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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

Numero  155  -   Dicembre 2007

SOMMARIO:

1) La moratoria prevale nettamente anche in seduta plenaria    

2) Candidati alla presidenza: quasi tutti a favore della pena di morte 

3) Abolita la pena di morte nel New Jersey    

4) Discriminazione razziale nella composizione delle giurie          

5) Pena di morte negli Usa: il Texas domina le statistiche del 2007    

6) Unione Europea: è nata la Carta dei diritti fondamentali                              

7) Cercasi corrispondente dal braccio della morte                                    

8) Notiziario: Arabia Saudita, Cina, Giappone, Iran, New Hampshire, Ohio,          Tennessee

 

 

1) LA MORATORIA PREVALE NETTAMENTE ANCHE IN SEDUTA PLENARIA

 

Si è tenuta il 18 dicembre la votazione in seduta plenaria dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla risoluzione per la moratoria universale della pena di morte. La risoluzione è stata approvata con 104 voti a favore e 54 contrari. Si è avuta così la definitiva conferma del risultato ampiamente positivo ottenuto il 15 novembre in seno al Terzo Comitato. Da quel momento sullo scenario mondiale la pena capitale ha assunto un significato univoco: un relitto del passato in via di estinzione. All'Italia, come nazione, in tutte le sue componenti sociali e politiche, va il merito principale di questo successo.

 

E' passata in 'seduta plenaria' dell'Assemblea Generale dell'ONU, nella forma identica a quella approvata in seno al Terzo Comitato il 15 novembre (v. n. 154) la risoluzione che chiede la moratoria delle esecuzioni capitali in vista dell'abolizione universale della pena di morte, ma con maggiori consensi: 5 voti in più di quelli ottenuti al primo passaggio in Comitato.

Rimandando al testo riportato nel n. 154, ricordiamo che la risoluzione afferma che la pena di morte "mina la dignità umana," che una moratoria delle esecuzioni contribuisce "al miglioramento e al progressivo sviluppo dei diritti umani; che non esiste alcuna prova decisiva che dimostri il valore deterrente della pena di morte; che qualunque fallimento o errore giudiziario nell'applicazione della pena di morte è irreversibile e irreparabile." La risoluzione pertanto " invita tutti gli Stati che ancora hanno la pena di morte a: [...] rispettare gli standard internazionali che prevedono le garanzie che consentono la protezione dei diritti di chi è condannato a morte, [...] limitarne progressivamente l'uso e  ridurre il numero dei reati per i quali la pena di  morte può essere comminata;" e infine a "stabilire una moratoria delle esecuzioni in vista dall'abolizione della pena di morte".

"Il voto di oggi rappresenta un audace passo della comunità internazionale," ha commentato il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon (*), cui spetta monitorare la messa in pratica della risoluzione, ed ha aggiunto: "E' un'ulteriore prova di una tendenza verso la finale abolizione della pena di morte."

I 99 paesi che il 15 novembre avevano votato a favore della risoluzione nell'ambito del Terzo Comitato (v. n. 154) lo hanno fatto anche in seduta plenaria; ad essi si sono aggiunti 4 paesi che si erano precedentemente astenuti: Congo [Brazzaville], Madagascar, Nauru, Palau, e un paese assente in Comitato: Kiribati.

Ai 52 paesi contrari si sono aggiunti un paese prima astenutosi, il Ciad, e un paese in precedenza assente, la Somalia.

La Repubblica democratica del Congo, assente in Comitato, si è astenuta.

Pertanto i favorevoli sono aumentati da 99 a 104, i contrari sono aumentati da 52 a 54, gli astenuti sono scesi da 33 a 29 e gli assenti, che erano 8, si sono ridotti a 5. E' significativo anche che i paesi co-sponsor, 87 al momento del passaggio in Terza Commissione (numero più alto mai registrato fino ad allora) siano saliti a 89 il 18 dicembre.

E' dunque il successo di una moltitudine di paesi, appartenenti a tutte le culture e a tutte le parti del mondo. Ma il merito principale viene concordemente riconosciuto all'Italia.

Testimoni della mobilitazione contro la pena di morte nel nostro paese, non possiamo non ricordare il cammino, durato oltre un ventennio, che ha portato l'Italia, come nazione, ad occupare il primo posto nella lotta contro la pena capitale, contribuendo in maniera determinante anche all'attuale successo.

Dobbiamo riandare ad oltre vent'anni fa, al 1986, quando la battaglia contro la pena di morte in Italia, fino ad allora meritorio impegno di qualche centinaio di attivisti della Sezione Italiana di Amnesty International, divenne un fenomeno popolare, con l'esplosione nelle cronache del caso di Paula Cooper, una ragazzina nera condannata alla sedia elettrica negli Stati Uniti per un crimine commesso a quindici anni di età (v. n. 153).

Dopo la conclusione positiva del caso Cooper, hanno dato continuità e forza al movimento abolizionista italiano le organizzazioni della società civile (associazioni, chiese, sindacati, movimenti giovanili dei partiti) riunite, in una stupefacente concordia, per oltre un decennio nel Coordinamento 'Non uccidere'.

Qualificato e incisivo nei riguardi delle controparti nazionali ed internazionali è stato il lavoro della Sezione Italiana di Amnesty International, che, giovandosi di una robusta organizzazione e di brillanti attivisti, ha potuto conseguire molti importanti obiettivi, tra cui, ad esempio, quello di rendere l'Italia un paese totalmente abolizionista nel 1994, con una determinante azione di lobbying.

L'associazione Nessuno Tocchi Caino - nata nel 1993 quando i radicali decisero di mobilitarsi in proprio contro la pena di morte - ha saputo incalzare i mass media e i politici italiani a tal punto da catalizzare alcuni notevoli risultati - soprattutto sulla strada della moratoria universale - se non altro per sfinimento degli interlocutori.

La Comunità di Sant'Egidio è scesa in campo improvvisamente e risolutamente contro la pena di morte dopo l'incontro con un condannato a morte del Texas, Dominique Green, diventato presto il simbolo dell'intera sua campagna internazionale. Fa data di questo impegno un articolo sul Corriere della Sera di Andrea Riccardi del Venerdì Santo del 1997 e l'avvio dell'Appello per una Moratoria Universale che è diventato strumento unificante e interculturale atto a raccogliere consensi sia tra i leader delle grandi religioni, sia a livello di base in molti paesi del mondo. Da allora la Comunità ha mobilitato grandi risorse sia in Italia che all'estero, contribuendo alla crescita della cultura abolizionista, lavorando nei riguardi dei governi e dei parlamenti - soprattutto africani - e promuovendo con altri, soprattutto con i francesi di Ensemble Contre la Peine de Mort, la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, senza trascurare di spendersi a livello umanitario per il sostegno dei condannati a morte.

Preziose energie al movimento abolizionista sono arrivate dal dilagare della corrispondenza di cittadini italiani con centinaia e centinaia di condannati a morte, in cui il Comitato Paul Rougeau è immerso fin dal 1992. Questo fenomeno silenzioso e privato, contribuisce alla lotta contro la pena di morte non meno di quanto facciano le altre forze abolizioniste.

