivan Ray.   

Lui è sempre nei miei pensieri e spesso ripenso alla nostra amicizia. Oggi voglio ricordarlo insieme a tutti voi che, se anche non lo conoscevate direttamente, gli avete voluto bene insieme a me. Lui ha sempre considerato tutti i miei amici e familiari la sua seconda famiglia, anzi, dopo la morte dei genitori, la sua unica famiglia.

Lui ha sempre seguito con interesse tutti noi, le nostre vicende, i bambini che crescevano e ne parlava come se conoscesse tutti uno per uno. Il modo più bello per ricordarlo è parlare di lui, farlo vivere in mezzo a noi, far vivere i suoi sentimenti fra di noi perché, come diceva sempre, loro hanno preso il mio corpo, ma non potranno mai uccidere i miei sentimenti.

Sì, caro Ivan, i tuoi sentimenti pieni di volontà di vivere, di rispetto per gli altri e per la natura vivono sempre fra di noi.

Fortunatamente anche il tuo corpo è uscito dal carcere e riposa nel cimitero dei Cappuccini a Boston. Sono certa che tu, che amavi S. Francesco, ne sarai contento.

Vi ringrazio di aver condiviso con me questo ricordo. Con tanto affetto, Rita - ritasdruscia@virgilio.it

 

 

13) IL RAGIONAMENTO SI BASA SU UNA SEMPLICE EQUAZIONE

di Claudio Giusti

 

Riceviamo e pubblichiamo volentieri un breve densissimo saggio di Claudio Giusti sull’ipotetica deterrenza della pena di morte nei riguardi del crimine violento, così com’è discussa negli Stati Uniti d’America. Nonostante il peso dei riferimenti forniti dall’Autore, il nucleo essenziale del saggio è di facile comprensione e  può essere letto utilmente da tutti, non solo dagli specialisti in materia.

 

Deterrenza. Il ragionamento si basa su di una semplice equazione: + esecuzioni  =  - omicidi.

Ovvero: più gente viene uccisa dallo stato meno gente viene uccisa dai criminali.

Tutti sanno che l’equazione è falsa e che, se la pena capitale ha un qualche influsso sul crimine, è quello di aggravarlo; ma, nell’America di Giorgino Bush, la teoria della deterrenza ha il pregio di fornire una giustificazione rispettabile alla voglia di sangue e di vendetta che pervade quella società. Così, da quando Ehrlich tirò fuori il suo fasullo saggio (in cui si sosteneva che un’esecuzione preveniva sette-otto omicidi), gli studi pseudo-scientifici sulla presunta deterrenza della pena di morte si sono sprecati, e proprio a uno di questi (quello di Dezhbakhsh) hanno fatto esplicito riferimento Cass Sunstein e Adrian Vermeule nel loro “Is Capital Punishment Morally Required? The Relevance of Life-Life Tradeoffs” (Stanford Law Review Vol. 58 N.3 2005).

La tesi dei due è semplicissima: se, come dicono gli studi di Dezhbakhsh, ogni esecuzione salva la vita di 18 innocenti, allora l’America ha l’obbligo morale di compiere il maggior numero possibile di esecuzioni, in modo da salvare vite innocenti in cambio dell’eliminazione di quella di un criminale. Essi non si pongono alcun dubbio sulla fondatezza degli studi cui fanno riferimento. Non si preoccupano di confrontarne i risultati con la logica e con l’esperienza decennale (quando non secolare) degli stati abolizionisti (dentro e fuori gli Usa). Niente. Nulla. In compenso però l’affermazione che ogni esecuzione salva la vita a 18 innocenti viene ossessivamente ripetuta per tutto il lungo saggio.

Saggio che riesce a scivolare nel puerile (la storia del turista Jim a pagina 38) e che, in un paio di occasioni ovviamente perdute, giunge a sfiorare la verità. A pagina 26 i due propongono che lo stato faccia 500 esecuzioni in un anno allo scopo di ridurre drasticamente il numero degli omicidi. Se ne avessero chieste 1.000 ci si troverebbe di fronte al primo caso al mondo di un paese senza omicidi. (1.000 esecuzioni  salverebbero più persone di quante ne siano attualmente assassinate negli Usa). Poi, a pagina 30, si chiedono se il discorso sulla deterrenza della pena di morte possa essere allargato alla tortura e rispondono negativamente perché: “La pratica, da parte dello stato, della tortura può effettivamente aumentarla piuttosto che diminuirla, probabilmente perché affievolisce la condanna sociale della tortura”. L’occasione persa da Sunstein e Vermeule è quella di non avere sostituito, nel loro ragionamento, “tortura” con “uccisione”. E’ un peccato, perché la nostra serenità ne avrebbe trovato giovamento.

