Resoconto dell'ultimo giorno trascorso con Greg Summers, giustiziato dallo Stato del Texas
di Caterina Calderoni
Texas, 25.10.06
Introduzione
Questo è il resoconto dell'ultimo giorno trascorso con Greg Summers, giustiziato dallo Stato del Texas il 25 ottobre 2006, a 16 anni dalla condanna a morte.
Sono stata vicino a Greg negli ultimi giorni e nelle ultime ore della sua vita, per quanto mi è stato concesso, assieme all'amica olandese Maartje, fondatrice di SpringforSummers, e a suo fratello Ivo.
La morte di Greg, sebbene prevista da un piano inesorabile di cui si era tutti a conoscenza, ci ha colpiti in maniera devastante; il dolore per la sua perdita è pari alla pena per la sua vita spezzata dopo 16 anni di carcere, per le sue speranze infrante, per la sua voce inascoltata mentre gridava la sua innocenza; e al senso di impotenza che ci ha accompagnato in questi ultimi giorni, nonostante l'attività svolta negli anni per sostenere pubblicamente la sua battaglia. A ciò si aggiunga la rabbia e l'indignazione davanti alla volontà di rendere comunque operativa la sentenza - nonostante l'effettiva mancanza di prove reali e le gravissime irregolarità processuali provate e comprovate - e davanti all'indifferenza che accompagna, spesso, tali eventi.
Ho avuto il privilegio di conoscere Greg e intrecciare il mio cammino al suo per quasi nove anni. Alla fine di questo percorso sorge spontanea una riflessione: non tanto sulla pena di morte, la cui abiezione e inutilità sono per noi scontate, quanto su cosa ha significato Greg per la nostra vita e in che modo possiamo trarre da questa esperienza un messaggio utile a noi stessi e agli altri.
Caterina Calderoni
L'ultima visita
Al termine dell'ultima visita, al momento dell'ultimo saluto faccia a faccia, Greg non ci ha concesso parole di addio. Un bacio [*] e un ciao, basta. Abbiamo tutti cercato di non cedere per sostenerci a vicenda, lui noi e noi lui. Per tutti lo sforzo è stato incommensurabile.
"Non ho paura di morire", dice Greg. "Se fossi destinato a rimanere chiuso qui dentro, preferisco andarmene. Sono stanco di questa vita. Sono passati 16 anni, sono stanco." Ma alla fine della visita, per un attimo Greg abbassa lo sguardo e sospira. " Geez, I am not ready for that", non sono pronto per questo. E come dargli torto? Quale persona, sana e cosciente, si sentirebbe pronta a essere soppressa a un'ora prestabilita? Specie dopo aver appreso, qualche giorno prima, che uno dei testimoni-chiave dell'accusa ha ammesso di aver testimoniato il falso sotto la pressione del procuratore distrettuale in cambio di una riduzione di pena. Naturalmente questo è il ricorso più importante tra quelli avviati presso le varie corti. Naturalmente non verrà preso in considerazione, al pari degli altri.
L'ultima telefonata
L'ultima telefonata, la seconda, che Greg ci ha fatto, chiamandoci in albergo, dopo aver sentito un paio di altre persone, è arrivata poco prima che si uscisse per andare a "The Walls" per l'esecuzione. "Che fine hai fatto, Greg?! Ora dobbiamo sbrigarci, fra 10 minuti dobbiamo essere là…" Le parole si materializzano prima ancora che abbia il tempo di rendermi conto di cosa sto dicendo. Greg ci risponde, poi chiede se ho qualche notizia dal Consolato Italiano per quanto riguarda la pratica di trasferimento della sua salma in Italia. Poi silenzio.
"Sei acora lì, Greg?"
"Sì"
"Ora dobbiamo andare, Greg"
"OK, bye then, I love you"
Anche noi ti vogliamo bene. Ti voglio bene, Greg.
"I love you"
"Ciao, stellina" gli dico in italiano.
"I love you". La sua voce inghiottita nel silenzio profondo dell'angoscia.