Le pressioni costanti della parte più viva della società civile, hanno portato infine la maggioranza dell'opinione pubblica italiana ad opporsi saldamente alla pena capitale. Nel 1948 sette italiani su dieci si dicevano favorevoli alla pena di morte. Le percentuali di favorevoli e contrari sono cambiate lentamente nel primo dopoguerra e più rapidamente dopo che il movimento abolizionista è diventato un fenomeno popolare. Oggi due italiani su tre sono contrari alla pena di morte, e un tentativo serio per la reintroduzione della pena capitale nel nostro paese è ormai inconcepibile.

Dopo l'orrenda e spettacolarizzata esecuzione di Saddam Hussein alla fine del 2006, il clima era favorevole e i tempi erano maturi per la ripresa dell'iniziativa sulla moratoria. Ma occorreva ancora un certo coraggio e una forte determinazione per portarla a termine. Dobbiamo dare atto al nostro governo di essersi messo in gioco senza riserve, con intelligenza e generosità, per il successo dell'operazione. Il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema - in particolare - ha mostrato la 'leadership' che gli aveva chiesto Amnesty International (v. n. 149).

Il  Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nelle dichiarazioni rilasciate subito dopo il felice esito dell'iniziativa, ha ben rappresentato la partecipazione corale dell'Italia: "Il successo di questa fondamentale azione è dovuto all'impegno del Parlamento, del governo, del Ministro degli Esteri, della Rappresentanza d'Italia presso le Nazioni Unite nonché della società civile italiana, che l'ha sostenuta in tutte le sue tappe. A tutti rivolgo il mio più vivo  apprezzamento". "Quello di oggi - ha aggiunto il capo dello Stato - è uno storico segnale che l'organo più rappresentativo delle Nazioni Unite lancia alla Comunità Internazionale, richiedendo agli Stati di sospendere le esecuzioni capitali nella prospettiva dell'abolizione della pena di morte". "In questa difficile campagna - ha detto ancora Napolitano - il nostro Paese ha avuto un ruolo centrale. Per l'Italia la lotta contro la pena di morte è uno dei temi prioritari nel campo dei diritti umani".

Nei media italiani la notizia della definitiva approvazione della risoluzione per la moratoria ha sfondato, occupando le prime pagine dei giornali e i titoli di testa dei telegiornali. Positive e senza riserve sono state le dichiarazioni dai politici e degli opinion leader di ogni appartenenza.

Non così è avvenuto oltre oceano, nel paese che ospita l'Assemblea Generale della Nazioni Unite, in cui materialmente la risoluzione per la moratoria è stata votata.

Come era avvenuto il 15 novembre, quando la risoluzione fu approvata in seno al Terzo Comitato dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, anche in occasione del voto definitivo in seduta plenaria il governo americano ha adottato un bassissimo profilo evitando per quanto possibile di venire allo scoperto, probabilmente per ridurre al minimo il danno di immagine che ritiene di aver subito.

Indicative dello stato d'animo di certi ambienti ufficiali americani sono le dichiarazioni di John Bolton, ex ambasciatore degli USA alle Nazioni Unite, contenute in un'intervista rilasciata ad Alessandra Farkas il giorno 19: "Negli Stati Uniti abbiamo un dibattito democratico sulla pena di morte. Alcuni sono contro, altri a favore come me, che credo fortemente nella sua efficacia preventiva e punitiva. Ma lasciate che siano gli Americani a decidere, non le élite intellettuali delle capitali europee." Ha detto Bolton che si è scagliato anche contro l'Onu: "La vera controversia non riguarda la moratoria ma il ruolo che l'Onu e soprattutto il suo Segretario generale si sono arrogati in questa diatriba. Le Nazioni Unite non possono avere una posizione ufficiale e legittima su un tema di politica interna come questo che ha spaccato in due l'Onu e intorno al quale non esiste consenso".

Anche John R. Schmidt, analista del Dipartimento di Stato, se la prende con le élite europee, che avrebbero addirittura "scelto" la lotta alla pena di morte come un tema etico atto a marcare un'autonomia dagli Stati Uniti. Egli vede il successo dell'operazione moratoria alle Nazioni Unite come una vittoria dell'Europa, anzi delle classi dirigenti europee (non delle popolazioni), in una guerra fatta di tante battaglie, sulla Corte Penale Internazionale,  sulla guerra all'Iraq, sulle sanzioni all'Iran..., in cui l'Europa ha scelto l'arma del moralismo in materia di diritti umani (**).  

Altrettanto glaciali e abbottonati del governo federale sono stati i media statunitensi, forse per snobismo, forse per l'imbarazzo generato dal fatto che gli Stati Uniti in questa occasione hanno perso dopo essersi schierati con i peggiori tra i loro avversari. Se il 15 novembre non avevamo trovato alcun reportage dell'approvazione della risoluzione in seno al Terzo Comitato nelle edizioni on-line dei principali giornali americani, questa volta vi abbiamo trovato, assai nascosti, soltanto rari, freddi comunicati di 6 o al massimo di 40 righe. Il forte imbarazzo del più importante quotidiano del mondo si palesa in un brevissimo e secco editoriale comparso il giorno 20 sul New York Times: " Gli Stati Uniti, come al solito, si sono schierati con la parte opposta, con Iran, Cina, Pakistan, Sudan e Iraq. Insieme a questa fratellanza sanguinaria sono responsabili di più del 90% delle esecuzione nel mondo..."

Noi, in Italia e in Europa, dobbiamo certamente rallegrarci gridando nelle strade e nelle piazze la nostra gioia, per il risultato conseguito o quanto meno per lo scampato pericolo: il fallimento dell'iniziativa per la moratoria, una volta avviata, sarebbe stato un disastro per la causa abolizionista.

Ma non finisce qui. Il successo dell'operazione moratoria, si è detto, è solo un inizio. Che cosa dobbiamo fare? Che cosa succederà ora?

Qualcosa è già successo: l'Uzbekistan ha abolito la pena capitale il 1 gennaio 2008 (anche se questo fatto non è un'improvvisata, ma un lavoro preparato da chi ci ha lavorato per anni).

Alcuni, tra cui soci del Comitato, si sono affrettati ad inviare degli SMS al numero di telefono sbandierato in ogni occasione opportuna e non opportuna dagli esponenti  dell'associazione Nessuno Tocchi Caino, per finanziare le attività di questa compagine che promette di battersi per l'applicazione della moratoria.

Forse questo è un modo semplicistico di intendere la situazione che si è creata e il genere di impegno da essa postulato.

Siamo convinti che il valore dell'operazione 'moratoria' si situi soprattutto a livello di principio: per la prima volta la pena di morte viene presentata universalmente come un relitto del passato in via di estinzione.

L'effetto pratico della risoluzione per la moratoria è per forza di cose indiretto e difficilmente quantificabile (***). Con ciò, ovviamente, non sono da trascurare i modi per aumentarne l'efficacia all'interno di politiche abolizioniste accorte ed articolate (a questo proposito molto pregnante troviamo la strategia delineata dalla Segretaria Generale di Amnesty International Irene Khan nel mese di aprile, v. n. 149).