I nostri autori non si domandano quali effetti devastanti avrebbe la loro teoria sull’amministrazione della giustizia. Se la favola dell’esecuzione che salva 18 innocenti prendesse piede, come reagirebbe il sistema giudiziario americano?  Ci sarebbe una violenta pressione da parte dei forcaioli e la richiesta di processi capitali aumenterebbe a dismisura, le giurie si porrebbero il problema nel sentencing, come pure le Corti d’Appello, per non parlare poi dei Governatori che si troverebbero, valutando la grazia, di fronte ai forcaioli che agitano le “foto” dei 18 innocenti che, concedendo la clemenza, il Governatore manderebbe a morire al posto di un criminale.

La parte divertente del noioso articolo è il finale, nel quale gli autori mostrano di essere caduti in un grave stato confusionale. Citando l’ultimo studio della Shepherd, che avrebbe scoperto in alcuni stati un effetto antideterrente, i due si accorgono che ci sono luoghi (anche negli Usa) dove si vive benissimo e da lungo tempo senza che lo stato pratichi l’assassinio premeditato dei suoi cittadini. Così il loro saggio, partito da basi inconsistenti, termina nel caos più totale.

Comunque se il loro articolo è lungo e noioso ancor di più lo è la risposta della Steiker “No, Capital Punishment is Not Morally Required: Deterrence, Deontology, and the Death Penalty”.

Per fortuna a salvare le sorti dell’ultimo numero della Stanford Law Review provvedono Donohue e Wolfers con il loro “Uses and Abuses of Empirical Evidence in the Death Penalty Debate” dove, nel fare voluttuosamente a pezzi i vari economisti forcaioli (e per buona misura anche il teorico del porto d’armi Lott), rivalutano le osservazioni fatte da Thorsten Sellin quasi mezzo secolo fa. Infatti Sellin confrontando le varie giurisdizioni degli Stati Uniti scoprì che: “in generale gli Stati con il boia avevano tassi di omicidio significativamente più alti di quegli Stati che non uccidevano gli assassini.” (Mark Costanzo, Just Revenge. Costs and Consequences of the Death Penalty, New York, Saint Martin's Press, 1998, pagina 97)

Purtroppo però, ci dicono Donohue e Wolfers riferendosi ai vari Ehrlich, Lott e Dezhbakhsh, “studi completamente discreditati continuano a influenzare la politica” e “gli effetti nocivi di una cattiva politica, influenzata da studi difettosi, possono fare danni per generazioni”.

 

Bibliografia 

 

Cass Sunstein & Adrian Vermeule

“Is Capital Punishment Morally Required? The Relevance of Life-Life Tradeoffs”

Stanford Law Review Vol. 58 N.3 2005

http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=691447

 

Carol Steiker

“No, Capital Punishment is Not Morally Required: Deterrence, Deontology, and the Death Penalty”

http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=859384

 

John J. Donohue & Justin Wolfers

“Uses and Abuses of Empirical Evidence in the Death Penalty Debate”

http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=870312

 

Per un approfondimento sul tema della deterrenza:

 

Questo è un mio saggio sull’argomento:

http://www.agliincrocideiventi.it/Anno4/ottobre2005/deterrenza.htm

 

Questo è il sito del Death Penalty Information Center:

http://www.deathpenaltyinfo.org/article.php?scid=12&did=167#STUDIES

 

Questo è il famoso intervento di Fattah al convegno bolognese di A.I. del 1982 (incompleto):

http://internal.amnesty.it/pdm/fattah.php3

 

Deterrence and the Death Penalty: The Views of the Experts

di Michael L. Radelet and Ronald L. Akers

http://sun.soci.niu.edu/~critcrim/dp/dppapers/mike.deterence

 

Il saggio di Berk:

http://preprints.stat.ucla.edu/396/JELS.pap.pdf

 

La seguente testimonianza di Jeffrey Fagan sulla pochezza scientifica degli studi sulla presunta deterrenza della pena di morte è, a dir poco, sconvolgente.