Verso “The Walls"
Solo pochi istanti prima, Greg si era detto ottimista circa la possibilità di un rinvio di un mese se il ritardo prodotto dai ricorsi si fosse protratto fino alla mezzanotte.
Ci aggrappiamo a questa remota possibilità, in fondo non sarebbe la prima volta, in alcuni casi la sospensione è arrivata al'ultimo momento. Cominciamo a fantasticare sul fatto di avere ancora trenta giorni: "se queste fossero solo prove generali, se avessimo ancora tempo, se…".
L'arrivo a "The Walls" ci raggela; hanno già messo i nastri gialli di recinzione. Alcuni addetti alla stampa aspettano con le telecamere pronte. Ho pensato alle volte che mi ero trovata al di là di quei nastri durante le veglie e le manifestazioni contro le esecuzioni che stavano avendo luogo. Ho pensato a quando vedevo i testimoni attraversare la strada ed entrare nel carcere per assistere all'esecuzione. E ora, che strano trovarsi al loro posto, al di là della barriera. Che strano sentirsi al capolinea, nonostante questa fosse una meta annunciata sin dal'inizio. Eppure, non sono mai riuscita realmente a credere che sarebbe successo anche a Greg; non sono mai riuscita a credere che sarebbe successo anche a noi.
L'attesa
Purtroppo, l'esecuzione di Greg è stata ritardata di sole tre ore, altrettante ne occorrevano perché vivesse ancora un mese.
Le tre ore d'attesa supplementari sono sembrate un'eternità. Soffrivamo pensando a Greg, chiuso in una cella da qualche parte in quel labirinto, mentre aspettava l'esito dei ricorsi. Ben poca cosa, al confronto, è stata la nostra attesa. Seduti sul divanetto in una fredda camera di ricreazione del personale, con le luci al neon negli occhi e il rumore ottuso dei frigoriferi, l'andirivieni impaziente di un cappellano con un improbabile cappellino da baseball e di un addetto alla sicurezza. La voglia incontenibile di un caffè (eravamo a digiuno dall'alba), la stanchezza e la tensione crescente, gli occhi e la testa pesanti; il freddo artificiale dell'aria condizionata, in quella notte ventosa, calda e umida, la tensione, la paura. Non ho mai smesso di tremare. Tremavo per Greg, per la paura, per quello che stava per succedere. A un certo punto cediamo alla sonnolenza; Maartje si addormenta profondamente, io e Ivo ci appisoliamo. A dire il vero, io riesco solo a chiudere gli occhi e a rilasciare la mente per brevi lassi di tempo: 5 minuti, 10 minuti, non di più. Un'incoscienza vigile che mi fa sobbalzare a ogni rumore e mi fa aprire di scatto gli occhi, sempre orientati verso l'ingresso della stanza, una, due, cinque volte. Nessuno compare, tuttavia. Ma, all'ennesima volta, eccoli finalmente entrare: il cappellano, senza berretto da baseball, l'addetto alla sicurezza e due guardie, uomo e donna, con i metal detector. Su tutti un'espressione ufficiale di gravità: Greg ha perso tutti i ricorsi. E' ora di andare.
Il cammino
Il transito verso la stanza dei testimoni "amici del condannato" è preceduto da un'ulteriore attesa, consumata nel silenzio tra gli sbuffi annoiati di qualche cronista e di un paio di addetti del TDCJ - contrariati da questo ritardo - e le risatine di un gruppo di guardie provenienti dalla stanza attigua. Il tutto mentre Greg viene preparato per il rito barbarico, mentre viene condotto alla camera della morte, fatto sdraiare sul lettino, assicurato con le cinghie ecc. ecc.
Prego che il cuore non gli scoppi quando sente la porta della cella aprirsi e capisce che tutto è perduto, prego che le gambe gli reggano mentre lo portano alla death chamber. Prego che le gambe reggano anche me, anche noi mentre, mano nella mano, ci facciamo scortare alla mattanza.