A nostro avviso un lavoro essenziale, complementare a quello fatto finora, e quello di ricucire, con un lavoro intenso, sommesso e paziente, la spaccatura che la votazione all'Onu ha creato tra gli stati. Solo allargando la consapevolezza che la fine della pena di morte non è una sconfitta per nessuno bensì un guadagno per tutti, si creeranno le condizioni per una abolizione stabile e generalizzata.

Mario Marazziti, autorevole esponente della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, osserva: "La spaccatura all'ONU è stata un fatto evidente, anche se sembrava impensabile solo alcuni anni fa una maggioranza così ampia a favore e una minoranza così ristretta e marcata contro. La moratoria è un braccio teso e uno strumento di dialogo, che non demonizza i paesi mantenitori. La spaccatura si può, con pazienza, ricucire. Ma ormai la pena di morte ha smesso di essere un fatto "privato" dei sostenitori dei diritti umani ed è una questione che riguarda ufficialmente la comunità internazionale e la moratoria e il testo della risoluzione lo standard con cui misurarsi. E' davvero un inizio."

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(*) Ban Ki-moon è un convertito: quando entrò in carica un anno fa rispose ai giornalisti, che gli chiedevano un commento sull'esecuzione di Saddam Hussein, che ogni paese deve essere lasciato libero di scegliere le sue politiche; pochi giorni dopo corresse la sua posizione (v. n. 146, Notiziario).

(**) V. articolo di Massimo Franco sul Corriere della Sera del 24 dicembre, pag. 5,

(v. http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=27937896 ). L'articolo di John R. Schmidt si può acquistare on-line,

(v. http://www.informaworld.com/smpp/content~content=a783987377 )

(***) Nel breve termine gli effetti pratici della risoluzione sono visti da qualche osservatore come negativi, dal momento che alcune esecuzioni compiute recentemente, in Giappone, Corea del Nord, Iran e Arabia Saudita, assumono anche il significato di una sfida al pronunciamento delle Nazioni Unite.

 

 

2) CANDIDATI ALLA PRESIDENZA: QUASI TUTTI A FAVORE DELLA PENA DI MORTE

 

Dei 18 candidati attualmente in corsa per la presidenza degli Stati Uniti solo 5 si sono espressi contro la pena di  morte, e non sono certo tra quelli che hanno le più alte probabilità di successo. Tutti gli altri si sono dichiarati, in diverso grado e con diverse sfumature, a favore del mantenimento della 'sanzione ultimativa.' E' preoccupante la panoramica sugli individui dai quali dovrà emergere il detentore del massimo potere mondiale.

 

A poco meno di un anno dalle elezioni che designeranno il successore del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush (il quale non può essere rieletto perché ha già avuto due mandati) i candidati credibili in lizza sono ancora 18, in leggera maggioranza repubblicani. Questo manipolo si sfoltirà, a causa delle elezioni primarie in seno ai partiti, fino all'ultima sfida, quella delle elezioni ufficiali del mese di novembre in cui si affronteranno, quasi sicuramente, due soli candidati: uno democratico ed uno repubblicano.

Fu Bill Clinton il primo candidato designato dal partito democratico degli ultimi decenni che, imitando i Repubblicani, optò per la pena di morte nel 1992. Per essere chiaro, Clinton sospese il suo tour elettorale due volte per firmare, in qualità di governatore, altrettanti ordini di esecuzione sulla sedia elettrica dello stato dell'Arkansas. Il primo a fare le spese della scelta di Clinton, fu il lobotomizzato Ricky Ray Rector che fu portato al patibolo in carrozzella alla fine di gennaio.

Degli attuali candidati democratici, solo gli outsider Mike Gravel, ex governatore dell'Alaska, e Dennis Kucinich, deputato dell'Ohio, sono contrari la pena di morte.

Gravel, per la verità, si è espresso contro la pena capitale nel suo libro "Potere del Cittadino" uscito nel lontano del 1972. Secondo il suo addetto stampa, sarebbe tuttavia ancora del medesimo parere.

Il più noto Kucinich ha dichiarato che la sua avversione alla pena di morte si fonda su ragioni spirituali e morali. "Da un punto di vista morale - ha affermato - semplicemente non credo che noi esseri umani abbiamo il diritto di recitare la parte di Dio e prendere una vita, specialmente per il fatto che il nostro giudizio è fallibile e spesso sbagliato".

I due più quotati candidati democratici sono indubbiamente Hillary Clinton e Barak Obama. La prima, che ora è senatrice federale, ha sempre sostenuto la pena di morte; in qualità di first lady, ha promosso l'approvazione delle leggi federali del 1994 e del 1996 che espandono le fattispecie di reato capitale e riducono le possibilità di appello per i condannati alla pena capitale. Come senatrice ha tuttavia sponsorizzato il l'Innocence Protection Act, approvato nel 2004, che provvede fondi per i test del DNA che possono esonerare i condannati a morte nella giurisdizione federale. 

Il nero Barak Obama, senatore dell'Illinois noto per l'impegno sui fronti dei diritti civili e dei cosiddetti temi 'bioetici' (sostiene l'espansione delle possibilità di aborto e la ricerca sugli embrioni umani), ha dichiarato che la pena di morte "è poco efficace per scoraggiare il crimine" ma che egli la vuole nei casi in cui "la comunità è giustificata nell'esprimere la piena misura del proprio sdegno." Obama tuttavia si impegnò nella riforma (innescata dell'ex governatore George Ryan) per rendere più equa l'applicazione della pena di morte nel suo stato; ha scritto la legge che impone, nei casi capitali, la registrazione video degli interrogatori fatti dalla polizia e delle confessioni.

Dei Repubblicani, si presentano come contrari alla pena di morte solo due candidati minori, John Cox e Ron Paul. Il primo si espresse nel 2002, per ragioni morali, anche contro l'esecuzione del terrorista di Oklhoma City Tim McVeigh. Ron Paul ha dichiarato che si opporrà sempre, in ogni sede legislativa, alla pena di morte. Ha lodato papa Giovanni Paolo II nel 2005 per essere un "eloquente e coerente avvocato di un'etica della vita, nella sua lotta contro l'aborto, la guerra, l'eutanasia e la pena di morte."

Tra i repubblicani troviamo ovviamente i più convinti sostenitori del patibolo; ecco le posizioni di quelli più in vista:

Mike Huckbee, attuale governatore dell'Arkansas, in un suo libro parla della pena di morte come di "una dura questione" e dice: "Alcuni crimini la richiedono, ma ciò non significa che la ami". In una intervista del 2005 dichiarò: "Ho dovuto utilizzare la pena di morte più di qualsiasi altro governatore  nel mio stato, ma non ne sono orgoglioso".

W. Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, è noto per aver combattuto strenuamente per ottenere la reintroduzione della pena capitale nel suo stato, che è uno dei più lontani dalla pena di morte. Sostenitore della "pena di morte a prova di errore" (sic!) non riuscì nel suo intento ma ci arrivò vicino (v. n. 154, Notiziario).