Deterrence and the Death Penalty, A Critical Review of New Evidence

http://www.deathpenaltyinfo.org/FaganTestimony.pdf

 

Altrettanto sconvolgenti sono gli articoli di Ted Goertzel:

Capital Punishment and Homicide, Skeptical Inquirer Magazine, July 2004

http://www.csicop.org/si/2004-07/capital-punishment.html

http://www.crab.rutgers.edu/~goertzel/DeathPenaltySI.doc

Econometric Modeling as Junk Science

http://crab.rutgers.edu/~goertzel/econojunk.doc

 

Questo è il famoso studio di Sorensen:

http://www.justiceblind.com/death/sorensen.html

 

Il più garrulo dei forcaioli è il solito Van Den Haag:

http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/angel/procon/haagarticle.html

 

Mentre questi sono i soliti sprovveduti provenienti da facoltà di economia:

http://www.cjlf.org/deathpenalty/DezRubShepDeterFinal.pdf

http://econ.cudenver.edu/mocan/papers/GettingOffDeathRow.pdf

http://people.clemson.edu/%7Ejshephe/DPpaper_fin.pdf

http://people.clemson.edu/%7Ejshephe/CaPuJLE_submit.pdf

http://www.thevrwc.org/JohnLott.pdf

 

 

14) STABILE AL 64% IL FAVORE PER LA PENA DI MORTE NEGLI USA

 

I risultati dell’ultima indagine Gallup sulla pena capitale negli Stati Uniti eseguita in ottobre sono stati pubblicati in dicembre. Da essi risulta che il 64% degli statunitensi sono a favore della pena di morte per gli omicidi, esattamente la stessa percentuale rilevata nei due anni precedenti. La percentuale è anche pressoché uguale al minimo registrato nel 2001 prima di fatti dell’11 settembre. Poi c’era stato un modesto aumento dei favorevoli, ora riassorbito.

Il favore per la pena di morte è più alto negli stati che prevedono questa sanzione (68%) che negli stati che non la prevedono (58%).

Il precedente minimo nel consenso per la pena di morte si ebbe nel 1966, con il 42% di favorevoli, quando cessarono per quasi un decennio le esecuzioni capitali. Negli anni settanta, ottanta e novanta la percentuale dei favorevoli aumentò prima lentamente, poi rapidamente. Il massimo dell’80% si raggiunse nel settembre 1994.

E’ aumentato quest’anno il numero di coloro che preferiscono la pena di morte in alternativa all’ergastolo, passando al 56% dal 50% del 2004. Quest’anno solo il 39% opta per la prigione a vita in alternativa ad una sentenza capitale, contro il 46% dell’anno scorso.

 

 

15) NOTIZIARIO

 

Iran. Un’altra impiccagione di un minorenne all’epoca del crimine. Amnesty International rende noto che il 10 dicembre è stato impiccato pubblicamente nella città di Esfahan in Iran il ventenne Rostam Tajik accusato di aver ucciso una donna nel 2001 quando aveva solo 16 anni di età. Il 9 dicembre Philip Alston, Relatore speciale per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, aveva chiesto alle autorità iraniane di fermare la sua esecuzione, osservando: “Nel momento in cui virtualmente ogni altra nazione al mondo ha fermamente e chiaramente rinunciato a giustiziare per crimini compiuti in età giovanile, l’approccio dell’Iran è particolarmente inaccettabile […] E’ del tutto sorprendente dal momento che non solo è chiaro e incontrovertibile l’obbligo di astenersi da tali esecuzioni, ma il Governo stesso dell’Iran ha dichiarato che intende cessare tale pratica.”