Il percorso alla stanza dei testimoni è quanto mai contorto. Dopo aver camminato lungo il corridoio che immette direttamente in questa stanza, veniamo invece fatti uscire da una porta laterale; ci troviamo all'esterno, in una specie di piccolo cortile, e da lì rientriamo. E Greg è all'improvviso davanti a noi, vicinissimo.
L'esecuzione
Greg: immobile, steso e imbracato, coperto da un lenzuolo bianco dal collo in giù. Una precauzione per nascondere la sofferenza fisica ai testimoni; che tutto sembri indolore e incolore.
Il braccio destro di Greg è teso verso di noi, così vicino da poterlo quasi toccare, se non ci fosse il vetro che ci divide. Il tubo col veleno sguscia da sotto il lettino da una fessura nella parete - al di là della quale il boia invisibile è in attesa di premere il bottone - e poggia direttamente sull'avambraccio. Un cerotto lo tiene fissato e questo prosegue sul dorso della mano, dove l'ago è nascosto da un rozzo guanto di tela.
Greg è immobile, guarda fisso davanti a sé. Il microfono che incombe su di lui non raccoglie altro che un secco "no", nessuna dichiarazione finale, come ci aveva preannunciato. Nessuna soddisfazione per i suoi carnefici né per le persone impazienti di vederlo morire. Non si volta neppure verso di noi, in lacrime, ammutoliti e attoniti davanti a tanta asettica e premeditata ferocia, davanti alla perdita imminente del nostro amico.
Greg se ne è andato in fretta e in silenzio, così come quando usciva dalla cabina alla fine delle visite: senza voltarsi. Alcuni respiri pesanti e poi gli occhi chiusi per sempre; intorno a sé la fredda burocrazia del TDCJ: il medico che ne verifica il decesso e il cappellano preposto a recitare formule consunte dall' indifferenza e dall' abitudine. Mentre Greg moriva, nessuna parola sinceramente amorevole che potesse udire, a parte le nostre lacrime mute e invisibili, che sicuramente intuiva.
"Run away, Greg, run away from here".
Dopo
"Take me home, Cat, take me home to Italy, please". Greg non smetteva mai di raccomandarmi questo durante le ultime visite. Non voleva essere lasciato in Texas, lo Stato che lo ha ucciso, dove nessuno ne avrebbe avuto cura. Lo porteremo dunque in Italia, vicino a Pisa; una sua amica toscana si è infatti offerta di pagare le spese di trasporto della salma e di ospitarlo nella tomba di famiglia, col sostegno del suo Comune di residenza e della Regione Toscana. "Sarà questa", diceva Greg, " la mia dichiarazione finale…".
Ma ora dobbiamo correre alla Huntsville Funeral Home, dove vengono mandati tutti i giustiziati dopo l'esecuzione, per dare a Greg un saluto affettuoso, senza l'invadenza di cronisti e guardie, e per sincerarci che venga trattato col dovuto rispetto.
Questi pochi minuti in sua compagnia riescono a smorzare, in qualche modo, la violenza del distacco e della perdita e ci danno l'illusione che anche a Greg, ormai da tutt'altra parte, possa comunque far piacere essere ancora una volta tutti insieme.
Huntsville, TX, 0ct. 27 2006
E' passato poco più di un giorno da quando Greg se ne è andato. Il sole è riapparso e l'aria è piacevolmente fresca. Il clima greve dei due giorni precedenti è passato; il cielo ha smesso di piangere, il vento ha soffiato via le nuvole gonfie e nere e celebra l'inizio di un nuovo giorno. Che anche la morte di Greg segni un nuovo inizio, gridi contro l'ingiustizia, la barbarie, l'oscenità della pena di morte.
Ma noi, sotto il cielo malato del Texas, ancora piangiamo il nostro Greg e così sarà ogni giorno, ovunque saremo. Now and forever. Ciao, Greg.
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[*] Attraverso il vetro (n.d.w.)
[Questo testo è stato pubblicato su Riforma, Settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi italiane]