John McCain, veterano del Vietnam e membro del Senato federale proveniente dall'Arizona, sostiene la pena di morte per i crimini federali; durante la sua carriera parlamentare si è sempre battuto per inasprire le pene, aumentare le prigioni, espandere la pena di morte e rendere più certa e più rapida l'esecuzione delle sentenze capitali, poco preoccupato delle garanzie per gli accusati; ha votato contro l'introduzione di statistiche razziali nei ricorsi dei condannati a morte per dimostrare la discriminazione razziale.

Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, è un forte sostenitore della pena capitale che ritiene essere un efficace deterrente contro il crimine. Ha testimoniato nel processo contro Zacarias Moussaoui, potenziale terrorista, chiedendo per lui la pena di morte (Moussaoui fu condannato all'ergastolo, v. n. 139). Rudy Giuliani  chiese la pena di morte anche per John Walker Lindh, un giovane americano catturato tra i Telebani in Afghanistan (che fu poi condannato a 10 anni di carcere, v. n. 94). Si è candidato come boia di Osama Bin Laden.

Invitiamo i lettori interessati ad avere informazioni sulle questioni di ogni tipo sollevate in campagna elettorale a proposito dei candidati alla Casa Bianca, a visitare il sito: www.issues2000.org Vi troveranno 'in pillole' tutto quello che hanno fatto e che pensano (o che fanno finta di pensare, o che i consulenti hanno suggerito loro di far finta di pensare, pur di vincere) gli uomini (e le due donne) in corsa per ottenere il posto che dà più potere al mondo di qualunque altro (c'è da rabbrividire).

 

 

3) ABOLITA LA PENA DI MORTE NEL NEW JERSEY

 

Il New Jersey ha abolito la pena di morte con la legge firmata dal governatore Jon Corzine il 17 dicembre. Si tratta del primo stato nordamericano che abolisce la pena di morte dopo il ripristino della pena capitale negli USA avvenuto nel 1976. La legge è passata, come previsto, con un comodo margine in entrambi i rami del Parlamento ma ha rischiato di fallire per un emendamento proposto in extremis dai Repubblicani al Senato. Il passo compiuto dal New Jersey ha contribuito ad aggravare la crisi della pena capitale in atto negli Stati Uniti. Si spera che provochi un effetto domino, facilitando l'abolizione in altri stati.

 

L'impegno serio degli attivisti, di parlamentari e soprattutto del governatore democratico Jon S. Corzine, convinto abolizionista, ha portato nel giro di due anni il New Jersey ad abolire la pena capitale.

La decisione in merito, votata dal Parlamento tra il 10 e il 13 dicembre e firmata dal Governatore il giorno 17, è stata preparata dal lavoro di una Commissione di esperti nominata dal Parlamento nel gennaio 2006, il cui rapporto, pubblicato nel gennaio 2007, ha raccomandato l'abolizione della pena di morte, "incompatibile con l'evoluzione degli standard di decenza", ritenuta più costosa dell'ergastolo pur senza rappresentare un deterrente speciale per l'omicidio.

L'abolizione della pena capitale è stata facilitata da certa moderazione dei politici e dei media che ha reso l'opinione pubblica (in uno stato che, pur avendo 8 condannarti a morte, non ha compiuto nessuna esecuzione dal 1963) assai meno incline alla pena capitale della media dei cittadini statunitensi (che risultano essere tra il 62% e il 68% favorevoli alla pena di morte, a seconda dei sondaggi). Un rilevamento condotto nelle prima decade di dicembre ha messo in evidenza - con le solite contraddizioni - che il 52% dei cittadini del New Jersey sono attualmente contrari all'eliminazione della pena di morte e 39% favorevoli. Tuttavia il 52% contro il 39% preferisce alla pena di morte la condanna all'ergastolo senza possibilità di liberazione sulla parola per i rei di omicidio volontario. Una apposita domanda rileva infine che il 78% contro il 18% vuole la pena di morte per i serial killer e per chi uccide bambini.

L'abolizione è avvenuta dopo un accesissimo dibattito e molte centinaia di ore di audizioni in Parlamento, con larga partecipazione dei cittadini e soprattutto dei parenti delle vittime del crimine. Tra questi ultimi, alcuni si oppongono alla  pena di morte che avrebbe l'effetto di rimandare sine die l'inflizione della pena e la 'chiusura' del dolore. Non sono mancate le dichiarazioni eccentriche o irrazionali. Per esempio il senatore repubblicano Robert Singer ha detto che se anche la pena di morte non viene usata, è giusto mantenerla perché "il braccio della morte separa", mentre con "una condanna a vita senza possibilità di uscita sulla parola, si viene a far parte della popolazione".

Non avendo i numeri per impedire il passaggio della legge proposta dai Democratici, i suoi oppositori hanno tentato uno scaltro escamotage, che per poco non è riuscito: il senatore Leonard Lance, leader della minoranza repubblicana in Senato - al momento del voto del 10 dicembre in cui l'abolizione ha vinto con 21 voti contro 16 - ha proposto un emendamento per conservare la pena di morte per delitti che suscitano un particolare allarme: i crimini di terrorismo, l'omicidio di pubblici ufficiali e la violenza seguita da omicidio nei riguardi dei minori di 14 anni. L'emendamento sarebbe passato se avesse raccolto 21 voti a favore. Ne ha avuti 20.

L'approvazione definitiva della legge che sostituisce la pena di morte con la detenzione a vita senza possibilità di uscita sulla parola da parte dell'Assemblea del New Jersey è avvenuta il 13 dicembre, con 44 voti a favore e 36 contrari.

L'abolizione nel New Jersey aggrava la crisi della pena di morte negli Stati Uniti, in cui vige una moratoria fatto, e può contribuire ad accelerare il processo abolizionista.

Richard Dieter, direttore esecutivo dell'autorevole Centro di Informazione sulla Pena di Morte di Washington, ha salutato il voto del New Jersey come "il primo" di un serie. "E' arrivato nel momento in cui è in corso un riesame della pena di morte," ha aggiunto Dieter e "dà ad altri parlamenti l'opportunità di domandarsi: 'Questa istituzione funziona nel nostro stato?' "  

In effetti, nei parlamenti di diversi stati - tra cui Maryland, Montana, Nuovo Messico e Nebraska - si è discusso nel corso del 2007 di abolizione della pena di morte senza arrivare a risultati concreti. Nel 2000 il New Hampshire aveva abolito la pena di morte ma la relativa legge era stata vanificata dal veto della governatrice Jeanne Shaheen. Il passo compiuto dal New Jersey potrebbe suscitare le energie necessarie a rendere efficaci tentativi del genere in molti stati.

 

 

4) DISCRIMINAZIONE RAZZIALE NELLA COMPOSIZIONE DELLE GIURIE

 

Il 4 dicembre la Corte Suprema degli Stati Uniti ha tenuto un'udienza sul caso di Allen Snyder, un nero condannato a morte in Louisiana da una giuria di soli bianchi. Il caso è molto simile a quello di Thomas Miller-El la cui condanna a morte pronunciata in Texas nel 1986 è stata annullata nel 2005 perché dalla giuria furono esclusi con intento razzista giurati di colore. Purtroppo la composizione della Corte Suprema federale è nel frattempo cambiata in senso conservatore rendendo del tutto incerto l'esito del caso Snyder v. Louisiana.