 

Libia. La Corte suprema ordina un nuovo processo per i sei sanitari condannati a morte. Il 24 dicembre sono state finalmente annullate le condanne a morte inflitte l’anno scorso a cinque infermiere bulgare e ad un medico palestinese accusati di aver infettato con il virus dell’H. I. V. 426 bambini in un ospedale di Bengasi (v. n. 118, Notiziario). I sei sanitari sono detenuti fin dal 1999. Le sentenze di morte conseguite a ‘confessioni’ ottenute sotto tortura avevano suscitato sdegno in tutto il mondo. Il Ministro della Giustizia libico, Ali Hasnawi, ha dichiarato che un nuovo processo davanti a differenti giudici comincerà entro un mese. La svolta positiva della vicenda è stata resa possibile da un accordo internazionale che ha dato luogo all’istituzione di un fondo per pagare le cure dei bambini malati di A.I.D.S., 50 dei quali sono nel frattempo deceduti.

 

Ohio. Grande disappunto di Amnesty per la decisione riguardante Kenny Richey. Il 1° dicembre Amnesty International ha espresso grande disappunto per la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, ora presieduta dal giudice John Roberts, sul caso di Kenneth T. Richey. Infatti la massima corte USA ha invalidato la decisione della Corte d’Appello federale del Sesto Circuito che aveva annullato la sentenza di morte di Richey (v. n. 133, articolo sul giudice Alito).  (Ora la corte del Sesto Circuito dovrà rivedere il caso usando criteri più restrittivi).

 

Pennsylvania. Successo del difensore di Mumia Abu-Jamal. Il 6 dicembre l’avvocato Robert R. Bryan ha espresso grande soddisfazione apprendendo che la Corte d’Appello federale del Terzo Circuito ha accettato di rivedere tre questioni molto importanti nel caso di Mumia: il razzismo durante la selezione della giuria e nel corso di un’udienza sulle prove, e l’assicurazione dell’accusa ai giurati che una eventuale condanna a morte sarebbe stata rivista “in appelli su appelli”. Bryan dovrà presentare della documentazione in proposito alla Corte a partire dal 17 gennaio.

 

Texas. In corso il test del DNA in favore di Tony Ford. Il giudice William Moody che ha sospeso l’esecuzione di Tony Ford per 90 giorni per consentire un test del DNA sulle macchie di sangue trovate sui vestiti di Victor Belton, l’uomo che fu probabilmente sul luogo del crimine al posto di Tony (v. n.133). Moody ha dichiarato che l’eventuale conferma che il sangue appartenga ad una delle vittime del crimine può essere molto importante per l’appello di Ford. L’esecuzione è stata spostata al 14 marzo, nel frattempo l’esame del DNA procede presso un laboratorio privato di El Paso sotto la supervisione dell’avvocato difensore Dick Burr.

 

Usa. Il giudice Alito si espresse per l’immunità di chi ordina intercettazioni telefoniche. Cominceranno il 9 gennaio le audizioni in Senato per la ratifica della nomina presidenziale del giudice Samuel A. Alito Jr. alla Corte Suprema degli Stati Uniti (v. n. 133). Continua frattanto la minuziosa analisi dei media della sua carriera di consigliere presidenziale negli anni ottanta, poi di accusatore federale e infine di giudice federale dal 1990 in poi. Il Washington Post il 23 dicembre ha ottenuto il rilascio di circa 700 pagine di documenti ufficiali riguardanti Alito. Da essi si apprende fra l’altro che egli nel 1984, come consulente legale della Casa Bianca, sostenne che i massimi dirigenti governativi devono essere immuni da cause civili intentate da coloro che richiedono danni per essere stati spiati illegalmente in nome della sicurezza nazionale.

 

Usa. Passato, con un compromesso, il testo anti-tortura. Come avevamo previsto nel n. 132 (v. articolo: “Torture…”) “il testo legale” proposto dal senatore McCain che tende a difendere le persone in custodia da parte di personale degli Stati Uniti da trattamenti crudeli, inumani o degradanti (annesso al maxi decreto di rifinanziamento della Difesa elaborato dal Congresso USA) è passato a fine anno con delle limitazioni che ne attenuano la portata. Un emendamento dei senatori Graham, Levin e Kyl, toglie infatti ai detenuti stranieri di Guantanamo la possibilità di ricorrere alle corti federali e consente al governo di usare confessioni ottenute sotto ‘coercizione’ per stabilire se essi sono da considerare ‘nemici combattenti’ detenibili senza processo a tempo indeterminato.

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 dicembre 2005

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