 

Jim Williams, accusatore di Alen Snyder in Louisiana, nel 1996 aveva fatto escludere tutti i potenziali membri di colore dalla giuria ed era poi riuscito ad ottenere facilmente la condanna a morte dell'imputato, nero, accusato di aver ferito a coltellate la moglie separata e di aver ucciso l'amante della donna (dopo essere caduto in un profondo disagio mentale che lo aveva portato vicino al suicidio).

Alla fine del processo, Williams esortò la giuria a infliggere ad Allan Snyder  la pena di morte perché  il suo caso era "molto molto simile" a quello del famoso O. J. Simpson, il nero che l'aveva scampata un anno prima.

Williams è noto per la sua tenacia nel perseguire le sentenze capitali. Una volta ha dichiarato ad un giornalista: "Sono arrivato al punto di non provarci più gusto se non c'è la possibilità di avere una sentenza di morte". Riceveva regali dai colleghi (riproduzioni di grandi siringhe) ogni volta che conseguiva una condanna a morte. Una rivista di avvocati a metà degli anni Novanta lo ritraeva al suo tavolo di lavoro; sulla sua scrivania campeggiava una sedia elettrica in miniatura, facevano da sfondo le foto segnaletiche di cinque Neri che egli aveva fatto condannare a morte. (In seguito, di questi condannati: due sono stati prosciolti, due hanno ottenuto la commutazione della sentenza a causa degli errori di Williams ed uno, ottenuto l'annullamento della condanna, è in attesa di un nuovo processo.)

Nel 2005, la Corte Suprema degli Stati Uniti, dopo aver emesso la sentenza che annullava il processo di Thomas Miller-El (nero condannato a morte in Texas nel 1986 da una giuria formata con intento razzista, v. n. 130), rinviò alla Corte Suprema della Louisiana il ricorso di Snyder, che tale corte aveva respinto, imponendole di riconsiderarlo alla luce della sentenza favorevole per Miller-El.

Il caso Snyder v. Louisiana, fu tuttavia confermato dalla massima corte della Louisiana ed è ora tornato alla Corte Suprema federale, la cui attuale composizione è purtroppo più incline ad usare deferenza verso le corti inferiori a danno dei condannati. Durante l'udienza del 4 dicembre i due nuovi giudici ultraconservatori John G. Roberts e Samuel A. Alito Jr. - oltre al famigerato veterano Antonin Scalia - hanno sottoposto ad un fuoco di fila di obiezioni l'avvocato di Snyder, Stephen B. Bright.

I tre giudici hanno attaccato, in maniera tagliente ed anche arrogante, gli argomenti avanzati da Bright, per altro del tutto simili a quelli che la Corte Suprema aveva accettato per Miller-El (Stephen Bright sostiene che l'intento razzista dell'accusatore, nell'escludere i giurati di colore, è dimostrato dal modo in cui egli ha trattato i potenziali giurati neri rispetto agli altri).   

Il giudice Kennedy - che potrebbe essere l'ago della bilancia in una corte divisa a metà tra ultraconservatori e conservatori moderati - ha parlato poco e quando lo ha fatto si è riferito alla sentenza Uttecht v. Brown del giugno scorso che, con il suo voto a favore, è andata contro l'imputato per deferenza nei riguardi dell'operato del giudice del processo.

L'esito del caso rimane pertanto avvolto dalla massima incertezza. Quando tra alcuni mesi verrà emessa la sentenza, la già intricata giurisprudenza sulla discriminazione razziale nella composizione delle giurie dei processi capitali (*) sarà più ricca, più complessa. Certamente più contraddittoria se il ricorso di Snyder verrà rigettato.

Se è difficile stabilire norme che la evitino, la discriminazione razziale nell'applicazione della pena di morte non è però una questione di lana caprina. Come ricorda Richard Dieter, uno dei massimi esperti in materia, i Neri che uccidono Bianchi hanno molte più probabilità di essere 'giustiziati' (rispetto ai Neri che uccidono altri Neri e ai Bianchi che uccidono Neri). Dal 1976 ad oggi, 223 Neri sono stati messi a morte negli Usa per aver ucciso Bianchi, nel medesimo periodo solo 15 condannati bianchi sono stati 'giustiziati' per aver ucciso Neri. Nel 2007, dei 14 Neri messi a morte, le vittime erano bianche in 10 casi. 22 Bianchi sono stati 'giustiziati' nell'anno, nessuno di essi aveva ucciso un Nero (**).

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(*) V. n. 130, e nn. ivi citati nell'articolo sul caso di Miller-El

(**) Questi dati sono da valutare tenendo conto che, all'incirca, le vittime degli omicidi sono in egual numero bianche e nere.

 

 

5) PENA DI MORTE NEGLI USA: IL TEXAS DOMINA LE STATISTICHE DEL 2007

 

Il Texas ha portato a termine 26 esecuzioni capitali nel 2007, il 62% del totale nazionale di 42. Sono in rapida diminuzione le esecuzioni negli altri stati, solo in 9 dei quali si sono compiute esecuzioni nel 2007, con un massimo di 3 esecuzioni in Alabama e in Oklahoma. Il numero delle sentenze di morte diminuisce rapidamente sia nel complesso della nazione (dalle 300 del 1998 si è passati alle 110 del 2007) che in Texas (dove si e dimezzato in cinque anni). Il Texas potrebbe diventare presto l'unico stato ad effettuare ogni anno un numero apprezzabile di esecuzioni negli Stati Uniti d'America. Tuttavia le previsioni statistiche ci dicono che anche in Texas il tasso di esecuzioni è destinato a diminuire sensibilmente.

 

Il 25 settembre, cogliendo di sorpresa la maggioranza degli osservatori, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha notificato la sua decisione di esaminare il ricorso Baze v. Rees che contesta l'esecuzione  tramite iniezione letale, quale pena crudele ed inusuale e quindi contraria alla Costituzione (v. n. 153).

Mancavano circa tre mesi alla fine di un anno in cui il numero delle esecuzioni capitali si sarebbe attestato all'incirca al (basso) livello degli anni immediatamente precedenti (53 esecuzioni nel 2006). Invece si è verificata solo un'altra esecuzione quello stesso giorno, la 42-esima dell'anno, in Texas (v. n. 153, "La Corte chiude alle 17..."). Poi la macchina delle esecuzioni si è fermata in attesa dell'annunciata sentenza della Corte Suprema.

Nel 2007 si sono avute dunque solo 42 esecuzioni, il numero più basso in un anno dopo il 1994. 

Solo 10, su 38 stati mantenitori della pena di morte, hanno compiuto esecuzioni negli Stati Uniti nel corso del 2007: Texas (26 esecuzioni), Alabama (3), Arizona (1), Georgia (1), Indiana (2), Ohio (2), Oklahoma (3), South Carolina (1), South Dakota (1), Tennessee (2).

I commenti degli esperti hanno pertanto riguardato sia il numero eccezionalmente ridotto di esecuzioni nell'anno sia in predominio assoluto raggiunto dal Texas nelle esecuzioni (nel 2005 il Texas ha effettuato il 32% delle esecuzioni nazionali, nel 2006 il 45%, nel 2007 il 62%). (*)

Per quanto riguarda il numero totale di esecuzioni, dobbiamo tener conto che, purtroppo, potrebbe esserci un drastico e macabro recupero delle esecuzioni momentaneamente bloccate, a partire dalla metà del 2008, con un possibile ingorgo delle camere della morte. Ciò che accadrà dipenderà della sentenza che verrà emessa dalla Corte Suprema federale, prevedibilmente tra alcuni mesi, sul caso Baze v. Rees, nonché dal comportamento degli stati (che potrebbero entrare in crisi se fossero costretti a cambiare sostanzialmente il procedimento di esecuzione).

L'altissimo numero di esecuzioni in Texas dipende soprattutto dal fatto che una volta emessa una sentenza capitale, gli accusatori, le corti statali, le corti federali competenti, la Commissione per le Grazie e il Governatore agiscono in modo sinergico per portarla a termine. Alcuni esperti prevedono che presto il Texas potrebbe rimanere l'unico stato ad effettuare un apprezzabile numero di esecuzioni negli USA, data la progressiva disaffezione degli altri stati per la pena di morte: vengono pronunciate sempre meno sentenze capitali nella nazione (dalle 300 del 1998 si è passati alle 110 del 2007) che gli altri stati non si affrettano ad eseguire.

Il fatto che anche in Texas - specie dopo l'introduzione dell'ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola come alternativa alla pena di morte nel 2005 - le sentenze di morte diminuiscano di anno in anno (si sono dimezzate negli ultimi 5 anni), fa prevedere che pure in questo stato le esecuzioni, anche se dovessero rimanere numerose, cominceranno presto a decrescere sensibilmente.

________________________

(*) Il 7 dicembre u. s. si è compiuto il primo quarto di secolo di pena di morte in Texas, dopo il ripristino della pena capitale e la ripresa delle esecuzioni avvenuta somministrando l'iniezione letale a Charlie Brooks il 7 dicembre del 1982. In questo periodo sono state compiute in Texas 405 esecuzioni, il 37% del totale nazionale.

6) UNIONE EUROPEA: E' NATA LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI

 

La nuova Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, è nata il 12 dicembre ed ha assunto un valore potenzialmente vincolante entrando a far parte del Trattato di Lisbona approvato dalla Conferenza dei Ministri dell'Unione Europea il giorno 13. La Carta, che afferma sia i diritti civili e politici che quelli sociali ed economici, non solo dei cittadini europei ma anche di tutti coloro che si trovino nell'Unione, andrà in vigore insieme al Trattato, dopo la ratifica da parte dei 27 paesi membri dell'Unione Europea, nel 2009. Proclamata l'inviolabilità della dignità umana, il primo diritto ad essere affermato nella Carta è il diritto alla vita, con un riferimento esplicito alla proibizione della pena di morte.

 

La nuova "Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea" (*) è stata firmata il 12 dicembre dai presidenti del Parlamento europeo, della Commissione dell'Unione europea e del Consiglio europeo (**). Il giorno dopo la Carta ha acquisito potenzialmente un valore vincolante, inserita, tramite il riferimento iscritto all'articolo 6, nel Trattato di Lisbona che sostituisce la Costituzione europea naufragata nel 2005.

La Carta dei Diritti Fondamentali, come tutto il Trattato di Lisbona approvato dalla Conferenza dei Ministri dell'Unione Europea il 13 dicembre, entrerà in vigore il 1° gennaio 2009, dopo la ratifica da parte dei 27 paesi membri dell'Unione Europea, prevista entro il 2008 (***).

La Corte di giustizia dell'Unione europea, dopo la ratifica del trattato di Lisbona, avrà il compito di assicurare che la Carta dei diritti fondamentali sia rispettata.

Vogliamo sottolineare l'importanza di questo documento che stabilisce l'insieme dei diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei e di tutti coloro che si trovano nel territorio dell'Unione.

Nel Preambolo si legge: "Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia."

I primi due dei 54 articoli della Carta proclamano l'inviolabilità della persona umana e affermano, come primo e basilare diritto, il diritto alla vita, facendo un riferimento esplicito al divieto della pena di morte:

"Articolo 1 -  Dignità umana

La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.

Articolo 2 -  Diritto alla vita

1. Ogni persona ha diritto alla vita.

2. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato."

I diritti affermati dalla Carta possono essere raggruppati in sei capitoli:

Dignità

Diritto alla vita, divieto della pena di morte, diritto all'integrità della persona, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, proibizione della schiavitù e del lavoro forzato.

Libertà

Diritto alla libertà e alla sicurezza, rispetto della vita privata e della vita familiare, protezione dei dati di carattere personale, diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, libertà di pensiero, di coscienza e di religione, libertà di espressione e d'informazione, libertà di riunione e di associazione, libertà delle arti e delle scienze, diritto all'istruzione, libertà professionale e diritto di lavorare, libertà d'impresa, diritto di proprietà, diritto di asilo, protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.

Uguaglianza

Uguaglianza davanti alla legge, non discriminazione, diversità culturale, religiosa e linguistica, parità tra donne e uomini, diritti del minore, diritti degli anziani, inserimento delle persone con disabilità.

Solidarietà

Diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa, diritto di negoziazione e di azioni collettive, diritto di accesso ai servizi di collocamento, tutela in caso di licenziamento ingiustificato, condizioni di lavoro giuste ed eque, divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro, vita familiare e vita professionale, sicurezza sociale e assistenza sociale, protezione della salute, accesso ai servizi d'interesse economico generale, tutela dell'ambiente, protezione dei consumatori.

Cittadinanza

Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo, diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali, diritto ad una buona amministrazione, diritto d'accesso ai documenti, Mediatore europeo, diritto di petizione, libertà di circolazione e di soggiorno, tutela diplomatica e consolare.

Giustizia

Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, presunzione di innocenza e diritti della difesa, principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato.

Questi diritti riaffermano quelli contenuti Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri dell'Unione Europea, dalla Carta sociale europea del Consiglio d'Europa e dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, nonché da altre convenzioni internazionali a cui aderiscono l'Unione europea o i suoi Stati membri.

_____________________

(*) Il testo completo della Carta si può trovare all'indirizzo:

http://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

(**) In una risoluzione adottata il 29 novembre scorso con 534 voti favorevoli, 85 contrari e 21 astensioni, il Parlamento europeo aveva approvato formalmente lo statuto giuridico della Carta.

(***) Un protocollo aggiuntivo prevede delle eccezioni ai vincoli imposti dalla Carta per la Polonia e il Regno Unito. Si spera che questi due paesi accettino di rimuovere tali eccezioni.

 

 

7) CERCASI CORRISPONDENTE DAL BRACCIO DELLA MORTE

 

Cerchiamo un detenuto che voglia stabilire un rapporto speciale col Comitato Paul Rougeau, che diventi il nostro corrispondente dal braccio della morte, che voglia essere da noi adottato quasi fosse un discendente di Paul Rougeau. Desideriamo infatti onorare la memoria del nostro primo grande amico nel braccio della morte che, in procinto di essere ucciso dallo stato del Texas, ci chiese di aiutare altri condannati a morte e di continuare nel suo nome la lotta contro la pena capitale. Cari lettori, per favore segnalateci detenuti da voi conosciuti che abbiamo le caratteristiche descritte qui sotto.

 

Dopo la positiva svolta del caso di Kenneth Foster in Texas, con la sua uscita dal braccio della morte per entrare in un carcere 'normale', avvenuta il 30 agosto, abbiamo perso il nostro corrispondete privilegiato dal braccio della morte del Texas. Kenneth è e rimarrà sempre un amico del Comitato Paul Rougeau ma è stato alleggerito, dalla buona sorte, dall'incarico di corrispondente che ha svolto per noi per diversi anni.

Il detenuto da noi scelto rappresenterà in un certo senso il discendente diretto di Paul Rougeau (al quale sono succeduti nell'ordine Joe Cannon, Gary Graham e Kenneth Foster). Con lui stabiliremo un rapporto speciale, di amicizia e di sostegno, che speriamo duri fino alla felice conclusione della sua vicenda, come è avvenuto con Kenneth.                      

Ci sono diversi candidati a sostituire Kenneth ma probabilmente non abbiamo trovato ancora la persona adatta. Dovrebbe essere un detenuto che sa osservare, ragionare, elaborare e comunicare la propria esperienza e quella dei compagni di sventura. Una persona sincera, capace di stabilire un rapporto schietto con noi, un rapporto onesto e paritario.

Vorremmo un detenuto con un caso 'forte', che abbia subito una particolare ingiustizia con la condanna a morte, per il quale un eventuale aiuto economico per la difesa legale abbia una qualche probabilità di rivelarsi effettivamente utile.

Forse chiediamo troppo. Ma forse esiste una persona così.

Invitiamo caldamente i lettori a segnalarci detenuti dei bracci della morte statunitensi che, a loro parere, abbiano almeno in parte le caratteristiche qui menzionate. Ovviamente NON si devono creare prematuramente aspettative nei detenuti dicendo loro della possibile 'adozione' da parte del Comitato.

Avvertiamo che il nostro statuto non ci consente di aiutare detenuti al di fuori degli Stati Uniti d'America e che - per ragioni pratiche e per l'esperienza accumulata - abbiamo una spiccata preferenza per i detenuti del Texas.

 

 

8) NOTIZIARIO

 

Arabia Saudita. Esecuzioni in crescita, spaventoso bilancio di fine anno. Con la decapitazione di Walid al-Shihri, condannato a morte per un omicidio occorso durante una lite, avvenuta a Riyadh il 1° dicembre, salgono a 137 le esecuzione in Arabia Saudita nel 2007, secondo un computo dell'Associated Press. Lo spaventoso numero di esecuzioni nell'anno che si chiude è da confrontare con quelli relativi al 2055 (83 esecuzioni) e al 2006 (38 esecuzioni).

 

Cina. Diritti umani violati: appello di Amnesty al Cio in vista delle Olimpiadi di Pechino. Pur riconoscendo che spetta principalmente al governo cinese di agire per un miglioramento del rispetto dei diritti umani in Cina, il 10 dicembre, in occasione dell'anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e dell'inizio di una riunione del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), Amnesty International si è rivolta al più elevato e prestigioso organismo sportivo per chiedergli di fare pressione sulla Cina. Il Cio può avere infatti una particolare influenza sul grande paese asiatico approssimandosi le Olimpiadi di Pechino del 2008. Prima della svolgimento delle Olimpiadi, Amnesty International cercherà di ottenere dei risultati, che potrebbero costituire l'eredità positiva delle Olimpiadi, in quattro campi in cui i diritti umani in Cina sono gravemente violati: la pena di morte, la detenzione senza processo, la libertà d'informazione e la protezione degli attivisti per i diritti umani. Il 10 dicembre Amnesty ha sollevato tre casi specifici di violazione dei diritti umani individuali in Cina, connessi con la preparazione delle Olimpiadi, per ottenere la loro risoluzione positiva e per esemplificare la gravissima situazione che si vive tuttora nel più popoloso paese del mondo in rapida evoluzione economica e civile: 1) il 10 ottobre Wang Ling e' stata condannata a 15 mesi di 'rieducazione attraverso il lavoro' per aver firmato petizioni e aver preparato striscioni, dopo che la sua abitazione era stata demolita per far posto a strutture olimpiche; 2) Yang Chunlin, è stato arrestato il 6 luglio 2007 e da allora detenuto in isolamento per aver lanciato la petizione: 'Vogliamo i diritti umani, non le Olimpiadi', con la quale i contadini stanno protestando per la confisca dei loro terreni; 3) Ye Gouzhu, attivista per il diritto alla casa, sta scontando una condanna a quattro anni di reclusione per aver chiesto il permesso di organizzare una manifestazione che intendeva richiamare l'attenzione sullo sgombero forzato di alcuni abitanti del distretto di Xuanwu, a Pechino. La sua casa e il suo negozio sono stati demoliti per fare spazio a impianti olimpici.

 

Giappone. Il governo uccide tre detenuti ma rinuncia alla segretezza sulla pena di morte. Il 7 dicembre il Giappone, quasi a sfidare il movimento abolizionista mondiale sul punto di ottenere l'approvazione definitiva della risoluzione per la moratoria alle Nazioni Unite, ha eseguito tre condanne a morte. Il Ministro della Giustizia ha reso noto che le impiccagioni di Seiha Fujima, di 47anni e di Hiroki Fukawa, di 42 anni, sono state eseguite a Tokio, mentre il 75-enne Noboru Ikemoto è stato impiccato ad Osaka. E' la prima volta che il governo nipponico rivela i nomi delle persone messe a morte e fornisce altri dettagli. Amnesty International ha approvato la decisione di rinunciare alla segretezza sulla pena capitale ma ha fortemente condannato il Giappone per le tre esecuzioni che portano a nove il totale di quelle effettuate nell'anno. Nei bracci della morte giapponesi rimangono 104 detenuti. Le esecuzioni in Giappone avvengono all'improvviso, senza alcun preavvertimento ai condannati e alle loro famiglie. Fino al novembre del 1998, l'unica informazione ufficiale sulla pena di morte fornita in Giappone consisteva nel totale delle esecuzioni compiute nell'anno. Poi il Ministro della Giustizia decise di rendere noto volta per volta il numero delle esecuzioni portate a termine ma senza rivelare i nomi dei giustiziati.

 

Iran. Amnesty indignata per la sesta esecuzione di un minorenne all'epoca del reato. Amnesty International ha levato vibrate proteste per l'assassinio (non riusciamo neanche a parlare di esecuzione) di Moloudzadeh Moloudzadeh, un ventunenne accusato di una violenza sessuale avvenuta nel 1999, quando il ragazzo aveva 13 anni. Le 'vittima', coetanea del condannato, e due testimoni avevano ritrattato l'accusa. Makwan è stato impiccato nella prigione di Kermanshah il 5 dicembre. La sua è almeno la sesta esecuzione di un minorenne all'epoca del reato effettuata in Iran nel 2007. Invano Amnesty, per salvare Moloudzadeh Moloudzadeh, ha lanciato una robusta Azione Urgente il 26 ottobre, cui ha dato un notevole contributo la Sezione Italiana dell'associazione. Anche l'Unione Europea è intervenuta più volte in favore del condannato. Le autorità iraniane hanno fatto finta di ascoltare le suppliche, hanno annullato la condanna e un mese dopo hanno impiccato il malcapitato Moloudzadeh Moloudzadeh. "L'uso della pena di morte in Iran ha raggiunto livelli aberranti: tra le persone già messe a morte o a rischio di esecuzione vi sono omosessuali, adulteri, prigionieri di coscienza, giornalisti. L'Iran è il paese che dal 1990 ha assassinato il maggior numero di minorenni all'epoca del reato, 28 in totale, in violazione del diritto internazionale che impedisce queste esecuzioni,'  ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International. Si contano almeno 280 esecuzioni capitali in Iran nel 2007, dato da confrontare con quello dell'anno precedente: 177 esecuzioni.

 

New Hampshire. Milionario rischia la pena di morte. Un evento assolutamente straordinario si  verifica in New Hampshire: John Brooks, un ricco capitano d'industria di 44 anni, è stato accusato di reato capitale. Brooks sarebbe il mandante del rapimento e dell'uccisione di tale Jack Reid Sr. che gli avrebbe rubato alcuni oggetti. E' straordinario che una persona molto ricca sia, almeno in teoricamente, a rischio di esecuzione, sappiamo infatti che non ci sono ricchi (e specialmente persone molto ricche) nei bracci della morte americani. Un secondo motivo di stupore è il fatto che ci si proponga di ottenere una condanna capitale in uno stato in cui la pena di morte, pur essendo rimasta nei codici, è stata abolita di fatto (nello stato non si compiono esecuzioni dal 1939 ; il New Hampshire ha perfino approvato una legge che abolisce la pena di morte nel 2000, legge tuttavia vanificata dal veto della governatrice di allora). Inutile dire che Brooks è difeso da un agguerrito team di avvocati che hanno interposto un fuoco di sbarramento legale per evitare in via preliminare che il loro cliente venga sottoposto a processo capitale. (Il processo è programmato per il prossimo mese di agosto.) I legali di John Brooks contestano frontalmente tutto il sistema della pena di morte vigente nello stato: è vago, ingiusto, si applica ad arbitrarie categorie di reato - lasciando fuori crimini orrendi ed includendovi reati meno gravi - non contiene salvaguardie atte ad evitare che vengano condannate a morte persone innocenti. Per esempio non fa divieto ad una giuria di emettere un verdetto di morte esclusivamente sulla base di prove scadenti come le testimonianze di complici, le informazioni fornite da spie carcerarie e da colpevoli che patteggiano la cancellazione delle accuse contro di loro in cambio di testimonianze a carico. Per di più - si argomenta - è oggettivamente discriminatorio che la pena di morte venga chiesta per Brook mentre non è stata chiesta per altri imputati di reati punibili con la pena di morte negli ultimi anni. "Probabilmente la ragione più forte per concludere che la legge della pena di morte del New Hampshire viola la costituzione dello stato è empirica." Scrive il collegio di difesa di Brooks nel ricorso inoltrato al giudice Robert Lynn nella seconda settimana di dicembre. "Con 37 stati che hanno la pena di morte nei codici, il New Hampshire è l'unico ad avere una storia di non-applicazione e disuso." Staremo a vedere quale sarà l'evoluzione del caso John Brooks, interessante da molti punti di vista. Speriamo che Brooks si sottragga alla condanna capitale e soprattutto all'esecuzione: sarebbe un'ingiustizia mostruosa, anche se compiuta ai danni di un ricco.

 

Ohio. Rivelata la procedura dell'iniezione letale. Il giudice James Burge, che deve decidere su un ricorso civile che contesta la costituzionalità del metodo usato nell'Ohio per uccidere i condannati a morte, il 27 dicembre ha reso di pubblico dominio un fascicolo di 632 pagine che descrivono la procedura dell'iniezione letale. Sono rimasti segreti solo i nomi dei 16 componenti la squadra di esecuzione. Costoro si preparano per un mese prima di ogni esecuzione e si esercitano come minimo 4 volte l'anno in mancanza di esecuzioni. Tra di essi vi è almeno un membro munito di attestato di qualifica in una specialità infermieristica, non ben specificata. La preparazione consiste nell'iniettare acqua in un braccio artificiale ed anche nell'allenarsi a fronteggiare un detenuto che resiste fisicamente all'esecuzione. Prima di venire a far parte della squadra di esecuzione un candidato deve passare 'una rigorosa selezione' che comprende una revisione del suo stato di servizio nel sistema carcerario e l'approvazione da parte del warden e di altre personalità della prigione; è richiesta infine la conferma con un voto da parte della squadra di esecuzione in carica. L'iniezione letale comincia quando il 'warden dello stabilimento di correzione' (cioè il direttore della prigione) si abbottona la giacca stando in piedi accanto al condannato fissato ad una tavola orizzontale. Sono tre gli operatori che predispongono le vene e poi iniettano i farmaci letali. Negli ultimi due anni si sono verificate due esecuzioni caratterizzate da particolari difficoltà nel trovare le vene adatte per l'iniezione letale. In un caso gli addetti hanno armeggiato per 90 minuti, nell'altro per due ore. Tra le raccomandazioni scritte dal warden Edwin C. Voorhies Jr. per migliorare il procedimento dell'iniezione letale vi è quella di provvedere per gli 'addetti alle vene' comode sedie regolabili munite di rotelle. Nonostante tutto ciò, l'avvocato Jeffrey Gamso, noto abolizionista che patrocina Ruben Rivera e Ronald McCloud, due detenuti sotto processo per omicidio che hanno presentato il ricorso contro l'iniezione letale, ha dichiarato: "Se i soggetti non vengono torturati a morte, sono dei fortunati." Il portavoce del Dipartimento di Riabilitazione e Correzione dell'Ohio, Andrea Carson, ha detto invece: "Noi riteniamo che i membri della nostra squadra di esecuzione sono ben preparati e in grado di esercitare le responsabilità che hanno quando si deve svolgere questo specifico compito."

 

Tennessee. Prosciolto in un secondo processo un uomo condannato a morte nel 1988. Dopo oltre 15 anni passati nel braccio della morte del Tennessee, Michael Lee McCormick ha ottenuto un nuovo processo perché aveva avuto una difesa legale scadente nel processo del 1987 in cui fu condannato a morte per l'omicidio di una giovane conoscente, Donna Jean Nichols, avvenuto nel giorno di San Valentino del 1985. Un test del DNA effettuato nel 2001 ha aiutato gli attuali difensori a dimostrare l'innocenza di McCormick e ad ottenere l'assoluzione del proprio assistito, che ora ha 55 anni, il 5 dicembre. Michael McCormick, tremando, si è messo a piangere al momento del verdetto.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 dicembre 2007

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